Dopo aver spiegato Turandot, nella 'sua' (a giudicare dalla sua permanenza, ancora oggi, quasi fosse di sua proprietà) trasmissione 'Petruska', Michele dall'Ongaro intervista Riccardo Chailly, prossimo direttore musicale della Scala, che domani dirigerà Turandot con il finale scritto da Berio, trasmessa in diretta dalla medesima rete Rai.
Illustrando Turandot - la musica dell'opera - dall'Ongaro ha parlato di acciaccature, tritono, accordi dissonanti che a chissà quanti dei 18.000 circa che seguono la trasmissione dicevano qualcosa, con un linguaggio tecnico, per intenditori.
Poi, invece, intervistando Chailly gli domanda se lui ha respirato musica in casa, lui figlio di compositore poi a capo della Scala, ai tempi di Abbado. Insomma non si capisce se dall'Ongaro ha chiaro a quale pubblico si rivolge, se di intenditori per i quali spiega la musica di Turandot. o di amatori che non possono sapere se un giovane che vive in casa di un compositore respiri musica dalla nascita.
Se non è ancora chiaro l'utilizzatore finale della trasmissione, chiarissimo era invece ciò che il sottopancia dei due avrebbe spiegato ai più. Michele dall'Ongaro, presidente, sovrintendente e direttore artistico dell'Accademia di Santa Cecilia intervista Riccardo Chailly, direttore principale del Teatro alla Scala.
O, in alternativa, Michele dall'Ongaro, presidente, sovrintendente, direttore artistico ed accademico di santa Cecilia, intervsita Riccardo Chailly, direttore principale della Scala e accademico di santa Cecilia.
Nel primo caso una collaborazione produttiva fra diverse istituzioni musicali italiane, in assenza di conflitto di interessi. Nel secondo nessuna collaborazione ma qualche conflitto di interessi. Scegliete voi il sottopancia che preferite.
giovedì 30 aprile 2015
Peracottari a Milano, in piazza Duomo, per l'apertura dell'EXPO.
Il concerto di questa sera che ha inaugurato ufficialmente l'Expo 2015, con l'Orchestra ed il Coro del Teatro alla Scala di Milano, ci ha fatto subito pensare al Concerto di Capodanno che, in diretta, Rai Uno ha trasmesso dal Teatro La Fenice, a partire dal 2004 per festeggiare 'dov'era e com'era' il teatro ricostruito, dopo l'incendio. E, più ancora, alla fatica che un direttore artistico come Pereira ( sovrintendente, innanzitutto) ha dovuto fare per convincere i solisti, soprattutto loro, a cantare all'aperto una serie di brani celebri di opere le più diverse e di diversi autori, l'uno dietro l'altro, alla maniera di famosi Concerti 'Martini & Rossi', ed anche, appunto, del Concerto di Capodanno di Rai Uno.
Perché i cantanti - lo sappiamo per esperienza diretta, o perchè così ci è stato detto in più d'una occasione - non amerebbero questo tipo di concerti, anche se al chiuso, come non li amerebbero neanche i direttori artistici che, invece, godono solo alla riscoperta di un titolo sconosciuto, soprattutto quando è apprezzato solo dalla critica e niente affatto dal pubblico, che per loro vuol dire appuntarsi una medaglia al 'valore culturale' sul petto.
S'è ascoltata anche 'Di quella pira' - che a Venezia è vietato - il brindisi dalla Traviata, la Tarantella di Rossini, e il pucciniano 'e lucean le stelle' ecc... Bocelli mattatore, direttore Armiliato.
E c'è poi il capitolo P.P.( Presentatori Peracottari), nel quale è scritto a lettere cubitali il nome di Bonolis che non è capace di presentare, come si deve, una serata che mette l'Italia sotto gli occhi di tutti, come quella dell'inaugurazione dell'EXPO. Saluta in varie lingue, trattandosi di una trasmissione in mondovisione, ma le storpia e ci scherza come si fa quando si vuole ingiuriare uno straniero di cui non si capisce la lingua. Vergognoso. Scherza, rasentando anche la volgarità, nel presentare la Clerici - certo una scelta non felicissima per l'occasione - attirata a Milano, sottolinea Bonolis, a causa del cibo, ( lei la signora delle tagliatelle!) anzi, aggiunge, 'lei stessa è un padiglione' che...' andrebbe visitata' aggiunge testualmente, mentre gli punta gli occhi addosso, squadrandola dalla testa al petto.
E poi, annunciando Lang Lang che sta per suonare 'alla turca', celebre rondò da una sonata di Mozart ( n.11) dice testualmente: ed ora 'il Concerto per pianoforte n.11 di Mozart'. E' possibile che nessuno degli autori sapesse il titolo esatto del brano pianistico mozartiano? Che figura ci facciamo di fronte al mondo?
Non manca - come poteva? - il coro 'Va pensiero'. esattamente come a Venezia, mentre il brindisi finale del concerto veneziano qui è stato servito in apertura, per augurare all'EXPO un felice svolgimento.
E, per finire, sorpresa delle sorprese, 'O sole mio', cantato a squarciagola da tutti i cantanti schierati davanti all'orchestra, augurandosi che domani il sole , più sereno sereno, splenda davvero sull'avversata EXPO milanese, oscurando quel costoso inutile pacchiano 'albero della vita' orgoglio di Balich, inventore agricoltore.
P.S. Grande successo per Rai 1: 6.361.000 telespettatori, per uno share del 27,2%, hanno seguito la lunga diretta da Piazza Duomo, per il concerto inaugurale dell'EXPO, durato dalle 21.15 circa fin quasi a mezzanotte.
Perché i cantanti - lo sappiamo per esperienza diretta, o perchè così ci è stato detto in più d'una occasione - non amerebbero questo tipo di concerti, anche se al chiuso, come non li amerebbero neanche i direttori artistici che, invece, godono solo alla riscoperta di un titolo sconosciuto, soprattutto quando è apprezzato solo dalla critica e niente affatto dal pubblico, che per loro vuol dire appuntarsi una medaglia al 'valore culturale' sul petto.
S'è ascoltata anche 'Di quella pira' - che a Venezia è vietato - il brindisi dalla Traviata, la Tarantella di Rossini, e il pucciniano 'e lucean le stelle' ecc... Bocelli mattatore, direttore Armiliato.
E c'è poi il capitolo P.P.( Presentatori Peracottari), nel quale è scritto a lettere cubitali il nome di Bonolis che non è capace di presentare, come si deve, una serata che mette l'Italia sotto gli occhi di tutti, come quella dell'inaugurazione dell'EXPO. Saluta in varie lingue, trattandosi di una trasmissione in mondovisione, ma le storpia e ci scherza come si fa quando si vuole ingiuriare uno straniero di cui non si capisce la lingua. Vergognoso. Scherza, rasentando anche la volgarità, nel presentare la Clerici - certo una scelta non felicissima per l'occasione - attirata a Milano, sottolinea Bonolis, a causa del cibo, ( lei la signora delle tagliatelle!) anzi, aggiunge, 'lei stessa è un padiglione' che...' andrebbe visitata' aggiunge testualmente, mentre gli punta gli occhi addosso, squadrandola dalla testa al petto.
E poi, annunciando Lang Lang che sta per suonare 'alla turca', celebre rondò da una sonata di Mozart ( n.11) dice testualmente: ed ora 'il Concerto per pianoforte n.11 di Mozart'. E' possibile che nessuno degli autori sapesse il titolo esatto del brano pianistico mozartiano? Che figura ci facciamo di fronte al mondo?
Non manca - come poteva? - il coro 'Va pensiero'. esattamente come a Venezia, mentre il brindisi finale del concerto veneziano qui è stato servito in apertura, per augurare all'EXPO un felice svolgimento.
E, per finire, sorpresa delle sorprese, 'O sole mio', cantato a squarciagola da tutti i cantanti schierati davanti all'orchestra, augurandosi che domani il sole , più sereno sereno, splenda davvero sull'avversata EXPO milanese, oscurando quel costoso inutile pacchiano 'albero della vita' orgoglio di Balich, inventore agricoltore.
P.S. Grande successo per Rai 1: 6.361.000 telespettatori, per uno share del 27,2%, hanno seguito la lunga diretta da Piazza Duomo, per il concerto inaugurale dell'EXPO, durato dalle 21.15 circa fin quasi a mezzanotte.
Dall'Ongaro e Sani, non rinunciano neanche alle briciole.
"È il direttore d’orchestra Riccardo Chailly il protagonista della puntata di “Petruska” dal titolo “Il quarto enigma di Turandot”, che Rai Cultura trasmette su Rai5 giovedì 30 aprile alle 21.15. Michele dall’Ongaro lo incontra alla Scala di Milano, teatro del quale è Direttore Principale, dopo aver analizzato l’ultimo capolavoro di Puccini rimasto incompiuto: la “Turandot”. Chailly racconta il suo amore per la voce umana, il suo percorso artistico, la tecnica direttoriale e il suo rapporto con la tradizione interpretativa. L’incontro si conclude con l’analisi del finale della “Turandot” nella versione di Luciano Berio, che Chailly dirigerà il giorno seguente, 1° maggio 2015, in occasione dell’inaugurazione della programmazione scaligera per l’Expo, e che sarà trasmessa in diretta su Rai5 a partire dalle ore 19.40".
Da questo comunicato si deduce che Michele dall'Ongaro, attuale Presidente/Sovrintendente/Direttore artistico dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia continuerà a fare l'intervistatore del programma Petruska di Rai 5. E' la prima volta che ciò accade, e non c'è giustificazione che tenga; almeno altre dieci persone o forse molti di più, avrebbero potuto intervistare Chailly e sostituire Dall'Ongaro, anche a 'Petruska', visto che è nel nuovo incarico da metà febbraio.
E' l'unico caso AL MONDO del responsabile di una delle più prestigiose istituzioni musicali al mondo che va a fare l'intervistatore, per non mollare l'osso della visibilità televisiva. Anche uno con incarico di minor prestigio avrebbe rinunciato a quel ruolo di gran lunga inferiore, dall'Ongaro no.
E per restare in argomento, la premiata fabbrica dei poteri occulti ha messo a segno un altra vittoria nella sua azione espansiva. Nicola Sani non è più consulente dell'Accademia Chigiana. Dopo essere stato nominato sovrintendente a Bologna, è stato promosso direttore artistico anche della prestigiosa istituzione senese per il prossimo triennio, oltre naturalmente a mantenere anche gli altri incarichi di cui si fa un elenco nel comunicato ufficiale di poche ora fa.
"Nicola Sani è il nuovo direttore artistico dell’Accademia musicale Chigiana per il triennio 2015-2018. La nomina è stata deliberata all’unanimità durante il Consiglio di Amministrazione che si è riunito ieri, tra una rosa di tre finalisti. Sani presterà la propria collaborazione per la futura programmazione delle attività dell’Accademia e per l’implementazione del nuovo piano di rilancio nell’ambito artistico e culturale della Chigiana nel contesto nazionale ed internazionale”.
Nato a Ferrara nel 1961, compositore, direttore artistico, manager culturale e giornalista, Sani è attualmente sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna, consigliere di amministrazione della Fondazione Archivio Luigi Nono di Venezia, consigliere artistico della Iuc-Istituzione universitaria dei concerti di Roma, consulente dell’Accademia tedesca Villa Massimo e dell’American Academy in Rome per l’Italian Affiliated Fellowship".
Da questo comunicato si deduce che Michele dall'Ongaro, attuale Presidente/Sovrintendente/Direttore artistico dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia continuerà a fare l'intervistatore del programma Petruska di Rai 5. E' la prima volta che ciò accade, e non c'è giustificazione che tenga; almeno altre dieci persone o forse molti di più, avrebbero potuto intervistare Chailly e sostituire Dall'Ongaro, anche a 'Petruska', visto che è nel nuovo incarico da metà febbraio.
E' l'unico caso AL MONDO del responsabile di una delle più prestigiose istituzioni musicali al mondo che va a fare l'intervistatore, per non mollare l'osso della visibilità televisiva. Anche uno con incarico di minor prestigio avrebbe rinunciato a quel ruolo di gran lunga inferiore, dall'Ongaro no.
E per restare in argomento, la premiata fabbrica dei poteri occulti ha messo a segno un altra vittoria nella sua azione espansiva. Nicola Sani non è più consulente dell'Accademia Chigiana. Dopo essere stato nominato sovrintendente a Bologna, è stato promosso direttore artistico anche della prestigiosa istituzione senese per il prossimo triennio, oltre naturalmente a mantenere anche gli altri incarichi di cui si fa un elenco nel comunicato ufficiale di poche ora fa.
"Nicola Sani è il nuovo direttore artistico dell’Accademia musicale Chigiana per il triennio 2015-2018. La nomina è stata deliberata all’unanimità durante il Consiglio di Amministrazione che si è riunito ieri, tra una rosa di tre finalisti. Sani presterà la propria collaborazione per la futura programmazione delle attività dell’Accademia e per l’implementazione del nuovo piano di rilancio nell’ambito artistico e culturale della Chigiana nel contesto nazionale ed internazionale”.
Nato a Ferrara nel 1961, compositore, direttore artistico, manager culturale e giornalista, Sani è attualmente sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna, consigliere di amministrazione della Fondazione Archivio Luigi Nono di Venezia, consigliere artistico della Iuc-Istituzione universitaria dei concerti di Roma, consulente dell’Accademia tedesca Villa Massimo e dell’American Academy in Rome per l’Italian Affiliated Fellowship".
mercoledì 29 aprile 2015
Accademia chigiana. Vivaldi ieri e domani, secondo Nicola Sani, vulcanico rivoluzionario direttore artistico
Quando solo da qualche mese è uscito il nuovo libro di Federico Maria Sardelli dedicato a Vivaldi nel quale si ripercorre il cammino della riscoperta del grande musicista italiano, avvenuta agli inizi del Novecento con la scoperta e la acquisizione del Fondo Foà-Giordano della Nazionale di Torino, viene presentato il rivoluzionario cartellone della prossima stagione estiva della Chigiana, firmato da Nicola Sani. Il quale cartellone, articolato in diversi canali, tutti denominati in lingua inglese, e trasmessi dai canali di Classica di Sky, come pure in lingua inglese si propone l'intera manifestazione (ecco la superiorità di chi conosce le lingue!) curiosamente si aprirà il prossimo 10 luglio nel nome di Vivaldi. A ricordo del fatto che fu proprio una delle prima Settimane musicali senesi ( a firma Casella, non ricordiamo esattamente la data, fra gli anni Trenta e Quaranta) a far riascoltare, trascritto, il grande musicista veneziano. Nell'operazione fu coinvolto anche il poeta/musicista Pound e la sua compagna Rudge che già sulla scorta dei manoscritti conservati a Dresda, avevano cominciato il lavoro di trascrizione( lavoro che secondo Sardelli, dal punto di vista tecnico era pessimo!).
Il concerto del 10 luglio non si propone - attenzione! - come celebrativo. Tutt'altro.
Sani ricomincia da Vivaldi per dare una dimostrazione più banale - e, secondo noi, abbastanza dozzinale - di quel che diceva Stravinsky, e cioè che Vivaldi aveva scritto 5-600 volte lo stesso concerto. E lo fa proponendo al pubblico internazionale della Chigiana, che d'estate riunisce giovani musicisti di tutto il mondo assieme ai loro docenti, alcuni dei quali autentici monumenti della musica mondiale, un suo compagno di novità stilistiche che si chiama Max Richter - berlinese, seguace/allievo di Berio - il quale ha riscritto Vivaldi, dichiarando che l'ha fatto, perchè non sopporta Vivaldi.
Abbiamo ascoltato una breve registrazione dell'inizio dei due primi movimenti delle Stagioni vivaldiane nella sua revisione. Richter crea un tappeto sonoro per orchestra, aggiungendovi anche dell'elettronica preregistrata, sul quale fa volare ( senza che mai riesca a farlo librare in volo veramente!) l'incipit dell'uno come dell'altro movimento, che però non arriva mai alla fine. Insomma il primo inciso di ogni movimento ripetuto per tutto il movimento.
Richter parte dalla boutade di Stravinsky, per renderla ancora più assoluta: non uno stesso concerto ripetuto 5-600 volte; ma un solo concerto che però non prende mai vita, quota, volo. Insomma nulla.
Nella casa in cui Vivaldi tornò ad esistere, ora se ne celebra il ridicolo, inutile funerale.
Ma il festival internazionale di Siena piacerà tanto, ne siamo sicuri, perchè Nicola Sani ha i suoi gazzettieri preferiti, alcuni dei quali già scritturati per stenderne il panegirico, dietro compenso; e poi sbandiera anche contatti internazionali con tutto il mondo conosciuto e non, creati con grande abilità e senso degli affari e scambi internazionali, negli anni della sua presidenza della Fondazione Scelsi. Come ad esempio quello con Markus Hinterhauser che si riproporrà, nelle vesti di pianista, egli allievo della Chigiana molti anni fa ed ora intelligente direttore artistico sulla cresta dell'onda ( dal 2016 tornerà a Salisburgo) per far riascoltare Schubert corredato di immagini ( provenienza Aix en Provence, coprodotto con Wiener Festwochen, di cui Hinterhauser è attualmente direttore artistico) che secondo noi è come dire ' Schubert non ci basta più.
E il teatro Comunale di Bologna chi lo governa, se il suo sovrintendente/ direttore artistico è tanto impegnato a Siena?
Il concerto del 10 luglio non si propone - attenzione! - come celebrativo. Tutt'altro.
Sani ricomincia da Vivaldi per dare una dimostrazione più banale - e, secondo noi, abbastanza dozzinale - di quel che diceva Stravinsky, e cioè che Vivaldi aveva scritto 5-600 volte lo stesso concerto. E lo fa proponendo al pubblico internazionale della Chigiana, che d'estate riunisce giovani musicisti di tutto il mondo assieme ai loro docenti, alcuni dei quali autentici monumenti della musica mondiale, un suo compagno di novità stilistiche che si chiama Max Richter - berlinese, seguace/allievo di Berio - il quale ha riscritto Vivaldi, dichiarando che l'ha fatto, perchè non sopporta Vivaldi.
Abbiamo ascoltato una breve registrazione dell'inizio dei due primi movimenti delle Stagioni vivaldiane nella sua revisione. Richter crea un tappeto sonoro per orchestra, aggiungendovi anche dell'elettronica preregistrata, sul quale fa volare ( senza che mai riesca a farlo librare in volo veramente!) l'incipit dell'uno come dell'altro movimento, che però non arriva mai alla fine. Insomma il primo inciso di ogni movimento ripetuto per tutto il movimento.
Richter parte dalla boutade di Stravinsky, per renderla ancora più assoluta: non uno stesso concerto ripetuto 5-600 volte; ma un solo concerto che però non prende mai vita, quota, volo. Insomma nulla.
Nella casa in cui Vivaldi tornò ad esistere, ora se ne celebra il ridicolo, inutile funerale.
Ma il festival internazionale di Siena piacerà tanto, ne siamo sicuri, perchè Nicola Sani ha i suoi gazzettieri preferiti, alcuni dei quali già scritturati per stenderne il panegirico, dietro compenso; e poi sbandiera anche contatti internazionali con tutto il mondo conosciuto e non, creati con grande abilità e senso degli affari e scambi internazionali, negli anni della sua presidenza della Fondazione Scelsi. Come ad esempio quello con Markus Hinterhauser che si riproporrà, nelle vesti di pianista, egli allievo della Chigiana molti anni fa ed ora intelligente direttore artistico sulla cresta dell'onda ( dal 2016 tornerà a Salisburgo) per far riascoltare Schubert corredato di immagini ( provenienza Aix en Provence, coprodotto con Wiener Festwochen, di cui Hinterhauser è attualmente direttore artistico) che secondo noi è come dire ' Schubert non ci basta più.
E il teatro Comunale di Bologna chi lo governa, se il suo sovrintendente/ direttore artistico è tanto impegnato a Siena?
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martedì 28 aprile 2015
Dal ministero di Franceschini e Nastasi buone e cattive notizie. Purchia, Girondini, Grossi,Orchestra Verdi di Milano
Cominciamo dalle notizie cattive, così ce le leviamo subito di torno. Nastasi l'ha avuta vinta al San Carlo dove ha fatto confermare dal suo ubbidiente ministro, Rosanna Purchia come sovrintendente, nonostante che la sua riconferma fosse stata avversata pubblicamente dal sindaco di Napoli, presidente della Fondazione San carlo. Nastasi l'ha sostenuta e l'ha confermata. E questa è una notizia non cattiva , ma cattivissima.
Stesso discorso all'Arena di Verona, dove nonostante l'opposizione del mondo musicale - che si era espresso anche attraverso una denuncia pubblica sui giornali - la permanenza di Girondini, con tutto il suo buco di bilancio, grande quanto la platea dell'Arena, e, diciamo anche, nonostante la grande platea dell'Arena, è stato voluto, sostenuto dal sindaco Tosi, che l'ha fatto digerire al Consiglio di Indirizzo della Fondazione, naturalmente tutta dalla sua parte, è stata avallata, ratificata da Franceschini.
All'indomani della riforma delle Fondazioni lirico-sinfoniche, con la nascita del CdI, al posto del CdA, s'era detto che d'ora in avanti, sulle nomine decideva il Ministro, che cessava di essere quindi un passacarte, agli ordini dei CdA. Falso, adesso Franceschini fa l'avallatore di decisioni altrui, come ai vecchi tempi, come sempre, salvo i casi in cui, in aperto contrasto con tutti, non lui quanto Nastasi, non imponga le sue decisioni anche al ministro, come per la Purchia.
Ristabilita e re-intronata a Napoli la Purchia, restava vuota la casella del Massimo Bellini di Catania, ente regionale, di una certa storia ed importanza, dove si sarebbe dovuta trasferire la Purchia, invitata da Bianco, sindaco.
Via la Purchia, Bianco ha assunto una decisione che porterà molti benefici. Ha chiamato alla sovrintendenza Roberto Grossi che tutti conosciamo. Direttore generale a Santa Cecilia negli anni di Berio e primi anni di Cagli, passato poi a presiedere Federculture, poi al Maxxi ed all'Accademia di belle arti, cofondatore con Abbado del Sistema delle orchestre e cori giovanili in Italia, sul modello venezuelano di Abreu...insomma uno che il mondo musicale e dello spettacolo conosce bene anche da amministratore. E' la prima volta che fa il sovrintendente, ma sicuramente farà molto meglio di altri che fanno per la prima volta i sovrintendenti, senza aver mai amministrato una fondazione prima.
Ora Grossi attende solo che la Assemblea siciliana e Crocetta diano il loro nulla osta alla sua nomina ( il teatro riceve cospicui finanziamenti dalla Regione a statuto speciale, ed ecco la ragione del nulla osta, che speriamo arrivi prestissimo, come non è nel costume della Regione siciliana quando le cose non le interessano particolarmente). Grossi ha molte idee e noi attendiamo che presto si insedi e cominci a lavorare.
La vera grande bella notizia, dopo quella della nomina di Grossi, è l'avvenuta ammissione della Orchestra e Coro 'Giuseppe Verdi' di Milano, dopo oltre vent'anni di travagli assurdi, nel gruppo delle ICO, quattordicesima. Le ICO sono le cosiddette Istituzioni Concertistico Orchestrali, delle quali l'orchestra milanese diverrà senz'altro la capofila, per qualità delle prestazioni e della programmazione ed indice - altissimo - di produttività. Speriamo solo che Nastasi che in tutti questi anni se ne è fregato della Orchestra milanese, non si vendichi ora riducendo i finanziamenti statali destinateli, in ragione e proporzione della produzione e qualità dell'attività della Verdi da tutti riconosciute ed anche lodate.
In questo caso Franceschini ha mostrato di potere, qualora lo voglia, non tener conto dei pareri, non sempre i migliori, del suo consigliere factotum.
Ma forse dopo questo faticosissimo colpo di mano e di testa, Franceschini avrà bisogno di una lunga convalescenza durante la quale lascerà le redini del Ministero nuovamente nelle mani del 'grande & grosso' direttore generale.
Stesso discorso all'Arena di Verona, dove nonostante l'opposizione del mondo musicale - che si era espresso anche attraverso una denuncia pubblica sui giornali - la permanenza di Girondini, con tutto il suo buco di bilancio, grande quanto la platea dell'Arena, e, diciamo anche, nonostante la grande platea dell'Arena, è stato voluto, sostenuto dal sindaco Tosi, che l'ha fatto digerire al Consiglio di Indirizzo della Fondazione, naturalmente tutta dalla sua parte, è stata avallata, ratificata da Franceschini.
All'indomani della riforma delle Fondazioni lirico-sinfoniche, con la nascita del CdI, al posto del CdA, s'era detto che d'ora in avanti, sulle nomine decideva il Ministro, che cessava di essere quindi un passacarte, agli ordini dei CdA. Falso, adesso Franceschini fa l'avallatore di decisioni altrui, come ai vecchi tempi, come sempre, salvo i casi in cui, in aperto contrasto con tutti, non lui quanto Nastasi, non imponga le sue decisioni anche al ministro, come per la Purchia.
Ristabilita e re-intronata a Napoli la Purchia, restava vuota la casella del Massimo Bellini di Catania, ente regionale, di una certa storia ed importanza, dove si sarebbe dovuta trasferire la Purchia, invitata da Bianco, sindaco.
Via la Purchia, Bianco ha assunto una decisione che porterà molti benefici. Ha chiamato alla sovrintendenza Roberto Grossi che tutti conosciamo. Direttore generale a Santa Cecilia negli anni di Berio e primi anni di Cagli, passato poi a presiedere Federculture, poi al Maxxi ed all'Accademia di belle arti, cofondatore con Abbado del Sistema delle orchestre e cori giovanili in Italia, sul modello venezuelano di Abreu...insomma uno che il mondo musicale e dello spettacolo conosce bene anche da amministratore. E' la prima volta che fa il sovrintendente, ma sicuramente farà molto meglio di altri che fanno per la prima volta i sovrintendenti, senza aver mai amministrato una fondazione prima.
Ora Grossi attende solo che la Assemblea siciliana e Crocetta diano il loro nulla osta alla sua nomina ( il teatro riceve cospicui finanziamenti dalla Regione a statuto speciale, ed ecco la ragione del nulla osta, che speriamo arrivi prestissimo, come non è nel costume della Regione siciliana quando le cose non le interessano particolarmente). Grossi ha molte idee e noi attendiamo che presto si insedi e cominci a lavorare.
La vera grande bella notizia, dopo quella della nomina di Grossi, è l'avvenuta ammissione della Orchestra e Coro 'Giuseppe Verdi' di Milano, dopo oltre vent'anni di travagli assurdi, nel gruppo delle ICO, quattordicesima. Le ICO sono le cosiddette Istituzioni Concertistico Orchestrali, delle quali l'orchestra milanese diverrà senz'altro la capofila, per qualità delle prestazioni e della programmazione ed indice - altissimo - di produttività. Speriamo solo che Nastasi che in tutti questi anni se ne è fregato della Orchestra milanese, non si vendichi ora riducendo i finanziamenti statali destinateli, in ragione e proporzione della produzione e qualità dell'attività della Verdi da tutti riconosciute ed anche lodate.
In questo caso Franceschini ha mostrato di potere, qualora lo voglia, non tener conto dei pareri, non sempre i migliori, del suo consigliere factotum.
Ma forse dopo questo faticosissimo colpo di mano e di testa, Franceschini avrà bisogno di una lunga convalescenza durante la quale lascerà le redini del Ministero nuovamente nelle mani del 'grande & grosso' direttore generale.
lunedì 27 aprile 2015
La carica degli italiani al Concorso Busoni, sessantesima edizione
Intanto prima ancora che si svolga la 60.esima edizione del famoso Concorso pianistico F.Busoni con sede a Bolzano, nella città si riuniranno fra pochi giorni i rappresentanti della federazione dei Concorsi internazionali, i quali - si spera - discuteranno della importanza dei concorsi, del loro ruolo oggi, della loro necessità per la selezione dei prossimi concertisti e di molto altro.
Ma è l'edizione n.60 del Concorso, che si svolgerà alla fine del prossimo agosto, ad aver attirato la nostra attenzione, per due motivi. Il primo perchè fra i ventisette pianisti selezionati, ben dieci sono italiani, ed alcuni anche molto giovani. Una rappresentanza così nutrita delle nostre scuole pianistiche forse non si vedeva da molte edizioni, o no? dipende da noi che non siamo informati?
A tale proposito viene subito da pensare che tale folta rappresentanza sia dovuta anche alla presenza ad Imola della rinomata Accademia pianistica di Franco Scala. Ed anche qui ci sbagliamo, perché, a leggere i curriculum dei singoli finalisti l'Accademia di Imola non è mai citata. Vero è anche che fra gli italiani ci sono anche oriundi o stranieri che vivono stabilmente in Italia. Comunque nelle loro schede li si considera a tutti gli effetti italiani. E così sia. E a loro naturalmente auguriamo grandi allori in finale.
Intanto nelle 60 edizioni del premio, soltanto cinque italiani figurano fra i vincitori del Primo premio. Perticaroli ( 1952, alla terza edizione del premio); Mancinelli (1954) Cappello ( 1976), Cominati (1993) Andaloro ( 2005).
Fra tutti, dopo Perticaroli che abbiamo conosciuto, a partire dagli anni Ottanta, nelle vesti di didatta piuttosto che in quelle di concertista, ci sembra che Cominati sia il pianista che più di tutti possa ad oggi vantare una bella carriera. Se gli altri vincitori non sono del medesimo parere, ci correggano.
Altro motivo di interesse la composizione della giuria, presieduta dal giovanissimo Joerg Demus che vinse il premio un secolo fa, e composta da altri nove membri tutti vincitori, nei sessant'anni di vita del concorso, del primo premio, al punto che di taluni di essi si ignori perfino il nome e se abbia fatto una carriera concertista, come il Concorso dovrebbe preludere e far supporre.
Ciò detto, sarebbe interessante ed utile che i rappresentanti dei Concorsi che si riuniranno a Bolzano fra pochi giorni discutano sulla utilità dei concorsi, anzi sulla loro odierna necessità in previsione della carriera concertistica. Perchè di casi strani nella storia di famosi concorsi, anche più importanti del Busoni, come lo Chopin , ve ne sono stati. Su tutti, in anni lontani, quello di Ashkenazy che , sconfitto allo Chopin, procura le dimissioni di Benedetti Michelangeli dalla giuria, analogamente a quanto fece in anni più vicini a noi la Argerich, quando allo Chopin non si diede la vittoria a Pogorelich.
A proposito di giuria, non può passare inosservata l'assenza della Argerich, una delle più gloriose vincitrici del Busoni. Perchè? Può il Concorso di Bolzano festeggiare i sessant'anni, in assenza della Argerich? La fascinosissima ragazzina che incantò tutti, non solo come pianista, come ha raccontato anni fa sul mensile 'Piano Time', Tito Aprea, giurato in quella edizione?
Per tornare alla massiccia presenza degli italiani fra i finalisti, noi la pensiamo come Alexander Lonquich e cioè che in Italia vi sono molti talenti che sarebbe un vero peccato non riconoscere , aiutare nella carriera, o lasciarli andar via, nella indifferenza generale, mentre vediamo oggetto di eccessiva attenzioni alcuni pianisti non italiani, per chissà quali ragioni. E siamo certi che i giurati che li hanno, l'anno scorso, selezionati non sono stati di 'manica larga' con i nostri giovani pianisti. I quali, se avranno un futuro davvero luminoso molta della loro luce riverseranno, irradiandola, sulla storia del Busoni che, in questi ultimi anni, non sembra brilli particolarmente, a giudicare dai suoi vincitori.
Lo stesso discorso si può fare anche per altri concorsi, mentre vediamo delle carriere nate quasi per caso, senza il passaggio obbligato dai concorsi, e forse anche senza i meriti e le qualità necessarie. Come, invece, ne ha Ramin Bahrami, ma non in misura tale da giustificare il successo che ha , sinceramente eccessivo secondo noi, e che nessun concorso avrebbe potuto garantirgli. Dunque ci sono altre variabili che andrebbero individuate e laddove il loro peso sia ritenuto eccessivo, smascherate e neutralizzate. Anche per ridare peso, dignità ed importanza ai concorsi, qualora si ritengano ancora utili, addirittura necessari.
Ma è l'edizione n.60 del Concorso, che si svolgerà alla fine del prossimo agosto, ad aver attirato la nostra attenzione, per due motivi. Il primo perchè fra i ventisette pianisti selezionati, ben dieci sono italiani, ed alcuni anche molto giovani. Una rappresentanza così nutrita delle nostre scuole pianistiche forse non si vedeva da molte edizioni, o no? dipende da noi che non siamo informati?
A tale proposito viene subito da pensare che tale folta rappresentanza sia dovuta anche alla presenza ad Imola della rinomata Accademia pianistica di Franco Scala. Ed anche qui ci sbagliamo, perché, a leggere i curriculum dei singoli finalisti l'Accademia di Imola non è mai citata. Vero è anche che fra gli italiani ci sono anche oriundi o stranieri che vivono stabilmente in Italia. Comunque nelle loro schede li si considera a tutti gli effetti italiani. E così sia. E a loro naturalmente auguriamo grandi allori in finale.
Intanto nelle 60 edizioni del premio, soltanto cinque italiani figurano fra i vincitori del Primo premio. Perticaroli ( 1952, alla terza edizione del premio); Mancinelli (1954) Cappello ( 1976), Cominati (1993) Andaloro ( 2005).
Fra tutti, dopo Perticaroli che abbiamo conosciuto, a partire dagli anni Ottanta, nelle vesti di didatta piuttosto che in quelle di concertista, ci sembra che Cominati sia il pianista che più di tutti possa ad oggi vantare una bella carriera. Se gli altri vincitori non sono del medesimo parere, ci correggano.
Altro motivo di interesse la composizione della giuria, presieduta dal giovanissimo Joerg Demus che vinse il premio un secolo fa, e composta da altri nove membri tutti vincitori, nei sessant'anni di vita del concorso, del primo premio, al punto che di taluni di essi si ignori perfino il nome e se abbia fatto una carriera concertista, come il Concorso dovrebbe preludere e far supporre.
Ciò detto, sarebbe interessante ed utile che i rappresentanti dei Concorsi che si riuniranno a Bolzano fra pochi giorni discutano sulla utilità dei concorsi, anzi sulla loro odierna necessità in previsione della carriera concertistica. Perchè di casi strani nella storia di famosi concorsi, anche più importanti del Busoni, come lo Chopin , ve ne sono stati. Su tutti, in anni lontani, quello di Ashkenazy che , sconfitto allo Chopin, procura le dimissioni di Benedetti Michelangeli dalla giuria, analogamente a quanto fece in anni più vicini a noi la Argerich, quando allo Chopin non si diede la vittoria a Pogorelich.
A proposito di giuria, non può passare inosservata l'assenza della Argerich, una delle più gloriose vincitrici del Busoni. Perchè? Può il Concorso di Bolzano festeggiare i sessant'anni, in assenza della Argerich? La fascinosissima ragazzina che incantò tutti, non solo come pianista, come ha raccontato anni fa sul mensile 'Piano Time', Tito Aprea, giurato in quella edizione?
Per tornare alla massiccia presenza degli italiani fra i finalisti, noi la pensiamo come Alexander Lonquich e cioè che in Italia vi sono molti talenti che sarebbe un vero peccato non riconoscere , aiutare nella carriera, o lasciarli andar via, nella indifferenza generale, mentre vediamo oggetto di eccessiva attenzioni alcuni pianisti non italiani, per chissà quali ragioni. E siamo certi che i giurati che li hanno, l'anno scorso, selezionati non sono stati di 'manica larga' con i nostri giovani pianisti. I quali, se avranno un futuro davvero luminoso molta della loro luce riverseranno, irradiandola, sulla storia del Busoni che, in questi ultimi anni, non sembra brilli particolarmente, a giudicare dai suoi vincitori.
Lo stesso discorso si può fare anche per altri concorsi, mentre vediamo delle carriere nate quasi per caso, senza il passaggio obbligato dai concorsi, e forse anche senza i meriti e le qualità necessarie. Come, invece, ne ha Ramin Bahrami, ma non in misura tale da giustificare il successo che ha , sinceramente eccessivo secondo noi, e che nessun concorso avrebbe potuto garantirgli. Dunque ci sono altre variabili che andrebbero individuate e laddove il loro peso sia ritenuto eccessivo, smascherate e neutralizzate. Anche per ridare peso, dignità ed importanza ai concorsi, qualora si ritengano ancora utili, addirittura necessari.
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Del PD Rosato la vergogna continua
Il vice capogruppo vicario del PD alla Camera, Rosato, non ha sopportato la valanga di accuse che è piovuta addosso ai parlamentari come lui, che hanno disertato l'aula, la mattina di qualche giorno fa, quando al ministro Gentiloni era stato chiesto di rispondere urgentemente della morte, a causa di raid americano tramite drone, del cooperante italiano Lo Porto, da anni nella mani dei terroristi, in Pakistan; e Gentiloni ha dovuto parlare davanti all'emiciclo praticamente vuoto, appena 40 i presenti secondo alcune indiscrezioni. E davanti ad un gruppo di studenti inorriditi, invitati ad assistere ai lavori parlamentari.
Rosato s'è giustificato come fanno gli allievi di scuola primaria che, colti in fallo, si inventano la scusa più idiota per giustificarsi, non avendone una plausibile.
Colpa della Boldrini, che avendo calenderizzato altri lavori al momento della informativa del ministro, non poteva pretendere che i parlamentari fossero presenti in massa. Rosato, perdoni, non era molto importante sapere come Gentiloni avrebbe giustificato il ritardo nella comunicazione dell'avvenuta morte di Lo Porto alle autorità italiane?
Tutti i parlamentari assenti, di lunedì mattina, erano davvero tutti impegnati in altri lavori parlamentari, commissioni comprese? Non sarà stato che treni ed aerei arrivavano più tardi a Roma?O che, comunque, i parlamentari, il lunedì mattina, se la prendono con comodo?
Se era urgente sapere dal ministro la ragione del ritardo della comunicazione degli USA al governo italiano, allora la presenza in aula avrebbe dovuto avere la precedenza su qualunque altro lavoro, che per questa ragione poteva essere spostato di qualche ora. Rosato non lo capisce. E, per giustificare il grave errore di valutazione, giustifica l'assenza - ingiustificata e vergognosa - con la più stupida delle ragioni.
Non è la prima volta che governo od altri invitati a parlare parlano davanti ad un' aula semivuota o del tutto distratta. Le immagini delle aule parlamentari, anche quando pietosamente edulcorate dalle televisioni compiacenti, lo dimostrano inequivocabilmente.
La scusa di Rosato, MUTATIS MUTANDIS, ci ha fatto venire in mente un altro episodio, lontano nel tempo, avvenuto nel Conservatorio in cui all'epoca noi insegnavamo, a L'Aquila. Il Conservatorio aveva organizzato un corso per organisti, lo fece per alcuni anni consecutivi, invitando nomi di grande prestigio, come ad esempio Luigi Ferdinando Tagliavini ed altri, altrettanto illustri, che ora non ricordiamo. E' evidente che quel corso, della durata di alcuni giorni, era rivolto principalmente alle classi di organo di quel Conservatorio.
Bene, gli allievi ed anche i docenti brillavano per assenza. La ragione - simile a quella addotta da Rosato - era che avevano lezione in quelle stesse ore; come tutte le settimane, mentre quel corso si temeva una volta l'anno. Era chiaro che si trattava di una scusa, e il direttore del Conservatorio non poteva obbligare studenti ed allievi a parteciparvi ( secondo noi avrebbe potuto ed anche dovuto obbligarli). La ragione vera era che gli insegnanti di organo di quel Conservatorio - nessuno dei quali poteva considerarsi di pari livello di Tagliavini, facevano all'illustre ospite, una guerra tacita, ma inutile ed idiota. Esattamente come fanno molti poveri... del mondo.
Rosato s'è giustificato come fanno gli allievi di scuola primaria che, colti in fallo, si inventano la scusa più idiota per giustificarsi, non avendone una plausibile.
Colpa della Boldrini, che avendo calenderizzato altri lavori al momento della informativa del ministro, non poteva pretendere che i parlamentari fossero presenti in massa. Rosato, perdoni, non era molto importante sapere come Gentiloni avrebbe giustificato il ritardo nella comunicazione dell'avvenuta morte di Lo Porto alle autorità italiane?
Tutti i parlamentari assenti, di lunedì mattina, erano davvero tutti impegnati in altri lavori parlamentari, commissioni comprese? Non sarà stato che treni ed aerei arrivavano più tardi a Roma?O che, comunque, i parlamentari, il lunedì mattina, se la prendono con comodo?
Se era urgente sapere dal ministro la ragione del ritardo della comunicazione degli USA al governo italiano, allora la presenza in aula avrebbe dovuto avere la precedenza su qualunque altro lavoro, che per questa ragione poteva essere spostato di qualche ora. Rosato non lo capisce. E, per giustificare il grave errore di valutazione, giustifica l'assenza - ingiustificata e vergognosa - con la più stupida delle ragioni.
Non è la prima volta che governo od altri invitati a parlare parlano davanti ad un' aula semivuota o del tutto distratta. Le immagini delle aule parlamentari, anche quando pietosamente edulcorate dalle televisioni compiacenti, lo dimostrano inequivocabilmente.
La scusa di Rosato, MUTATIS MUTANDIS, ci ha fatto venire in mente un altro episodio, lontano nel tempo, avvenuto nel Conservatorio in cui all'epoca noi insegnavamo, a L'Aquila. Il Conservatorio aveva organizzato un corso per organisti, lo fece per alcuni anni consecutivi, invitando nomi di grande prestigio, come ad esempio Luigi Ferdinando Tagliavini ed altri, altrettanto illustri, che ora non ricordiamo. E' evidente che quel corso, della durata di alcuni giorni, era rivolto principalmente alle classi di organo di quel Conservatorio.
Bene, gli allievi ed anche i docenti brillavano per assenza. La ragione - simile a quella addotta da Rosato - era che avevano lezione in quelle stesse ore; come tutte le settimane, mentre quel corso si temeva una volta l'anno. Era chiaro che si trattava di una scusa, e il direttore del Conservatorio non poteva obbligare studenti ed allievi a parteciparvi ( secondo noi avrebbe potuto ed anche dovuto obbligarli). La ragione vera era che gli insegnanti di organo di quel Conservatorio - nessuno dei quali poteva considerarsi di pari livello di Tagliavini, facevano all'illustre ospite, una guerra tacita, ma inutile ed idiota. Esattamente come fanno molti poveri... del mondo.
sabato 25 aprile 2015
Michele Dall'Ongaro. Dalla polvere sull'altare.Da Music@ a Musica+
Gli parve di conoscere quel nome,
mentre andava leggendo, da una rivista di musica, una nutrita
intervista, in apertura di giornale, con tanto di richiamo in
copertina. Perchè quel nome lo conosceva già?
All'improvviso se ne ricordò. Gli
venne allora in mente che quel nome, anni prima, l'aveva
letto sulla medesima rivista, l'unica edita in Italia da un
Conservatorio, il ' Conservatorio 'Casella' dell'Aquila.
Poi man mano che leggeva l'intervista
e sfogliava la rivista, il ricordo passato divenne sempre più chiaro e
preciso.
Sì, quel nome l'aveva letto proprio su
Music@, la rivista edita dal 'Casella' dell'Aquila. Non era la stessa
rivista? No, s'era detto, girando e rigirando fra le mani la
rivista., che non aveva più la @ finale, e che al suo posto aveva
preferito un diverso segno. Un '+' ( Musica +), per significare che,
nel frattempo, quella rivista di un tempo era cresciuta. E, infatti,
non era proprio la medesima rivista, e non solo perché s'era fatta
più bella e ricca di colori, ma anche perché non era più la
stessa, e pure il direttore era cambiato: particolare di poco conto, se era cambiata in meglio.
Ma perché - continuò a chiedersi -
quel nome lo aveva associato non ad una precedente intervista, dal
tono sinceramente adulatorio, come la presente? A quel punto si ricordò. Non era una
intervista.
Era una paginetta, intitolata ' Compagnia della buona
radio', firmata dal direttore del giornale, che
raccontava della gestione, a suo avviso 'troppo personale' - o 'pro domo sua' se
si preferisce - della musica cosiddetta 'classica' a Radio Tre, da
parte del suo responsabile, che era poi la stessa persona che 'Musica
+' aveva appena intervistato, e cioè Michele dall'Ongaro che da due
mesi ha lasciato, anzi 'sospeso' – così precisava
nell'intervista, come fanno i parlamentari ai quali il popolo che li elegge tiene il posto in caldo, per tutta la durata del mandato – il suo
lavoro in RAI, per assumere quello di Presidente/ Sovrintendente/
Direttore artistico dell'Accademia di Santa Cecilia di Roma. Un
traguardo a lungo agognato e per il quale aveva sempre lavorato
anche a Radio Tre.
Insomma - si andava dicendo, mentre continuava la
lettura - sulla medesima rivista, o quasi, dall'Ongaro era passato
dalla povere sull'altare. Finì di leggere l'intervista, senza
nascondere la sorpresa, perchè la paginetta 'antica' continuava a
tornargli in mente. Poi passò ad altro, senza che mai saprà cosa era
accaduto negli otto anni trascorsi fra quella paginetta e la
presente intervista.
Già. Nel frattempo, a seguito di
quella paginetta, ritenuta da dall'Ongaro diffamatoria, l'allora
responsabile della musica 'classica' di Radio Tre ed ora Presidente
/Sovrintendente/ Direttore artistico dell'Accademia di Santa Cecilia,
aveva sporto denuncia 'per diffamazione' contro l'autore
dell'articolo e contro il Conservatorio che era allora l'editore
della rivista, Music@- come si chiamava un tempo - ed è ancora
l'editore di Musica+, come si chiama ora. Con richiesta di danni per
complessivi 130.000 Euro, a carico dell'autore della paginetta e del
Conservatorio aquilano.
Questo succedeva nel 2007. Nel 2009 ,
a seguito del terremoto - una tragedia per la città ma anche per il
Conservatorio rimasto senza sede - l'autore della paginetta e
direttore della rivista, come il Conservatorio chiesero a dall'Ongaro di ritirare la denuncia. La risposta fu netta: no! La
tragedia che si era abbattuta sul Conservatorio era per lui meno
grave dell'offesa che quella paginetta gli avrebbe arrecato.
Il 27 novembre 2013, dopo sei anni di
udienze, spesso rinviate causa terremoto, il giudice dott.ssa
Camilli, del Tribunale dell'Aquila, ha rigettato la richiesta di
condanna per diffamazione, come pure quella di danni, e rigettato anche il coinvolgimento del Conservatorio, condannando dall'Ongaro a
pagare le spese di giudizio.
In particolare, nella sentenza, ha stabilito che le critiche mosse a dall'Ongaro, risultavano effettuate con le dovute maniere, senza mai
recare offesa alla persona, e sulla base di documentazione che, nel
corso del processo, l'autore della paginetta aveva prodotto.
Se il nostro lettore fosse stato a
conoscenza di quanto accaduto nel corso di questi anni, la
riabilitazione di dall'Ongaro, gli sarebbe sembrata ancor più
inspiegabile ed anche inopportuna. Ma lui non lo saprà mai.
Il 'Questionario' di Proust adattato, per la musica, all'italiana ignoranza
Quali sono i compositori preferiti? si chiedeva Marcel Proust nel suo celebre questionario? E si rispondeva: 'Beethoven, Wagner, Schumann' - tanto per farci sapere dei suoi tesori musicali.
Nelle infinite sue declinazioni e riduzioni o traduzioni, quel questionario sembra talora non più quello da cui dichiara di discendere, o al quale dice che si ispira. Specie per la musica. E specie se rivolto agli italiani, peggio se colti.
Non puoi chiedere ad un italiano, sia egli uno scienziato o uno studioso di scienze storiche od un giornalista o chiunque altro, qual è ' il suo 'compositore' preferito. Forse non ha mai sentito dire che il musicista 'COMPONE' musica, termine più tecnico del generico 'SCRIVE' musica, alla grande maggioranza più familiare.
Inutile poi sarebbe chiedere 'qual è la musica preferita'. Inutile perché la stragrande maggioranza degli italiani risponderebbe con la sua canzone preferita. Per la stragrande maggioranza degli italiani, senza distinzione di censo o di cultura, la musica è la canzone. Semplicemente perché altra musica non conosce e nulla fa chi dovrebbe per fargliela conoscere. Inutile nasconderselo, questa è la situazione.
Tanto vale allora rendere la domanda ancora più precisa: 'qual è la canzone preferita'. la domanda è chiara e la risposta arriva senza pensarci.
'Sette' del 'Corriere della Sera', da tempo pubblica una curiosa rubrichetta che dimostra alla perfezione quello che stiamo dicendo. Il titolo è 'le liste degli altri', dove la lista non è quella della spesa, s'intende, ma quella della musica.
Immancabilmente dieci su dieci sono canzoni, e tutte indicate da personalità che in altri campi fanno faville. Come ad esempio ha fatto questa settimana Uolter Veltroni. Anche lui, per non smentire la nostra buona fama cita 9 canzoni su 10. Una sola non è una canzone, per far vedere - come gli hanno suggerito di dire - che quando è stato inaugurato l'Auditorium, poco più di dieci anni fa, tredici per l'esattezza, e lui era sindaco di Roma, è rimasto inchiodato alla sua poltrona a sentir musica dalla mattina alla sera. In ricordo di quella traumatica esperienza ci ha messo dentro, unica eccezione , l'Adagietto dalla 'Quinta Sinfonia' di Gustav Mahler.
Nelle varie interviste, anche quando si trattano argomenti pesanti, corre l'obbligo all'intervistatore di domandare all'intervistato: la canzone, il film, il libro, preferiti.
Salvo il caso in cui dall'intervistato, straniero - come Serge Latouche, l'intervistatore Vittorio Zincone, si sente rispondere: ma quale canzone? 'L'opera' preferita: 'Le nozze di Figaro' di Wolfgang Amadeus Mozart. Zincone rimane di stucco, ed incassa in silenzio.
Tornato in redazione riflette sulla risposta di Latouche, ed ipotizza che se ponesse domani la domanda: 'qual è l'opera preferita', si sentirebbe forse rispondere 'il traforo del Monte Bianco', mentre per i libri e i film le risposte sarebbero pertinenti. Ed allora, per il futuro, ripiega sulla versione più adatta agli italiani: qual è la canzone preferita?
Nelle infinite sue declinazioni e riduzioni o traduzioni, quel questionario sembra talora non più quello da cui dichiara di discendere, o al quale dice che si ispira. Specie per la musica. E specie se rivolto agli italiani, peggio se colti.
Non puoi chiedere ad un italiano, sia egli uno scienziato o uno studioso di scienze storiche od un giornalista o chiunque altro, qual è ' il suo 'compositore' preferito. Forse non ha mai sentito dire che il musicista 'COMPONE' musica, termine più tecnico del generico 'SCRIVE' musica, alla grande maggioranza più familiare.
Inutile poi sarebbe chiedere 'qual è la musica preferita'. Inutile perché la stragrande maggioranza degli italiani risponderebbe con la sua canzone preferita. Per la stragrande maggioranza degli italiani, senza distinzione di censo o di cultura, la musica è la canzone. Semplicemente perché altra musica non conosce e nulla fa chi dovrebbe per fargliela conoscere. Inutile nasconderselo, questa è la situazione.
Tanto vale allora rendere la domanda ancora più precisa: 'qual è la canzone preferita'. la domanda è chiara e la risposta arriva senza pensarci.
'Sette' del 'Corriere della Sera', da tempo pubblica una curiosa rubrichetta che dimostra alla perfezione quello che stiamo dicendo. Il titolo è 'le liste degli altri', dove la lista non è quella della spesa, s'intende, ma quella della musica.
Immancabilmente dieci su dieci sono canzoni, e tutte indicate da personalità che in altri campi fanno faville. Come ad esempio ha fatto questa settimana Uolter Veltroni. Anche lui, per non smentire la nostra buona fama cita 9 canzoni su 10. Una sola non è una canzone, per far vedere - come gli hanno suggerito di dire - che quando è stato inaugurato l'Auditorium, poco più di dieci anni fa, tredici per l'esattezza, e lui era sindaco di Roma, è rimasto inchiodato alla sua poltrona a sentir musica dalla mattina alla sera. In ricordo di quella traumatica esperienza ci ha messo dentro, unica eccezione , l'Adagietto dalla 'Quinta Sinfonia' di Gustav Mahler.
Nelle varie interviste, anche quando si trattano argomenti pesanti, corre l'obbligo all'intervistatore di domandare all'intervistato: la canzone, il film, il libro, preferiti.
Salvo il caso in cui dall'intervistato, straniero - come Serge Latouche, l'intervistatore Vittorio Zincone, si sente rispondere: ma quale canzone? 'L'opera' preferita: 'Le nozze di Figaro' di Wolfgang Amadeus Mozart. Zincone rimane di stucco, ed incassa in silenzio.
Tornato in redazione riflette sulla risposta di Latouche, ed ipotizza che se ponesse domani la domanda: 'qual è l'opera preferita', si sentirebbe forse rispondere 'il traforo del Monte Bianco', mentre per i libri e i film le risposte sarebbero pertinenti. Ed allora, per il futuro, ripiega sulla versione più adatta agli italiani: qual è la canzone preferita?
Fra due o tre anni ricomincia a girare la giostra dei direttori d'orchestra. Scenderanno Rattle, Pappano (forse), e Mehta e saliranno...
La giostra , in verità , ha già cominciato a girare. E, in alcuni casi gira da tempo, perché prima che essa si fermi per imbarcare qualche nuovo viaggiatore e scaricarne altri, occorre tempo.
I gestori della giostra dei Berliner (che poi sono i Berliner medesimi), ad esempio, fra qualche giorno, dichiareranno apertamente, chi, quando Rattle scenderà, e cioè fra tre anni, prenderà il suo posto sulla loro giostra - si fanno i nomi di Barenboim, Dudamel, Thielemann. Con tre anni di anticipo, direte, non è un tempo eccessivamente lungo per pensare al futuro? No, se hanno sempre fatto così; e poi chi ha tempo non aspetti tempo.
Evidentemente, per far girare bene, come ha sempre girato, una giostra come quella dei Berliner , le decisione da prendere sono tante e vanno prese in tempo.
Barenboim? Dovrebbe solo passare da una casa all'altra sempre a Berlino, dove risiede e lavora stabilmente da tempo: il passaggio meno traumatico.
Dudamel, il grande salto: poco più che trentenne, l'aura da 'enfant prodige', parecchie défaillance ogni volta che ha voluto fare (o che gli hanno voluto far fare) il passo più lungo della gamba, come nel teatro d'opera; mentre la sua permanenza a Los Angeles si sta rivelando una sorta di tomba, seppur 'dorata' per lui.
Thielemann? Riporterebbe l'orchestra nella sua tradizione 'tedesca', come non accadeva dal tempo di Karajan, cui nel tempo sono succeduti sia Abbado che Rattle. Ma... ma ha un repertorio limitato e, quel che è più grave - annotava stupidamente un quotidiano italiano nei giorni scorsi - ha una immagine 'reazionaria'. Insomma non ha mai nascosto le sue simpatie 'di destra', il che lo bollerebbe negativamente nella possibile ascesa sul podio dei Berliner. Sarà. Vedremo. Speriamo solo che, se nominato, non ci capiti di dover leggere: Nostalgici Berliner.
Se, a Berlino, nel 2018 Rattle scenderà dalla giostra, ma già nel 2015 si pensa a chi far salire al suo posto, a Firenze, dove Zubin Mehta ha dichiarato che dopo il 2017 lascerà l'Orchestra del Maggio, dove gira da secoli, ancora non si pensa al suo sostituto. Si sono fatti scappare Gatti, ma le notizie fresche fresche che ci giungono da Firenze ( scioperi in occasione del 'Fidelio' inaugurale del Maggio, fra pochi giorni, mancanza di soldi ecc...) forse altri faranno scappare, ed alla fine la scelta non sarà la migliore.
Nel 2017 Chailly diventerà ufficialmente direttore musicale della Scala, ma il suo sbarco a Milano è già avvenuto e dal prossimo primo maggio cominceremo a vederne i frutti, con la 'Turandot' che inaugurerà l'Expo ( e che non sarà più interessante a causa del finale scritto da Berio, finale che sebbene abbia ormai oltre dieci anni, non è mai entrato stabilmente nel repertorio dei teatri che gli preferiscono quello antico di Alfano)) e , a seguire, con il teatro più 'pucciniano' del pianeta, il progetto assieme a Pereira messo a punto, dopo anni ed anni di 'apartheid' nei confronti del nostro operista.
Nel 2019 poi anche Pappano potrebbe sloggiare da Roma. Ma a Roma, la città che nei secoli ne ha viste di cotte e di crude, sembra non aver fretta. Infatti a santa Cecilia hanno appena annunciato che il contratto di Pappano è stato esteso fino al 2019, mentre prima era fino al 2017, ma della sua successione o della sua ulteriore permanenza non si parla ancora, mentre a Berlino si deciderà a giorni.
Ed anche per Pappano sarebbero nel 2019 sedici anni ininterrotti di permanenza a Roma, dove si era insediato ufficialmente dal 2005, ma fin dal 2003 la sua marcia di avvicinamento alla capitale fu spedito ed accentuato.
Ragioni di una così lunga permanenza non ve ne sono? Per fare progetti assieme ad una orchestra, occorrono tempi tanto lunghi, non si potevano pensare prima e realizzare immediatamente dopo? Dieci anni non bastano?
Sono dieci un tempo di permanenza ragionevole per non portare alla stagnazione nei rapporti fra orchestra e direttore e nell'orchestra stessa. Secondo noi sedici anni sono un tempo troppo lungo, in ogni caso, compresa la direzione di una orchestra medesima.
Rattle ha dichiarato di non voler restare a Berlino dopo il 2018 per non correre tale rischio. mentre ,secondo noi, tale rischio si potrebbe correre già a partire dall'undicesimo anno di permanenza o giù di lì. Se occorre un tempo lungo perchè il rapporto fra un direttore e la sua orchestra dia i frutti sperati; basta un tempo breve perchè tale rapporto diventi 'stagnante - secondo le parole di Rattle - ed asfissiante. Non più produttivo.
Ciò vale in tutti i campi ella vita artistica, e musicale. Un capo in testa che comanda una istituzione 'PUBBLICA' ( non familiare) per molti anni, come nei casi sotto gli occhi di tutti, ad esempio di Cagli o Vergnano - sovrintendenti a vita!!!! - non promette nulla di buono.
Come nulla di buono promette il passaggio di padre o madre in figlio o figlia ed anche nipoti del comando di istituzioni musicali, come altrettanto si vede nelle nostre anomale lande. Per tutti il caso dell IUC che dalle mani dell'ing. Fortuna, suo fondatore, oltre mezzo secolo fa, è passata in quelle di sua moglie, Lina, ed ora in quelle di Francesca, figlia dei due e forse in futuro passerà in quelle dei figli di Francesca. E non è l'unico caso, si badi bene, anche se il più eclatante, della serie 'solidarietà fra generazioni'.
P.S. Financo a Valencia, dove la magistratura ha fatto secca la 'zarina', hanno già provveduto da qualche tempo all'avvicendamento al vertice: dal gennaio 2016 giungeranno Livermore, Roberto Abbado e Fabio Biondi. Due direttori per due diversi repertori. Progetto subito copiato, maldestramente, all'Opera di Roma da Fuortes che ha confermato Vlad alla direzione artistica, ed ha poi dato il contentino a Battistelli- che non poteva nominare direttore artistico per l' evidente mancanza di conoscenza da parte del celebre compositore del repertorio melodrammatico; ma dando per scontato invece che Alessio Vlad lo conosca alla perfezione. L'Opera dei compromessi, dannosi!
I gestori della giostra dei Berliner (che poi sono i Berliner medesimi), ad esempio, fra qualche giorno, dichiareranno apertamente, chi, quando Rattle scenderà, e cioè fra tre anni, prenderà il suo posto sulla loro giostra - si fanno i nomi di Barenboim, Dudamel, Thielemann. Con tre anni di anticipo, direte, non è un tempo eccessivamente lungo per pensare al futuro? No, se hanno sempre fatto così; e poi chi ha tempo non aspetti tempo.
Evidentemente, per far girare bene, come ha sempre girato, una giostra come quella dei Berliner , le decisione da prendere sono tante e vanno prese in tempo.
Barenboim? Dovrebbe solo passare da una casa all'altra sempre a Berlino, dove risiede e lavora stabilmente da tempo: il passaggio meno traumatico.
Dudamel, il grande salto: poco più che trentenne, l'aura da 'enfant prodige', parecchie défaillance ogni volta che ha voluto fare (o che gli hanno voluto far fare) il passo più lungo della gamba, come nel teatro d'opera; mentre la sua permanenza a Los Angeles si sta rivelando una sorta di tomba, seppur 'dorata' per lui.
Thielemann? Riporterebbe l'orchestra nella sua tradizione 'tedesca', come non accadeva dal tempo di Karajan, cui nel tempo sono succeduti sia Abbado che Rattle. Ma... ma ha un repertorio limitato e, quel che è più grave - annotava stupidamente un quotidiano italiano nei giorni scorsi - ha una immagine 'reazionaria'. Insomma non ha mai nascosto le sue simpatie 'di destra', il che lo bollerebbe negativamente nella possibile ascesa sul podio dei Berliner. Sarà. Vedremo. Speriamo solo che, se nominato, non ci capiti di dover leggere: Nostalgici Berliner.
Se, a Berlino, nel 2018 Rattle scenderà dalla giostra, ma già nel 2015 si pensa a chi far salire al suo posto, a Firenze, dove Zubin Mehta ha dichiarato che dopo il 2017 lascerà l'Orchestra del Maggio, dove gira da secoli, ancora non si pensa al suo sostituto. Si sono fatti scappare Gatti, ma le notizie fresche fresche che ci giungono da Firenze ( scioperi in occasione del 'Fidelio' inaugurale del Maggio, fra pochi giorni, mancanza di soldi ecc...) forse altri faranno scappare, ed alla fine la scelta non sarà la migliore.
Nel 2017 Chailly diventerà ufficialmente direttore musicale della Scala, ma il suo sbarco a Milano è già avvenuto e dal prossimo primo maggio cominceremo a vederne i frutti, con la 'Turandot' che inaugurerà l'Expo ( e che non sarà più interessante a causa del finale scritto da Berio, finale che sebbene abbia ormai oltre dieci anni, non è mai entrato stabilmente nel repertorio dei teatri che gli preferiscono quello antico di Alfano)) e , a seguire, con il teatro più 'pucciniano' del pianeta, il progetto assieme a Pereira messo a punto, dopo anni ed anni di 'apartheid' nei confronti del nostro operista.
Nel 2019 poi anche Pappano potrebbe sloggiare da Roma. Ma a Roma, la città che nei secoli ne ha viste di cotte e di crude, sembra non aver fretta. Infatti a santa Cecilia hanno appena annunciato che il contratto di Pappano è stato esteso fino al 2019, mentre prima era fino al 2017, ma della sua successione o della sua ulteriore permanenza non si parla ancora, mentre a Berlino si deciderà a giorni.
Ed anche per Pappano sarebbero nel 2019 sedici anni ininterrotti di permanenza a Roma, dove si era insediato ufficialmente dal 2005, ma fin dal 2003 la sua marcia di avvicinamento alla capitale fu spedito ed accentuato.
Ragioni di una così lunga permanenza non ve ne sono? Per fare progetti assieme ad una orchestra, occorrono tempi tanto lunghi, non si potevano pensare prima e realizzare immediatamente dopo? Dieci anni non bastano?
Sono dieci un tempo di permanenza ragionevole per non portare alla stagnazione nei rapporti fra orchestra e direttore e nell'orchestra stessa. Secondo noi sedici anni sono un tempo troppo lungo, in ogni caso, compresa la direzione di una orchestra medesima.
Rattle ha dichiarato di non voler restare a Berlino dopo il 2018 per non correre tale rischio. mentre ,secondo noi, tale rischio si potrebbe correre già a partire dall'undicesimo anno di permanenza o giù di lì. Se occorre un tempo lungo perchè il rapporto fra un direttore e la sua orchestra dia i frutti sperati; basta un tempo breve perchè tale rapporto diventi 'stagnante - secondo le parole di Rattle - ed asfissiante. Non più produttivo.
Ciò vale in tutti i campi ella vita artistica, e musicale. Un capo in testa che comanda una istituzione 'PUBBLICA' ( non familiare) per molti anni, come nei casi sotto gli occhi di tutti, ad esempio di Cagli o Vergnano - sovrintendenti a vita!!!! - non promette nulla di buono.
Come nulla di buono promette il passaggio di padre o madre in figlio o figlia ed anche nipoti del comando di istituzioni musicali, come altrettanto si vede nelle nostre anomale lande. Per tutti il caso dell IUC che dalle mani dell'ing. Fortuna, suo fondatore, oltre mezzo secolo fa, è passata in quelle di sua moglie, Lina, ed ora in quelle di Francesca, figlia dei due e forse in futuro passerà in quelle dei figli di Francesca. E non è l'unico caso, si badi bene, anche se il più eclatante, della serie 'solidarietà fra generazioni'.
P.S. Financo a Valencia, dove la magistratura ha fatto secca la 'zarina', hanno già provveduto da qualche tempo all'avvicendamento al vertice: dal gennaio 2016 giungeranno Livermore, Roberto Abbado e Fabio Biondi. Due direttori per due diversi repertori. Progetto subito copiato, maldestramente, all'Opera di Roma da Fuortes che ha confermato Vlad alla direzione artistica, ed ha poi dato il contentino a Battistelli- che non poteva nominare direttore artistico per l' evidente mancanza di conoscenza da parte del celebre compositore del repertorio melodrammatico; ma dando per scontato invece che Alessio Vlad lo conosca alla perfezione. L'Opera dei compromessi, dannosi!
martedì 21 aprile 2015
Giorgio Battistelli, il compositore sessantenne che, secondo la Aspesi, fa sognare le signore, intervistato su CO2, la sua 'asfissiante' opera per l'Expo, alla Scala il 16 maggio
La profonda Natalia Aspesi che interroga il compositore laziale, alla viglia della sua 'soffocante ' opera alla Scala, dal titolo CO2, non si esime dal sottolineare lo sguardo accattivante ed il ricciolo ribelle del musicista che abita i sogni delle signore, e al quale la Scala commissionò secoli fa un'opera da destinare all'Expo, in linea con le finalità della esposizione milanese, che sono principalmente quelle di trovare il modo per non far morire il pianeta. E lui, buono buono, il modo l' ha trovato: l' ennesimo film cui aggrapparsi - la Aspesi precisa: sceneggiatura, non film - che è poi quello scaturito da un noto libro denuncia di Al Gore.
In questa nuova opera, da film, di Battistelli, non manca proprio nulla; sembra una di quelle saghe che partono da Dio creatore ed arrivano ai prodotti OGM ed alle piogge acide. Dentro c'è di tutto, da Adamo che si fuma il cervello, ad Eva che si accoda e via dicendo. E per farlo sembrare il più possibile mondiale, come mondiale è il problema, ed anche in previsione di possibili ed auspicabili sbarchi esteri, Battistelli ha fatto parlare tutte le lingue del mondo, ha chiamato cantanti di colore ( Adamo ed Eva sono cantanti africani) e direttore regista e scenografo e costumista, li ha cercati, d'intesa con la Scala, sui mercati esteri. L'Italia li ospita.
Poi la Aspesi , come solitamente fa un giornalista che non è del settore - che altro si vuole da Lei - al primo incontro di una personalità, si dilunga sulla grande carriera, cita direttori e registi che hanno lavorato con lui e per lui - ci sono inesattezze, ma non rilevanti - per approdare infine ad 'Experimentum mundi', frutto di invenzione sublime, anche musicale, che Battistelli non ha più ritrovato nelle sue ormai numerosissime escursioni teatrali, per le quali preferisce battere la solita facile strada dell'appoggio a film famosi, e del teatro accompagnato da musica: il melologo, trito e ritrito, assai frequentato da compositori in cerca di identità.
La presentazione fra i clamori della Scala della sua nuova opera servirà a consolare Battistelli delle recenti sconfitte, dalla non elezione a sovrintendente di santa Cecilia, alla direzione artistica, con badante, all'Opera di Roma, ed a quella sconfitta che più gli duole oggi, e cioè la mancata registrazione della sua opera da parte di Rai 5, dove un tempo spadroneggiava il suo amico-nemico dall'Ongaro.
Ciò che invece l'intervista fornisce come notizia, l'unica, è che Battistelli non ha rinunciato a presentarsi come candidato sindaco alle prossime elezioni comunali del suo borgo natio, Albano laziale.
A questo punto cominciamo a temere per lui: direttore artistico dell'Opera di Roma, seppure con badante; consigliere di Santa Cecilia, direttore artistico dell'Orchestra Toscana di Firenze, presidente della Società Barattelli dell'Aquila ecc... ce la farà il nostro eroe? L'elezione a sindaco di Albano laziale, ben venga, se gli consiglierà di mollare qualche poltrona.
In questa nuova opera, da film, di Battistelli, non manca proprio nulla; sembra una di quelle saghe che partono da Dio creatore ed arrivano ai prodotti OGM ed alle piogge acide. Dentro c'è di tutto, da Adamo che si fuma il cervello, ad Eva che si accoda e via dicendo. E per farlo sembrare il più possibile mondiale, come mondiale è il problema, ed anche in previsione di possibili ed auspicabili sbarchi esteri, Battistelli ha fatto parlare tutte le lingue del mondo, ha chiamato cantanti di colore ( Adamo ed Eva sono cantanti africani) e direttore regista e scenografo e costumista, li ha cercati, d'intesa con la Scala, sui mercati esteri. L'Italia li ospita.
Poi la Aspesi , come solitamente fa un giornalista che non è del settore - che altro si vuole da Lei - al primo incontro di una personalità, si dilunga sulla grande carriera, cita direttori e registi che hanno lavorato con lui e per lui - ci sono inesattezze, ma non rilevanti - per approdare infine ad 'Experimentum mundi', frutto di invenzione sublime, anche musicale, che Battistelli non ha più ritrovato nelle sue ormai numerosissime escursioni teatrali, per le quali preferisce battere la solita facile strada dell'appoggio a film famosi, e del teatro accompagnato da musica: il melologo, trito e ritrito, assai frequentato da compositori in cerca di identità.
La presentazione fra i clamori della Scala della sua nuova opera servirà a consolare Battistelli delle recenti sconfitte, dalla non elezione a sovrintendente di santa Cecilia, alla direzione artistica, con badante, all'Opera di Roma, ed a quella sconfitta che più gli duole oggi, e cioè la mancata registrazione della sua opera da parte di Rai 5, dove un tempo spadroneggiava il suo amico-nemico dall'Ongaro.
Ciò che invece l'intervista fornisce come notizia, l'unica, è che Battistelli non ha rinunciato a presentarsi come candidato sindaco alle prossime elezioni comunali del suo borgo natio, Albano laziale.
A questo punto cominciamo a temere per lui: direttore artistico dell'Opera di Roma, seppure con badante; consigliere di Santa Cecilia, direttore artistico dell'Orchestra Toscana di Firenze, presidente della Società Barattelli dell'Aquila ecc... ce la farà il nostro eroe? L'elezione a sindaco di Albano laziale, ben venga, se gli consiglierà di mollare qualche poltrona.
Fondazioni liriche. A proposito di rinnovo dei vertici gestionali ed artistici, dal Teatro San Carlo all'Opera di Roma.
"A detta di molti - scriveva non più tardi di un mese fa, l'autorevole 'Corriere del mezzogiorno' - fra i favoriti per la successione a Rosanna Purchia, come sovrintendente del Teatro San Carlo, ci sarebbe Catello De Martino". Ma no? Ma sì! Questo nostro paese non manca mai di meravigliarci. Catello sarebbe dovuto finire ai domiciliari, già ora è indagato per il buco colossale al Teatro dell'Opera di Roma - sanzionato di recente anche dal TAR dove lui aveva presentato ricorso contro il suo licenziamento - ed invece... lui si candida a Verona, a Cagliari ed in qualunque altro teatro si debbano rinnovare i vertici, perfino a Napoli, dove a detta di molti - che non osiamo definire - sarebbe fra i favoriti. Quegli stessi che lo riterrebbero fra i favoriti non ci hanno spiegato con quale curriculum ed anche con quale faccia Catello si presenti ancora in giro a bussare alle porte delle sovrintendenze dei teatri.
In questo momento non sappiamo se la Purchia sia stata confermata dal Ministero, meglio: sia stata confermata dal suo amico e protettore Nastasi che ha procurato un impiego a sua moglie, Giulietta Minoli, nel neonato MeMus del Teatro ( pare che la Signora sia stata fatta licenziare dal medesimo Nastasi, per il timore di denunce di irregolarità riguardo a quella nomina), ma della Purchia ancora non si sa; telefoneremo più tardi per vere notizie fresche ( nel sito del teatro napoletano non compaiono né sovrintendente né direttore artistico e dunque la barca del teatro, da due mesi almeno o forse più, naviga senza timonieri.
Chissà che avrà fatto il sindaco di Catania, dopo lo schiaffo della Purchia che prima s'è fatta nominare e poi ha rinunciato per restare a Napoli, dietro evidente assicurazione di Nastasi, il 'gran manovratore' del Ministero del povero Franceschini,' mezzo disastro'.
E a Roma cosa è successo nel frattempo? Carlo Fuortes ha proceduto alla nomina della direzione artistica che oggi è duplice: Battistelli, Vlad; triplice se ci si mette anche la direttrice del ballo, Abbagnato.
Ma allora nulla è cambiato: Fuortes si tiene Vlad, la manina corta di Muti. No, a leggerle con attenzione, le cose stanno diversamente. Fuortes voleva cambiare Alessio Vald con Giorgio Battistelli, ma quando il nuovo direttore artistico 'in pectore' gli ha rivelato in privato, che il repertorio del melodramma non è il suo forte, Fuortes per non fare un altro buco nell'acqua, gli ha messo al fianco Vlad, riconfermandolo, e dando a Giorgio quel che potrebbe essere di Giorgio. e cioè il teatro contemporaneo e il repertorio sinfonico.
In verità avrebbe anche potuto tenere solo Battistelli, perchè in teatro, il lavoro più difficile, quello della confezione dei cast, lo fa altra persona, a Roma ( Nicoletta Finzi) come a Milano ( ora l'austriaco Toni Gradsack, fino a poco tempo fa 'el greco', potentissimo ).
Allora, nel caso dei teatri d'opera la cui attività si fonda prevalentemente sul grande repertorio cosa fanno i direttori artistici? Scelgono i titoli del cartellone.
P.S. Ha vinto Nastasi, Rosanna Purchia confermata sovrintendente, come si evince dall'annuncio della prossima tournée del San Carlo in Ungheria, le cui spese le sosterrà sicuramente il Ministero di Nastasi, come già fece con la costosissima trasferta a San Francisco.
In questo momento non sappiamo se la Purchia sia stata confermata dal Ministero, meglio: sia stata confermata dal suo amico e protettore Nastasi che ha procurato un impiego a sua moglie, Giulietta Minoli, nel neonato MeMus del Teatro ( pare che la Signora sia stata fatta licenziare dal medesimo Nastasi, per il timore di denunce di irregolarità riguardo a quella nomina), ma della Purchia ancora non si sa; telefoneremo più tardi per vere notizie fresche ( nel sito del teatro napoletano non compaiono né sovrintendente né direttore artistico e dunque la barca del teatro, da due mesi almeno o forse più, naviga senza timonieri.
Chissà che avrà fatto il sindaco di Catania, dopo lo schiaffo della Purchia che prima s'è fatta nominare e poi ha rinunciato per restare a Napoli, dietro evidente assicurazione di Nastasi, il 'gran manovratore' del Ministero del povero Franceschini,' mezzo disastro'.
E a Roma cosa è successo nel frattempo? Carlo Fuortes ha proceduto alla nomina della direzione artistica che oggi è duplice: Battistelli, Vlad; triplice se ci si mette anche la direttrice del ballo, Abbagnato.
Ma allora nulla è cambiato: Fuortes si tiene Vlad, la manina corta di Muti. No, a leggerle con attenzione, le cose stanno diversamente. Fuortes voleva cambiare Alessio Vald con Giorgio Battistelli, ma quando il nuovo direttore artistico 'in pectore' gli ha rivelato in privato, che il repertorio del melodramma non è il suo forte, Fuortes per non fare un altro buco nell'acqua, gli ha messo al fianco Vlad, riconfermandolo, e dando a Giorgio quel che potrebbe essere di Giorgio. e cioè il teatro contemporaneo e il repertorio sinfonico.
In verità avrebbe anche potuto tenere solo Battistelli, perchè in teatro, il lavoro più difficile, quello della confezione dei cast, lo fa altra persona, a Roma ( Nicoletta Finzi) come a Milano ( ora l'austriaco Toni Gradsack, fino a poco tempo fa 'el greco', potentissimo ).
Allora, nel caso dei teatri d'opera la cui attività si fonda prevalentemente sul grande repertorio cosa fanno i direttori artistici? Scelgono i titoli del cartellone.
P.S. Ha vinto Nastasi, Rosanna Purchia confermata sovrintendente, come si evince dall'annuncio della prossima tournée del San Carlo in Ungheria, le cui spese le sosterrà sicuramente il Ministero di Nastasi, come già fece con la costosissima trasferta a San Francisco.
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lunedì 20 aprile 2015
Di Matteo Salvini e Enrico Letta.Non meravigliamoci se...
Non ci si meravigli se il Matteo padano spara idiozie, banalità e triti luoghi comuni senza senso, a raffica, e per questo, soprattutto per questo, sale nei sondaggi di questa settimana. Il Matteo fiorentino, ed ora anche romano, vedendo su quale china si stava mettendo l'omonimo padano, tempo fa gli aveva suggerito di leggere qualche libro, come fa lui che i libri, intanto li compra (nelle frequenti escursioni a piedi dalle parti di Palazzo Chigi, il Matteo fiorentino entra in galleria e ne esce con un pacco di libri sotto il braccio) e l'intenzione di leggerli ce l'ha.
Il Matteo padano un libro glielo aveva sventolato sotto il naso all'omonimo fiorentino, ma era il suo libro. Lui legge solo se stesso, per leggere gli altri non ha tempo, s'è scusato. Ma quando legge se ogni giorno partecipa ad almeno una dozzina di trasmissioni, tutti lo vogliono perché fa salire l'audience e fa fare anche qualche risata per le idiozie che dice? Di idiozie il Matteo padano ha un repertorio praticamente illimitato, raccolto pazientemente in previsione della sua carriera politica. Adesso dove trova il tempo per leggere un libro? E per capirlo?
E non ci si meravigli, per un altro verso, neanche della scelta di Enrico Letta, ex premier, che ha deciso di lasciare il seggio parlamentare per tornare a fare il professore, anzi il rettore della scuola di studi internazionali a Parigi. Perchè? Perchè la politica non può diventare un mestiere che si esercita a vita: lui vuol guadagnarsi da vivere facendo il mestiere che crede di saper fare: insegnare. L'impegno, anzi la passione politica quella resta. Ma non gli piace vivere della passione politica.
Ci meravigliamo della scelta di Letta, quando a molti appare naturale, perfino ovvia. Ci meravigliamo perchè stiamo già pensando, se mai con il suo mestiere Salvini ( quale mestiere conosce e sa fare?) potrebbe vivere, guadagnando quello che guadagna oggi dicendo idiozie e banalità, e anche stupidaggini...diciamo la verità, ogni giorno; o come potrebbe guadagnarsi da vivere la Gelmini facendo l'avvocato, lei che è andata a sostenere l'esame per l'esercizio della professione in Calabria. Ed anche la Lorenzin - dopo averle fatto sinceri auguri per la sua maternità - dove potrebbe fare il ministro con il diploma da ragioniera, se non salendo sul carro della politica? Il discorso vale anche per Casini che forse un lavoro non l'ha mai fatto nella sua vita 'di rappresentanza' o anche Fini. Il problema riguarda ed investe tutti gli schieramenti politici senza distinzione di sesso, età, censo.
Dunque non meravigliamoci né di Salvini che dice idiozie, nè di Letta che abbandona la politica e neppure di Gelmini, Lorenzin e Razzi e Casini e Fini e il Craxi 'bobo', e tanti tanti altri che se non facessero i politici di mestiere chissà se potrebbero fare un qualunque lavoro, con il quale guadagnarsi da vivere.
Il Matteo padano un libro glielo aveva sventolato sotto il naso all'omonimo fiorentino, ma era il suo libro. Lui legge solo se stesso, per leggere gli altri non ha tempo, s'è scusato. Ma quando legge se ogni giorno partecipa ad almeno una dozzina di trasmissioni, tutti lo vogliono perché fa salire l'audience e fa fare anche qualche risata per le idiozie che dice? Di idiozie il Matteo padano ha un repertorio praticamente illimitato, raccolto pazientemente in previsione della sua carriera politica. Adesso dove trova il tempo per leggere un libro? E per capirlo?
E non ci si meravigli, per un altro verso, neanche della scelta di Enrico Letta, ex premier, che ha deciso di lasciare il seggio parlamentare per tornare a fare il professore, anzi il rettore della scuola di studi internazionali a Parigi. Perchè? Perchè la politica non può diventare un mestiere che si esercita a vita: lui vuol guadagnarsi da vivere facendo il mestiere che crede di saper fare: insegnare. L'impegno, anzi la passione politica quella resta. Ma non gli piace vivere della passione politica.
Ci meravigliamo della scelta di Letta, quando a molti appare naturale, perfino ovvia. Ci meravigliamo perchè stiamo già pensando, se mai con il suo mestiere Salvini ( quale mestiere conosce e sa fare?) potrebbe vivere, guadagnando quello che guadagna oggi dicendo idiozie e banalità, e anche stupidaggini...diciamo la verità, ogni giorno; o come potrebbe guadagnarsi da vivere la Gelmini facendo l'avvocato, lei che è andata a sostenere l'esame per l'esercizio della professione in Calabria. Ed anche la Lorenzin - dopo averle fatto sinceri auguri per la sua maternità - dove potrebbe fare il ministro con il diploma da ragioniera, se non salendo sul carro della politica? Il discorso vale anche per Casini che forse un lavoro non l'ha mai fatto nella sua vita 'di rappresentanza' o anche Fini. Il problema riguarda ed investe tutti gli schieramenti politici senza distinzione di sesso, età, censo.
Dunque non meravigliamoci né di Salvini che dice idiozie, nè di Letta che abbandona la politica e neppure di Gelmini, Lorenzin e Razzi e Casini e Fini e il Craxi 'bobo', e tanti tanti altri che se non facessero i politici di mestiere chissà se potrebbero fare un qualunque lavoro, con il quale guadagnarsi da vivere.
domenica 19 aprile 2015
Sul Fascismo e la cultura si getti tutto il fango possibile. Ad eccezione dei casi in cui la storia non lo consente. A margine di una recensione di Leonetta Bentivoglio a proposito di Vivaldi, su Repubblica
Una recensione del recente volumetto, edito da Sellerio, a firma Federico Maria Sardelli, dedicato alla riscoperta novecentesca di Vivaldi e della sua musica, che noi abbiamo già segnalato su questo blog, è apparso qualche giorno fa su 'Repubblica', a firma Leonetta Bentivoglio. La quale, curiosamente, quando tira in ballo il Fascismo, condivide le critiche espresse in una dichiarazione - pare solo presunta ( che vorrà dire? che se l'è lasciata scappare e poi ha finto di non averla mai detta?) - del presidente della Camera, Boldrini, la quale vorrebbe cancellata dall'obelisco del Foro Italico, della scritta 'Mussolini Dux'. Che avrà a che fare la musica di Vivaldi con Mussolini ed il suo regime?
Come ha scritto oggi Paolo Conti sul 'Corriere', le testimonianze del Fascismo in Italia sono numerose, e pensare soltanto di eliminarle, non si comprende a quale fine, sarebbe insensato. Conti si riferisce particolarmente alle testimonianza architettoniche di cui anche Roma, naturalmente, è seminata. Basti dire, sottolinea Conti che ha intervistato storici dell'architettura ed architetti di nome, che il 'Razionalismo' architettonico è oggi uno dei movimenti più studiati al mondo. Lo stesso Razionalismo che ha squadrato ed edificato il Quartiere Eur e mille altri palazzi. La storia non si può demolire, va tenuta in piedi e studiata, semmai per non fare gli errori del passato; che in questo caso errori non sono, bensì lasciti egregi di un regime totalitario e razzista, per fortuna lontano e definitivamente morto.
Se poi apriamo, in generale, il capitolo 'Fascismo e Musica', basterà solo ricordare che il Maggio Fiorentino, uno dei più antichi festival italiani fu inventato dal Fascismo, come pure la Stagione a Caracalla ecc...
Della riscoperta della musica di Vivaldi, scrive la Bentivoglio, "un tesoro gossolanamente manipolato dall'insipienza del fascismo" ( con la effe minuscola, così si scrive dalle parti di repubblica, con la erre minuscola). Bugia! Il Fascismo, secondo la ricerca di Sardelli viene tirato in ballo quando il poeta Ezra Pound e la sua compagna/amante Olga Rudge, violinista, che lavorava presso l'Accademia Chigiana di Siena, vennero a sapere del ritrovamento dell'immenso prezioso giacimento musicale conservato alla Nazionale di Torino. Viene tirato in ballo perché al diniego da parte del musicologo/catalogatore Gentili di fornire ai due - che stavano già studiando Vivaldi, sulla base dei manoscritti conservati a Dresda - il materiale manoscritto ritrovato, il poeta si sarebbe rivolto ai suoi amici camerati importanti a Roma che subito strigliarono il Gentili perchè desse al poeta ed alla violinista quel che chiedevano, e che il musicologo si rifiutava di fornire a causa di un contratto di esclusiva con Casa Ricordi, che ne sarebbe stato l'editore ufficiale.
Il regime, tolto questo episodio, fu felice dell'acquisto del fondo Vivaldi ( Foà-Giordano, i due benefattori che pagarono gli acquisti e regalarono il fondo alla Nazionale di Torino), e all'occasione se ne attribuì in qualche maniera il merito, senza aver tirato fuori un solo centesimo. Non solo, la riscoperta e la presentazione pubblica di Vivaldi, avvenne, in seguito, alla Chigiana di Siena per merito di Alfredo Casella, e con concorso dei due, Pound e Rudge, che per loro conto proseguirono gli studi della musica di Vivaldi. Che poi a Sardelli sia antipatico Pound ( come, inutilmente dichiara alla Bentivoglio), a noi interessa poco, anzi affatto, perchè amiamo di più il poeta Pound che il revisore, per quanto bravo, Sardelli.
Fra parentesi, giova anche ricordare che Casella scrisse su una rivista del regime, negli anni Trenta, un accorato appello a studiare le nostre radici musicali piuttosto che andare a beccare sempre all'estero; e quell'interessante articolo lo ripubblicammo, qualche anno fa, sulla nostra rivista Music@). Ma anche a Casella fu fatto pagare in seguito quella sua adesione, forse per semplice comodità, al regime, dimenticando i meriti dell'insigne musicista anche nei riguardi della musica del suo tempo (si chieda a chi, a sinistra, ha 'sinistramente' tenuto le redini della propaganda musicale nel secolo scorso). Dunque nel caso della musica di Vivaldi, Leonetta Bentivoglio scrive una colpevole falsità, o una imperdonabile idiozia.
Altra falsità scrive la Bentivoglio, sempre riguardo al Fascismo, nel caso delle leggi razziali emesse in seguito, e per colpa delle quali i due grandi benefattori del Fondo Vivaldi come pure l'illustre musicologo, tutti ebrei, furono costretti a scappare dall'Italia. Scrive. " L'idiozia del regime liquiderà gli artefici del progetto: fugge il professor Gentili, 'epurato' dalle leggi antisemitiche e scappano all'estero sia Foà che Giordano'. Secondo la Bentivoglio il regime si sarebbe dovuto ricordare dei due benefattori e dell'insigne studioso, al momento delle leggi razziali e graziarli, quando si dimenticherà colpevolmente e senza scusa alcuna di tante personalità del nostro paese. Quelle leggi insensate che gettano davvero una luce sinistra sul regime, quelle sì vanno duramente criticate. Ma è lecito in base a questo principio, gettare fango sull'architettura razionalista, che il regime promosse, come sul ritrovamento e sull'acquisizione della musica di Vivaldi, per la quale il regime nulla fece a favore ma neanche contro?
Come ha scritto oggi Paolo Conti sul 'Corriere', le testimonianze del Fascismo in Italia sono numerose, e pensare soltanto di eliminarle, non si comprende a quale fine, sarebbe insensato. Conti si riferisce particolarmente alle testimonianza architettoniche di cui anche Roma, naturalmente, è seminata. Basti dire, sottolinea Conti che ha intervistato storici dell'architettura ed architetti di nome, che il 'Razionalismo' architettonico è oggi uno dei movimenti più studiati al mondo. Lo stesso Razionalismo che ha squadrato ed edificato il Quartiere Eur e mille altri palazzi. La storia non si può demolire, va tenuta in piedi e studiata, semmai per non fare gli errori del passato; che in questo caso errori non sono, bensì lasciti egregi di un regime totalitario e razzista, per fortuna lontano e definitivamente morto.
Se poi apriamo, in generale, il capitolo 'Fascismo e Musica', basterà solo ricordare che il Maggio Fiorentino, uno dei più antichi festival italiani fu inventato dal Fascismo, come pure la Stagione a Caracalla ecc...
Della riscoperta della musica di Vivaldi, scrive la Bentivoglio, "un tesoro gossolanamente manipolato dall'insipienza del fascismo" ( con la effe minuscola, così si scrive dalle parti di repubblica, con la erre minuscola). Bugia! Il Fascismo, secondo la ricerca di Sardelli viene tirato in ballo quando il poeta Ezra Pound e la sua compagna/amante Olga Rudge, violinista, che lavorava presso l'Accademia Chigiana di Siena, vennero a sapere del ritrovamento dell'immenso prezioso giacimento musicale conservato alla Nazionale di Torino. Viene tirato in ballo perché al diniego da parte del musicologo/catalogatore Gentili di fornire ai due - che stavano già studiando Vivaldi, sulla base dei manoscritti conservati a Dresda - il materiale manoscritto ritrovato, il poeta si sarebbe rivolto ai suoi amici camerati importanti a Roma che subito strigliarono il Gentili perchè desse al poeta ed alla violinista quel che chiedevano, e che il musicologo si rifiutava di fornire a causa di un contratto di esclusiva con Casa Ricordi, che ne sarebbe stato l'editore ufficiale.
Il regime, tolto questo episodio, fu felice dell'acquisto del fondo Vivaldi ( Foà-Giordano, i due benefattori che pagarono gli acquisti e regalarono il fondo alla Nazionale di Torino), e all'occasione se ne attribuì in qualche maniera il merito, senza aver tirato fuori un solo centesimo. Non solo, la riscoperta e la presentazione pubblica di Vivaldi, avvenne, in seguito, alla Chigiana di Siena per merito di Alfredo Casella, e con concorso dei due, Pound e Rudge, che per loro conto proseguirono gli studi della musica di Vivaldi. Che poi a Sardelli sia antipatico Pound ( come, inutilmente dichiara alla Bentivoglio), a noi interessa poco, anzi affatto, perchè amiamo di più il poeta Pound che il revisore, per quanto bravo, Sardelli.
Fra parentesi, giova anche ricordare che Casella scrisse su una rivista del regime, negli anni Trenta, un accorato appello a studiare le nostre radici musicali piuttosto che andare a beccare sempre all'estero; e quell'interessante articolo lo ripubblicammo, qualche anno fa, sulla nostra rivista Music@). Ma anche a Casella fu fatto pagare in seguito quella sua adesione, forse per semplice comodità, al regime, dimenticando i meriti dell'insigne musicista anche nei riguardi della musica del suo tempo (si chieda a chi, a sinistra, ha 'sinistramente' tenuto le redini della propaganda musicale nel secolo scorso). Dunque nel caso della musica di Vivaldi, Leonetta Bentivoglio scrive una colpevole falsità, o una imperdonabile idiozia.
Altra falsità scrive la Bentivoglio, sempre riguardo al Fascismo, nel caso delle leggi razziali emesse in seguito, e per colpa delle quali i due grandi benefattori del Fondo Vivaldi come pure l'illustre musicologo, tutti ebrei, furono costretti a scappare dall'Italia. Scrive. " L'idiozia del regime liquiderà gli artefici del progetto: fugge il professor Gentili, 'epurato' dalle leggi antisemitiche e scappano all'estero sia Foà che Giordano'. Secondo la Bentivoglio il regime si sarebbe dovuto ricordare dei due benefattori e dell'insigne studioso, al momento delle leggi razziali e graziarli, quando si dimenticherà colpevolmente e senza scusa alcuna di tante personalità del nostro paese. Quelle leggi insensate che gettano davvero una luce sinistra sul regime, quelle sì vanno duramente criticate. Ma è lecito in base a questo principio, gettare fango sull'architettura razionalista, che il regime promosse, come sul ritrovamento e sull'acquisizione della musica di Vivaldi, per la quale il regime nulla fece a favore ma neanche contro?
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sabato 18 aprile 2015
Gran ballo al Colosseo. La grande trovata del ministro Franceschini, fra crolli abbandoni e disfacimenti
Ci chiediamo spesso cosa si prefigga un ministro al momento in cui prende possesso del suo dicastero. Ad esempio Franceschini cosa vuole fare, di cosa vuole che si parli in futuro per gli anni in cui ha governato il Ministero dei beni e delle attività culturali, aiutato da quella brava persona che è Salvo Nastasi - nel caso specifico del Colosseo- solo con un sostegno morale, quello pratico avverrà più avanti.
Scavi e siti che vanno in rovina, musei chiusi in giorni di grande affluenza di pubblico, interventi fuori luogo a proposito di opere d'arte da mandare in giro... soprattutto di questo ci si ricorderà in futuro di Franceschini. ma anche di tutti gli altri ministri che lo hanno preceduto, e che ricordiamo noi negli ultimi vent'anni, da Rutelli a Urbani, a Buttiglione, a Bondi, a Ornaghi a Galan. Per queste disfatte soprattutto li ricorderemo, e qualcuno perchè ha messo dei beni che avrebbe dovuto custodire e proteggere nelle mani di qualche ladrone, come nel caso di Galan - che dietro consiglio di Dell'Utri, mette un ottimo ladrone di libri antichi alla Biblioteca dei Girolamini di Napoli. Il ministro si chiamava Galan, ladro anch'egli come si evince dall'inchiesta veneziana relativa al Mose.
Ma Franceschini, no, vuole essere ricordato anche per altro. Franceschini ha ben altri progetti per la testa, per i quali ha in casa un' ottima consigliera, la sua nuova consorte che presiede la Commissione cultura del Comune di Roma. Franceschini si è messo in testa di fare un gran ballo annuale al Colosseo. Solo allora gli sarà di grande aiuto la consulenza di Nastasi. E per fare ciò che, a detta del ministro, sicuramente porterà tanti soldi nelle casse dello Stato, a causa dei diritti televisivi, ha deciso di rifare, in legno (speriamo non gli venga in mente di usare il cemento armato, come è accaduto al Teatro Grande di Pompei, dove nessuno ancora è finito in galera, ma ci sono parecchi inquisiti, anche del suo ministero) la platea del grande anfiteatro che coprirà interamente i sotterranei che forse potrebbero essere addirittura protetti da tale intervento.
Con quali soldi signor ministro? Non va ogni giorno dicendo che molto ci sarebbe da fare per proteggere il nostro patrimonio e che non ha i soldi per farlo e perciò chiede aiuto ai privati, come del resto sì è messo a fare anche il suo amico Ignazio Marino- dietro consiglio sempre di sua moglie Di Biase? No, per questo intervento, per il quale i posteri parleranno di Franceschini i soldi ci sono. Ma dove li ha trovati? E perchè non li ha destinati alla protezione, o alla salvaguardia del nostro immenso patrimonio, che è uno dei motori di sviluppo e crescita del nostro paese, come anche ieri ha dichiarato il premier Renzi?
Franceschini vuole essere ricordato come il Ministro che ha riportato il Colosseo ad essere luogo di spettacolo come accadeva fino all'Ottocento. E non solo per questo, ora che ricordiamo una delle sue strabilianti recenti uscite pubbliche. Anche per aver sollecitato ministro dell'Istruzione e insegnanti a portare a scuola e far studiare i testi delle canzoni dei nostri cantautori, alla stessa maniera con cui si fanno studiare Dante, Leopardi, Pascoli Carducci o Foscolo, che si studino anche Dalla, De André, Vecchioni.
Scavi e siti che vanno in rovina, musei chiusi in giorni di grande affluenza di pubblico, interventi fuori luogo a proposito di opere d'arte da mandare in giro... soprattutto di questo ci si ricorderà in futuro di Franceschini. ma anche di tutti gli altri ministri che lo hanno preceduto, e che ricordiamo noi negli ultimi vent'anni, da Rutelli a Urbani, a Buttiglione, a Bondi, a Ornaghi a Galan. Per queste disfatte soprattutto li ricorderemo, e qualcuno perchè ha messo dei beni che avrebbe dovuto custodire e proteggere nelle mani di qualche ladrone, come nel caso di Galan - che dietro consiglio di Dell'Utri, mette un ottimo ladrone di libri antichi alla Biblioteca dei Girolamini di Napoli. Il ministro si chiamava Galan, ladro anch'egli come si evince dall'inchiesta veneziana relativa al Mose.
Ma Franceschini, no, vuole essere ricordato anche per altro. Franceschini ha ben altri progetti per la testa, per i quali ha in casa un' ottima consigliera, la sua nuova consorte che presiede la Commissione cultura del Comune di Roma. Franceschini si è messo in testa di fare un gran ballo annuale al Colosseo. Solo allora gli sarà di grande aiuto la consulenza di Nastasi. E per fare ciò che, a detta del ministro, sicuramente porterà tanti soldi nelle casse dello Stato, a causa dei diritti televisivi, ha deciso di rifare, in legno (speriamo non gli venga in mente di usare il cemento armato, come è accaduto al Teatro Grande di Pompei, dove nessuno ancora è finito in galera, ma ci sono parecchi inquisiti, anche del suo ministero) la platea del grande anfiteatro che coprirà interamente i sotterranei che forse potrebbero essere addirittura protetti da tale intervento.
Con quali soldi signor ministro? Non va ogni giorno dicendo che molto ci sarebbe da fare per proteggere il nostro patrimonio e che non ha i soldi per farlo e perciò chiede aiuto ai privati, come del resto sì è messo a fare anche il suo amico Ignazio Marino- dietro consiglio sempre di sua moglie Di Biase? No, per questo intervento, per il quale i posteri parleranno di Franceschini i soldi ci sono. Ma dove li ha trovati? E perchè non li ha destinati alla protezione, o alla salvaguardia del nostro immenso patrimonio, che è uno dei motori di sviluppo e crescita del nostro paese, come anche ieri ha dichiarato il premier Renzi?
Franceschini vuole essere ricordato come il Ministro che ha riportato il Colosseo ad essere luogo di spettacolo come accadeva fino all'Ottocento. E non solo per questo, ora che ricordiamo una delle sue strabilianti recenti uscite pubbliche. Anche per aver sollecitato ministro dell'Istruzione e insegnanti a portare a scuola e far studiare i testi delle canzoni dei nostri cantautori, alla stessa maniera con cui si fanno studiare Dante, Leopardi, Pascoli Carducci o Foscolo, che si studino anche Dalla, De André, Vecchioni.
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Marino,
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urbani,
vechioni
Non c'è più religione. L'IPAB di santa Maria in Aquiro a Roma
La corruzione non risparmia ormai più nulla, neppure santi e madonne. La ricchissima IPAB di Santa Maria in Aquiro di Roma, accasata nell'omonima chiesa romana, che ha come scopo statutario l'assistenza agli orfani, il sostegno all'educazione ed alla formazione delle fasce disagiate ecc... nasce dalla riunione di un discreto gruppo di associazioni benefiche antichissime alle quali sono andate nei secoli donazioni e lasciti importanti, al punto da portare il suo patrimonio - la valutazione è della metà degli anni Novanta - ad oltre 90 miliardi di vecchie lire.
Chi non conosce neppure lontanamente questa storia, neanche suprficialmente, si meraviglia del perchè nei giorni scorsi si sia parlato sui giornali di questa IPAB per la quale la amministrazione regionale che la govern,a nomina presidente e ristrettissimo consiglio di amministrazione. La Polverini, se ricordiamo bene le cose, aveva nominato - come ti puoi sbagliare - un bel giro di brave persone. Ancora una volta un immenso patrimonio pubblico da amministrare che fa gola a chi governa, perchè può decidere quale strada far prendere ai fondi destinati agli scopi statutari.
Sentimmo parlare la prima volta di questa IPAB, dal curioso nome della Chiesa omonima, nel 2007, per una manifestazione dell'Accademia di Santa Cecilia, che aveva come destinataria finale la Juni Orchestra che appena un anno prima era sorta in Accademia, la quale teneva un concerto per i malati. A proposito della Juni Orchestra e dell'Accademia, serve precisare che i ragazzi di ogni età che partecipano alle manifestazioni ed ai corsi organizzati da Santa Cecilia, pagano una quota annuale non indifferente. Solo per chiarire che tali attività PORTANO SOLDI all'Accademia musicale intitolata ad un'altra santa. E non sono il frutto di attività 'benefiche ' dell'Accademia che vuole diffondere la musica e creare un nuovo pubblico, quello di domani. Ma anche allora non pensavamo di quali appetiti fosse oggetto la santa IPAB.
Adesso che sappiamo le cose un pò meglio ci rendiamo conto di quanto accanimento ci sia attorno a quell'osso ancora da spolpare. Altro che beneficienza, altro che fini umanitari. Si tratta della solita compagnia di giro di ladroni di professione.
Sarebbe bello andare a vedere quanti finti poveri - solitamente legati a politici o politici essi stessi - abitano l'immenso patrimonio immobiliare della nostra IPAB
Chi non conosce neppure lontanamente questa storia, neanche suprficialmente, si meraviglia del perchè nei giorni scorsi si sia parlato sui giornali di questa IPAB per la quale la amministrazione regionale che la govern,a nomina presidente e ristrettissimo consiglio di amministrazione. La Polverini, se ricordiamo bene le cose, aveva nominato - come ti puoi sbagliare - un bel giro di brave persone. Ancora una volta un immenso patrimonio pubblico da amministrare che fa gola a chi governa, perchè può decidere quale strada far prendere ai fondi destinati agli scopi statutari.
Sentimmo parlare la prima volta di questa IPAB, dal curioso nome della Chiesa omonima, nel 2007, per una manifestazione dell'Accademia di Santa Cecilia, che aveva come destinataria finale la Juni Orchestra che appena un anno prima era sorta in Accademia, la quale teneva un concerto per i malati. A proposito della Juni Orchestra e dell'Accademia, serve precisare che i ragazzi di ogni età che partecipano alle manifestazioni ed ai corsi organizzati da Santa Cecilia, pagano una quota annuale non indifferente. Solo per chiarire che tali attività PORTANO SOLDI all'Accademia musicale intitolata ad un'altra santa. E non sono il frutto di attività 'benefiche ' dell'Accademia che vuole diffondere la musica e creare un nuovo pubblico, quello di domani. Ma anche allora non pensavamo di quali appetiti fosse oggetto la santa IPAB.
Adesso che sappiamo le cose un pò meglio ci rendiamo conto di quanto accanimento ci sia attorno a quell'osso ancora da spolpare. Altro che beneficienza, altro che fini umanitari. Si tratta della solita compagnia di giro di ladroni di professione.
Sarebbe bello andare a vedere quanti finti poveri - solitamente legati a politici o politici essi stessi - abitano l'immenso patrimonio immobiliare della nostra IPAB
giovedì 16 aprile 2015
'Se non vediamo non crediamo' vale anche per i miracoli di Fuortes all'Opera di Roma
Insomma un teatro sull'orlo della chiusura per fallimento , come l'Opera di Roma, che a fine 2013 ha un indebitamento netto di 30 milioni di Euro, che nel 2014 a causa di vari incidenti - non ultimi quelli di Caracalla - perde soldi, che ha fatto la brutta figura internazionale con il progetto dell'esternalizzazione che ha poi fatto rientrare per non beccarsi anche i fischi, quello stesso teatro- e cioè l'Opera di Roma - si ritroverebbe, secondo le dichiarazioni di Carlo Fuortes, neo sovrintendente dell'Opera, ormai in piena salute, per effetto del prestito agevolato, consentitogli dalla legge Bray di 25 milioni, dei quali avrebbe ricevuto finora solo 5 milioni e ne attende altri 15 a breve? Se è così allora facciamolo sovrintendente d'Italia, perchè dove va lui c'è il miracolo del pareggio di bilancio, come è già accaduto a Bari, dove, se le nostre informazioni sono esatte, il Petruzzelli deve ricorrere alla legge Bray perchè si trova nella stessa situazione di Roma. Ma a Bari non c'è stato, fino alla fine del 2013, Carlo Fuortes? Non l'aveva risanato quel teatro, con un'orchestra dallo statuto particolare, il cui peso cadeva tutto sulle spalle dei giovani musicisti?
Insomma a Roma per Fuortes è tutto risanato. Introiti al botteghino aumentati e pure gli abbonamenti ( per i quali sempre a causa di Caracalla e successivi casini disse che gli abbonamenti erano diminuiti, mentre ora si dicono aumentati) produttività in fortissimo aumento: quest'anno 50 spettacoli in più ( che vuol dire? recite d'opera? sicuramente no! Concerti? forse qualcuno in più. Varie uscite fuori del Costanzi? più probabili).
E gli sponsor, di quelli che facevano la fila davanti alla porta del suo ufficio, e che poi son fuggiti via dopo gli scioperi di Caracalla, cui Fuortes ha imputato la loro fuga? Sponsor di peso - come ad esempio ne hanno Scala e Santa Cecilia - l'Opera di Roma non ne ha, non ne ha avuti neanche ai tempi di Muti ( per il quale consigliamo Fuortes, di non sventolarne più la ridicola bandiera della 'direzione onoraria a vita', tanto Muti non tornerà; farebbe anche una pessima figura, ritornando, perciò se lo scordi Fuortes, e non la minacci più. pensi piuttosto a trovare un ottimo direttore musicale in sua sostituzione).
Un teatro che si rispetti e che vuole essere rispettato non aspetta l'autunno per annunciare la prossima stagione che inizierà subito dopo. Non ci venga a dire Fuortes che solo ora si è avuta la conferma di Vlad e l'aggiunta di Battistelli. Per la stagione d'opera non serve ricordare che Vlad non è mai uscito da quel teatro, nonostante gli annunci di discontinuità - come si dice, ma nella continuità nel caso in questione - neanche per un minuto, dopo l'uscita di Muti che lo aveva sponsorizzato. E dunque Vlad con Fuortes all'Opera dal dicembre 2013, ha dovuto necessariamente programmare anche la prossima stagione. Perchè allora non la si annuncia? Forse perchè non è ancora pronta? O perché fino all'altro ieri non sapeva di quanto disponeva? E tutti i milioni di cui ha parlato anche ieri? Ma allora perchè cantare vittoria quando l'esito della guerra non è ancora chiaro?
Da Fuortes noi ci aspettiamo che canti vittoria a guerra finita, e la guerra ora è solo cominciata. A chiusura di bilancio, verificata e controllata da una società terza, non bastano i revisori dei conti che fa questo di mestiere - come quella cui fa verificare i bilanci dell'Auditorium - allora gli diremo bravo. Altrimenti se dobbiamo fidarci solo dei proclami - quali sono quelli di oggi - anche De Martino e tanti altri sovrintendenti , compresi quelli che hanno lasciato buchi enormi nei bilanci, erano bravi amministratori.
Ed allora avrà anche il diritto di denunciare il calunniatore che parli di eventuali trucchi di bilancio, esattamente come fece, qualche anno fa all'Auditorium, con Mollicone, il famosissimo esponente della giunta Alemanno, ma in quota ad altro capo del partito romano. Per intenderci quello che si oppose alla cittadinanza onoraria romana a Muti il quale quando gli riferirono della cosa, con la sua solita pungente ironia commentò: a Roma non conosco nessun Mollicone, solo Morricone!
Insomma a Roma per Fuortes è tutto risanato. Introiti al botteghino aumentati e pure gli abbonamenti ( per i quali sempre a causa di Caracalla e successivi casini disse che gli abbonamenti erano diminuiti, mentre ora si dicono aumentati) produttività in fortissimo aumento: quest'anno 50 spettacoli in più ( che vuol dire? recite d'opera? sicuramente no! Concerti? forse qualcuno in più. Varie uscite fuori del Costanzi? più probabili).
E gli sponsor, di quelli che facevano la fila davanti alla porta del suo ufficio, e che poi son fuggiti via dopo gli scioperi di Caracalla, cui Fuortes ha imputato la loro fuga? Sponsor di peso - come ad esempio ne hanno Scala e Santa Cecilia - l'Opera di Roma non ne ha, non ne ha avuti neanche ai tempi di Muti ( per il quale consigliamo Fuortes, di non sventolarne più la ridicola bandiera della 'direzione onoraria a vita', tanto Muti non tornerà; farebbe anche una pessima figura, ritornando, perciò se lo scordi Fuortes, e non la minacci più. pensi piuttosto a trovare un ottimo direttore musicale in sua sostituzione).
Un teatro che si rispetti e che vuole essere rispettato non aspetta l'autunno per annunciare la prossima stagione che inizierà subito dopo. Non ci venga a dire Fuortes che solo ora si è avuta la conferma di Vlad e l'aggiunta di Battistelli. Per la stagione d'opera non serve ricordare che Vlad non è mai uscito da quel teatro, nonostante gli annunci di discontinuità - come si dice, ma nella continuità nel caso in questione - neanche per un minuto, dopo l'uscita di Muti che lo aveva sponsorizzato. E dunque Vlad con Fuortes all'Opera dal dicembre 2013, ha dovuto necessariamente programmare anche la prossima stagione. Perchè allora non la si annuncia? Forse perchè non è ancora pronta? O perché fino all'altro ieri non sapeva di quanto disponeva? E tutti i milioni di cui ha parlato anche ieri? Ma allora perchè cantare vittoria quando l'esito della guerra non è ancora chiaro?
Da Fuortes noi ci aspettiamo che canti vittoria a guerra finita, e la guerra ora è solo cominciata. A chiusura di bilancio, verificata e controllata da una società terza, non bastano i revisori dei conti che fa questo di mestiere - come quella cui fa verificare i bilanci dell'Auditorium - allora gli diremo bravo. Altrimenti se dobbiamo fidarci solo dei proclami - quali sono quelli di oggi - anche De Martino e tanti altri sovrintendenti , compresi quelli che hanno lasciato buchi enormi nei bilanci, erano bravi amministratori.
Ed allora avrà anche il diritto di denunciare il calunniatore che parli di eventuali trucchi di bilancio, esattamente come fece, qualche anno fa all'Auditorium, con Mollicone, il famosissimo esponente della giunta Alemanno, ma in quota ad altro capo del partito romano. Per intenderci quello che si oppose alla cittadinanza onoraria romana a Muti il quale quando gli riferirono della cosa, con la sua solita pungente ironia commentò: a Roma non conosco nessun Mollicone, solo Morricone!
mercoledì 15 aprile 2015
Chris Merritt deve tornare a cantare
Dalle
platee più luminose della Scala, del Met, del Covent Garden, del
Rossini Opera Festival di Pesaro, al buio della disperazione e della
miseria. E' la parabola di Chris Merritt, il grande tenore americano,
considerato uno dei massimi interpreti del '900 del Rossini serio e
in genere del belcanto italiano, che lancia un crowdfunding sul sito
'gofundme', al colmo della disperazione. "Non ho un soldo per
pagare le mie necessità primarie, come spostamenti, alloggi o cibo,
né per pagare le bollette del telefono, dell'acqua o
dell'assicurazione sanitaria", spiega il cantante, la cui
carriera ha subito un forte declino alla fine degli anni '90.
"A
causa di una sfortunata gestione manageriale - scrive Merritt - la
mia carriera ha subito una tremenda flessione fino al punto di
sparire dalle scene. Per questa ragione sono stato costretto a dare
fondo a tutti i miei risparmi", prosegue nell'appello il
cantante, che dice di volere ricominciare a calcare i palcoscenici ma
di non avere un management. Per questo ha lanciato il crowdfunding,
con il quale spera di racimolare la somma di 20mila euro, necessaria
per rilanciare la sua carriera. Stando ai dati pubblicati sul sito
'gofundme', il cantante avrebbe raccolto 11.360 euro da 101 donatori
in quattro giorni. Quante sono le probabilità di rivedere il 63enne
tenore sulle scene?
Il TAR rigetta il ricorso di De Martino, ex sovrintendente e direttore generale dell'Opera di Roma, contro il suo licenziamento
Il TAR ha dato ragione all'Opera di Roma per il licenziamento di De Martino. Fuortes come commissario dell'Opera - ora sovrintendente - aveva licenziato il direttore generale del teatro, sempre De Martino che tale l'incarico si era attribuito, per generosità di Alemanno, assieme a quello di Sovrintendente. Forse anche perchè questo secondo incarico, se pure per un breve periodo, era disgiunto da quello di Sovrintendente e De Martino avrebbe potuto tenerlo, se avesse ben amministrato. I giudici del tribunale amministrativo dicono anche di più. De Martino non solo non ha ben amministrato, ma non SAPEVA amministrare, perché altrimenti avrebbe... e citano la serie lunga di sue inadempienze di direttore generale, non dissimili da quelle di sovrintendente che hanno portato il teatro sull'orlo del fallimento.
In calce a tale condanna ve ne è una seconda che riguarda alcune spesucce fatte con la carta di credito del teatro, ma questa è roba da mariuoli, di cui è zeppa la pubblica amministrazione come i rappresentanti eletti al Parlamento alle Regioni fino ai consigli di circoscrizione.Gente che alla prima occasione di spendere soldi di altri, non ci pensano due volte, neppure quando gli altri in questione sono i cittadini, trattandosi di soldi pubblici. Una vergogna. Che non finisce mai e non si arresta certo qui. Si veda il caso dei parlamentari e consiglieri regionali condannati che percepiscono ancora vitalizi dallo Stato.Oggi un ex presidente della Consulta, Zagrebelsky, accusa i giuristi, dei quali si fanno scudo i parlamentari per sostenere che è contro la legge togliere il vitalizio ai condannati. Per fare un altro caso di segno simile, Galan, condannato per furto allo Stato, non si dimette dalla presidenza della Commissione cultura del Senato. Che è l'emblema della generazione indegna che compone la nostra classe politica.
Ma per tornare al caso De Martino l'odierna sentenza del TAR afferma indirettamente un'altra cosa che a noi conferma la colpevolezza della classe politica che quando sceglie gli amministratori, molto spesso non va a verificarne le competenze, ma si basa unicamente sul loro 'stato di servizio' al politico di turno. Insomma il TAR ha anche condannato la scelta di Alemanno, dichiarando che De Martino, che di suo ha fatto anche un buco enorme nel bilancio, NON SAPEVA FARE Il SUO MESTIERE.
A noi, in via confidenziale, un dirigente dell'Accademia di Santa Cecilia, quando De Martino lasciò il suo incarico di 'direttore del personale' per assumere - per grazia di Alemanno - quello di Sovrintendente dell'Opera, ci disse: finalmente ce ne siamo liberati. Resterebbe da indagare su chi lo aveva fatto approdare a Santa Cecilia e perchè. Ma questo ora non ci interessa.
In calce a tale condanna ve ne è una seconda che riguarda alcune spesucce fatte con la carta di credito del teatro, ma questa è roba da mariuoli, di cui è zeppa la pubblica amministrazione come i rappresentanti eletti al Parlamento alle Regioni fino ai consigli di circoscrizione.Gente che alla prima occasione di spendere soldi di altri, non ci pensano due volte, neppure quando gli altri in questione sono i cittadini, trattandosi di soldi pubblici. Una vergogna. Che non finisce mai e non si arresta certo qui. Si veda il caso dei parlamentari e consiglieri regionali condannati che percepiscono ancora vitalizi dallo Stato.Oggi un ex presidente della Consulta, Zagrebelsky, accusa i giuristi, dei quali si fanno scudo i parlamentari per sostenere che è contro la legge togliere il vitalizio ai condannati. Per fare un altro caso di segno simile, Galan, condannato per furto allo Stato, non si dimette dalla presidenza della Commissione cultura del Senato. Che è l'emblema della generazione indegna che compone la nostra classe politica.
Ma per tornare al caso De Martino l'odierna sentenza del TAR afferma indirettamente un'altra cosa che a noi conferma la colpevolezza della classe politica che quando sceglie gli amministratori, molto spesso non va a verificarne le competenze, ma si basa unicamente sul loro 'stato di servizio' al politico di turno. Insomma il TAR ha anche condannato la scelta di Alemanno, dichiarando che De Martino, che di suo ha fatto anche un buco enorme nel bilancio, NON SAPEVA FARE Il SUO MESTIERE.
A noi, in via confidenziale, un dirigente dell'Accademia di Santa Cecilia, quando De Martino lasciò il suo incarico di 'direttore del personale' per assumere - per grazia di Alemanno - quello di Sovrintendente dell'Opera, ci disse: finalmente ce ne siamo liberati. Resterebbe da indagare su chi lo aveva fatto approdare a Santa Cecilia e perchè. Ma questo ora non ci interessa.
martedì 14 aprile 2015
Zubin Mehta lascerà l'Opera di Firenze dopo il 2017
Della successione al noto direttore indiano, fedelissimo alla sua orchestra fiorentina, al punto di scegliere di vivere in una bella dimora sulle colline, si parla da tempo, e negli ultimi mesi s'é perfino detto che stava lì lì per lasciare il suo posto a Daniele Gatti. Nelle more dell'indecisione, Gatti è stato nominato ad Amsterdam, al Concertgebouw, e perciò addio Firenze. Vuoi mettere Amsterdam con Firenze? Ora il sovrintendente Bianchi, a margine della presentazione dell'opera inaugurale del prossimo Maggio ( settantottesimo), ha annunciato che si sta pensando al successore di Mehta, che comunque resterà legato all'Opera di Firenze anche dopo il 2017, e che lo sarà per l'eternità, direttore a vita', che è poi la sorte dei direttori che lasciano, da karajan (Berliner) a Muti (Opera di Roma).
L'unica cosa che Bianchi deve fare e presto è pensare ad un nome di prestigio, per ridare, qualora lo abbia perso anche solo in parte o corra il pericolo di perderlo in futuro, smalto all'orchestra. E perciò bando ai giovanotti che in questi ultimi tempi, sull'esempio, da non imitare, della Scala gestione Lissner, hanno scorazzato in Italia, e scelta di una bacchetta sicura, anche non italiana, come nella tradizione fiorentina, dopo Muti.
Le orchestre italiane, tutte senza eccezione, hanno bisogno di direttori autorevoli e preparati, senza dei quali, in un batter d'occhio le orchestre si adagiano e finiscono agli ultimi posti della classifica di eccellenza. I grandi teatri, quelli che vantano storica tradizione, devono assicurarsi grandi direttori. Questa regola di buon senso non conosce eccezioni. Ogni volta che si è voluto disattenderla, la catastrofe si è puntualmente presentata. E i giovani, i giovani, per i quali quasi ogni giorno ci battiamo? I giovani, specie nella direzione d'orchestra - che è cosa molto diversa da uno strumento - devono fare il loro apprendistato non alla Scala o in altri prestigiose istituzioni; queste devono sempre rappresentare un traguardo ed un punto di arrivo, mai di partenza, anche in presenza di particolari doti. Mentre oggi accade che un qualunque giovane, dotato, basta che goda dell' appoggio di un direttore celebre, e debutta alla Scala, anche se non sa tenere ancora la bacchetta in mano. Non deve generare qualche sospetto, il fatto che queste improvvise fortune tocchino quasi sempre direttorini stranieri, mai un giovane italiano al quale si domanda di fare la gavetta fuori Italia o in Italia, prima di accedere ai grandi palcoscenici del suo e nostro paese?
Perciò Bianchi scelga sulla base della bravura, dell'esperienza ed anche del carisma ( un pò non guasta), il suo prossimo direttore stabile. E non chieda consigli a Nardella, o peggio a Renzi o addirittura a Nastasi - che negli ultimi tempi sì è distinto soprattutto per pasticci e casini e che nulla sa della materia - si fidi di chi della materia ne capisce e non ha nessun figlio di... da proporre .
L'unica cosa che Bianchi deve fare e presto è pensare ad un nome di prestigio, per ridare, qualora lo abbia perso anche solo in parte o corra il pericolo di perderlo in futuro, smalto all'orchestra. E perciò bando ai giovanotti che in questi ultimi tempi, sull'esempio, da non imitare, della Scala gestione Lissner, hanno scorazzato in Italia, e scelta di una bacchetta sicura, anche non italiana, come nella tradizione fiorentina, dopo Muti.
Le orchestre italiane, tutte senza eccezione, hanno bisogno di direttori autorevoli e preparati, senza dei quali, in un batter d'occhio le orchestre si adagiano e finiscono agli ultimi posti della classifica di eccellenza. I grandi teatri, quelli che vantano storica tradizione, devono assicurarsi grandi direttori. Questa regola di buon senso non conosce eccezioni. Ogni volta che si è voluto disattenderla, la catastrofe si è puntualmente presentata. E i giovani, i giovani, per i quali quasi ogni giorno ci battiamo? I giovani, specie nella direzione d'orchestra - che è cosa molto diversa da uno strumento - devono fare il loro apprendistato non alla Scala o in altri prestigiose istituzioni; queste devono sempre rappresentare un traguardo ed un punto di arrivo, mai di partenza, anche in presenza di particolari doti. Mentre oggi accade che un qualunque giovane, dotato, basta che goda dell' appoggio di un direttore celebre, e debutta alla Scala, anche se non sa tenere ancora la bacchetta in mano. Non deve generare qualche sospetto, il fatto che queste improvvise fortune tocchino quasi sempre direttorini stranieri, mai un giovane italiano al quale si domanda di fare la gavetta fuori Italia o in Italia, prima di accedere ai grandi palcoscenici del suo e nostro paese?
Perciò Bianchi scelga sulla base della bravura, dell'esperienza ed anche del carisma ( un pò non guasta), il suo prossimo direttore stabile. E non chieda consigli a Nardella, o peggio a Renzi o addirittura a Nastasi - che negli ultimi tempi sì è distinto soprattutto per pasticci e casini e che nulla sa della materia - si fidi di chi della materia ne capisce e non ha nessun figlio di... da proporre .
I direttori dei conservatori selezionatori dei nuovi docenti? Dio ci scampi e liberi! In margine ad una lettera di Sara Zurletti a Repubblica
Sara Zurletti, figlia del nostro collega Michelangelo, brillante studiosa di 'estetica' - non 'estetista', lo precisiamo per quell'unico direttore di conservatorio, in Italia, che eventualmente dimentica la differenza, pur conoscendola - e insegnante precaria. La quale, in tale condizione, che in famiglia non si conosceva, perchè sia suo padre che sua madre, ora in pensione, insegnavano, di ruolo, dall'eternità, inorridisce, a ragione, all'idea che a scegliere i prossimi docenti di conservatorio, fra i precari, in tale condizione anche se aventi diritto a seguito di abilitazioni ed altro - siano i direttori. Chi conosce l'ambiente sa di cosa la giovane Zurletti parla. E ne scrive al giornale che fu di suo padre. Condividiamo in pieno le sue lamentele e i suoi timori.
A noi è stata raccontata , a proposito, una storia che ci piace ripetervi, perchè fa al caso anche della giovane Zurletti.
Ci hanno raccontato che un insegnante, ormai alla fine della carriera in Conservatorio perchè prossimo alla pensione, un giorno ebbe a dire con lettera personale indirizzata al candidato-direttore dell'istituzione quel che pensava di lui. E non si trattava di denigrazione. Di lui pensava, gli scrisse, che fosse un perfetto idiota, per giunta con l'aggravante dell'ignorante totale. E che perciò era l'ultima persona che aveva da candidarsi alla direzione di un istituto e che lui, per quel che lo riguardava, non lo avrebbe votato. Per fare un favore all'istituzione.
Il candidato-direttore - la Zurletti non era a conoscenza di tale storia, ma ha visto giusto, perchè di casi analoghi è pieno il settore AFAM, il settore dell'Istruzione artistica - venne ovviamente eletto direttore, quasi a grande maggioranza, da un gregge di insegnanti pronti a difendere le proprie piccole parrocchiette privilegiate e a non voler noie con il nuovo arrivato che, in fatto di ignoranza se la batteva con molti di loro. Il quale, una volta eletto, per ringraziarli ed ingraziarseli ancora, anche in previsione della successiva riconferma, distribuì elemosine a tutti, facendo fare a buona parte del corpo docente corsetti e seminariucci inutili e costosi.
Non finisce qui, perchè l'interessato ci ha anche raccontato quale sorte toccò a quell'insegnate che aveva osato gridare in faccia al candidato direttore quanto idiota ed ignorante egli fosse.
Per i giorni, pochissimi, che quell'insegnante restò in Conservatorio, l'idiota ed ignorante direttore, le tentò tutte. Naturalmente l'insegnante tirò dritto per la sua strada. Non contento l'idiota ed ignorante promosse azioni di vera e propria denigrazione e delegittimazione nei confronti di quell'unico insegnante che aveva osato dirgli le cose in faccia. La storia ebbe anche un seguito,che però l'interessato non ci ha raccontato.
Ora che abbiamo i capelli bianchi e che abbiamo insegnato per tanti anni, possiamo testimoniare davanti a Dio e davanti agli uomini, che di ignoranti ne abbiamo incontrati moltissimi, senz'altro in numero maggiore dei competenti, che forse sono in media 4 o 5 su 100, fra gli insegnanti e gli stessi direttori. Abbiamo incontrato anche psicopatici, fra insegnanti e direttori pure, e persone psichicamente molto turbate, tanto che in taluni consessi dei docenti, scherzando ma non troppo, facemmo presente la necessità di avere in conservatorio un presidio psichiatrico, che avrebbe avuto molti clienti, quasi esclusivamente fra gli insegnanti, e qualcuno appena fra gli allievi.
La nostra convinzione scaturisce anche dal fatto che, oltre che nelle sedi dei conservatori, le nostre varie esperienze di riviste di musica ci hanno offerto un quadro della quasi inutilità del nostro lavoro, se pensato e diretto a tutti coloro che insegnano nei Conservatori. Forse le tante riviste che abbiamo fatto le leggevano soprattutto gli amanti della musica, e nei conservatori, più gli allievi che i loro insegnanti, che non solo non leggevano le riviste, ma non leggevano neanche un libro e neppure un giornale. E che continuano a non leggere per un patto stretto con l'istituzione al momento della nomina in ruolo. Chi non è convinto, ascolti un direttore di conservatorio, o un insegnante od anche un preside qualunque, si renderà conto di persona che non conosce neanche l'italiano, come non lo conoscono neanche al Ministero dell'Istruzione o dell'Università, a giudicare dai loro illeggibili decreti.
Alla giovane competente precaria Zurletti , consigliamo di non smettere di lottare, di denunciare, ma nello stesso tempo di non sperare che le cose cambieranno presto. Certamente non prima che ci sia una morìa - non reale - degli attuali insegnanti di tutti i conservatori italiani.
P.S. Possiamo aggiungere che quasi nessuno degli attuali insegnanti di Conservatorio (vale anche per i direttori) ha mai esercitato la professione musicale che presume di insegnare ai propri allievi; e che l'insegnamento nella loro carriera non è scaturito da una scelta, ma da un ripiego necessario: non potendo fare il musicista ha provato a fare l'insegnante di musica; con il vantaggio che nessuno lo fischierà, come sarebbe accaduto in una qualunque sala da concerto, anche la più piccola, sperduta e squalificata.
A noi è stata raccontata , a proposito, una storia che ci piace ripetervi, perchè fa al caso anche della giovane Zurletti.
Ci hanno raccontato che un insegnante, ormai alla fine della carriera in Conservatorio perchè prossimo alla pensione, un giorno ebbe a dire con lettera personale indirizzata al candidato-direttore dell'istituzione quel che pensava di lui. E non si trattava di denigrazione. Di lui pensava, gli scrisse, che fosse un perfetto idiota, per giunta con l'aggravante dell'ignorante totale. E che perciò era l'ultima persona che aveva da candidarsi alla direzione di un istituto e che lui, per quel che lo riguardava, non lo avrebbe votato. Per fare un favore all'istituzione.
Il candidato-direttore - la Zurletti non era a conoscenza di tale storia, ma ha visto giusto, perchè di casi analoghi è pieno il settore AFAM, il settore dell'Istruzione artistica - venne ovviamente eletto direttore, quasi a grande maggioranza, da un gregge di insegnanti pronti a difendere le proprie piccole parrocchiette privilegiate e a non voler noie con il nuovo arrivato che, in fatto di ignoranza se la batteva con molti di loro. Il quale, una volta eletto, per ringraziarli ed ingraziarseli ancora, anche in previsione della successiva riconferma, distribuì elemosine a tutti, facendo fare a buona parte del corpo docente corsetti e seminariucci inutili e costosi.
Non finisce qui, perchè l'interessato ci ha anche raccontato quale sorte toccò a quell'insegnate che aveva osato gridare in faccia al candidato direttore quanto idiota ed ignorante egli fosse.
Per i giorni, pochissimi, che quell'insegnante restò in Conservatorio, l'idiota ed ignorante direttore, le tentò tutte. Naturalmente l'insegnante tirò dritto per la sua strada. Non contento l'idiota ed ignorante promosse azioni di vera e propria denigrazione e delegittimazione nei confronti di quell'unico insegnante che aveva osato dirgli le cose in faccia. La storia ebbe anche un seguito,che però l'interessato non ci ha raccontato.
Ora che abbiamo i capelli bianchi e che abbiamo insegnato per tanti anni, possiamo testimoniare davanti a Dio e davanti agli uomini, che di ignoranti ne abbiamo incontrati moltissimi, senz'altro in numero maggiore dei competenti, che forse sono in media 4 o 5 su 100, fra gli insegnanti e gli stessi direttori. Abbiamo incontrato anche psicopatici, fra insegnanti e direttori pure, e persone psichicamente molto turbate, tanto che in taluni consessi dei docenti, scherzando ma non troppo, facemmo presente la necessità di avere in conservatorio un presidio psichiatrico, che avrebbe avuto molti clienti, quasi esclusivamente fra gli insegnanti, e qualcuno appena fra gli allievi.
La nostra convinzione scaturisce anche dal fatto che, oltre che nelle sedi dei conservatori, le nostre varie esperienze di riviste di musica ci hanno offerto un quadro della quasi inutilità del nostro lavoro, se pensato e diretto a tutti coloro che insegnano nei Conservatori. Forse le tante riviste che abbiamo fatto le leggevano soprattutto gli amanti della musica, e nei conservatori, più gli allievi che i loro insegnanti, che non solo non leggevano le riviste, ma non leggevano neanche un libro e neppure un giornale. E che continuano a non leggere per un patto stretto con l'istituzione al momento della nomina in ruolo. Chi non è convinto, ascolti un direttore di conservatorio, o un insegnante od anche un preside qualunque, si renderà conto di persona che non conosce neanche l'italiano, come non lo conoscono neanche al Ministero dell'Istruzione o dell'Università, a giudicare dai loro illeggibili decreti.
Alla giovane competente precaria Zurletti , consigliamo di non smettere di lottare, di denunciare, ma nello stesso tempo di non sperare che le cose cambieranno presto. Certamente non prima che ci sia una morìa - non reale - degli attuali insegnanti di tutti i conservatori italiani.
P.S. Possiamo aggiungere che quasi nessuno degli attuali insegnanti di Conservatorio (vale anche per i direttori) ha mai esercitato la professione musicale che presume di insegnare ai propri allievi; e che l'insegnamento nella loro carriera non è scaturito da una scelta, ma da un ripiego necessario: non potendo fare il musicista ha provato a fare l'insegnante di musica; con il vantaggio che nessuno lo fischierà, come sarebbe accaduto in una qualunque sala da concerto, anche la più piccola, sperduta e squalificata.
De ciuccis ad anas
Permetteteci di scherzare ancora un pò, semplicemente per non insultarlo, come siamo stati tentati di fare seguendo la sua intervista di domenica scorsa a Report della Gabanelli. La giornalista l'incalzava con domande pertinenti - di quelle che i giornali difficilmente fanno agli intervistati eccellenti - e ciucci la guardava fissa come a dire: ma come si permette questa stronzetta. Sì, la stronzetta non solo poteva permettersi, ma ha fatto bene a farle le domande che le ha fatto. La strada siciliana collassata a novembre, era stata collaudata? Che ne so, certo, ma non da me. Chi ha fatto il collaudo? Risulta sia stato un suo collaboratore che in ANAS lavorava nel settore delle pubbliche relazioni. E ciucci: che c'è di strano, il collaudo può farlo anche lui. Naturalmente nominato da ciucci collaudatore, come anche dallo steso ciucci assunto in ANAS; insomma tutto nel suo cerchio maledetto che non consente magie - perchè i calcoli ingegneristici sono di un altro pianeta - e che quando accade l'imprevisto va a carte quarantotto.
Risulta che l'ANAS abbia anche una sua televisione, naturalmente presieduta e diretta da altri facenti parte del cc (cerchio ciucci). Certo, risponde ciucci, abbiamo bisogno di comunicare e ci siamo fatti la nostra tv. E poi abbiamo visto - ma ci pare in un'altra rete che aveva affrontato il medesimo disastro ANAS - una lezione sull'uso delle strisce pedonali, affidata al prof. Bruno Amatucci, nostro amico di un tempo, abbronzato ora come allora, elegante fino alla pedanteria, il quale ha ricordato agli sbadati che sulle strisce non ci si può fermare a parlare, a bere un aperitivo, a fare la pipì, meno ancora la cacca, ad andare su e giù con i pattini, ad attraversarle in bicicletta con la ruota anteriore in aria...
E tutto questo a spese notre, fra le quali spese va anche incluso lo stipendio annuo del ciucci, intorno al 1.000.000 di Euro. E lui, quando s'è stabilito che il suo stipendio non poteva più superare i 240.000 Euro, giustamente s'è dimesso, per essere poi riassunto come pensionato, beccare la liquidazione - non si sa mai, qualche magistrato gliela avrebbe potuto sequestrare per fargli pagare le inefficienze della sua presidenza. E così, pensione da nababbo e parcella di collaborazione al massimo consentito. Insomma si possono fare tutte le leggi che si vogliono, ma i ciucci saranno sempre più furbi di tutti.
Ciucci, ricevuto dal nuovo ministro Delrio, ha dichiarato che si presenterà dimissionario alla prossima assemblea degli azionisti a maggio, e che lo fa in segno di rispetto del nuovo ministro, per lasciargli libertà di decisione nelle competenze del suo dicastero. E che la sua decisione è stata assai sofferta: ciucci, fai soffrire noi per ogni minuto in più che resti all'anas; ciucci se ne deve andare per rispetto dei cittadini italiani, i quali ora si augurano che un qualche magistrato indaghi la sua presidenza ANAS, alla luce degli ultimi misfatti. Basterbbe quella sua intervista a Report; contiene numerosi capi d'accusa, dalla distrazione, al mancato controllo, quando non addirittura al disastro colposo.
Risulta che l'ANAS abbia anche una sua televisione, naturalmente presieduta e diretta da altri facenti parte del cc (cerchio ciucci). Certo, risponde ciucci, abbiamo bisogno di comunicare e ci siamo fatti la nostra tv. E poi abbiamo visto - ma ci pare in un'altra rete che aveva affrontato il medesimo disastro ANAS - una lezione sull'uso delle strisce pedonali, affidata al prof. Bruno Amatucci, nostro amico di un tempo, abbronzato ora come allora, elegante fino alla pedanteria, il quale ha ricordato agli sbadati che sulle strisce non ci si può fermare a parlare, a bere un aperitivo, a fare la pipì, meno ancora la cacca, ad andare su e giù con i pattini, ad attraversarle in bicicletta con la ruota anteriore in aria...
E tutto questo a spese notre, fra le quali spese va anche incluso lo stipendio annuo del ciucci, intorno al 1.000.000 di Euro. E lui, quando s'è stabilito che il suo stipendio non poteva più superare i 240.000 Euro, giustamente s'è dimesso, per essere poi riassunto come pensionato, beccare la liquidazione - non si sa mai, qualche magistrato gliela avrebbe potuto sequestrare per fargli pagare le inefficienze della sua presidenza. E così, pensione da nababbo e parcella di collaborazione al massimo consentito. Insomma si possono fare tutte le leggi che si vogliono, ma i ciucci saranno sempre più furbi di tutti.
Ciucci, ricevuto dal nuovo ministro Delrio, ha dichiarato che si presenterà dimissionario alla prossima assemblea degli azionisti a maggio, e che lo fa in segno di rispetto del nuovo ministro, per lasciargli libertà di decisione nelle competenze del suo dicastero. E che la sua decisione è stata assai sofferta: ciucci, fai soffrire noi per ogni minuto in più che resti all'anas; ciucci se ne deve andare per rispetto dei cittadini italiani, i quali ora si augurano che un qualche magistrato indaghi la sua presidenza ANAS, alla luce degli ultimi misfatti. Basterbbe quella sua intervista a Report; contiene numerosi capi d'accusa, dalla distrazione, al mancato controllo, quando non addirittura al disastro colposo.
lunedì 13 aprile 2015
Gli sfracelli di Freccero, le idiozie di Salvini. L'EXPO, e l'ANAS. Mai più ciucci a capo dell'ANAS
Se ogni volta che apre bocca il Matteo lombardo non riesce a trattenere una qualche scemenza - l'ultima sui campi rom gli meriterebbe il taglio della lingua, semplicemente per non fargli fare continuamente la figura dell'idiota - quando in uno studio televisivo siede l'apocalittico Freccero allora c'è da attendersi un qualche sfracello, annunciato, minacciato o narrato. Qualunque, perchè su qualunque argomento egli potrebbe scrivere un' enciclica di disastri, gicchè sa tutto, perfino quello che non sa.
In faccia a lui i 'Freccero Boy's, Gomez e Travaglio sono dei bamboccioni, mollaccioni, anche quando seguono alla lettera la lezione del loro guru, Freccero.
Il quale ieri, nello studio di 'Piazza pulita' si interrogava sull'EXPO. Era proprio necessario farla? a che serve oggi una Expo? perchè prima di prendere una decisione non si è andati a vedere i risultati disastrosi delle ultime? E McDonald's all'EXPO? E' una ingiuria , nonostante che io - ha detto - consumi abitualmente panini della multinazionale e coca. E poi c'è lo scandalo dell'incompiuto, tipico di tutta la storia italiana che ora non risparmia neanche la manifestazione milanese che ci esporrà al ridicolo di fronte al mondo. Che se ne farà dell'EXPO, una volta finito? Un' Expo doveva incidere sulla città, si doveva fare non in una landa deserta ma in città ( Freccero straparla). E i padiglioni di carta pesta (reggeranno?) e la sicurezza che fa acqua da ogni parte, perfino in Tribunale? E le consuete mazzette, gli appalti truccati e non fatti e qualunque altra apocalittica nefandezza? Freccero le elenca tutte per concludere, o far concludere, che l'Expo non s'ha da fare.
Gomez invece ha raccontato - più credibile - che a Smirne, da quando la città è stata scartata, a favore di Milano, hanno costruito una autostrada, università ed altro. E Crozza, perfino Crozza, parlando dell'EXPO, ha detto cose più dure ma più precise sull'EXPO, a proposito di alcuni progetti, messi nero su bainco, dei quali s'è persa anche la memoria, quando sono iniziati i lavori. Gomez e Crozza meglio di Freccero. Il quale, quando alla RAI l'hanno chiamato per affidargli 'RAI EXPO' ha preso un fugone ed ha rinunciato, sapendo che cosa sarebbe successo. Ed oggi, a meno di un mese dall'inaugurazione, le cose mi danno ragione., ha concluso l'apocalittico disintegrato.
Però...però si può concepire un presidente del Consiglio che dopo gli ultimi tre collassi autostradali, gestione ANAS, sta rinchiuso a Palazzo Chigi a leggersi i fumetti e non manda a casa - sarebbe meglio in galera, dopo che si è saputo che di quelle strade o autostrade non furono fatti nennche i collaudi- i vertici? Qualche volta potrebbe distogliere l'attenzione dai fumetti preferiti, e dare un'occhiata alla TV, a quella che ogni tanto fa inchieste giornalistiche, anche sull'ANAS, che la Gabanelli ci fa fatto conoscere meglio l'altra sera, procurandoci brividi e sussulti. Mentre le autostrade collassano, lui continua a leggere fumetti. Legge fumetti Renzi? Dicono di sì, anche se poi, quando va in libreria ne esce con un bustone di libri che mai e poi mai leggerà.
Sulle letture del premier c'è stata una accesa polemica nei mesi corsi fra lui e Salvini, il quale in fatto di lettura manca anche di sfogliare i fumetti, tanto cari al Matteo fiorentino.
Per tornare all'EXPO, Freccero ha ragione solo quando sottolinea che in Italia tutto si fa sul filo dell'emergenza, si termina e completa ogni cosa due minuti dopo il tempo massimo. E' da parecchi anni che s'era decisa l'EXPO. Noi stessi, tanto per non perdere l'abitudine ad auto compiacerci, pubblicammo (sul bimestrale Music@, edito dal Conservatorio dell'Aquila) nel lontano 2009, una serie di progetti messi a punto da rinomati artisti italiani, destinati all'EXPO, seguendone il tema. Di quei progetti presentati per tempo, seppure non richiesti, gli organizzatori, che hanno ben altro per la testa- come ad esempio. come fare affari - non si sono dati neanche la pena di leggerli, per vedere se ce ne fosse qualcuno realizzabile. Semplicemente perché - osiamo pensare - non c'era odore di mazzette ed imbrogli.
E così, mentre Renzi è al suo ventesimo fumetto, Salvini pensa come farci ridere ogni giorno e Freccero dà gli ultimi ritocchi all'affresco della fine del mondo.
P.S. Dai giornali di oggi apprendiamo che il famoso Ciucci - non vogliamo ironizzare sul cognome, del resto non potremmo farlo a causa del nostro cognome pur esso assai singolare - si è dimesso dall'ANAS, con una modica buonuscita di 1.800.000 Euro. Per la sua presidenza dell'ANAS, ultimamente anche da pensionato, dobbiamo ringraziare prima Prodi, poi Berlusconi, e, per ultimo anche gli altri premier: Monti Letta ed anche, buon ultimo Renzi. Siamo disposti a sopportare anche questo, a patto che mai più ciucci a comandare in ANAS. Basta.
In faccia a lui i 'Freccero Boy's, Gomez e Travaglio sono dei bamboccioni, mollaccioni, anche quando seguono alla lettera la lezione del loro guru, Freccero.
Il quale ieri, nello studio di 'Piazza pulita' si interrogava sull'EXPO. Era proprio necessario farla? a che serve oggi una Expo? perchè prima di prendere una decisione non si è andati a vedere i risultati disastrosi delle ultime? E McDonald's all'EXPO? E' una ingiuria , nonostante che io - ha detto - consumi abitualmente panini della multinazionale e coca. E poi c'è lo scandalo dell'incompiuto, tipico di tutta la storia italiana che ora non risparmia neanche la manifestazione milanese che ci esporrà al ridicolo di fronte al mondo. Che se ne farà dell'EXPO, una volta finito? Un' Expo doveva incidere sulla città, si doveva fare non in una landa deserta ma in città ( Freccero straparla). E i padiglioni di carta pesta (reggeranno?) e la sicurezza che fa acqua da ogni parte, perfino in Tribunale? E le consuete mazzette, gli appalti truccati e non fatti e qualunque altra apocalittica nefandezza? Freccero le elenca tutte per concludere, o far concludere, che l'Expo non s'ha da fare.
Gomez invece ha raccontato - più credibile - che a Smirne, da quando la città è stata scartata, a favore di Milano, hanno costruito una autostrada, università ed altro. E Crozza, perfino Crozza, parlando dell'EXPO, ha detto cose più dure ma più precise sull'EXPO, a proposito di alcuni progetti, messi nero su bainco, dei quali s'è persa anche la memoria, quando sono iniziati i lavori. Gomez e Crozza meglio di Freccero. Il quale, quando alla RAI l'hanno chiamato per affidargli 'RAI EXPO' ha preso un fugone ed ha rinunciato, sapendo che cosa sarebbe successo. Ed oggi, a meno di un mese dall'inaugurazione, le cose mi danno ragione., ha concluso l'apocalittico disintegrato.
Però...però si può concepire un presidente del Consiglio che dopo gli ultimi tre collassi autostradali, gestione ANAS, sta rinchiuso a Palazzo Chigi a leggersi i fumetti e non manda a casa - sarebbe meglio in galera, dopo che si è saputo che di quelle strade o autostrade non furono fatti nennche i collaudi- i vertici? Qualche volta potrebbe distogliere l'attenzione dai fumetti preferiti, e dare un'occhiata alla TV, a quella che ogni tanto fa inchieste giornalistiche, anche sull'ANAS, che la Gabanelli ci fa fatto conoscere meglio l'altra sera, procurandoci brividi e sussulti. Mentre le autostrade collassano, lui continua a leggere fumetti. Legge fumetti Renzi? Dicono di sì, anche se poi, quando va in libreria ne esce con un bustone di libri che mai e poi mai leggerà.
Sulle letture del premier c'è stata una accesa polemica nei mesi corsi fra lui e Salvini, il quale in fatto di lettura manca anche di sfogliare i fumetti, tanto cari al Matteo fiorentino.
Per tornare all'EXPO, Freccero ha ragione solo quando sottolinea che in Italia tutto si fa sul filo dell'emergenza, si termina e completa ogni cosa due minuti dopo il tempo massimo. E' da parecchi anni che s'era decisa l'EXPO. Noi stessi, tanto per non perdere l'abitudine ad auto compiacerci, pubblicammo (sul bimestrale Music@, edito dal Conservatorio dell'Aquila) nel lontano 2009, una serie di progetti messi a punto da rinomati artisti italiani, destinati all'EXPO, seguendone il tema. Di quei progetti presentati per tempo, seppure non richiesti, gli organizzatori, che hanno ben altro per la testa- come ad esempio. come fare affari - non si sono dati neanche la pena di leggerli, per vedere se ce ne fosse qualcuno realizzabile. Semplicemente perché - osiamo pensare - non c'era odore di mazzette ed imbrogli.
E così, mentre Renzi è al suo ventesimo fumetto, Salvini pensa come farci ridere ogni giorno e Freccero dà gli ultimi ritocchi all'affresco della fine del mondo.
P.S. Dai giornali di oggi apprendiamo che il famoso Ciucci - non vogliamo ironizzare sul cognome, del resto non potremmo farlo a causa del nostro cognome pur esso assai singolare - si è dimesso dall'ANAS, con una modica buonuscita di 1.800.000 Euro. Per la sua presidenza dell'ANAS, ultimamente anche da pensionato, dobbiamo ringraziare prima Prodi, poi Berlusconi, e, per ultimo anche gli altri premier: Monti Letta ed anche, buon ultimo Renzi. Siamo disposti a sopportare anche questo, a patto che mai più ciucci a comandare in ANAS. Basta.
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Non l'avranno mica riaperto, dopo due anni di frenetici lavori di ristrutturazione, senza avvertirci, il glorioso Teatro delle Arti in via Sicilia a Roma?
Roma,
1 giugno 2013 – È stato presentato in Campidoglio il progetto di
recupero del Teatro delle Arti di via Sicilia. Sono interventi il
sindaco Gianni Alemanno, il sovraintendente ai Beni Culturali di Roma
Capitale, Umberto Broccoli, i promotori artistici Giorgio Albertazzi
e Alessandro Giupponi, il presidente della Cassa Nazionale Previdenza
Ragionieri, Paolo Saltarelli e Filippo Francesco Buzzanca di Sbarch
Bargone Architetti Associati.
In
stato d' abbandono da quasi 15 anni Il Teatro delle Arti, situato
vicino a via Veneto, su proposta e sotto la direzione artistica di
Giorgio Albertazzi, diventerà un Centro europeo di arti e mestieri
dello spettacolo, ''non solo un teatro, ma un centro di irradiazione
culturale''.
Costruito nel 1937, il teatro sarà intitolato ad Anna Proclemer - nota attrice scomparsa a Roma il 25 aprile scorso - che proprio qui debuttò nel 1943. Come direttore artistico del Delle Arti, Albertazzi succederà a nomi illustri, quali Anton Giulio Bragaglia e Peppino De Filippo.
In tutto lo stabile un solo locale è attualmente occupato e ospita la sede di un commissariato della Polizia di Stato. Fino a pochi anni fa il primo e il terzo piano dell’edificio hanno ospitato il Liceo Scientifico Augusto Righi. La Cassa Ragionieri, proprietaria della struttura dal 2005, ha deciso di finanziare interamente l'intervento di recupero, che punterà alla polifunzionalità e alla riorganizzazione degli spazi interni. Saranno installate 352 poltrone ribaltabili, mentre nella corte esterna apriranno botteghe artigiane dello spettacolo, con una piazza arricchita da aiuole. Ci sarà poi una trasformazione d'uso prevalentemente residenziale dello stabile. Il costo dell’operazione non è ancora definito, ma sono previsti alcuni milioni di euro di spesa.
"La nascita di un teatro - ha detto Albertazzi - dà luce ai luoghi, alla città, sono lieto di partecipare alla presentazione di questa bellissima ristrutturazione. Intitoliamo il teatro a Anna perché lei è nata artisticamente in quel teatro, dove e' stato inaugurato un nuovo modo di concepire la scena, con l' attore libero dalla schiavitù del testo. Finalmente proprio a Roma si è aperta la possibilità di questo Teatro delle arti, che sarà un luogo di studio, ma non un luogo serioso, perché il teatro è un gioco".
Il Sindaco ha dichiarato: "Il teatro di via Sicilia sarà una struttura fondamentale per la cultura della città. Siamo fieri come amministrazione di aver contribuito a far incontrare le parti, questo dimostra che la società civile, con l' appoggio delle istituzioni, riesce a costruire cose importantissime".
Costruito nel 1937, il teatro sarà intitolato ad Anna Proclemer - nota attrice scomparsa a Roma il 25 aprile scorso - che proprio qui debuttò nel 1943. Come direttore artistico del Delle Arti, Albertazzi succederà a nomi illustri, quali Anton Giulio Bragaglia e Peppino De Filippo.
In tutto lo stabile un solo locale è attualmente occupato e ospita la sede di un commissariato della Polizia di Stato. Fino a pochi anni fa il primo e il terzo piano dell’edificio hanno ospitato il Liceo Scientifico Augusto Righi. La Cassa Ragionieri, proprietaria della struttura dal 2005, ha deciso di finanziare interamente l'intervento di recupero, che punterà alla polifunzionalità e alla riorganizzazione degli spazi interni. Saranno installate 352 poltrone ribaltabili, mentre nella corte esterna apriranno botteghe artigiane dello spettacolo, con una piazza arricchita da aiuole. Ci sarà poi una trasformazione d'uso prevalentemente residenziale dello stabile. Il costo dell’operazione non è ancora definito, ma sono previsti alcuni milioni di euro di spesa.
"La nascita di un teatro - ha detto Albertazzi - dà luce ai luoghi, alla città, sono lieto di partecipare alla presentazione di questa bellissima ristrutturazione. Intitoliamo il teatro a Anna perché lei è nata artisticamente in quel teatro, dove e' stato inaugurato un nuovo modo di concepire la scena, con l' attore libero dalla schiavitù del testo. Finalmente proprio a Roma si è aperta la possibilità di questo Teatro delle arti, che sarà un luogo di studio, ma non un luogo serioso, perché il teatro è un gioco".
Il Sindaco ha dichiarato: "Il teatro di via Sicilia sarà una struttura fondamentale per la cultura della città. Siamo fieri come amministrazione di aver contribuito a far incontrare le parti, questo dimostra che la società civile, con l' appoggio delle istituzioni, riesce a costruire cose importantissime".
Vittorio Sgarbi regista del 'Don Giovanni' di Mozart al Teatro 'Giuseppe Verdi' di Salerno. Alla sua terza regia d'opera, dopo Rigoletto (Busseto) e Vedova Allegra (Salerno).
Con il 'Don Giovanni' di Mozart Sgarbi è alla sua terza regia d'opera. La precedente, solo pochi mesi fa, sempre a Salerno e sempre nel Teatro la cui direzione artistica è affidata a Daniel Oren (che in quel caso diresse anche l'opera, l'operetta: 'La vedova allegra'); ma il suo debutto nel teatro d'opera, del quale fummo testimoni e commentatori, avvenne nell'estate del 2002 a Busseto, con il 'Rigoletto', che ebbe poi due trasferte, una nei pressi di Busseto, e la seconda a Siena, in Piazza del Campo.
Testimoni, abbiamo detto, perchè all'epoca facevamo la ben nota trasmissione di Rai 1, 'All'Opera!' che si avvaleva del racconto convincente di Antonio Lubrano, gradito dal pubblico televisivo al punto che fece raggiungere alla trasmissione, specie per i titoli più popolari - che in un certo senso erano tutti - share di tutto rispetto, anche a due cifre, con spettatori che in parecchi casi superavano il milione. Ma la RAI, dopo sei cicli di dieci titoli cadauno, la chiuse perchè, dopo l'ultima serie, nel 2004, non incontrammo più, noi e Lubrano in veste di autori, un solo dirigente della rete al quale fregasse almeno un pò del melodramma italiano che quella trasmissione fece tornare ad essere popolare, a causa della sua indovinatissima formula narrativa e musicale.
Torniamo a Sgarbi. Alla viglia del suo debutto a Busseto con il 'Rigoletto', i giornali cominciarono a spararle grosse ed a sparargli addosso al neo regista: chissà quale diavolerie si inventerà, scrissero in parecchi e pensarono quasi tutti. Ma gli uni e gli altri dovettero restare delusi. Noi, allora, realizzammo uno speciale da mandare in onda su RAI 1, anche quello finito alle teche RAi senza che venisse messo in onda, per la ragione che quando fu deciso Sgarbi era - se ricordiamo bene - sottosegretario di Urbani ( sbagliamo?); quando sarebbe dovuta andare in onda, quel nostro racconto dell'avventura di Sgarbi sul palcoscenico operistico, Sgarbi non era più sottosegretario. Non riveliamo nulla che in Italia non si sa già.
Insomma fummo testimoni di una regia e relativi scene e costumi che più normale, ossequiosa alla musica ed aderente alla vicenda non si poteva immaginare. Sgarbi, per dirla con il più stupido e banale giornalismo, non fece 'Sgarbi'.
Alla viglia del suo 'Don Giovanni' a Salerno (recite mercoledì, venerdì e domenica) che vedremo ed ascolteremo alla seconda recita, venerdì, non ci aspettiamo di vedere che quello stesso Sgarbi che già conosciamo ed apprezziamo fin dal 'Rigoletto' di Busseto. Regia essenziale, che ci farà gustare la musica - da verificare, sebbene possiamo dire fin d'ora che due degli interpreti, nei ruoli principali di Don Giovanni e Leporello, sono autentici fuoriclasse del melodramma, e li consociamo bene - e nello stesso tempo ci farà vedere uno spettacolo che si gioverà inevitabilmente della vastissima cultura artistica di Sgarbi, come già fece a Busseto. E chissà che i due spettacoli non rivelino qualcosa in comune, come in comune hanno molto i due protagonisti: Don Giovanni ed il Duca di Mantova. Non canta il Duca: 'Questa o quella per me pari sono'...: e Don Giovanni, per bocca di Leporello: Madamina, il catalogo è questo...?
Testimoni, abbiamo detto, perchè all'epoca facevamo la ben nota trasmissione di Rai 1, 'All'Opera!' che si avvaleva del racconto convincente di Antonio Lubrano, gradito dal pubblico televisivo al punto che fece raggiungere alla trasmissione, specie per i titoli più popolari - che in un certo senso erano tutti - share di tutto rispetto, anche a due cifre, con spettatori che in parecchi casi superavano il milione. Ma la RAI, dopo sei cicli di dieci titoli cadauno, la chiuse perchè, dopo l'ultima serie, nel 2004, non incontrammo più, noi e Lubrano in veste di autori, un solo dirigente della rete al quale fregasse almeno un pò del melodramma italiano che quella trasmissione fece tornare ad essere popolare, a causa della sua indovinatissima formula narrativa e musicale.
Torniamo a Sgarbi. Alla viglia del suo debutto a Busseto con il 'Rigoletto', i giornali cominciarono a spararle grosse ed a sparargli addosso al neo regista: chissà quale diavolerie si inventerà, scrissero in parecchi e pensarono quasi tutti. Ma gli uni e gli altri dovettero restare delusi. Noi, allora, realizzammo uno speciale da mandare in onda su RAI 1, anche quello finito alle teche RAi senza che venisse messo in onda, per la ragione che quando fu deciso Sgarbi era - se ricordiamo bene - sottosegretario di Urbani ( sbagliamo?); quando sarebbe dovuta andare in onda, quel nostro racconto dell'avventura di Sgarbi sul palcoscenico operistico, Sgarbi non era più sottosegretario. Non riveliamo nulla che in Italia non si sa già.
Insomma fummo testimoni di una regia e relativi scene e costumi che più normale, ossequiosa alla musica ed aderente alla vicenda non si poteva immaginare. Sgarbi, per dirla con il più stupido e banale giornalismo, non fece 'Sgarbi'.
Alla viglia del suo 'Don Giovanni' a Salerno (recite mercoledì, venerdì e domenica) che vedremo ed ascolteremo alla seconda recita, venerdì, non ci aspettiamo di vedere che quello stesso Sgarbi che già conosciamo ed apprezziamo fin dal 'Rigoletto' di Busseto. Regia essenziale, che ci farà gustare la musica - da verificare, sebbene possiamo dire fin d'ora che due degli interpreti, nei ruoli principali di Don Giovanni e Leporello, sono autentici fuoriclasse del melodramma, e li consociamo bene - e nello stesso tempo ci farà vedere uno spettacolo che si gioverà inevitabilmente della vastissima cultura artistica di Sgarbi, come già fece a Busseto. E chissà che i due spettacoli non rivelino qualcosa in comune, come in comune hanno molto i due protagonisti: Don Giovanni ed il Duca di Mantova. Non canta il Duca: 'Questa o quella per me pari sono'...: e Don Giovanni, per bocca di Leporello: Madamina, il catalogo è questo...?
La musichetta di Berio da Schubert è ancora a Radio 3. Perchè non utilizzare al suo posto una musica libera da diritti e perciò gratuita?
Oggi, dopo molto tempo, eravamo in giro per la città in macchina e, come al solito, ci siamo sintonizzati su Radio 3, i cui programmi ascoltiamo più volentieri delle musiche e musichette che la stessa rete radiofonica trasmette, sigle e stacchi compresi
E ad un certo momento ci è sembrato che Radio 3 avesse cambiato musica. In modo particolare, che quella musichetta di Berio (da Schubert) che fa da sigla alle trasmissioni dell'emittente radiofonica di Stato, fosse sparita, a seguito della direttiva della direzione generale di abrogare sigle e musiche per le quali la RAI deve pagare diritti, semplicemente per il fatto che di musica bellissima per la quale non si pagherebbe alcun diritto e che la RAI potrebbe utilizzar e ve n'è quanta se ne vuole. Basterebbe questa sola ragione a cambiar musica .
Ed invece no, per omaggiare e foraggiare - perchè è fuori di dubbio che Berio pretese un congruo compenso, come del resto era anche giusto - il famoso e già ricco compositore italiano, qualcuno - sappiamo bene chi - decise di utilizzare quella rielaborazione di una sinfonia di Schubert della quale ci erano pervenuti solo abbozzi sporadici.
Ora tale comportamento, a beneficio esclusivo di Berio, perchè Schubert non becca neppure un centesimo, ci sembra simile a ciò che fa lo Stato, in tanti casi, con i suoi beni immobiliari: li lascia andare in malora, mentre potrebbe o utilizzarli gratuitamente o affittarli ad altri, e poi paga profumatamente il padrone di palazzi nei quali ospitare i suoi uffici.
Chi decise di mettere quella musica, decise di non utilizzare tanta musica che avrebbe potuto utilizzare gratuitamente, per pagare Berio.
Noi, avessimo un qualche potere, chiederemmo indietro dal funzionario RAI tutti i soldi che in questi quindici o vent'anni anni, la Rai ha dovuto versare a Berio, come diritti.
E poi sostituiremmo definitivamente quella musica. Anzi quella musica va comunque sostituita, anche senza il nostro potere di interdizione, se la direttiva del direttore generale ha un senso ed ha valore.
In breve: perchè pagare Berio per una musica non sua, o sua solo in minima parte, quando si potrebbe avere una musica di Rossini, musica sua, senza tirar fuori un centesimo? In tempo di revisione della spesa è possibile che Radio 3 sia come una zona 'porto franco' in RAI?
E ad un certo momento ci è sembrato che Radio 3 avesse cambiato musica. In modo particolare, che quella musichetta di Berio (da Schubert) che fa da sigla alle trasmissioni dell'emittente radiofonica di Stato, fosse sparita, a seguito della direttiva della direzione generale di abrogare sigle e musiche per le quali la RAI deve pagare diritti, semplicemente per il fatto che di musica bellissima per la quale non si pagherebbe alcun diritto e che la RAI potrebbe utilizzar e ve n'è quanta se ne vuole. Basterebbe questa sola ragione a cambiar musica .
Ed invece no, per omaggiare e foraggiare - perchè è fuori di dubbio che Berio pretese un congruo compenso, come del resto era anche giusto - il famoso e già ricco compositore italiano, qualcuno - sappiamo bene chi - decise di utilizzare quella rielaborazione di una sinfonia di Schubert della quale ci erano pervenuti solo abbozzi sporadici.
Ora tale comportamento, a beneficio esclusivo di Berio, perchè Schubert non becca neppure un centesimo, ci sembra simile a ciò che fa lo Stato, in tanti casi, con i suoi beni immobiliari: li lascia andare in malora, mentre potrebbe o utilizzarli gratuitamente o affittarli ad altri, e poi paga profumatamente il padrone di palazzi nei quali ospitare i suoi uffici.
Chi decise di mettere quella musica, decise di non utilizzare tanta musica che avrebbe potuto utilizzare gratuitamente, per pagare Berio.
Noi, avessimo un qualche potere, chiederemmo indietro dal funzionario RAI tutti i soldi che in questi quindici o vent'anni anni, la Rai ha dovuto versare a Berio, come diritti.
E poi sostituiremmo definitivamente quella musica. Anzi quella musica va comunque sostituita, anche senza il nostro potere di interdizione, se la direttiva del direttore generale ha un senso ed ha valore.
In breve: perchè pagare Berio per una musica non sua, o sua solo in minima parte, quando si potrebbe avere una musica di Rossini, musica sua, senza tirar fuori un centesimo? In tempo di revisione della spesa è possibile che Radio 3 sia come una zona 'porto franco' in RAI?
domenica 12 aprile 2015
Valentina Lisitsa, la pianista censurata dalla Toronto Symphony, perchè appoggia gli indipendentisti ucraini
E' accaduto non più tardi di qualche giorno fa, nella occidentalissima Toronto, che una pianista di Kiev, oggi quarantacinquenne, definita 'star di You Tube', per il grande seguito che ha fra i navigatori della rete, venisse pagata, come convenuto - lei è rappresentata dalla IMG Artists - e mandata a casa senza suonare nei concerti previsti. E la ragione è che Lei ha manifestato in rete, dove ripetiamo è molto seguita, le sue idee politiche filo russe, nella questione della indipendenza parziale della sua patria, l'Ucraina. La espressione pubblica delle sue idee politiche non è piaciuta alla direzione dell'orchestra canadese che ha deciso di non farla suonare, dopo averla financo ammonita a non rivelare la ragione del suo allontanamento: la manifestazione cioè delle sue idee politiche, e la rivelazione di fatti che l'opinione occidentale - a suo dire - non verrà mai a conoscere, perché i giornali occidentali sono contro l'indipendenza parziale della Ucraina e perciò, ad esempio, nulla mai scriveranno dei bombardamenti dell'esercito ucraino nella zona orientale del paese.
Immaginiamo che la pianista le abbia espresso non alla vigilia dei suoi concerti canadesi, tali sue idee - e comunque era padrona di farlo. Ai dirigenti canadesi, che erano sicuramente al corrente della presenza costante della pianista su You Tube, viene da domandare perché le idee politiche della Lisitsa hanno fatto paura solo in occasione del concerto. Forse perché, in tale circostanza, le adesioni in rete sono state numerosissime e i dirigenti hanno temuto che ci potessero essere manifestazioni nel corso del concerto? Questo non lo dicono, lo supponiamo per dare una parvenza di senso al loro inspiegabile gesto.
Ed ha ragione la pianista quando scrive su You Tube a proposito: fate attenzione, se l'hanno fatto una volta possono farlo anche infinite altre. E noi aggiungiamo, se l'hanno fatto a causa delle idee politiche, potrebbero un giorno farlo anche per le idee religiose e per qualunque altra idea. Anche sessuale? Chissà, o forse no, perchè il mondo musicale è ricchissimo di orientamenti sessuali considerati anomali dalla società benpensante, come l'omosessualità.
Immaginiamo che la pianista le abbia espresso non alla vigilia dei suoi concerti canadesi, tali sue idee - e comunque era padrona di farlo. Ai dirigenti canadesi, che erano sicuramente al corrente della presenza costante della pianista su You Tube, viene da domandare perché le idee politiche della Lisitsa hanno fatto paura solo in occasione del concerto. Forse perché, in tale circostanza, le adesioni in rete sono state numerosissime e i dirigenti hanno temuto che ci potessero essere manifestazioni nel corso del concerto? Questo non lo dicono, lo supponiamo per dare una parvenza di senso al loro inspiegabile gesto.
Ed ha ragione la pianista quando scrive su You Tube a proposito: fate attenzione, se l'hanno fatto una volta possono farlo anche infinite altre. E noi aggiungiamo, se l'hanno fatto a causa delle idee politiche, potrebbero un giorno farlo anche per le idee religiose e per qualunque altra idea. Anche sessuale? Chissà, o forse no, perchè il mondo musicale è ricchissimo di orientamenti sessuali considerati anomali dalla società benpensante, come l'omosessualità.
La Italiana produzioni di Stefania Craxi e quel generoso finanziamento del ministro De Michelis
Guardavamo ed ascoltavamo con attenzione Stefania Craxi, ieri sera, nello studio della trasmissione di Lilli Gruber, magnificare gli anni in cui in Italia comandavano politici veri, come suo padre Bettino. E dire anche che una bella differenza corre tra finanziamento illecito dei partiti e corruzione. A suo padre e ad altri si può rimproverare che davano per normale che i partiti venissero finanziati illecitamente; ma certo è che la corruzione che esiste oggi allora non esisteva affatto, ha sottolineato la Craxi. Volendo dire anche - o forse l'ha detto - che i politici allora non si arricchivano e non trattenevano per sé, per uso personale o familiare, soldi ricevuti illecitamente. E i soldi dei vari conti, come quello intitolato 'protezione' o qualcosa di simile, dove andavano a finire? Suo padre non ne sapeva nulla? E nel caso li utilizzava solo per il finanziamento del suo partito?
Mentre ascoltavamo la Craxi - c'è venuta spontanea una riflessione cattiva: perchè da quindici anni a questa parte gli italiani devono mantenere sia Stefania che Bobo in Parlamento senza che neanche essi abbiano statura politica simile lontamente a tanti esponenti della prima repubblica, e solo perchè Berlusconi - era amico o nemico di Craxi - li ha nominati oltre che infilati in incarichi politici di prestigio, in memoria del suo vecchio antico amico e benefattore?
Prima della disgrazia di Craxi, i figli dello statista si guadagnavano da vivere lavorando in settori e territori lontani da politica, vero? No. Non è proprio così.
Anche allora qualcosa non andava così per lo meno per la figlia di Craxi. Le sue parole appassionate hanno svegliato in noi un ricordo, i cui contorni, perchè lontanissimo, non sono nitidi ma che, comunque, proviamo a ricalcare.
Era la metà degli anni Ottanta, 1984, e la giovanissima Craxi fonda la 'Italiana Produzioni', una società attiva nel settore degli audiovisivi, assieme al suo secondo marito Bassetti. Se non andiamo errati, allora la Craxi aveva 24 anni appena.
Ovvio che in questo settore la Italiana Produzioni avrà trovato subito tanto lavoro - non c'è bisogno che spieghiamo nuovamente le ragioni, che, evidentemente, non era sufficiente. Ed ecco che, forse nella seconda metà di quegli stessi anni Ottanta - noi allora dirigevamo il mensile Piano Time e per questa ragione ci interessammo al caso - alla casa di produzione della giovane Stefania arriva qualche aiutino dalla politica, da De Michelis, 'l'unto della cultura'. Il quale le concede un sostanzioso finanziamento per la produzione di materiale audiovisivo da destinare agli studenti stranieri per mostrare loro come si fosse evoluta, sulla base dei cambiamenti sociali e di costume, la lingua italiana. Non ricordiamo l'importo del finanziamento, che era certamente molto consistente. Ci aveva colpiti sia il generoso finanziamento sia il coinvolgimento, nella realizzazione di quel materiale, di una rivista nostra concorrente, del giro socialista, diretta allora da Lorenzo Arruga, Musica Viva. La nostra impressione era che si trattava, stante sulla carta l'utilità dello scopo, di un finanziamento illecito, anche se non diretto ad un partito. E della cosa ci convincemmo ulteriormente, quando continuando a leggere il decreto del ministro - che poi pubblicammo con un nostro commento su Piano Time, scoprimmo anche di una ulteriore inutile ricerca sui 'tratturi' che percorrono la Puglia e Basilicata, del quale però non ricordiamo affatto i particolari della realizzazione, nè quali percorsi abbiano fatto quei soldi, benché convinti della sua inutilità.
Il coinvolgimento di Musica Viva ci irritò abbastanza, tanto che oltre a scriverne su Piano Time, telefonammo alla società di Stefania Craxi per avere notizie sulle richieste ministeriali e sulla scelta di Muscia Viva. E forse anche sul troppo generoso finanziamento ministeriale a fronte di una realizzazione - che non sappiamo poi se fu completata - che ai nostri occhi non giustificava tanta generosità.
Non abbiamo mai ricevuto risposta, né abbiamo potuto mai verificare, non avendo esaminato il prodotto, della regolarità e congruità del finanziamento del ministro, 'unto della cultura', amico.
E perciò, ripensando a quel fatto, abbiamo ascoltato, sempre con interesse, ma con orecchie diverse , e distacco maggiore, gli anatemi della Stefania da Lilli.
Mentre ascoltavamo la Craxi - c'è venuta spontanea una riflessione cattiva: perchè da quindici anni a questa parte gli italiani devono mantenere sia Stefania che Bobo in Parlamento senza che neanche essi abbiano statura politica simile lontamente a tanti esponenti della prima repubblica, e solo perchè Berlusconi - era amico o nemico di Craxi - li ha nominati oltre che infilati in incarichi politici di prestigio, in memoria del suo vecchio antico amico e benefattore?
Prima della disgrazia di Craxi, i figli dello statista si guadagnavano da vivere lavorando in settori e territori lontani da politica, vero? No. Non è proprio così.
Anche allora qualcosa non andava così per lo meno per la figlia di Craxi. Le sue parole appassionate hanno svegliato in noi un ricordo, i cui contorni, perchè lontanissimo, non sono nitidi ma che, comunque, proviamo a ricalcare.
Era la metà degli anni Ottanta, 1984, e la giovanissima Craxi fonda la 'Italiana Produzioni', una società attiva nel settore degli audiovisivi, assieme al suo secondo marito Bassetti. Se non andiamo errati, allora la Craxi aveva 24 anni appena.
Ovvio che in questo settore la Italiana Produzioni avrà trovato subito tanto lavoro - non c'è bisogno che spieghiamo nuovamente le ragioni, che, evidentemente, non era sufficiente. Ed ecco che, forse nella seconda metà di quegli stessi anni Ottanta - noi allora dirigevamo il mensile Piano Time e per questa ragione ci interessammo al caso - alla casa di produzione della giovane Stefania arriva qualche aiutino dalla politica, da De Michelis, 'l'unto della cultura'. Il quale le concede un sostanzioso finanziamento per la produzione di materiale audiovisivo da destinare agli studenti stranieri per mostrare loro come si fosse evoluta, sulla base dei cambiamenti sociali e di costume, la lingua italiana. Non ricordiamo l'importo del finanziamento, che era certamente molto consistente. Ci aveva colpiti sia il generoso finanziamento sia il coinvolgimento, nella realizzazione di quel materiale, di una rivista nostra concorrente, del giro socialista, diretta allora da Lorenzo Arruga, Musica Viva. La nostra impressione era che si trattava, stante sulla carta l'utilità dello scopo, di un finanziamento illecito, anche se non diretto ad un partito. E della cosa ci convincemmo ulteriormente, quando continuando a leggere il decreto del ministro - che poi pubblicammo con un nostro commento su Piano Time, scoprimmo anche di una ulteriore inutile ricerca sui 'tratturi' che percorrono la Puglia e Basilicata, del quale però non ricordiamo affatto i particolari della realizzazione, nè quali percorsi abbiano fatto quei soldi, benché convinti della sua inutilità.
Il coinvolgimento di Musica Viva ci irritò abbastanza, tanto che oltre a scriverne su Piano Time, telefonammo alla società di Stefania Craxi per avere notizie sulle richieste ministeriali e sulla scelta di Muscia Viva. E forse anche sul troppo generoso finanziamento ministeriale a fronte di una realizzazione - che non sappiamo poi se fu completata - che ai nostri occhi non giustificava tanta generosità.
Non abbiamo mai ricevuto risposta, né abbiamo potuto mai verificare, non avendo esaminato il prodotto, della regolarità e congruità del finanziamento del ministro, 'unto della cultura', amico.
E perciò, ripensando a quel fatto, abbiamo ascoltato, sempre con interesse, ma con orecchie diverse , e distacco maggiore, gli anatemi della Stefania da Lilli.
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