venerdì 29 novembre 2013

Torna Borgna. Fuortes raddoppia. Lissner attacca

Le ultime notizie sono le seguenti. Borgna torna in campo, assumendo la presidenza del Teatro di Roma, dopo essere restato fuori dell'agone amministrativo dal momento in cui uscì  da Musica per Roma, con l'avvento di Alemanno  sindaco.  Si torna all'antico, come si predicava un tempo, forzatamente, perché è da generazioni che non si allevano  nuovi possibili manager delle istituzioni pubbliche.
 Cambio della guardia anche all'Opera di Roma, dove ai primi di dicembre, contemporaneamente con il Teatro di Roma, scade il consiglio di amministrazione, ricomposto con nuovi nomi, e sostituito il sovrintendente: al posto di Catello De Martino arriva Carlo Fuortes, il salvatore. strano che non venga mai incluso, nel cambio della guardia, anche Alessio Vlad, il grande direttore artistico apprezzato internazionalmente. Direttamente da Bari. E lui ha già messo le mani avanti: non lascia l'Auditorium. Poniamo che, invece dell'Auditorium, Fuortes fosse a capo dell'Accademia ceciliana, avremmo il primo caso in cui un solo sovrintendente, contro la legge, regge due fondazioni. Ora fra l'Accademia e Musica per Roma, fra l'altro coinquilini, c'è poca differenza: la seconda non prende soldi dallo Stato; è l'unica grande differenza. Perchè, allora, accettare questo doppio ruolo? Forse che né Musica per Roma né l'Opera comportano un impegno costante? O non è che Fuortes si sente più sicuro a guidare una macchina che già conosce e dalla quale difficilmente gli verrà intimato di scendere, almeno per tutti gli anni di Marino e soprattutto ora che è tornato in campo di nuovo Bettini, suo compagno d'armi agli albori di Musica per Roma, mentre all'Opera  soffiano venti di tempesta, ci sono milioni di debiti e Fuortes, per quanto bravo non avrà vita facile e soprattutto non può fare miracoli? Quando un manager molto impegnato si impegna in un nuovo secondo parallelo incarico, a noi ci fa venire qualche sospetto, per lo meno quello che i diversi lavori ormai si fanno con la mano sinistra, dal che viene la disastrosa situazione diffusa dell'Italia.
Staremo a vedere. Lissner oggi, sull'Espresso dà una bella strigliata al mondo musicale italiano, e fa bene, benissimo. Comincia per ricordare al nuovo ministro Bray che forse era il caso che avesse fatto una visitina o si fosse fatto sentire dal teatro più importante del mondo. Ed ha ragione. Prosegue ironizzando sul  manager messo dal governo ad amministrare il nuovo fondo per i teatri in difficoltà. E' un ingegnere idraulico, se non ci sbagliamo. Lissner chiosa: se restassi in Italia potrebbero anche nominarmi ministro dell'Economia.
 Bolla le incongruenze del decreto governativo 'valore cultura' subito bisognoso di  grandi correzioni: siamo un paese di pagliacci incompetenti. Ed infine se la prende con un critico che avrebbe ironizzato sull'alta qualità dell'Orchestra di Santa Cecilia. Se un critico ha detto questo, Lissner ha ragione a bollarlo.
 Purtroppo anche a noi da un noto direttore d'orchestra, assai inavvedutamente, venne fatto lo stesso apprezzamento sull'orchestra di Pappano. Ci disse, nel corso di un'intervista, ma a registratore spento:  quella è un'orchestra? E' chiaro che voleva scherzare, anche perchè il suo metro di paragone, in funzione dell'eccellenza, era un'altra orchestra che, per decenza, non nominiamo ma che non è difficile immaginare.

mercoledì 27 novembre 2013

Domande

PENSIONE E LIQUIDAZIONE PER GLI STATALI. Diciamo, innanzitutto, che le pensioni basse noi statali ce le meritiamo, come diretta conseguenza dei salari bassi, a loro volta diretta conseguenza del basso impegno. E questo vale anche nella scuola dove noi abbiamo lavorato fino a qualche mese fa,  per quaranta e più anni, ininterrottamente. La ragione dei bassi stipendi e dunque, a fine corsa, delle basse pensioni, per la scuola, ha però una motivazione aggiuntiva. Il piccolo pegno da pagare per il privilegio di aver lavorato a contato con i giovani, elisir di giovinezza mentale,  se non proprio per tutti, almeno per noi.
 Dunque tutto regolare? Sì, assolutamente. Ora però la nostra domanda è un'altra ed è in qualche modo legata all'entrata in vigore delle leggi, ed alla loro retroattività. Un interesse che ci lega - l'unico- al povero Cavaliere. La nuova legge di stabilità prevede che coloro i quali andranno in pensione, fra gli statali - i pochi che non moriranno prima, per fame - avranno la liquidazione non entro i sei mesi successivi all'uscita dal lavoro - come già aveva penalizzato gli statali in pensione il governo Monti - bensì  nei dodici mesi successivi, sempre che non superi i 100.000 Euro - pericolo che non corre la quasi totalità degli statali; nel qual caso la liquidazione dovrebbe arrivare in due tranches e in due annui. Ora la legge di stabilità con questo nuovo regalo agli statali,  dovrebbe riguardare i pensionandi  dal  2014. DOMANDA: noi che siamo andati in pensione alla fine di ottobre 2013  avremo anche questo regalo, oltre  la mancanza di contratto che ci è stata regalata dal 2010, e della quale non finiremo mai di ringraziare quei fottuti nostri governanti? Si attende risposta da chi sa fornirla

CONDUTTORI. Sempre più spesso , a proposito dei direttori d'orchestra, leggiamo usato il termine 'conduttore' che tradurrebbe alla lettera l'inglese 'conductor', giacchè in inglese 'director' è il termine che qualifica l'autore di uno spettacolo, il nostro 'regista'. Ma allora perchè creare ancora altra confusione sotto il cielo della nostra lingua , dove di termini fuori luogo se ne usano già troppi , come ad esempio nel caso del termine 'politico' con il quale solitamente si indicano degli analfabeti,  degli affaristi, dei servi,  delle ex escort, dei ladroni,  e qualche volta dei drogati, ma sempre e comunque dei privilegiati, mai persone dediti alla cosa pubblica, o al bene comune?  DOMANDA:  i direttori d'orchestra  non sarebbe meglio chiamarli con il loro nome italiano?

LINGUA. Non l'organo tante volte tirato in ballo in queste settimane, perchè usatissimo da chi di  lavoro fa l'adulatore; bensì  l'insieme di termini che servono per esprimerci e comunicare. A tal proposito, proprio oggi, sul 'Messaggero', a firma R. S., leggiamo dell'apertura della stagione all'Opera di Roma, con l'Ernani di Verdi diretto da Muti, questa sera. Leggiamo testualmente: 'Oggi alla 19, Riccardo Muti salirà sul podio del titolo verdiano  scelto per inaugurare ecc...'. Quando leggiamo  quel che abbiamo letto, ci viene subito l'impulso a salire in cattedra, per rimettere a posto le regole della logica linguistica. Come fa Muti, per quanto agile  atleta come non è più, a salire sul 'podio del titolo'? Stesso errore nell'occhiello dell'articolo. Non solo come fa a salire sul 'podio del titolo', ma dove lo va a cercare il 'podio del titolo' per salirvi sopra? Non sarebbe stato più prosaico - per questo forse abbandonato? -   ma più chiaro, scrivere salirà sul podio 'per il titolo'? In questo secondo caso, anche il non più giovanissimo Muti ce la fa a salire sul podio, dove, sul leggio, per evitargli la scalata al 'podio del titolo', gli  faranno trovare pronta la 'partitura del titolo', scrivere: la 'partitura' - mi raccomando ' non la 'potatura del titolo'. Coraggio, sarà per un altra volta!
 L'unica cosa che  oggi  non abbiamo letto sul 'Messaggero',  nelle paginate dedicate all'Opera,  è la consueta  frase 'fortemenete voluto dal sovrintendente De Martino' : Ma perchè questa stagione non l'ha voluta, come le altre, 'fortemente' il sovrintendente De Martino? Non sarà che sta facendo già le valigie per traslocare e allora è meglio prepararsi a saltare sul carro del vincitore prossimo, prendendo le distanze da quello passato, ora in disgrazia, causa bilanci? DOMANDA: E' così?
Le risposte sono gradite.

Mina e Allevi cannibalizzano il Natale

Ci mancavano solo loro  nella  già lunga lista di cantanti  o cantautori e sedicenti pianisti che, in un momento di vuoto totale di idee, si buttano sul Natale.
 E' accaduto a Mina che ha di recente inciso un CD con melodie legate alla festa più familiare e commovente della religione cristiana, senza che ce ne fosse un vero bisogno, semplicemente per fare cassetta. Ci sbagliamo? Questo CD non l'abbiamo ascoltato, nè pensiamo che ci capiterà volontariamente di ascoltarlo, semplicemente perché non ci interessa. Ma potrebbe accaderci, girando qua e là, di ascoltarlo come tante altre musiche di sottofondo  che stridono con  la nostra sensibilità e procurano danno anche all'orecchio.
Anche  l'Allevi, che ora ha ritrovato l' ispirazione- come ha dichiarato di recente - ha compiuto una analoga operazione. Anche lui ha inciso un CD di canti natalizi, suonandole al pianoforte, perché ancora  non canta, per fortuna di tutti. Ma, anche questa volta, lacrimevolmente ha raccontato di aver ascoltato per tanto tempo alcune di queste melodie da un giocattolino del figlio, e di essersi reso conto che quel suono metallico del giocattolino rovinava quelle bellissime, a volte tenere , melodie. ed allora ha deciso di rovinarle con le sue mani. Ne ha scelte quante ne servivano per riempire un CD e gliele ha suonate, alle melodie.
 Ci accusano di essere particolarmente cattivi con Allevi, come  abbiamo letto in una animata discussione in rete, a seguito di una  nostra motivata stroncatura di Allevi (ed anche della Bartoli). Approfittiamo dell'occasione per una nostra difesa.
Non crediamo di essere cattivi con Allevi né di avercela particolarmente con lui. Ci infastidisce quel suo tono 'profetico', apparentemente svagato e naif, che  vuole ad ogni costo ammantare di  tenero sentimentalismo ogni cosa, anche la più banale e commerciale. Questo non ci va  giù. Sorvoliamo ovviamente sulle stupidaggini che lui, dottore in filosofia, non dovrebbe dire e neanche pensare, come quelle sul ritmo che contrapponevano Beethoven, senza ritmo, e Jovanotti, pieno di ritmo!
In quella discussione alla quale accennavamo, qualcun altro ci rimproverava di non avere mai usato il medesimo tono, duro, nei nostri numerosissimi articoli susciti su 'Il Giornale' ( la recensione dalla quale era scaturita quella discussione in rete era apparsa su 'Suono', il mensile al quale collaboriamo da quasi tre decenni circa).
Cogliamo l'occasione per rispondere anche a questo. Vero, le volte in cui abbiamo proposto al nostro capo di scrivere qualche articolo un pò pepato, ci è stato risposto che le pagine culturali del Giornale  sulle quali abbiamo scritto per oltre dieci anni - dovevano avere un tono molto diverso dal resto del Giornale che, invece, toni duri li usava quasi in ogni pagina. E questa è una ragione. Ma ve ne è anche un'altra, legata al caso Allevi. Non abbiamo mai potuto scrivere nulla su di lui, perchè Allevi era appannaggio di altre competenze - possiamo dire per nostra fortuna - le quali mai e poi mai ne avrebbero scritto male, quand'era, come lo è tuttora sebbene in tono minore, un fenomeno che 'tira'. In questo Il Giornale non era isolato e diverso dal resto della stampa: fateci il nome di qualche giornale che  ne scrive male  o  non bene, salvo quella intervista a Ughi di  alcuni anni fa sulla 'Stampa', fatta apposta per far casino.
 Recentemente abbiamo trovato nella rete una foto, delle tante 'stupide' che gli uffici stampa consigliano di fare, ad uso e consumo dei giornali sempre ghiotti di imbecillità. Ritrae Allevi che è disteso dentro un pianoforte, con il coperchio semi alzato. Immediatamente ci è venuta la voglia di scriverci una didascalia ironica, del tipo: chiudete il coperchio e lasciatelo riposare per un pò. Per la nostra gioia.

martedì 26 novembre 2013

Berlusca: senza di me il paese va a rotoli. Solo io posso difenderlo

Ha fatto bene il Cavaliere e la 'sua' Forza Italia a togliere la fiducia al governo, preannunciando che voteranno contro la legge di stabilità in parlamento, domani.  e, invece, l'hanno già fatto questa notte. E così la legge di stabilità e la nuova maggioranza  sono passate al Senato. Perchè Berlusca e la 'sua' Forza Italia hanno a cuore le sorti del nostro paese, che sembrano invece lontane dagli interessi di questo governo, che vuole tenere i conti in ordine,  e che per  tenersi buoni i cani rabbiosi dell'ex PDL ha dovuto già  togliere l'IMU ecc... come è a tutti noto. Berlusca e la 'sua'  Forza Italia non vogliono far fare altri sacrifici al paese e per bocca dei suoi capibastone Romani e Brunetta, che  sanno - a differenza del governo - cosa vuol dire non arrivare alla fine del giorno, perchè i soldi non bastano neanche a loro per la semplice sopravvivenza, ed ancor meno bastano al Brunetta - che li ha spesi tutti l'anno scorso a pagare l'IMU delle numerose case che ha comprato qua e là, dopo aver rivenduto le precedenti proprietà acquistate dall'INPS a prezzi stracciati e di assoluto favore. Caro il Brunetta che  dice di avere a cuore le sorti del paese, e intanto  fa il furfantello.
Stessa cosa ripete il Berlusca. Lui va all'opposizione perchè non può votare una finanziaria che mette ancor più in ginocchio, più di quanto non abbia fatto lui negli ultimi suoi anni di governo, l'intero paese.
 Perdoni, Cavaliere, ma questo suo cambio di casacca, ovviamente, non ha nulla a che fare con la votazione della sua decadenza da senatore che andrà in aula oggi ? E  a chi pensa, al contrario, che le due cose siano da mettere in relazione, glielo dica apertamente, chiamandolo per nome: farabutto e diffamatore. Bravo Cavaliere! E se qualcuno, nonostante ciò, continuasse a pensarlo, lo metta in guardia: "chi non mi rispetta, stia attento. E' una minaccia? Certo che lo è, come faccio altrimenti a difendermi da chi vuole infangare il mio nome di onorato cittadino che vuole solo il  bene del suo paese, che ha sempre pagato le tasse e non ha mai fatto male a nessuno?  Chi vuole proseguire lo faccia, ma a suo rischio. Bravo Cavaliere,  prossimo ex senatore.
Però ora,  si tolga finalmente dai... vedrà che anche  'ai servizi sociali' non si sta poi tanto male. Anche fuori da Parlamento- ha affermato il Cavaliere,dopo la sua decadenza - continuerò a lottare per la nostra libertà'. Compresa la sua di libertà. Libertà provvisoria.  Auguri.

C'è IUC e IUC

-Pronto?
-Sì.
-La IUC?
-Dica.
-Quanto costa?
- Dipende.
-Siamo in quattro.
-Va bene, ma deve dirmi se pregiati o no.
-Nè pregiati, nè popolari. Una via di mezzo.  Quanto pago? E, poi, quando occorre  pagare?
-Le va bene il 16 dicembre?
-Sì, benissimo. Ma quanto mi costa?
-Attenda, mi faccia fare due calcoli
-Se si tratta di  pregiati, fa 100 Euro; se invece, meno pregiati ma non popolari, come lei mi ha detto, allora  scendiamo a 60 Euro.
-Pensavo molto di più.
-Perchè?
-Mi avevano detto che avrei pagato molto di più, invece devo ammettere che tutto sommato, i prezzi mi sembrano calmierati; ed io che stavo già per fare una filippica, a telefono, contro il governo ladro.
-Allora, mi dica se pregiati o no.
-Facciamo pregiati.
-Bene, a che nome? Mi faccia lo spelling, non ci sento bene.
-Sì, volentieri.
-Grazie, passi entro il 15 al botteghino a ritirare i suoi quattro biglietti per il concerto del 16 dicembre. Le rammento che avrà luogo nell'Aula Magna dell'Università, per la  IUC. Grazie per averci scelto
- Danno  un concerto omaggio. Che strano!
Fine della telefonata.
 Dopo l'invenzione della nuova tassa sugli immobili dell'attuale governo, la IUC - Imposta Unica Comunale -  la telefonata,  da noi inventata,  potrebbe essere non del tutto improbabile, se digitando IUC, come tassa sugli immobili, la rete  desse un recapito telefonico di un'altra IUC, più antica e meno ingloriosa di quella governativa,  e che sta per Istituzione Universitaria Concerti.

Tanto tuonò che alla fine il temporale si allontanò

Alla vigilia della prima  dell' Ernani, con Muti sul podio, titolo inaugurale della stagione all'Opera di Roma, da ogni parte cadevano fulmini e  si udivano tuoni - gli uni e le altre  ambasciatori di  un autentico temporale che stava per scatenarsi all'interno del teatro. Ma già qualcuno aveva avvertito che si trattava di un casotto armato ad arte, e che poi,  ad un passo dalla rottura definitiva delle trattative fra le parti, sarebbe arrivata la pace, seppure  momentanea ed incerta. Perchè se è vero che l'inaugurazione di stagione è l'occasione migliore per far sapere al mondo che  il teatro esiste, è vero anche che far  casino proprio in quell'occasione dispone malamente l'opinione pubblica. E così è stato; ieri mattina un incontro con il direttore artistico  Alessio Vlad - chissà cosa avrà detto  ai dipendenti, prima di tutto a orchestra e coro, se ha compiuto un miracolo più grande di Muti ! - e ieri pomeriggio tutti in Campidoglio, dove dopo ore di discussione  è stata firmata la tregua. Fulmini e tuoni   ve ne sono ancora ma  la tempesta che facevano temere s'è spostata altrove o semplicemente procrastinata. Della tempesta pronta ad esplodere, solo un segno, nel rinnovato Teatro nazionale, dove si  è svolta la consegna dei premi di danza, voluti ed organizzati dalla Fondazione che fa capo alla commissariata Accademia  nazionale di Danza,  all'Aventino. Beh, mentre c'era la consegna dei premi e i ballerini danzavano, sul palcoscenico ha cominciato a piovere, letteralmente, fra la sorpresa generale - al punto che la maggiore abilità dei ballerini si stimava  per la loro capacità di evitare la pioggia e le pozzanghere, nella sala che l'Opera ha appena fatto restaurare, e dove si dovrebbe svolgere una stagione di alta qualità, ma galleggiante.

lunedì 25 novembre 2013

Quelli che non sanno fare le formiche in tempi di vacche grasse.Come gli amministratori dell'Opera di Roma

Quando cominciò la corte a Muti, che diede il definitivo assenso al 'fidanzamento' con l'Opera di Roma nel corso di un incontro a Salisburgo, i messi della famiglia operistica romana, Alemanno e Vespa,  srotolarono ai piedi di Muti un lungo tappeto rosso, spargendovi sopra petali di  fiori ed Euro - è inutile fare gli ipocriti. Senza soldi non si fa nulla. Solo che negli anni di vacche grasse  occorreva anche pensare agli anni di vacche magre, che prima o poi sempre arrivano a stravolgere ogni piano, anche il più ragionato. Alemanno aveva già preso De Martino e Colabianchi, due debuttanti in ruoli di così grande prestigio e responsabilità; accondiscese al volere di Muti di mandare a casa Colabianchi, per metterci al suo posto Alessio Vlad - per eterna riconoscenza verso il padre, Roman,  suo protettore agli inizi della sua carriera fiorentina - ma senza che avesse dato nelle peregrinazioni precedenti prova di grandi capacità; principalmente perché, graziandolo dal punto di vista della carriera, da lui avrebbe avuto sempre fedeltà e sottomissione. Ciò che si va leggendo di queste tempi sulle sue grandi capacità, fa semplicemente ridere.
 Alemanno mise a disposizione tutti i fondi necessari e di più, mentre nessuno, anche della sua stessa parte politica, alzò mai  un dito contro il finanziamento esagerato che il Comune faceva all'Opera - superiore perfino a quello che le amministrazioni regionali siciliane, in odore di... e  clientele, facevano ai due teatri di Palermo e Catania. Qualcuno dirà: niente di nuovo. Veltroni non fece altrettanto con l'Auditorium nei primi anni? con la differenza che l'Auditorium non ha masse stabili, e inoltre, ospitando manifestazioni di ogni genere, nelle sue casse arriva tanto altro denaro.
Un buon amministratore in tempo di vacche grasse non chiede ancora altro  grasso; anzi cerca di non sciupare tutto il bendiddio che l'amministrazione 'amica' gli mette a disposizione per  risolvere  i problemi presenti e passati e per non crearne di nuovi. La ricordate la politica di Gianpaolo Cresci? Se tu non spendi sei  ritenuto un cretino; mentre se spendi  ci sarà sempre qualcuno che ripianerà i conti. Senonchè ora i furbi sono costretti a pagare per la loro dabbenaggine ma anche per irresponsabilità, che i politici fanno presto a scrollarsi di dosso, per buttare la croce, alla resa dei conti, sulle spalle dei loro servi incapaci. Se è vero che sono cresciuti i contratti di collaborazione, che alcuni cachet erano spropositati,  e che vi sono state spese inutili, allora è sacrosanto che chi non ha saputo ben amministrare profittando dei lauti finanziamenti di un  tempo del Comune, vada a casa. Noi non la faremmo finire lì la storia, gli chiederemmo conto di tutto  e gli faremmo pagare  quei soldi che ha letteralmente buttato Sia a lui che al suo direttore artistico che non può chiamarsi fuori, perché  voluto  da Muti più che da Alemanno; né la presenza di Muti  può giustificare qualunque spesa fuori luogo e fuori misura.
Ecco il vero nodo dell'Opera. Che bisognerà sciogliere nel periodo finanziario più buio per il Comune oltre che per il teatro: il bilancio del Comune di Roma è a rischio, come si legge da tempo sui giornali. E allora i lavoratori, al di là del problema della decadenza del sovrintendente e del consiglio di amministrazione, per metterci - a detta del ministro- PERSONE COMPETENTI CHE AMANO L'OPERA; perchè finora chi ne faceva parte? - vogliono sapere giustamente dei loro stipendi e, per questo, non fidano di Marino - che avrebbe detto di aver versato 1 milione di Euro per i pagamenti INPS, ed invece sembrerebbe che non l'abbia ancora fatto; non si fidano del ministro per quanto li abbia rassicurati sul commissariamento: NON CI SARA'; VEDREMO I BILANCI ALLA FINE DEL MANDATO DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE (dunque potrebbe, però, esserci nel caso in cui i bilanci fossero - come si sospetta - negativi e non per i soldi che ancora Comune e Regione devono al teatro); e non si fidano neppure di Zingaretti, il quale, più concretamente di Marino ha fatto - stando alle sue dichiarazioni - pervenire al sovrintendente il piano della rateizzazione dei finanziamenti che, evidentemente, hanno i loro tempi e che la Regione deve anche per gli anni 2011 e 2012 - quando la Polverini badava solo a promuovere i suoi più fidati attendenti, alzandogli gli stipendi!
In tutto questo l'invito rviolto a Muti è di lavorare in tranquillità per non interrompere il lavoro qualificatissimo che ha intrapreso da tre anni a questa parte. E' una parola!

domenica 24 novembre 2013

Berlusconi si preoccupa solo ora del buon nome dell'Italia nel mondo

Sarebbe una vergogna per il nostro paese se il Senato decidesse la decadenza da senatore,  oltre naturalmente alla interdizione da ogni incarico pubblico, di Silvio Berlusconi, già  capo del governo. Così parlò il Cavaliere, che ha anche aggiunto che Napolitano dovrebbe concedergli la grazia prima che arrivi la sua decadenza e per evitargli la vergogna dell'affidamento ai servizi sociali e, soprattutto, senza che gliela chieda.
Perchè il Cavaliere non  si è  preoccupato del buon nome dell'Italia quando - tutto il mondo  lo sapeva -  la sua villa di Arcore e la sua residenza romana di palazzo Grazioli, le aveva trasformate in un casino affollatissimo di donnine, disposte a soddisfare qualunque sua richiesta in cambio di denaro? Allora, quando era capo del governo e perciò più in vista e con maggiori  e piùdelicate responsabilità, del buon nome del paese non gli fregava affatto?
Colpo di Stato  ai danni del Cavaliere? Colpo di testa del cavaliere  ai danni dell'Italia.

sabato 23 novembre 2013

Ladri protetti

Con  una nota dell’ottobre 2011, il Ministero dell’Economia ha informato l’opinione pubblica che i parlamentari, non essendo lavoratori dipendenti, ma neanche lavoratori in tutti i sensi, bensì titolari di “cariche pubbliche”, non sono tenuti a pagare il contributo di solidarietà, richiesto a tutti gli altri cittadini che guadagnano meno di un terzo di ciò che gli italiani titolari di cariche pubbliche  rubano al resto del paese.

Piove? Governo inetto

La sapete l'ultima di Letta nipote? Per salvare l'Italia dell'arte facciamo una lotteria/campionato. Ogni anno eleggiamo una città 'capitale della cultura italiana' in maniera da dargli la sveglia perché si occupi dei suoi tesori, magari malandati o semplicemente trascurati. La nazione accende i suoi riflettori su quella città e il fiume di turisti si dirigerà interamente in quella città. Il. bello è che i soldi per  far tornare a risplendere i mille tesori  delle nostre città non ci sono. S' è dovuto derogare al 'patto di stabilità', per la ricostruzione in Sardegna. Senza deroga anche la Sardegna rischiava di  restare una regione per metà in rovina. E parliamo della Sardegna, che in fondo è un'isola.
Ma che succede in Continente, come i sardi chiamano lo stivale? Succede che l'Ara Pacis, a Roma, uno dei monumenti più famosi, di recente protetta dalla nuova scatola costruita da Meyer, con le piogge torrenziali degli ultimi giorni, imbarca acqua - secondo i tecnici: i piccioni avrebbero mangiato il silicone fra una lastra e l'altra. Ma come mai il precedente scatolone non permetteva all'acqua di infiltrarsi? Non finisce qui.  Nell'aula degli 'Orazi e Curiazi', in  Campidoglio, piove, e gli affreschi,  in alcuni punti, si sono gonfiati. Letta,  non farci ridere, rimedia all'Ara Pacis e al Campidoglio. Qui ogni momento bisognerebbe inventarsi una  lotteria per salvare l'Italia che fa acqua.

LIBERI DI LEGGERE. E ANCHE NO

Leggiamo sul Corriere - nel dorso 'romano' - l'annuncio di un concerto alla IUC, il cui testo non è che la riproduzione  esatta del comunicato  inviato nelle redazioni dal solerte ufficio stampa, che di mestiere fa anche il critico musicale, scrivendo,perciò, anche delle stesse associazioni per le quali si occupa di  fare pubblicità giornalistica,  come addetto stampa - ma per ora sorvoliamo su tale diffusissima anomalia.
Leggiamo:" I Turchini di Antonio Florio oggi alle 17.30 nell'Aula Magna della Sapienza in apertura della stagione della IUC.Valentina Varriale soprano,Giuseppe De Vittorio tenore, con la direzione di Florio, proporranno ' Opera seria e opera buffa nei teatri napoletani del XVIII secolo'. Nel Settecento Napoli non soltanto fu la capitale italiana dell'opera, ma conquistò con le sue opere anche l'Europa,dal Lisbona a San Pietroburgo. Ancora nell'Ottocento Stendhal era follemente innamorato delle opere 'buffe' napoletane. Il fascino di quella musica è ancora attuale: ad eseguirla saranno stasera I Turchini, da oltre 25 anni ambasciatori della musica napoletana del Sei-Settecento. Al loro attivo la riscoperta di molte opere dimenticate, circa quaranta incisioni discografiche e centinaia di concerti in Europa, America e Asia. Accanto a compositori celebri come Giovanni Paisiello, si ascolteranno i quasi totalmente dimenticati Michel Angiolo Faggioli, Nicola fiorenza, Pietro Marchitelli, José De Nebra e Giuseppe Petrini. Info.06.3610051. Senza firma.
Cambiamo giornale e leggiamo, dello stesso concerto, dal Messaggero: " Alla Sapienza canta e suona la Napoli del Settecento.Il protagonista del concerto di oggi  alle 17.30 per la IUC è il complesso I Turchini diretto da Antonio Florio. Con loro sul palco ci saranno il soprano Valentina Varriale e il tenore Pino De Vittorio, in un programma intitolato 'Opera sera e opera buffa nei teatri napoletani del XVIII secolo'. Il fascino di quella musica è ancor oggi irresistibile, soprattutto se ad eseguirla sono I Turchini. Da oltre venticinque anni ambasciatori della musica napoletana del Sei-Settecento nel mondo, questi musicisti hanno all'attivo la riscoperta di molte opere dimenticate,circa quaranta incisioni discografiche e centinaia di concerti in Europa, America e Asia. Accanto a compositori celebri come Giovanni Paisiello si ascolteranno i quasi totalmente dimenticati Michel Angelo Faggioli, Nicola fiorenza, Pietro Marchitelli,Josè De Nebra e Giuseppe Petrini.
Grazie a I Turchini a a Florio rivivranno l'irrefrenabile vivacità della tarantella a due voci di Faggioli, il divertentissimo ritratto satirico del Pajetta presuntuso ancora di Faggioli, i pepati bisticci dei due protagonisti dell'intermezzo Graziello e Nella di Petrini".  Firma L.D.L. Fine dell'articolo del Messaggero
 Dunque sul Messaggero cambiato  inizio e fine, la parte centrale della presentazione, la più lunga, è  esattamente la stessa del Corriere. Deduzione.  Uno stesso giornalista scrive per le due testate, oppure il Corriere e il Messaggero hanno riprodotto PIGRAMENTE e VERGOGNOSAMENTE il medesimo comunicato, solo che il Messaggero ci ha messo la solita sigla:L.D.L - che starebbe per LIBERI DI LEGGERE, sottinteso: da noi, sul Messaggero, oppure su qualunque altro giornale, Corriere compreso, che a volte, usa la medesima tecnica del Messaggero. Non abbiamo più La Repubblica dei giorni scorsi, l'abbiamo già buttata via, perchè sicuramente avremmo potuto aggiungere alla lista dei copioni dichiarati o anonimi anche l'altro quotidiano, che solitamente firma i pezzi di presentazione di 'classica' con una sigla: G.D.A. ( (GUARDA - DAI !- ALTROVE!).

Quando arriva il commissario ministeriale un teatro fallisce

Qualcuno l'ha scritto i giorni scorsi. Un semplice  esame delle  precedenti esperienze lo attesta inequivocabilmente. Quando un  teatro vine commissariato dal ministero, i guai non finiscono, anzi cominciano proprio con il commissariamento. Prendiamo ad esempio Firenze, lì c'era passato Nastasi, sembrava tutto a posto, poi arriva il duo Giambrone-Arcà e rieccoti il deficit di bilancio- Nastasi aveva realmente rimesso le cose a posto? - il sindaco chiama Francesca Colombo che dovrebbe fronteggiare una situazione disastrosa, è chiaro che non ce la fa; se poi ha contro anche il sindaco che l'ha chiamata e il ministero che stringe i cordoni della borsa, a lei di chiede di sacrificarsi per tutti, ministero compreso, mentre Arcà si defila poco  prima che scoppi il bubbone, perchè interessato 'ad altre esperienze professionali' - leggi: trasferimento a Parma, di nuovo al fianco di Fontana; esperienza professionale nuovissima - e Giambrone è  tornato a fianco del sindaco di Palermo (IDV) e ricomincia la scalata al Massimo, dove era già stato sovrintendente. I due non c'entrano con il deficit che ha trovato la Colombo? e il tribuno fiorentino, Rienzi,  che fa?  sta alla finestra?  perchè neanche una parola in difesa della Colombo che lui aveva messo lì, senza dirle che da lei voleva un miracolo?
Non vogliamo portar sfiga a Napoli, al Teatro San Carlo dove pure c'è passato Nastasi il quale,  ha almeno trovato lavoro alla sua mogliettina Giulia Minoli - una vergogna senza pari!. Negli ultimi mesi, al di là  dei finanziamenti generosi per le tournée del teatro - più generosi di tutti quelli elargiti agli altri teatri, forse con la sola eccezione della Scala,  vivaddio!- anche sul teatro napoletano sembra allungarsi l'ombra di problemi di bilancio.
 Non parliamo di Genova, dove il suo - del ministero- ambasciatore/commissario, ha fatto disastri a tutti noti., mandando a casa il ,sovrintendente direttore artistico Ferrari e poi facendosi letteralmente cacciare a calci nel sedere per la voragine  nei conti che non era in grado di risanare neanche in parte.
 Vogliamo parlare  di Cagliari, dove  la coppia Nastasi-Letta zio, hanno infilato la Crivellenti,  prelevandola dalla biglietteria del teatro e facendola sedere sullo scranno più alto dell'istituzione? anche lì ci sono guai.
Ora a Roma,  con tutte le colpe degli attuali amministratori del teatro e dei precedenti, comunali, che sono all'origine di tutti i mali del teatro è chiaro che  sono terrorizzati alla semplice idea che arrivi un commissario - fosse  anche Fuortes - mandato dal ministero. Fallimento sicuro, dicono.  Incuriosisce che nel fronte contrario al commissariamento siano sulla stessa barricata dirigenza e sindacati, in uno dei quali militerebbe anche  qualche parente del sovrintendente. Ma di questo non c'è da scandalizzarsi: un solo parente è come rilevare la pagliuzza di evangelica memoria; mentre non si guarda alla trave.
Ora dal teatro fanno sapere che se regione e comune pagassero i rispettivi debiti, il problema della liquidità immediata  verrebbe risolto, dimenticando che ci sono ben altri problema, e dimenticando, pure, che - forse giustamente, chissà - il finanziamento del Comune al teatro è sproporzionato,da qualunque parte lo si consideri, se si mette in relazione all'attività del teatro, scandalosamente insufficiente; e all'incapacità dei suoi dirigenti  di rispondere alle sfide anche economiche che la crisi pone.
 Non c'è Muti che risolva tutti i problemi e che tenga in piedi il teatro, anche se egli ha dalla sua parte Nastasi, innanzitutto, e forse anche il ministro Bray.

giovedì 21 novembre 2013

Mi manda Muti

Ricordo bene di aver letto sul Corriere molti anni fa una intervista a Placido Domingo che si lamentava della sua assenza dalla Scala. Erano i tempi di Fontana, Muti,  Roman Vlad, Arcà. o forse Vlad era già venuto via, lasciando nelle mani del suo scudiero Arcà, con l'assenso di Fontana e Muti, le redini  artistiche del teatro. Arcà era arrivato con Vlad, anzi Vlad lo aveva portato con sè con la seguente giustificazione: non potendo egli badare alla Scala, a causa dei suoi già numerosi impegni, richiese un aiutante di campo. Perchè proprio Arcà? La ragione era pratica. Vlad lo aveva preso a lavorare alle sue dipendenze, nella redazione del mensile 'Musica & Dossier' dell'editore fiorentino Giunti. Ma che faceva Arcà alla Scala? Secondo un nostro collega ben infornato egli era relegato ad occuparsi delle 'tournée del teatro all'estero'. Dunque in un ruolo assai marginale. Per questo, quando Domingo in quella intervista lamentava il fatto che a telefonargli per una proposta alla Scala era stato un certo Arcà' - come testualmente disse Domingo - egli ribattè che alla Scala conosceva solo Muti, e perciò  parlava solo con lui. Mi pare che non citasse Fontana che certamente conosceva essendo egli sovrintendente da tempo.
 Cosa vogliamo dire con ciò? Vogliamo dire che le carriere molte volte, forse il più delle volte, si costruiscono con  l'appartenenza a consorterie (le logge massoniche vi dicono qualcosa? ma badate bene non sono le uniche!) e società di vario genere ma tutte di mutuo soccorso, e soprattutto con l'ubbidienza  e la fedeltà al potente del momento.
Per tornare ad Arcà, dopo la Scala è chiaro che chiunque, non sapendo la cronistoria  dei fatti,  quando legge nel suo curriculum del passaggio milanese, lo scritturerebbe per sé su due piedi, come appunto è accaduto al compositore romano - mestiere esercitato da Arcà quasi esclusivamente all'inizio di carriera!- che poi è andato in giro a Genova a Parma - già una volta come direttore artistico della Toscanini! - a Firenze ed a Milano, agli Arcimboldi ed alla Società del Quartetto dove tuttora opera, nonostante che faccia il direttore artistico di Fontana al Regio di Parma e che sia anche insegnante al Conservatorio di Milano - cose fra loro incompatibili come abbiamo richiamato nel nostro precedente post: 'Nel Far West della musica italiana!' Tra parentesi, non appena Arcà chiese il trasferimento dal Conservatorio dell'Aquila a Milano, l'ottenne seduta stante. Come poi riusciva, prima, a stare fisicamente e contemporaneamente alla Scala e L'Aquila lo racconteremo un 'altra volta - anzi, lo abbiamo fatto altre volte sia su Suono, che su Music@, più succintamente. Vi fu un imbroglio, alla base del quale c'era il solito ritornello: da noi insegna il direttore artistico della Scala.
 L'errore madornale che spesso si compie da parte di chi ha il potere  è, alla luce di questi elementi, quello di pensare che in una istituzione sia meglio mantenere stretto lo scettro del comando ed avere tutti gli altri prostrati ai propri piedi, piuttosto che circondarsi di pari grado, a causa delle  numerose incombenze che la direzione di un grande teatro comporta.
 E' l'errore che Muti continua a fare anche a Roma: lui solo è la stella, tutti gli altri sono al suo servizio. Ma il guaio è che,  come accadde con Domingo alla Scala, quando ad un artista telefona qualcuno dell'Opera di Roma,  dall'altra parte del telefono si può udire una voce che risponde: io conosco solo Muti. e parlo solo con lui
Ora Muti, nella critica situazione del suo teatro- come  va ogni giorno descrivendo Valerio Cappelli, cantore, un tempo! sul Corriere - non dice nulla dei suoi collaboratori, dei quali evidentemente può dire la stessa cosa che Berlusconi ed i suoi schierani vanno dicendo dei parlamentari ex PDL: questo(a) o quello(a) li ho creati io, senza di me non erano nessuno. E' l'errore grossolano nel quale Muti - ce ne dispiace davvero!- casca ogni volta. Mentre sarebbe molto più saggio che al suo fianco pretendesse collaboratori della sua stessa autorevolezza ed indipendenza di pensiero.

lunedì 18 novembre 2013

Ernani Francesco, la vendetta

Mentre Riccardo Muti, sicuramente teso per le acque agitate del Teatro dell'Opera sta spiegandoal pubblico convenuto all'Opera Ernani di Giuseppe Verdi, che fra qualche giorno dirigerà per l'apertura di stagione  a Roma, si consuma la vendetta dell'altro Ernani, Francesco, mandato via dall'Opera di Roma quattro anni fa, con l'accusa di aver 'truccato' i bilanci - erano in rosso e lui li faceva figurare in pareggio al punto che da una organizzazione che riunisce i teatri d'opera europei aveva ricevuto un premio per buona amministrazione - ed ora sovrintendente a Bologna, chiamato dalla Cancellieri all''epoca commissario al Comune di Bologna, la quale lo aveva già voluto come consulente sovrintendete a Catania, dove poco prima era stata commissario.
Approdato al comune Alemanno, volle fare piazza pulita dei dirigenti delle massime istituzioni cittadine, messi lì dai precedenti amministratori. E come si fa, di punto in bianco? Li si accusa di truccare i bilanci, meglio di averli passivi. Ernani si difese, ma a nulla servì. Dovette abbandonare il campo, e al suo posto Alemanno si inventò sovrintendente e direttore artistico senza storia senza passato:De Martino, Colabianchi.. Una vera invenzione. Prima suoi consulenti, di lui commissario, poi amministratori in proprio. l'allora consulente alla direzione artistica aveva un curriculum praticamente nullo; il titolo di maggior pregio era aver diretto in occasione di celebrazioni in onore di Almirante e di essere vicino agli ambienti della destra che, come si sa, in fatto di cultura fanno piangere dalla disperazione. Si vide in quel periodo il palco reale dell'Opera frequentato da gente che si sentiva più a suo agio  negli spettacoli televisivi, nei piano bar e nei salotti romaneschi. Quel consulente alla direzione artistica dovette abbandonare anche lui, quando fu ingaggiato Muti e volle alla direzione artistica Alessio, figlio di Roman Vlad. Niente di speciale, anche perché l'Alessio che aveva fatto il giro di qualche teatro, a Genova ad esempio era dovuto andare via,  perché protestato dalle maestranze del teatro. E allora perché chiamarlo a Roma? Per lasciare mano libera a Muti. E qui il direttore, ci perdonerà ha compiuto il suo più grande errore. Lui non vuole che il teatro nel quale ha un incarico stabile, anche se semplicemente 'onorario benché a vita' - formula assai singolare - sia retto da persone in gamba e competenti.
In tutti questi anni, tre o quattro, il Corriere della Sera, per bocca di Valerio Cappelli, ha inneggiato ai signori del Costanzi, senza distinzione. Ancora oggi ha l'impudenza di scrivere che la direzione artistica, cioè il suo amico Alessio, è il migliore in circolazione- quando non si vuole vedere, si possono tenere anche gli occhi aperti e nulla si vedrà!
 Lui, Cappelli, ha sempre fatto il portavoce dell'Opera , dietro suggerimento di Filippo Arriva, che non è mai arrivato prima di Cappelli - a dispetto del cognome -  dal quale ha ottenuto notizie in anteprima,  in cambio del 'fiancheggiamento' a Muti, al teatro ed ai suoi manager. D'altro canto quest'estate la sua pièce su Carlos Kleiber è andata anche a Caracalla. Una ricompensa per i  tanti servigi resi?
Mai in questi anni che abbia sollevato il Cappelli qualche dubbio sull'amministrazione del teatro, come invece ha cominciato a fare all'improvviso qualche settimana fa, al punto da meritarsi una lettera di smentita di Bruno Vespa, alla quale ha replicato, perchè chiamato in causa, Lissner, e lo stesso Cappelli che ha contestato molte delle affermazioni di Vespa che smentiva le accuse fatte proprie da Cappelli, sulle quali è tornato , sempre sul Corriere, nuovamente e  proprio oggi, chiedendo di vedere quei bilanci che, secondo i revisori, non brillano, e che lui spera di poter vedere, almeno quando il CDA, fra breve, andrà a casa.
 Noi lo abbiamo detto molte volte. La storia è sempre la stessa. I buoni amministratori si valutano in base alla fedeltà al governo di turno. Catello De Martino era al suo debutto da sovrintendente. Corriere e Messaggero lo hanno incoronato come sovrintendente più bravo d'Italia, e poi... e poi spuntano  i buchi di bilancio , appena in Campidoglio cambia il governo che non è disposto a dare tutto quello che gli viene richiesto per tappare i buchi.
Almeno sul fatto che l'Opera di Roma sia il teatro più finanziato dalle amministrazioni comunali, con ben 20 milioni di Euro all'anno; che sia un teatro con un pubblico che  non raggiunge nemmeno le 200.000 unità, che abbia soltanto 3.000 abbonati, che fa poco più cinquanta-sessanta recite d'opera l'anno e infesta la sua programmazione di spettacolini  e concertini davvero imbarazzanti - il direttore artistico sommo, ovviamente in questo non ha nessuna responsabilità secondo Valerio Cappelli - che abbia introiti propri  che superano di poco il milione di Euro, che non si sia procurato soci e sponsor importanti, questo non si può negare, tutto il resto è propaganda. Meglio: è stato propaganda; ed ora non più. Muti avrà fra gli ascoltatori il ministro Bray, ed il suo  maggiordomo Nastasi, legato a  Muti da lunga data, e spera di poter ottenere  ciò che ottenne da Tremonti: allora salvò i teatri, adesso spera di salvare il suo di teatro.  Lui certamente , comunque vadano le cose, si salverà, ma il suo teatro si salverà solo con lui, e con buoni amministratori che lo affiancano nell'impresa ardua di riportarlo agli antichi splendori, come nè Catello De Martino  nè Alessio Vlad saranno mai in grado di fare.

domenica 17 novembre 2013

E sarà un successo

Quando sento o leggo espressioni di tale tenore un brivido percorre il mio corpo e la mia mente, perchè temo per la salute mentale di chi simili panzane va dicendo o scrivendo, anticipando gli eventi.. L'ultima volta l'ho letta oggi, sul  Messagero, a firma L.D.L. ( Laus Deo Laus?) - che non so chi sia - altrimenti avvertirei di corsa il suo medico curante perchè lo tenga d'occhio. Perchè tanta premura - vi domanderete - per uno sconosciuto? Perchè so come vanno queste cose. L.D.L. parlava della presentazione dell'Ernani di Giuseppe Verdi che Muti farà domani pomeriggio al Teatro dell'Opera, in attesa della prima fissata al 27 novembre , se ricordiamo bene. La platea del teatro dovrebbe accogliere 1500, ma molti di più saranno gli aspiranti a quei posti e dunque parecchi di loro resteranno fuori., scrive L.D.L. SE domani pomeriggio arrivassero all'Opera di Roma non 1500 ma 2000 interessati alla presentazione dell'opera, giovani soprattutto, noi saremmo i primi ad essere felici. Perchè intendiamoci, non siamo contenti che simili iniziative  non abbiamo successo. Temiamo solo che i disorganizzati organizzatori del teatro non riescano a far capire l'importanza di un simile incontro con il noto direttore  Riccardo Muti. Perchè tanta sfiducia? Perchè ragioniamo avendo ancora presente  la desolante scena alla quale assistemmo, giusto due anni fa, nell'Aula magna della Sapienza, quando Muti - da gran parlatore - spiegò al pubblico Attila di Giuseppe Verdi, in procinto di dirigerla in teatro. L'Aula magna della Sapienza era piena- anzi vuota- per metà; e gran parte degli occupanti si vide, poco dopo l'inizio dell'incontro, che apparteneva a quella schiera di studenti 'deportata'  in simili occasioni, senza grande convinzione, e che guadagnò appena possibile l'uscita, dopo ininterrotto chiacchiericcio. Lo stesso Muti ebbe a meravigliarsi, considerando che incontri analoghi fatti all'università di Milano  avevano avuto  la sala piena. E allora? Nasce da qui il nostro timore, e cioè che anche domani neanche 1500 ascoltatori abbiano a reperirsi per ascoltare Muti, in una città che supera i 4 milioni di abitanti e che di università ne ha almeno quattro o cinque.
Sui giornali analogo tono trionfante negli annunci della prossima stagione, quando si legge che al teatro romano si dà la 'grande' opera, dove basterebbe soltanto che si scrivesse che si dà l'opera- che è grande di per se stessa. perchè se si ha a scrivere la 'grande'opera, vuol dire che dell'opera si ha   bassa considerazione. Accade ogni volta che incautamente si usa quell'aggettivo: la RAI dice 'la grande musica' e per la RAI la grande musica è mettiamo 'Renzo Arbore' o chiunque altro, mai che sia  la musica quella grande veramente che non necessita dello spreco di aggettivi. Quando si legge la 'grande orchestra' state certi che si tratta di un'orchestra rimediata, magari numericamente consistente; quando si dice  noi siamo il nuovo 'grande partito' per la 'grande Italia',  il riferimento è alle recenti dichiarazioni di Alfano che certamente non rappresenta un grande partito e non lavora per la grande Italia, visti i risultati degli ultimi tempi, occorre diffidare.
 Lasciamo stare, perciò, gli aggettivi e lavoriamo perchè sia veramente  un successo, alla prova dei fatti. Prima meglio tacere, tanto quella banalissima frase non porta pubblico. Che, invece, arriva, come nel caso delle lezioni tenute da Pappano all'Auditorium nella sala Santa Cecilia, la domenica mattina,  con almeno 7-800 posti occupati, con biglietto, e non gratuitamente come all'Opera. Vuol dire allora che Pappano richiama più di Muti. Certamente no. Forse che l'Auditorium ha più appeal del Teatro dell'Opera? Forse sì. Ma vuol dire, soprattutto, che  Santa Cecilia ci sa fare  più dell'Opera.
P.S. Forse L.D.L. è una sigla che non cela persona alcuna. Lo deduciamo dal fatto che assai spesso leggiamo comunicati inviatici da varie istituzioni musicali  che poi vediamo pubblicati quasi integralmente con quella sigla sul giornale. Dunque L.D.L. è nessuno e centomila.

giovedì 14 novembre 2013

Valerio Cappelli, sul Corriere della Sera, punta il dito contro l'Opera di Roma che finora ha sempre esaltato

Non potevamo credere ai nostri occhi,  mentre leggevamo dei buchi neri dell'Opera di Roma, elencati con cura meticolosa e con paragoni impietosi tra il management della Scala e  quello dell'Opera della capitale, che questo ruolo di rappresentanza ha creduto di poter spendere ogni volta che c'era da batter cassa (PUBBLICA!).  Il registro dei passivi,  non solo economici, e dei paragoni impietosi lo teneva un giornalista del Corriere della Sera, Valerio Cappelli, che in questi anni ha cantato le meravigliose imprese  del Teatro dell'Opera e dei suoi reggitori, inneggiando a Muti -  a ragione! - ma anche a De Martino; al suo amico Alessio Vlad - il miglior direttore artistico su piazza, ha scritto tante volte!- ed al manager dell'ufficio stampa, che certamente qualche problema ha avuto con i giornalisti che riteneva non allineati con la politica del teatro - noi fra questi - che, per colpa sua, di Filippo Arriva, non mettono più piede in teatro. Ora speriamo davvero che vada a casa come il suo predecessore, altro campione di competenza, messo da Veltroni, per premiarlo del lavoro svolto nella sua segreteria quando era ministro. Imbucati di destra e sinistra e soprattutto, quel che è più grave, incapaci ed asserviti al padrone di turno che, come si vede, brilla  nella gestione di affari privati.
 Ad essere sinceri Cappelli già da qualche tempo, mettendo in bocca al sindaco le accuse,  ha parlato dei problemi dell'Opera. Oggi, però, li assume su di sé ed impietosamente si erge a giudice severo dell'Opera che in questi ultimi anni ha cantato come il migliore dei teatri possibili. Un triplo salto mortale, in attesa di sapere su quale rete planare, al prossimo giro di nomine.
 A cominciare dal commissario che presto arriverà, in meno di un mese, per il quale si fa già il nome di Carlo Fuortes divenuto ormai il salvatore di ogni situazione problematica, senza contare che Roma non è Bari e l'Opera non ha  niente a che spartire con il Petruzzelli.  Ma forse Fuortes quando ha accettato la nomina a Bari, ,senza lasciare l'Auditorium, già pensava che quello poteva essere il trampolino di lancio per una sovrintendenza  importante come quella romana. E Musica per Roma? chi se ne.frega; anche perchè dopo dieci anni forse si ha voglia di cambiare. Attento Fuortes, l'Opera di Roma non è una passeggiata, c'è un esercito di dipendenti. Direte, con me, che se c'è stato De Martino Catello, Fuortes Carlo  farà senz'altro mille volte meglio.
 La storia si ripete ad ogni giro di poltrone capitolino. La novità è che ora, a detta di Cappelli, sbucano dai consuntivi di bilancio in pareggio per tre anni consecutivi, un passivo di 28 milioni di Euro, nonostante che l'Opera sia  il teatro più finanziato dai Comuni: 20 milioni di Euro per anno - alla Scala ne giungono appena 7 di milioni di Euro - fino a che c'era Alemanno. Per non parlare di spettatori paganti, di abbonati, di recite, di soldi di sponsor privati ecc.. Ora è evidente che  il flusso finanziario del Comune potrà continuare,  ma ridotto,  e solo se il teatro passerà  in mano a uomini di fiducia di Marino, e Fuortes può esser l'uomo giusto.  Sempre meglio di Siciliano, figlio di Enzo che di amministrazione di teatri ne sa meno che zero; i sacri lombi dai quali discende non gli hanno trasmesso questa competenza.
La storia la conoscevamo già, tant'è che ne abbiamo scritto settimane addietro. Era chiaro da subito come sarebbe andata: l'uscita di Catello è la vendetta per l'uscita di Ernani all'arrivo di Alemanno. Vi rendete conto che questi politici - ANALFABETI e qualche volta anche MASCALZONI - giocano a farsi i dispetti a suon di milioni  di Euro pubblici?
Ci preme sottolineare, oltre l'ennesimo triplo  salto mortale di Cappelli , la necessità di non farsi scappare Muti, perchè allora, si continuerebbe a spendere soldi, ma senza Muti, che vuol dire inutilmente, e senza speranza di riscatto per un teatro che in tutti questi anni ha visto  succedersi persone inadatte ai ruoli che rivestivano, messi lì - e non è una novità - perchè adepti di questa o quella congrega di  gente dozzinale, qual è la politica dei giorni nostri.

Fanciulli e non nel West della musica italiana (Music@)

Fra   Pionieri,  Resistenti,  Sovraccarichi di lavoro e Fuorilegge, prendiamo in esame solo due tipologie: quella di chi, insegnando in Conservatorio  fa anche il direttore artistico di una istituzione musicale di un certo prestigio, e quella del critico musicale,  in attività nei giornali e radio, che insegna in Conservatorio e, contemporaneamente, fa anche il direttore artistico. Nel primo caso l’incompatibilità è sancita dalla legge; nel secondo, da un elementare senso di morale professionale, duro a radicarsi. In ambedue i casi, e fino ad oggi, gli sceriffi si sono distratti.
Ci ha colpiti – lo diciamo in tutta sincerità - la notizia che un insegnante del Conservatorio aquilano è stato chiamato in Tribunale a rispondere di un secondo incarico, parallelo a quello di insegnante, per il quale lo Stato rivuole indietro tutti i soldi che negli anni gli ha dato come stipendio. Il giudizio non si è ancora concluso, ma noi temiamo per tutti quei  colleghi, del nostro come di  tutti gli altri conservatori, che si trovano nella medesima situazione. Perché tale richiesta e il tribunale? Perché quel secondo incarico era incompatibile con  la sua funzione di dipendente pubblico, in qualità di insegnante.  Ma non aveva quell’insegnante richiesto, come si fa regolarmente, al direttore del Conservatorio l’autorizzazione ad esercitare la libera professione? Nel periodo in cui ha esercitato  anche l’incarico di ‘direzione artistica’ di un teatro, alcuni anni l’aveva richiesta ed altri no: un’aggravante! ( aggravante di quale reato, ,verrebbe da domandarsi, se tutti hanno chiuso un occhio sulla incompatibilità, sancita dalla legge?) Nell’autorizzazione che i capi di istituto concedono all’esercizio della libera professione per i loro dipendenti, si legge  letteralmente, che tale esercizio “ abbia carattere saltuario e occasionale”( art.508 com.15 del D.L.vo 16 aprile 1994,n.297;d.L.vo n.165 del 2001 e successive modifiche e integrazioni; Legge n.133 del 6 agosto 2008) e non si può svolgere con vincoli di dipendenza, fermo restando, in tutti i altri casi che con  comporti  danno all’ esercizio principale della sua professione di dipendente pubblico, e cioè di insegnante. Dunque questa norma è sempre stata valida né è cambiata negli ultimi anni. Ma il direttore è tenuto a sapere  quale altra attività svolgano i suoi insegnanti, e, di conseguenza, a vietarne l’esercizio di quelle che rientrano nei casi di incompatibilità previsti dalla legge? Il direttore, ma solo fino a qualche mese fa – non era tenuto a sapere, e in caso contrario, sua sponte ad intervenire d’ufficio, per vietare, richiamandosi alla norma di legge, questo o quell’incarico. Ora, con la Legge n. 190 del 6 novembre 2012, le cose sono cambiate, essendo divenuta la legge più restrittiva. Il direttore ora è tenuto a sapere.  Anzi l’amministrazione pubblica deve essere interpellata, ancor prima che venga concesso un incarico ad un dipendente della pubblica amministrazione, per domandarne l’autorizzazione, sempre che sia compatibile con la funzione docente. E, qualora non ci fosse incompatibilità, comunque il dipendente deve fornire al  suo direttore  documentazione relativa agli emolumenti percepiti, ed il direttore a sua volta trasmettere tale documentazione all’Amministrazione centrale. Tutto questo si legge nella cosiddetta legge Brunetta, sul pubblico impiego. E il direttore , qualora non ottemperi a questo suo obbligo, può essere chiamato dall’amministrazione centrale a rispondere in solido del danno recato.
Ecco come stanno le cose. Ed ecco da dove deriva la nostra preoccupazione per le disavventure che potrebbero toccare ad alcuni nostri colleghi che conosciamo in massima parte esercitano l’attività giornalistica - l’unica compatibile  - purchè senza vincoli di dipendenza da società editrici. Quali possibili soluzioni? I docenti che si trovano in questa situazione di patente incompatibilità devono dimettersi dai loro incarichi, sottoposti a vincoli di dipendenza e continuativi, ai quali non potranno avere più accesso, finchè esiste il loro  status di ‘dipendente pubblico’. Questa è la situazione giuridica attuale. Giusta o ingiusta che sia, la legge è chiarissima. Così si libererebbero tanti posti, e forse in quelle istituzioni entrerebbe un po’ di aria nuova. Potrebbe  intervenire il Ministero che attraverso una ‘deroga’ transitoria  fornisca uno scudo ai dipendenti ‘incompatibili’? Ci sembra assai difficile, perché il Ministero dovrebbe  autorizzare all’inosservanza della legge, alla cui conoscenza ed osservanza tutti i dipendenti pubblici, come i semplici cittadini, sono tenuti.
 Certo l’atteggiamento del ministero è davvero  strano. Per legge aveva vietato l’unico doppio incarico che non avrebbe dovuto vietare, e cioè quello di suonare in orchestra ai professori di conservatorio, un divieto che ha allontanato dalle cattedre di strumento tanti bravi professionisti, facendovi sedere, al loro posto, musicisti che forse non hanno mai esercitato la professione di strumentista, con quale danno per gli allievi a nessuno dei dirigenti ministeriali (ed anche ai sindacati!!!) era mai capitato di riflettere. Di recente ha vietato che i professori d’orchestra esercitino la  libera professione libera come solisti, suscitando  reazioni in Italia e all’estero per tale insensata  divieto.  In ambedue i casi il Ministero è intervenuto duramente, nel primo caso, con l’assenso ( consenso, anzi plauso!!!) dei sindacati; qui , invece,  fino ad oggi, è rimasto alla finestra, ha chiuso un occhio,  in attesa che la bomba scoppi e travolga molti docenti ed altrettante istituzioni musicali italiane, come certamente ora accadrà, e solo dopo il Ministero si farà vivo: ve l’avevo scritto che era incompatibile!!!
E, infatti, quell’insegnante alla cui vicenda facevamo riferimento all’inizio è stato condannato dal tribunale a restituire allo Stato i soldi percepiti nel periodo del lungo doppio incarico. Ora si attende di leggere le motivazioni della sentenza, ma intanto la decisione del tribunale c’è stata.
Infine,  ci sarebbe anche un altro problema di incompatibilità, in questo caso ‘morale’, ‘professionale’, e perciò ben più grave, e verso il quale noi siamo ancor più sensibili, per quanti svolgono contemporaneamente il lavoro di critico musicale e direttore artistico. Fino a qualche decennio fa ciò non accadeva mai, perché chiunque sapeva che chi ‘criticava’ non poteva essere, a giorni alterni’ fra coloro che ‘erano criticati’. Non si può essere contemporaneamente guardie e ladri, o medici e becchini - come avemmo tanti anni fa a dire, esaminando casi analoghi. Gli intrecci perversi di questa doppia atipica funzione  sono chiarissimi a chiunque rifletta appena  sulla libertà alla quale  un critico musicale dovrebbe rinunciare nel caso in cui egli abbia a scrivere di un artista, ospite  della ‘sua’ stagione.  Non c’è bisogno di tirarla tanto per le lunghe. Prima di questi ultimi anni, ciò non era mai accaduto, i critici facevano i critici e i direttori artistici, prelevati comunque da ambienti estranei alla critica, facevano i direttori artistici. Negli anni, con l’importanza attribuita alla stampa, scritta e parlata, i critici hanno assunto un potere, neanche meritato, in nome del quale sono stati chiamati a nuovi incarichi, estranei al loro mestiere, senza che avessero mai offerto prove di capacità, semplicemente perchè le associazione si augurano di ottenere  un minimo di visibilità sugli organi di stampa. Se ci si fosse provati a far decadere quei critici dal loro lavoro giornalistico, nessuno avrebbe pensato a loro per un incarico qualsiasi di direzione artistica, dalla più piccola alla più impegnativa.


                               Far West della musica italiana. Geografia e insediamenti
PIONIERI
Piero Rattalino. Professore a Milano; direttore artistico Torino, Catania;  Direttore artistico e culturale CIDIM, Roma
Mario Messinis.  Bibliotecario Conservatorio, Venezia; Direttore Biennale, Venezia; Sovrintendente  Fenice,Venezia; Direttore artistico Orchestra Rai, Milano; Bologna Festival.
Michelangelo Zurletti. Professore Conservatorio, Roma; direttore Orchestra Rai, Roma; Teatro Vittorio  Emanuele, Messina; Teatro Sperimentale, Spoleto.
Roman Vlad. Sovrintendente e direttore artistico a Roma, Firenze e Milano, commissario e presidente SIAE.

DA QUI ALL’ETERNITA’
Giorgio Pugliaro. Dal 1989  all’ Unione Musicale di Torino
Franco Piperno. Dal 1979  alla Istituzione Universitaria dei Concerti,Roma
Walter Vergnano. Dal 1999 Sovrintendente Teatro regio, Torino

SOVRACCARICHI DI LAVORO
 Bruno Cagli.   Accademia s. Cecilia, Roma;  Presidente onorario  Reate festival, Rieti; Fondazione Rossini
,Pesaro.
Cesare Mazzonis. Direttore artistico Orchestra Rai, Torino; Accademia filarmonica, Roma
Nicola  Sani,  Consulente artistico Teatro comunale, Bologna; direttore fondazione Scelsi, Roma; consulente Ist. Univ. Conc. Roma
Alessio  Vlad.  Direttore artistico Opera di Roma; Teatro delle muse, Ancona; Festival di Spoleto
Alberto Triola . Teatro comunale di Firenze- Festival della Valle d’Itria, Martina franca.
Guido Barbieri.  Direttore artistico Assoc. Barattelli, L’aquila; Società Michelli, Ancona;  Consulente Teatro Petruzzelli, Bari.
Giorgio Battistelli. Direttore art. orchestra toscana; presidente ‘Barattelli’, L’Aquila;  compositore  residente Teatro san carlo, Napoli.
Gianni Tangucci. Consulente artistico Maggio Fiorentino, Firenze; direttore artistico Festival della Cultura, Bergamo; direttore artistico Festival Pergolesi, Jesi.
Vincenzo  De Vivo. Direttore artistico Teatro San Carlo, Napoli; Accademia di canto, Osimo.
Paolo Baratta. Presidente Biennale Venezia- presidente Accademia Filarmonica Romana ( Ex presidente ‘Amici di santa cecilia’, Roma; oggi consigliere della medesima).
 Gianadrea Noseda. Direttore musicale Teatro Regio Torino; Festival Stresa
Daniele Rustioni. Direttore principale Orchestra Toscana, Firenze; direttore musicale Teatro Petruzzelli, Bari
 

VIETATI. MA IN SERVIZIO
Guido Barbieri. Professore L’Aquila; direttore artistico Barattelli, L’Aquila;  Società Michelli, Ancona.
Daniele  Spini. Professore Pesaro; direttore artistico Orchestra Haydn,  Bolzano
Fausto Sebastiani. Professore Roma; presidente Nuova consonanza
Paolo Arcà. Professore  Milano; direttore artistico Società Quartetto, MiIano, Teatro  Regio Parma
Matteo D’amico. Professore Roma; Vicepresidente Accademia Filarmonica,Roma; Consigliere di amministrazione Accademia di santa Cecilia,Roma
 Alberto Batisti. Professore  Como;  direttore Amici della Musica e Sagra Musicale Umbra, Perugia.
 Lucia  Bonifaci. Professore  Benevento; sovrintendente Fondazione Teatro Vespasiano, Rieti
 Cesare  Scarton. Professore  L’Aquila; direttore artistico  Fondazione  Teatro Vespasiano e Reate Festival Rieti; Fondazione Rossini, Pesaro
 Aldo Sisillo. Professore  Parma; direttore Teatro Modena, I virtuosi Italiani, Festival delle Nazioni di  Città di Castello.
 Renato Bossa. Professore Roma; direttore Associazione Scarlatti Napoli
 Mario Pedini. Professore  Perugia; presidente fondazione Guido d’Arezzo.
Filippo Juvarra. Bibliotecario Padova; direttore artistico Amici della musica, Padova; Teatro Monfalcone, Orchestra di Padova e del Veneto; Consigliere amministrazione e direttore artistico e culturale CIDIM, Roma
 Italo Nunziata. Professore Pescara; direttore Teatro Brindisi
Vlad Alessio.  Professore Latina,; direttore artistico Teatro dell’Opera, Roma; Teatro delle muse, Ancona; Festival di Spoleto.
 Maurizio Cocciolito. Professore   L’Aquila; pres. Cons. Amministrazione Teatro  Riccitelli, Teramo; Consigliere amministrazione CIDIM, Roma; Direttore artistico Solisti aquilani.
Giorgio Pugliaro. Professore Cuneo; direttore artistico Unione musicale, Torino.

                                Una domanda a Ezio Mauro, direttore ‘La Repubblica’

Una domanda, una sola al direttore di Repubblica, Ezio Mauro,  che di domande in questi ultimi mesi ne ha rivolte tante, lamentandosi di non ricevere mai risposta, nella speranza che a questa nostra, semplice semplice, arrivi quella risposta che alle sue non è mai arrivata. Ci dice come mai   gran parte dei suoi critici musicali svolge anche parallelamente attività di direzione artistica, ponendo in atto una conflitto di interessi grande come una casa? Naturalmente non ci risponda che, nei momenti più delicati, gli animi più nobili devono impegnarsi, come accadde a Schumann, Debussy – che è ciò che ci rispose anni fa ad analoga domanda Duilio Courir, presidente dell’Associazione critici musicali; perché se sarà questa la sua risposta, non mancheremo di  rispondergli con una sonora risata. Se ci chiede : fuori i nomi, le rispondiamo che  non è necessario che glieli facciamo noi, perchè nel suo giornale sono quasi tutti a  lavorare, a causa di tale doppio incarico, in continuo perpetuo conflitto di interessi.  Conflitto di interessi che proprio un giornale del suo gruppo ( L’Espresso) denunciò - anzi ne fece una campagna - allorchè Marco Molendini del Messaggero ebbe un incarico di consulenza all’Opera di Roma, da Gianpaolo Cresci. Molendini dovette rifiutarlo. Restiamo in attesa.


La musica italiana sta sparendo

 La musica italiana sta sparendo  per colpa dei manager italiani che la gestiscono.
 La morte o la  distruzione della musica in Italia, con sentenza inappellabile, l’hanno decretata alcuni fra coloro che, due anni fa, si stracciavano le vesti e si dichiaravano pronti a bruciarsi vivi  in Piazza del Parlamento - l’avessero fatto, la musica italiana sarebbe salva! - qualora il governo Berlusconi avesse drasticamente tagliato i finanziamenti statali a questo settore, di  antiche gloria e tradizione. Al loro fianco scesero noti esponenti politici, non parlamentari ( leggi: Gianni Letta per l’Accademia di Santa Cecilia); li convinsero a non mettere in atto azioni dimostrative plateali e definitive, come le dimissioni (salutari!) dopo decenni di ininterrotta gestione di istituzioni musicali di prestigio. Le vesti subito se le ricomposero a copertura delle vergogne fisiche, il fuoco rigeneratore in Piazza del Parlamento non fu neanche acceso e le dimissioni, ventilate a mò di minaccia, praticamente negate. E, passata la tempesta, tutti si tornò a far festa, compatibilmente con i tempi di vacche magre in cui viviamo.
Quelle azioni dimostrative erano, ipocritamente, dettate dall’imperativo di difendere la nostra grande tradizione musicale. Quale? Quella dei nostri grandi compositori richiesti ed apprezzati nel mondo, quella dei nostri bravissimi interpreti, vanto un tempo della nostra scuola musicale, oggi un po’ meno, ma pur sempre capace di accudire talenti che non mancano, esattamente come non mancano in tante altre categorie – come l’affermazione internazionale di molti di loro, riuniti sotto l’etichetta di ‘cervelli ‘in fuga’, sta a dimostrare.
Ma, intanto, che fine hanno fatto tutti i nostri ottimi compositori, i nostri bravi interpreti?  Un paio di esempi  lo  chiariranno.
 Risparmiamo al lettore i nomi di direttori e solisti (vocali e strumentali) impegnati nelle due stagioni sinfoniche più prestigiose del nostro paese: l’Accademia di Santa Cecilia a Roma e l’Orchestra sinfonica nazionale della Rai, con sede a Torino, della quale ultima, nel numero precedente di Music@, abbiamo fornito l’inimmaginabile elenco:  italiani, solo un paio di direttori e neanche un solista. Santa Cecilia per la stagione appena iniziata non è da meno. Diranno che gli italiani sono presenti; sì, le prime parti solistiche dell’orchestra - tutti bravissimi, senza dubbio!- ma ad essi si ricorre solo perché non si hanno i soldi per pagare solisti esterni. Perché non  l’hanno fatto anche negli anni passati? E’ dal 2002 che quei bravissimi solisti siedono stabilmente  nell’orchestra ceciliana.  Vanno a suonare altrove ma nella loro orchestra  mai. O quasi.
Negli stessi giorni in cui venivano presentate le stagioni - con giusto anticipo! -  sui giornali italiani imperversava la polemica attizzata dagli architetti francesi i quali lamentavano la loro bocciatura nei concorsi per le grandi opere in patria. E una archistar italiana, Fuksass, riportando il discorso in casa nostra, attribuiva al ‘provincialismo’ italiano -  ed ora si scopre essere anche francese - una situazione analoga in campo architettonico. E, noi aggiungiamo, anche musicale.
 Quale può essere la ragione profonda di tale evidente ed inammissibile assenza? La  superiore bravura degli artisti stranieri, sempre più bravi degli italiani? Tesi difficile, comunque, da difendere, ed ancor meno dopo che un giudice super partes, come Salvatore Accardo, ha difeso i giovani violinisti italiani, ritenendoli  più bravi e più colti di tantissimi stranieri. E lui di violinisti nelle sue classi di perfezionamento ne ha visti passare tanti, forse tutti!
Gli stranieri costituiscono, forse, un vantaggio per le casse delle nostre istituzioni musicali? Assolutamente no; anzi, è vero il contrario; con gli italiani si può forse trattare meglio, specie agitando il capestro della crisi terribile di questi anni. Ma allora, perché? C’entrano le agenzie internazionali, quelle più potenti che hanno artisti per ogni esigenza?
 Una delle ragioni andrebbe ricercata proprio nello strapotere delle agenzie, che in Italia - paese nel quale i cachets sono più alti che in tutto il resto del mondo - fanno il bello e cattivo tempo, vantando la rappresentanza di molti direttori d’orchestra che sono a capo di importanti istituzioni e che perciò possono contare sulle scritture anche di molti solisti; e nel teatro d’opera l’influenza è ancora più evidente. I casi di alcuni agenti del passato e presenti che in Italia hanno trovato l’America, o il ‘Nuovo mondo nel Vecchio continente’ sono ben noti a tutti coloro che si occupano di organizzazione musicale, il che ci esime dal fare i loro nomi, tante altre volte fatti. Che ci siano interessi economici o di altro genere - musicisti di poco valore che hanno responsabilità artistiche potrebbero giovarsene, nella logica di scambi, lontani dagli occhi attenti del proprio teatro d’azione - sì è spesso parlato, oggi come ieri; e qualche volta si è anche ipotizzato, a carico di  grandi personalità dell’organizzazione musicale italiana, il  loro cointeressamento nelle grandi agenzie internazionali, a livello societario, magari attraverso prestanomi di comodo. Certo se anche non è vero e non si può dimostrare, il sospetto viene.
C’è anche qualche altra ragione? Sicuramente, e forse più d’una. Ma prima di qualunque altra l’incapacità di  molti (troppi!) direttori artistici di giudicare un solista o un direttore attraverso audizioni. Non è un’ accusa, è semplice constatazione. Chi  non sa discernere una voce da un’altra, e la sua idoneità a sostenere un ruolo, come può fare di mestiere il direttore artistico? Per questo ricorre all’agenzia, la quale è ben felice della situazione in cui versano molte istituzioni musicali che hanno a capo persone incapaci, ai quali prestare soccorso con le loro proposte che fanno gli interessi degli artisti ed anche quelli propri, ossia delle agenzie. Queste non sono farneticazioni. Quante volte leggiamo, perfino nei resoconti giornalistici di colleghi che hanno anche rapporti di lavoro con le stesse istituzioni, che il cast di questa o quell’opera non era all’altezza, che non era stato scelto come si doveva. E per dirlo loro, che poi sono ‘ a libro paga’ delle istituzioni, vuol dire che non potevano farne a meno, ed anche per evitare di essere lapidati nella pubblica piazza. Con questo si spiega come mai alcuni direttori artistici gestiscano contemporaneamente più istituzioni: queste possono fregiarsi di un nome altisonante al loro vertice, ed i direttori artistici, facenti funzione, offrire un ventaglio ancora più ampio alle agenzie che sono i veri gestori, a tutti gli effetti, di tali istituzioni.
 Chi qualche volta ha tentato di porre all’attenzione tale problema ed avanzato la necessità di risolverlo, anche a livello ministeriale, è stato accusato di voler incatenare la libertà del direttore artistico. No, quella proposta voleva solo liberare numerosi direttori artistici dalle catene della loro incapacità e della inevitabile schiavitù nei confronti delle agenzie.
 Ancora oggi la musica in Italia esiste, perché ci sono i finanziamenti pubblici, senza i quali - assenti quasi del tutto quelli privati - il sistema collasserebbe. Allora il Ministero, le cui commissioni centrali ‘consultive’  offrono pareri al  Ministro sulla distribuzione dei finanziamenti, potrebbero introdurre il parametro‘artisti italiani’, come elemento incentivante per la determinazione dei finanziamenti medesimi. Non per favorire gli inetti, semplicemente per non assistere più all’indecente spettacolo di vedere intere stagioni costruite esclusivamente con artisti stranieri, mentre i nostri bussano invano alle porte o emigrano. Gli esempi dai quale ci siamo mossi, dell’Accademia di Santa Cecilia e dell’Orchestra sinfonica nazionale della Rai, non traggano in inganno, facendo concludere che si tratta di casi isolati e casuali che variano da stagione a stagione. Sono  esempi eclatanti, certamente i più eclatanti; ma basta dare un’occhiata anche a istituzioni meno blasonate ma ugualmente importanti per rendersi conto  della  esistenza di fatto di piccoli potentati, province dell’impero raggruppate a due o a tre, a capo delle quali esistono ufficialetti con l’ordine perentorio del generale che gli ha affidato tale missione, di smistare sul territorio, quanto  proposto dalle agenzie. Sempre loro, in assenza di direttori artistici capaci e dediti al loro lavoro.
   (Da Music@ n. 35 novembre–dicembre 2013)                       Francolina del Gelso               











mercoledì 13 novembre 2013

ENIGMI

Ruggero Savinio. Chi è costui? Leggendo  i giornali - mi pare l'informatissimo 'Messaggero' - trovo la notizia di una mostra, curata dal nipote di De Chirico. Nipote di De Chirico è un bel biglietto da visita; ma non lo è altrettanto, e forse più, quello di figlio di Alberto Savinio, fratello di Giorgio e geniale- a detta di molti- più di lui? Pittore, scrittore,  musicista, giornalista...  in ogni campo geniale! Ma forse lui preferisce essere nipote di De Chirico, e la giornalista che non sa neanche chi era Alberto Savinio, lo accredita come nipote di.
Cardinale Domenico Bartolucci. E' morto l'altro ieri. Ieri ne dava l'annuncio sui giornali la Fondazione che porta il suo nome. Oggi un altro necrologio a firma Catello De Martino che a nome del Teatro dell'Opera si dichiara addolorato per la scomparsa del cardinale musicista. Neanche un segno di buona creanza dal salotto 'bbuono' della musica romana, l'Accademia di Santa Cecilia, di cui il cardinale da quasi cinquant'anni era  membro effettivo. Dimenticanza? No vendetta post mortem. Qualunque condoglianza è stata vietata dal presidente dell'Accademia, Cagli, e non solo quelle sui giornali - non v'è neanche un comunicato dell'Accademia sul suo sito - perchè il cardinale negli ultimi mesi ha criticato duramente la  sua presidenza- sovrintendenza-direzione artistica?

martedì 12 novembre 2013

Il Cardinale Bartolucci scrive ai suoi colleghi accademici di Santa Cecilia, al Presidente ed al Collegio dei Revisori, il 9 settembre 2013

Cari colleghi, dopo la pausa estiva desidero nuovamente rivolgermi a Voi per alcuni necessari chiarimenti riguardo alla lettera da me inviata prima dell'estate. Anzitutto voglio ringraziare i colleghi che mi hanno telefonato e scritto, manifestando comprensione e condivisione dei contenuti da me sollevati. Non credevo che un così grande numero di accademici condividesse le mie stesse perplessità sulla situazione. Come sapete, alla mia sono seguite due lettere anonime e la minuta di Campanella. Le lettere anonime mi hanno amareggiato. Vi rendete conto di cosa significa scrivere una lettera e non volerla firmare? Significa trovarsi in una situazione di disagio, dove il dialogo ed il confronto sereno si avverte come non possibile; significa essere consapevoli che uscire allo scoperto può determinare conseguenze che non si vogliono affrontare quali l'emarginazione e l'esclusione. Verso questi colleghi che sono sicuramente più giovani di me e impegnati nella loro professione non mi sento di esprimere in alcun modo biasimo o critica per non averci fatto conoscere i loro nomi, ma piuttosto comprensione. Ben più esplicito è stato Campanella che come me ha voluto rendere noto quanto a lui personalmente accaduto e le tristi conseguenze alle quali è andato incontro. Di esse mi dispiace. Sono certo che tutti voi abbiate compreso l'ampiezza della mia critica sull'attuale situazione dell'Accademia una critica che è molto difficile restringere alla caricatura di un compositore che si lamenta poiché non viene eseguito... Caro Presidente, i miei lavori sono stati eseguiti in Accademia fin dal 1963 e sono soddisfatto di quanto ho potuto fare per questa Istituzione, senza dover mai andare a pietire alcunché per l'esecuzione delle mie musiche e per tutte le volte che sono stato invitato a dirigere concerti di polifonia. Ed è proprio qui che voglio chiarire a tutti in modo definitivo quanto mi è capitato personalmente. Caro Presidente, dopo la scomparsa di Luciano Berio tua sponte sei venuto da me con delle bottiglie di champagne prima delle elezioni che ti videro nuovamente a capo dell'Accademia presentandomi il tuo desiderio di affidarmi delle esecuzioni di Palestrina (parlavi della Missa Esacordalis, ricordi?). Tutto questo è caduto nel vuoto come anche la Commissione su Palestina nella quale hai voluto inserirmi. Sono mai venuto a ricordartelo? No. Da quell'incontro sono ripresi i nostri contatti anche riguardo alla mia musica e credo che per un accademico compositore sia umana e legittima l'aspirazione ad essere eseguito. Tu però ogni anno promettevi, salvo poi dire che quello successivo fosse già occupato dalla programmazione fatta da Berio... Questo ritornello ti ha giovato per un po' di tempo, ma ti rammento che anche prima delle ultime elezioni sei sempre tu che hai telefonato per prendere contatto con me, e il Dott. Biciocchi, Segretario Generale della Fondazione che porta il mio nome e con il quale spesso vi siete incontrati, è venuto nel tuo ufficio e ha scritto “CAGLI" sulla scheda elettorale sotto i tuoi occhi. Tu stesso gli confidavi che nella prima votazione non eri stato eletto poiché "due scemi" - parole tue - si erano auto votati (mi pare di ricordare che Perticaroli e Petracchi presero un voto ciascuno dunque forse ti riferivi a loro) e che Battistelli non era capace “nemmeno di organizzare un concerto” per cui con lui l'Accademia sarebbe precipitata in chissà quale catastrofica situazione. Nello stesso incontro ti impegnavi con una stretta di mano ad eseguire il mio Stabat Mater dando il tutto come cosa fatta e dicendo: "è un impegno che prendo con lei, che mi importa io intanto programmo, poi chi viene dopo di me se lo trova". A quanto so, telefonasti seduta stante ad un tuo collaboratore dicendo che c'era lì pronta la partitura di Bartolucci da mandare in produzione. Dunque come vedi il tutto è partito da te e dal tuo modo di fare che apprendo essere abbastanza comune. Lo scorso l0 luglio quando hai rincontrato il Dott. Biciocchi che recapitava le mie schede in Via Vittoria per la votazione, ti sei lamentato della mia lettera definendola "menzognera" e gli hai chiesto se c'era qualche impegno formale disatteso da parte tua. Beh!, caro Presidente, questo lo giudico della più estrema gravità. E’ vero, sì, sulla carta non hai preso alcun impegno formale, ma nella mia etica di vita e professionale quanto hai fatto e detto è formale allo stesso modo. Anche l'avergli ribattuto: "Si, avevo promesso!" come a dire che dopo la mia lettera tale impegno non contava più nulla mi fa rabbrividire. Chi ti dà questo potere su di noi? Chi ti concede questa autorità di mortificarci nelle nostre aspirazioni umane ed artistiche, di disattendere ad impegni che tu stesso prendi? Chi ti consente di considerarci soggetti utili in campagna elettorale e poi non più? Cosa conta per te la parola data? Riguardo a questa situazione ti chiedo la cortesia se puoi, di non lavarti le mani con due parole, descrivendomi come un povero compositore mortificato perché non lo sono affatto. Il non essere eseguito in Accademia può dispiacermi, ma l'essere preso in giro in questo modo è inaccettabile. Peraltro rendo noto che nel mese di luglio u.s. ho presentato la richiesta di ricevere a mezzo mail, fax o posta copia dei verbali delle ultime tre Assemblee degli Accademici e, appena approvato, di quella del l0 luglio. La documentazione mi è stata negata dall'Accademia a motivo di “ovvie ragioni di riservatezza” che impedirebbero l'invio di verbali, disponibili per la consultazione presso la sede dell'Auditorium. Pur ritenendo molto strana tale ragione di riservatezza che impedirebbe di spedire dei verbali ad un accademico, lo scorso 3 settembre ho rinnovato la domanda, delegando il mio Segretario a recarsi presso detta Sede. Ad oggi non so ancora quando potrò essere accontentato e messo in condizione di poter esercitare i miei diritti e i miei doveri. Per coscienza riformulo espressamente la richiesta ai sensi e per gli effetti della legge che consente l’ "accesso agli atti", con la motivazione di voler comprendere i dubbi da molti verbalmente sollevati circa un possibile conflitto di interesse e/o incompatibilità esistenti, quale ad esempio quella eventuale del collega Michele dall' Ongaro che, a prescindere dalla stima che merita, è stato eletto Consigliere d'Amministrazione e Vice Presidente pur conservando i numerosi ruoli - a dire di molti confliggenti - che ricopre in ambito musicale (tra gli altri Sovrintendente dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI e Responsabile della Programmazione Musicale di RAI Radio-Tre). Poiché alcuni colleghi si sono lamentati con me riguardo a ventilate altre deleghe recentemente attribuite allo stesso Maestro e, pare, ulteriormente confliggenti, desidero documentarmi su quanto accaduto nelle ultime assemblee. Il nostro Statuto - sull'osservanza del quale vigila il Collegio dei Revisori - prevede infatti l'astensione per il consigliere di amministrazione che ha rapporti di dipendenza con persone ed enti che possano avere interessi in conflitto con quelli della Fondazione (art. 7). Caro Presidente, io ormai sono vecchio e purtroppo la mia salute precaria non mi permette di venire a far sentire la mia voce di persona come sai che farei, ma questo scritto vuole costituire l'ultimo mio intervento su una situazione penosa che ha determinato prostrazione, disaffezione e malessere all'interno di una delle più prestigiose realtà musicali del nostro Paese, ove figurano i più illustri musicisti italiani. Mi hai profondamente deluso poiché con il tuo operato hai costretto molti accademici ad una umiliazione che nessuno di noi merita ed hai contribuito al decadimento dell'Accademia intitolata a Santa Cecilia patrona della musica sacra.
Con richiesta  di protocollo                                                                       Domenico Bartolucci