giovedì 30 novembre 2017

Il Corriere della sera sbarca a Torino al suono di una marcetta inglese

Il 'Corriere della Sera' di Cairo per il suo sbarco a Torino - ' Corriere Torino' - ha fatto confezionare uno spot pubblicitario che questi giorni è passato tante volte in tv, con il faccione di Cavour, ed una colonna sonora che più inadatta non si poteva pensare: una marcetta da Pomp and Circumstance di Elgar, conosciutissima al punto che su di essa il popolo inglese - non quello italiano - canta un testo che è assurto quasi ad inno nazionale 'in seconda'.

Questa scelta, fuori da ogni grazia di Dio, fa il paio con un altra scellerata che ai tempi di Berlusconi ( il cui faccione 'La repubblica' ha scelto per annunciare la nuova veste - solo grafica ? -  del quotidiano) accompagnava il sito internet 'Italia' - costosissimo ma fatto con i piedi - che avrebbe dovuto convincere i turisti a visitare le nostre meraviglie, con l'aiuto della colonna sonora  costituita dal 'Preludio' della Carmen di Bizet.

Non sappiamo se l'Agenzia incaricata  di rinnovare il sito 'Italia' come di  confezionare lo spot del 'Corriere della Sera' in occasione del suo sbarco a Torino, sia la stessa. Però il dubbio ci viene, perché  le Agenzie impegnate in ambedue le imprese, pubblicitaria e di comunicazione,  fanno bella mostra di un comune denominatore: totale analfabetismo musicale. Che deduciamo dal fatto che se avessero avuto un minimo alfabetizzate, sarebbero ricorse, in ambedue le imprese, a 'colonne sonore' italiane.

Per Torino, in particolare, la presenza in città del famoso Museo Egizio avrebbe anche potuto suggerire, marcia per marcia, anche evitando la rossiniana 'sinfonia' della Gazza ladra (per non generare cattivi pensieri nei malpensanti), la 'Marcia Trionfale' dell'Aida di  Giuseppe Verdi. che fu  anche 'senatore' del regno, proprio a Torino. Qualunque altra marcia, ma quella di Elgar no.

lunedì 27 novembre 2017

Pensiero contemporaneo sul melodramma

Si è aperta qualche giorno fa a Roma, a Palazzo Braschi, una mostra che espone alcuni tesori ( bozzetti e figurini) dell'Archivio storico dell'Opera di Roma come anche storici costumi rimasti nella memoria del pubblico  sia perchè legati a certi titoli famosi sia perchè indossati da star internzionali.

Negli stessi giorni in cui a Palazzo Barberini fa bella mostra di sè l'immenso  straordinario sipario di Picasso per Parade di Satie - Cocteau (che la Galleria di  Arte moderna si fece sfuggire a suo tempo per una cifra irrisoria!), un altro sipario è in mostra a Palazzo Braschi, quello dipinto da De Chirico per l'Otello di Rossini, brutto!

 Per presentare la mostra è stato interpellato in tv il sovrintendente dell'Opera, Carlo Fuortes, il quale richiesto di spiegare l'attualità del melodramma, ha filosofeggiato: "L'opera, nonostante appartenga al passato, è attuale perchè è il frutto della collaborazione, della partecipazione di più arti (allo spettacolo operistico), che  è una caratteristica dell'arte contemporanea".
Pensiero profondo nonostante cozzi con quanto pensava un altro pensatore,  ingiustamente sottovalutato, Federico Fellini - che se fosse ancora vivo sicuramente Fuortes avrebbe coinvolto in uno spettacolo d'opera - il quale, buonanima, sosteneva che l'opera gli riusciva "incomprensibile, perché era il frutto della partecipazione di molte arti, autonome ed autosufficienti, che starebbero meglio e stanno meglio anche da sole".

Passano gli anni, cambiano i gusti, e cambia anche il pensiero filosofico sul melodramma.
Sul quale si è pronunciato anche un altro pensatore, Stefano Valanzuolo, della 'scuola napoletana', sezione staccata di Ravello, dove per qualche tempo è stato assistente del cattedratico Mauro Meli che l'ha invitato nel 'suo' teatro isolano. Lo ha fatto a Cagliari, alla vigilia della prima italiana della Ciociara (da Moravia) di Marco Tutino. Chiamato a presentare al pubblico cagliaritano la novità di Tutino, commissionata dall'Opera di San Francisco e dal Teatro Regio di Torino ( a proposito chissà se ha anche spiegato perchè il Regio di Torino che l'aveva coprodotta non l'ha ospitata) ha delineato il profilo musicale del melodramma di oggi: la gradevolezza, alla quale s'è attenuto Tutino, mettendo fra parentesi un secolo abbondante di musica operistica  e di cambiamenti del linguaggio musicale. La musica come l'arte deve essere 'gradevole', e quella di Tutino lo è.  Il melodramma, dunque, sia gradevole per piacere.

giovedì 23 novembre 2017

Reggio Emilia 2001. Al Prix Italia presentato il programma All'Opera! Parole al vento per i dirigenti Rai ai quali della musica e dell'opera non fotteva allora, non fotte ora e non fotterà mai nulla

                                                 Prix Italia 2001

                     Simposio Internazionale: Melodramma tra Cinema e Tv”


                                                     “ La Tv racconta l’Opera”

    COMUNICAZIONE di Pietro Acquafredda e Antonio Lubrano
L’opera ‘raccontata’ in Tv ha il suo pubblico. L’esperimento estivo di RaiUno, già al terzo anno – mi riferisco al programma All’Opera! : firmato da Antonio Lubrano e Pietro Acquafredda, regia di Toni Verità e presentato da Antonio Lubrano - l’ha dimostrato.
Quando cominciammo nel 1999 - l’idea del programma venne a Sergio De Luca, vice direttore di RaiUno - i dirigenti di Rai si prefissero come obbiettivo il 6% di share; ogni punto in più avrebbe rappresentato un vero successo, dati gli indici di ascolto purtroppo bassi della musica e del melodramma in Tv. Si partì con Rigoletto che fece il 12.40% di share.
La trasmissione si è mantenuta sempre su uno share del 9-10 % nella messa in onda serale, in seconda serata; mentre la replica pomeridiana, il sabato, ha portato lo share più su: 11% di media.
Il terzo ciclo, che in queste settimane sta per concludersi mentre è da poco partita la replica pomeridiana al sabato, sembra confermare i risultati delle precedenti edizioni.
A questo punto, la Rai possiede buona parte delle opere ‘di repertorio’ – trenta titoli fra quelli più rappresentati - ridotte, spiegate e raccontate ai telespettatori.

Cosa è accaduto perché improvvisamente il melodramma scoprisse di avere anche un pubblico televisivo?
Una semplice operazione condotta sulla ‘carne viva’ del melodramma, per ‘adattarlo’ al mezzo televisivo, soprattutto nei tempi : 55 minuti ogni puntata dedicata ad una singola opera.

Accenniamo brevemente alla struttura tipo di ogni puntata di All’Opera! . Antonio Lubrano, volto noto e molto amato della televisione italiana, come un cronista dei nostri giorni attacca raccontando, come introduzione, pochi dati e qualche curiosità dell’opera che si sta per ascoltare e vedere . Uno o due minuti al massimo per preparare i telespettatori. Segue la sigla, e via con l’opera.
Lubrano ricompare in video ed inizia il racconto – i suoi interventi non superano mai la durata di un minuto, mentre i rispettivi brani musicali e video hanno durate ovviamente maggiori. A conti fatti, Lubrano parla complessivamente per una decina di minuti, l’opera occupa oltre quaranta minuti.

Nella scelta dei titoli ci siamo sempre orientati verso quelli più noti – ma non è detto che anche alcuni meno noteinon possano usufruire del traino degli altri titoli di un ciclo, come ci ha dimostrato l’anno scorso il Don Giovanni mozartiano ( 11.54% di share).

Come definire la nostra trasmissione? L’opera raccontata e fatta vedere in tv. Nient’altro che questo.
Se poi vogliamo accennare a qualche dettaglio tecnico, cominciamo col dire che ci siamo prefissi di raccontare la storia nella maniera più semplice e semplificata possibile – deliberatamente non si fa mai uso di termini tecnici musicali che potrebbero ‘arrovellare’ o ‘distrarre’ il pubblico; e laddove questi si rendano indispensabili, si spiegano in modo semplice e comprensibile.
Dovendo eliminare la gran parte dell’opera, si rende necessario la formulazione un percorso drammaturgico da compiere attraverso la musica, e in base ad esso si scelgono i brani dell’opera.
Ciò fatto, si passa alla individuazione dei set dove registrare il racconto di Lubrano: dal teatro nel quale è stata registrata l’opera ai luoghi legati alla vita dei musicisti; oppure a quelli nei quali è ambientata la vicenda.
Per fare un esempio, il racconto di Lubrano per Carmen Trovatore, è stato registrato rispettivamente a Siviglia e Saragozza ( in quest’ultimo caso proprio nello storico Palazzo dell’Aljaferia, attuale sede del parlamento regionale, dove si svolge, per la gran parte, l’opera di Verdi).
Registrato il racconto e scelti i brani musicali e video, si va al montaggio che non si risolve in una semplice operazione di cucitura. Il regista assume dai brani musicali e ritmici indicazioni preziosissime. Qualche volta , come ha fatto spesso quest’anno, si spinge ad arricchire il racconto di Lubrano con immagini o incisi musicali dell’opera, mettendo in atto una tecnica assai simile a quella che i musicisti e gli studiosi wagneriani conoscono con il nome ‘Leitmotiv’: alcune immagini simbolo o incisi musicali di riferimento punteggiano il racconto, regalando suggerimenti, favorendo accostamenti, e arricchendo di suggestioni la storia narrata. Dopo questo lungo e delicato lavoro, il programma arriva finalmente ai teleschermi.

Questa esperienza, lunga tre anni, ci ha convinti che l’Opera in Tv può avere una presenza più regolare ed un buon riscontro di pubblico. Basta ‘ trattarla’, adattarla’ al mezzo televisivo. E il nostro è stato uno dei modi possibili e, finora, il più riuscito. Così sembra.

L’autorevolezza di questo pulpito e del suo uditorio internazionale ci autorizza – infine - a fare una proposta, sempre valida anche dopo il trionfo americano della Traviata ‘colossal’ curata da Andermann, presente anche a questa edizione del Prix Italia. 

Fermo restando che il luogo deputato per l’opera resta sempre il teatro; proponiamo alla Rai che, d’ora in avanti, ogni qualvolta decida di mandare in onda un’opera – tutti noi ci auguriamo che lo faccia con regolarità e frequenza maggiori – non lo faccia proponendo l’opera intera - si sa che non funziona! - bensì, scegliendo di farlo sempre, d’ora in avanti , alla maniera di ‘All’Opera! ‘
Il pubblico è assicurato.

                                                                        Pietro Acquafredda, Antonio Lubrano










mercoledì 22 novembre 2017

Con Dario Franceschini ed il suo ministero ci risiamo

Domenica scorsa, a 'Non è l'Arena' de La 7, condotta da Giletti, il ministro Franceschini che,  inseguito da una giornalista del programma aveva tirato avanti, senza rispondere alle domande sull'ecomostro del Palatino ( innalzato per consentire che andasse in scena quel capolavoro del 'Divo Nerone'), ha sentito il bisogno di intervenire telefonicamente in diretta per dire che lui non si tira indietro e non rigetta le responsabilità sue e del proprio dicastero, quando responsabilità esistono.
 Come nel caso dell'ecomostro di acciaio costruito su uno dei luoghi più sacri della nostra storia.

Il disastro sotto gli occhi di tutti ha molti padri. Innanzitutto i dirigenti del Ministero che dalla visione del progetto non hanno capito l'effettivo peso della sua realizzazione; poi i tecnici che, una volta approvato il progetto, non sono mai andati sul Palatino a vedere come procedevano i lavori - avrebbero potuto intervenire e porre immediatamente rimedio alle irregolarità; poi i tecnici del Comune che con molto ritardo concedono l'autorizzazione per lo spettacolo 'pubblico' e gli altri che non controllano in tempo i decibel degli impianti di amplificazione, e poi  tutti quelli che rassicurati dalla presenza di nomi altisonanti fra gli artefici dell'opera 'rock' si sono fidati ciecamente, e solo il giorno del debutto hanno potuto constatare lo schifo , la pochezza e la volgarità di quello spettacolo.

E il produttore ? Le sue responsabilità sono ininfluenti? No, certamente, ma non è che l'ultimo anello della catena che se fosse stata costruita a dovere e in tempo utile, avrebbe potuto esigere anche a lui efficienza e ubbidienza alle regole. Insomma un pasticcio al quale hanno contribuito in molti. Tutti con la medesima dose di colpa, perchè quella prima volta del Palatino ed il soggetto storico importante avrebbe richiesto maggiori responsabilità, competenza e immediatezza di intervento.

Adesso tutti hanno fatto causa a tutti. Come andrà a finire? Si saprà chissà quando. Resta solo quel mostro di ferraglie che il Ministero dovrà smontare, ma ci vorranno tempo e soldi; forse per Natale si riuscirà.
 Quel mostro  allora sparirà, mentre tutti gli artefici colpevoli del pasticcio RESTANO TUTTI AL LORO POSTO.  Dai dirigenti di Francechini, che sono, se ben ricordiamo, Prosperetti, Galloni... a quelli di Bergamo (l'assessore comunale che  ha voluto fare un dispetto a Franceschini per l'istituzione di quel parco speciale del Colosseo, che lui e la sindaca Raggi non condividono) come il sovrintendente Comunale,  Parisi Presicce.

Un grande ospedale della Capitale che non ha il reparto di neurochirurgia. Siamo un paese civile?

Il tragico episodio della morte della quattordicenne a Roma getta nello sconforto tutti i normali cittadini che si domandano: come è possibile che un grande ospedale come il 'Pertini' non abbia un reparto di neurochirurgia?

 I fatti.Diagnosi sbagliata, quando la mamma ha portato la ragazzina in ospedale con un forte mal di testa: stress; mentre se le avessero fatto un 'tac' od una 'risonanza'  - noi non sappiamo quale delle due, non siamo esperti nella materia - avrebbero forse capito che lo stress non c'entrava affatto.
La ragazzina va a casa con la madre, rassicurata. Ma  quando torna a scuola si accascia e da allora comincia il tragico calvario. Torna in ospedale, dopo aver atteso l'ambulanza. dove le fanno, non immediatamente, la 'tac' e si accorgono, pur trattandosi di un caso assai raro, dell'aneurisma. Ma L'OSPEDALE PERTINI NON HA UN REPARTO DI NEUROCHIRURGIA.
Di nuovo ambulanza e trasferimento al 'Bambino Gesù', dove viene immediatamente operata. Ma nel frattempo sono passate oltre due ore, un tempo infinito  in simili casi . Niente da fare. Troppo tardi. La bambina, che AVREBBE POTUTO SALVARSI, se gli ospedali fossero in Italia come dovrebbero, nonostante  ciò che la Lorenzin vuole farci credere, è morta a quattordici anni.

Il prof. Giulio Maira, intervistato, ha effettivamente ammesso che un aneurisma a quell'età è un caso molto raro. Passi perciò la prima diagnosi sbagliata - stress - all'ospedale, dove comunque avrebbero potuto fare un'indagine al primo ricovero, ma non l'hanno fatto perchè il 'pronto soccorso' lì, come in altri istituti ospedalieri, è sempre affollato ecc... ecc... tutte cose che sappiamo. Ma la seconda volta occorreva fargliela presto l'indagine e a seguito dell'esito, operarla d'urgenza, e forse si sarebbe salvata.

I casi di malasanità in Italia sono frequenti anzi normali; come frequente ed anche normale è l'invio da parte della Lorenzin di ispettori.  Ma tutto resta come prima. Questo ci preme sottolineare qui. L'ospedale 'Pertini' non può non avere una neurochirurgia. Mancano i soldi, ci verrebbe risposto. I soldi trovateli, replichiamo.

 Questo è il problema. Gli ospedali e le scuole, in ogni paese della nazione, grandi o piccoli, devono   vantare un grado altissimo di eccellenza ed efficienza. Questo fa un paese civile. Che non può non garantire la salute fisica e mentale dei suoi cittadini. Gli ospedali insufficienti e poco efficienti, le scuole insicure fisicamente ed anche intellettualmente devono diventare solo un tristissimo ricordo.

Ci hanno impressionato le dichiarazioni della preside del Liceo 'Virgilio'  dove è caduto un soffitto che poteva  fare una strage di ragazzi che passano ogni giorno la mattinata a scuola; la quale ha detto che 'i professori non riescono a 'governare' gli allievi a dialogare con loro. La preside forse non si è resa conto di quel che diceva, dimostrando che chi le ha affidato quella responsabilità non conosceva la sua incapacità ed inadeguatezza. Ma come, i professori non sanno, o non riescono a parlare ai loro allievi? Che sanno fare allora' ? A noi che abbiamo insegnato per una quarantina d'anni, anche in scuole turbolenti ed in anni di contestazione, non è mai passato per la testa che in situazioni particolari non saremmo stati in grado di avere un colloquio od anche un dibattito con i nostri studenti. E quando ci è capitato siamo stati all'altezza del momento.  Ammettere di non averlo  significa  per un insegnante, ammettere il  proprio fallimento.  Questo in fondo ha voluto dire la preside inesperta. Una ammissione gravissima!

Come si esce da questa situazioni precaria anche fisicamente?  Tagliando tutti  -TUTTIIII - i privilegi, innanzitutto economici di qualunque categoria, dai parlamentari ai magistrati ai manager pubblici, e con quei soldi cominciare a pensare a mettere fine  ai troppi buchi neri degli ospedali e delle scuole. Poi occorre trovare altri fondi, perchè quelli sicuramente non basteranno. ma intanto si cominci con quelli.

 Invece accade che si debbano ascoltare quasi giornalmente notizie di malasanità e  cattiva scuola, mentre, altrettanto giornalmente, il taglio dei privilegi e degli sprechi - che sono altrettanto diffusissimi!- viene attribuito all'antipolitica che un giorno finirà. Perchè - si dice- il taglio di quei privilegi non cambierà nulla di importante nel paese. Intanto si cominci da lì, si è atteso fin troppo. Il resto verrà  dopo.

I giornali tengono molto alla musica. Basta pagarli. E l'Associazione nazionale critici musicali tace

Nel giro di un paio di giorni sono apparse sui due principali quotidiani quattro pagine,  tutte dedicate alla musica, due per testata. Ci raccontavano della nuova stagione del Teatro La Fenice che si inaugura con Ballo in Maschera di Verdi, diretto da Chung che nel Teatro veneziano sta diventando una presenza costante e per il quale non ci meraviglieremmo se  a breve ci venisse comunicato ufficialmente che ha assunto l'incarico di 'direttore musicale' - come lasciavano intendere le dichiarazioni programmatiche del nuovo sovrintendente, Fortunato Ortombina - che di nuovo non ha nulla pecrhè sta alla Fenice da una quindicina d'anni, a fare il direttore artistico; ora  ha semplicemente  ottenuto dal sindaco  la doppia carica di sovrintendente e direttore artistico, che Brugnaro  gli ha concesso, anche perchè ha risparmiato su uno stipendio.

Il racconto in lungo e largo della stagione, le dichiarazioni di intenti del nuovo sovrintendente ( che è il vecchio direttore artistico), La Fenice l'ha ottenuti pagando sia il Corriere che Repubblica. Che hanno accettato volentieri (senza fiatare, anzi ringraziando) per la serie 'Eventi' - se lo dite voi e ci pagate, noi non abbiamo nulla in contrario. Anzi.
 Naturalmente La Fenice non è l'unico teatro italiano che ogni anno paga la sua tassa ai più importanti quotidiani italiani, sperando, supplicando che poi, nel corso della stagione, qualche altra volta i giornali la gratifichino, con un pò di attenzione. Speranza assai spesso delusa, salvo il caso in cui in quei teatri ci siano serate 'glamour' - che cosa vorrà dire non l'abbiamo mia capito - come per la Traviata all'Opera di Roma ( Traviata di Coppola e Valentino,  Verdi non contava). 

Pagate quelle pagine, raramente, nel corso della stagione, si leggerà qualcosa dei teatri pagatori. E comunque, mai a ridosso delle rappresentazioni,  anche quando  si tratta di prime assolute. Ai giornali non frega nulla, e le redazioni  attendono giorni stabiliti per fare uscire un trafiletto (il corrispettivo gratuito, delle paginate a pagamento).

 E la cosa apparirà tanto più strana a chi leggendo quelle pagine, 'avant scène' , sulle varie stagioni, s'era convinto, ogni volta, che il teatro osannato (dietro compenso, sveglia!), aveva la migliore stagione d'opera italiana; e per questo i giornali non potevano non parlarne, titolo dopo titolo.  Anche perchè le migliori firme del giornale, quelle che solitamente si limitavano a sottoscrivere trafiletti misuratissimi, in quelle pagine si erano espresse in tutta la loro bravura ma anche in tutto il loro  servilismo a  comando, dietro compenso.

In questo desolante panorama - che tante volte abbiamo denunciato - l'Associazione nazionale critici musicali tace da sempre. Si comporta come una 'venerabile confraternita', la cui appartenenza è ritenuta onorevole, non importa poi se i confratelli vengono bistrattati dai giornali.
 Certo che non si può chiedere ai singoli affiliati di muovere guerra ai rispettivi giornali; ma se una volta, tutti indistintamente gli iscritti levassero sacrosanta protesta contro il modo becero e insultante con cui la musica viene tratta dai giornali nei quali essi lavorano, ed anche loro stessi, forse tutti insieme, nessuno escluso,  potrebbero ottenere qualcosa.
 Ma fino a quando la venerabile confraternita, con il suo priore e il consiglio direttivo -  gli stessi da secoli - taceranno, conteranno zero o quasi, come si rileva  anche da molti altri elementi.

Spigolature giornalistiche, senza indovinello

 L'indovinello su questo blog non funziona, non genera curiosità e non spinge, di conseguenza, i lettori abituali ed informati,  ad indovinare. Perciò  saltiamo l'indovinello e lasciano nel mistero quanti, invece,  erano curiosi di sapere chi fosse il bugiardello, che era poi lo stesso per il quale nientemeno che Barenboim invocava misercordia.

 La Repubblica ha una nuova veste. Nuova davvero con quel carattere di nome 'eugenio', come il suo fondatore patriarca. La veste è nuova ed anche bella. Ma noi diffidiamo di tutti quelli che si mettono vestiti nuovi conservando magagne o difetti vecchi. Semplicemente li celano. Lo abbiamo spesso notato anche in tv. La prima cosa che fanno i nuovi direttori dei Tg è cambiare sigla, studio, grafica. Ma poi i tg restano gli stessi, con i soliti indigesti pastoni, le solite rassegne di politici di tutti i colori, nessuno escluso. Mai che ci fanno vedere, salvo casi che gridano vendetta,  le aule parlamentari vuote quando si discute di temi  che riguardano i cittadini, mai che esprimono giudizi sacrosanti e non opinabili su fatti e persone che lo meritano. Insomma il nulla vestito bene.
Per il quotidiano romano staremo a vedere. Così come si presenta a prima vista ci piace. Anche se non condividiamo quell'espressione, troppo di moda, con la quale  si spiega ai lettori un argomento, subito dopo trattato a lungo: Di che cosa stiamo parlando.
 Quanto a Repubblica dobbiamo annotare  ancora una migrazione verso la Rai, quella di Ezio Mauro, a Rai Tre, dopo Rai Cultura, come non ve ne fossero già abbastanza di giornalisti del quotidiano in Rai, da Giannini a Verdelli a Merlo, ora tornati all'ovile  di via Cristoforo Colombo, da Augias a Conchita, al responsabile della disfatta della redazione sportiva Romagnoli ecc...
 Si dice che i vertici di Repubblica e Rai, per ragioni di risparmio (  si ridurrebbero spazi, spostamenti, carburante, stress) stiano pensando di unificare redazioni o sezioni delle medesime.

Intanto la Rai continua a perdere altri pezzi migliori della sua collezione storica di argenteria ( dopo Giletti, Gabanelli) a tutto vantaggio di Cairo che deve guarnire la sua rete, La 7, e può comprare l'argenteria senza svenarsi. Mentre  si tiene strette le sorelline Gori che firmano la disfatta domenicale della rete ammiraglia. Insomma la Rai perde  le star che le avevano fatto fare ascolti lusinghieri e si tiene le schiappe che  le stanno lentamente  facendo perdere pubblico. Colpa delle sorelline, colpa della redazione, colpa di ambedue, colpa di un programma inesistente... l'unica certezza è che il nuovo direttore di Rai 1 è nei guai. Mentre Orfeo può vantarsi solo presso i potenti di turno, mentre il pubblico l'ha già bocciato, di aver 'normalizzato' la Rai in vista delle prossime politiche.

La scelta di Amsterdam, contro Milano, per la prossima sede dell'Agenzia europea del farmaco, in uscita da Londra, non è frutto del solo destino che si è manifestato per la scelta definitiva  con un buffo sorteggio. E' colpa, ed anche grave, dei nostri rappresentanti  al Parlamento Europeo e del  nostro governo che non ha saputo sostenere a sufficienza la candidatura di Milano che sicuramente ha più numeri di Amsterdam. Queste scelte si fanno attraverso un complesso e delicato lavoro diplomatico e politico, non si può arrivare al giorno della scelta sapendo che uno o due voti possono cambiare l'esito finale. Se Milano aveva, più di altre città - di tutte le altre - le migliori chances e queste non le sono valse per essere scelta  diamo la colpa ai colpevoli; il destino, e il caso  vengono dopo. Come si spiegano i nostri governanti e i loro emissari a Bruxelles, a cominciare da Gozi , a Padoan, ma ci metteremmo dentro anche Tajani e la Mogherini, che Spagna e Germania non hanno votato per Milano?

 Senza commento
I Cinquestelle hanno vinto ad Ostia. E' l'effetto Raggi.

Patti Smith torna in Italia. Canterà all'Opera di Roma  ed anche in Vaticano

Il genio del violino e dell'abbigliamento: Ara Malikian, all'Auditorium di Roma

Giovanni Allevi ha aperto la puntata di ieri di 'Di martedì' su La 7, con Floris gongolante di gioia

domenica 19 novembre 2017

Spigolature giornalistiche con indovinello

                                                     FATTI  E OPINIONI


IL FATTO

Si è letto nei giorni scorsi su un quotidiano:
" L'ultima opera del fitto catalogo teatrale di... debutta alla Scala con un certo successo: applausi tiepidi, ma comunque applausi".

E su un altro quotidiano, per la stessa opera, al debutto scaligero:
" Ha conquistato il pubblico della Scala e di Milano Musica... l'ultima opera di ..."

Indovina indovinello chi dei due è il bugiardello?
(La soluzione, domani, su questo blog)

L'OPINIONE

 L'Opera " ha, sia pure con alcune varianti, lo steso lessico che  il pubblico di... ascolta da 40 anni: rivoluzionaria per davvero al suo apparire, manieristica oggi... D'altra parte circola tantissimo, ovunque. E quindi ha ragione lui ( l'autore, ndr) a riproporla instancabilmente".

 Al giornalista che si chiede come mai l'autore dell'opera, al debutto alla Scala, continui ad avere successo da quarant'anni, nonostante le sue stroncature, risponde Barenboim, Daniel,  il  noto, grande  pianista e direttore.
" I critici che scrivono in forma negativa ( l'italiano non è la 'sua', di Barenboim lingua, ma dovrebbe essere la lingua del giornalista che l'ha intervistato, ndr) su un artista sono sempre sorpresi che questi possa avere successo nonostante i loro cattivi giudizi. Dunque bisogna avere un pò di misericordia per loro".

 Chi indovina chi è il bugiardello, indovina automaticamente anche l'autore del giudizio negativo, che è il medesimo.
(La soluzione, domani, su questo blog)

Rai Parlamento. Al vertice prove di coabitazione Renzi-Berlusconi

Rai Parlamento è una testata giornalistica che ha una sua struttura: direttore: Nicoletta Manzione; vice Susanna Petruni e redazione. Produce giornalmente un paio di notiziari  di qualche minuto ciascuno, per i quali basterebbero i giornalisti delle varie testate. E infatti Gubitosi, nel suo progetto di riassetto dell'informazione Rai l'avrebbe sicuramente  accorpata alle redazioni dei TG, e forse la stessa cosa avrebbe fatto Verdelli, se fosse rimasto al suo posto ed il progetto di Campo Dall'Orto fosse andato in porto, prima della sua partenza da Viale Mazzini. Ma  un simile progetto poteva avere qualche  chance di riuscita, nei mesi precedenti le varie tornate elettorali che culmineranno, in primavera, con le politiche? Accorpare, inoltre, avrebbe significato cassare dall'organigramma Rai un bel gruppetto di direttori e vice direttori che sono incarichi che servono a promuovere - per meriti o senza demeriti - o per mettere  a 'bagno maria' questo o quello in attesa di successive decisioni o spostamenti. Rai Parlamento e la sua struttura servono esattamente a questi scopi: promuovere chicchessia, senza merito o demerito,  o tenerlo 'in ammollo'.

Al vertice, con i 'galloni' da direttrice è stata inviata  Nicoletta Manzione ( dal Tg 1) sulla quale anche in rete  si leggono alcune perplessità sulla nomina, prima fra tutte quella che l' attribuisce al ben noto 'giglio magico' renziano. Perchè Nicoletta è cugina, di secondo grado, di Antonella, capo dei vigili urbani di Firenze, messa a capo del dipartimento degli affari giuridici di Palazzo Chigi; e Antonella, a sua volta, è  la sorella minore del sottosegretario agli Interni, Domenico. Speriamo che i fratelli Manzione siano solo due, altrimenti, scavando scavando, avremo altre sorprese.   L'ultimo 'caso Manzione' si è avuto quando l'ex capo dei vigili di Firenze,  Antonella, da Palazzo Chigi, è stata nominata al Consiglio di Stato, fra mille polemiche (competenza? età? ). Dunque a comandare a Rai Parlamento c'è una renziana 'di famiglia'.

Immediatamente sotto di lei, nel ruolo di vice direttore, una 'berlusconiana' di ferro, come Susanna Petruni. Sulla quale, a causa di una collanina con farfalla, con la quale si era presentata in  video a leggere le notizie del TG 1,  e che si appurò esserle stata donata dell'allora premier Berlusconi, si ebbe a suo tempo molto da ridire, giustamente. Lei proviene dalla vice direzione del Tg1 ( e non è proprio una promozione la sua!); ed è stata candidata addirittura alla direzione del Tg1, ai tempi di Berlusconi premier. Di recente, sotto la gestione Orfeo, per 'renzizzzare' il Tg1, in prospettiva elezioni politiche di primavera,  è stata fatta sloggiare, e allocata a  Rai Parlamento.

 Come si vede, a Rai Parlamento, speschio del paese, si sta sperimentando il dopo elezioni, quando, se saranno resi innocui i grillini, Berlusconi e Renzi  - come i sondaggi lasciano ora presagire, oppure Renzi e Berlusconi, qualora il vento dovesse cambiare, potrebbero allearsi per governare.

Intanto la prova generale di coabitazione a stretto contatto, a Rai Parlamento, di una renziana e di una berlusconiana  sembra reggere

sabato 18 novembre 2017

Vincenzo Bellini. Pubblicato l'epistolario in edizione critica


Finalmente, dopo il ricco epistolario di Beethoven, e l'altrettanto ricco di Mozart, e dopo il primo volume dell'epistolario di Puccini, che si annuncia monumentale - del quale, però, abbiamo messo in passato in evidenza alcune lacune di ordine testuale ma anche metodologiche:: mancano alcune lettere perché gli eredi non ne hanno autorizzato la pubblicazione, e mancano anche le lettere indirizzate a Puccini, come si usa fare in ogni epistolario che si rispetti, e che dovrebbe comprendere corrispondenza in uscita e in entrata, anche quando il lavoro di ricerca si presenti insormontabile e faticosissimo, quasi impossibile – arriva, dallo stesso editore dell'epistolario di Puccini, il fiorentino Leo S. Olschki, l'epistolario di Vincenzo Bellini (Vincenzo Bellini. Carteggi Pagg. 618. Euro 76) in edizione critica, curata da Gabriella Seminara, che del musicista catanese è fra le studiose più note e apprezzate.

Paragonato agli epistolari appena citati, quello belliniano, che appare, in fondo, assai esiguo - 517 lettere di Bellini o a Bellini - le prime diversificate dalle seconde, attraverso il diverso carattere tipografico: quelle spedite da Bellini in 'tondo', e quelle ricevute in 'corsivo' - non si può dire che abbia richiesto meno lavoro alla curatrice, sia perchè ogni epistolario presenta sempre qualche problema tutto suo, che va risolto, indipendentemente dalla mole dei documenti, sia perchè quello di Bellini ne ha di particolari.

La Seminara ha dovuto condurre un accanito esame di ripulitura, diciamo così, considerando che uno dei suoi corrispondenti, anzi quello più ricorrente è quel Florimo, suo amico e biografo, il quale come spesso accade agli zelanti che si propongono di salvaguardare la memoria di qualcuno, pensò qualche volta di 'reinterpretare' le lettere di Bellini, talaltra di distruggerne alcune, ed altre volte ancora di inventarne di sana pianta.
Lo studioso, in questo caso, è costretto a smascherare tale azione finalizzata alla santificazione del personaggio, che a distanza di tempo si rivela inutile e controproducente, per restituircene l'immagine sua 'originale', diciamo così.
L' edizione critica, nel nostro caso di un epistolario, deve restituire al momento in cui viene realizzata, l'intero corpus documentario conosciuto, ripulito di ogni presenza spuria o anche falsa, e nella veste più vicina all'originale.

La Seminara ha da tempo affrontato tali problemi avendo curato a più riprese la pubblicazione di lettere belliniane; nel difficile e lungo lavoro, ha acquisito tutti gli strumenti, affinati nel tempo, per dare a Bellini ciò che è di Bellini; e aggiungeremo, a Florimo quel che è di Florimo.

A questo punto la ricerca sull'epistolario belliniano si può dire conclusa e perciò acquista valore definitivo l'edizione critica appena uscita. Salvo che il futuro non riservi qualche sorpresa come è accaduto a Giuseppe Verdi , la cui
corrispondenza con Cammarano, già pubblicata da Ricordi, a cura dell'Istituto nazionale di studi verdiani di Parma, a seguito della comparsa di 36 lettere saltate fuori ad un'asta londinese e acquistate dallo Stato, necessita di una corposa aggiunta con il relativo esame e raffronto con le precedenti.
L'epistolario di Bellini si completa, oltre che con l'introduzione, con tre preziosi indici ( quello dei nomi, quello delle lettere in ordine cronologico, con l'annotazione del mittente , del destinatario, luogo e data, e un terzo con l'indice delle opere belliniane citate).

Nel 'carteggio' Bellini ci racconta, in prima persona, la sua vita, i suoi rapporti con editori, librettisti, interpreti, impresari, ci fa conoscere le sue idee sulla musica e sull'opera; i diversi pareri e giudizi, alcuni affatto teneri, verso colleghi; e molto altro ancora sul mondo del melodramma ed anche sulla politica - Bellini tenne rapporti, a Parigi, con diversi esuli italiani. Anticipiamo soltanto che è vario, ricco e sorprendente per il lettore, studioso o appassionato di musica, e di quella belliniana in particolare.


Il lettore è introdotto nei 'carteggi' da uno scritto della Seminara, la quale, dopo aver citato 'i padri' della edizione critica alla quale ha lavorato, da Florimo ai più recenti - e che non sono pochi - illustra lo stile epistolare di Bellini, descrive la sua poetica, fa cenno alla sua biografia, e infine alle personalità, fin dove possibile, dei destinatari della sua corrispondenza.

giovedì 16 novembre 2017

Milano. Tutti pazzi per Salvatore Sciarrino? Alla Scala, sì

Da qualche giorno, in tutta Milano, si festeggiano i settantanni di Salvatore Sciarrino, sia attraverso il festival 'Milano Musicia' che gli è principalmente dedicato, ed è tuttora in svolgimento, che per il debutto alla Scala - che gliel'ha commissionata, in coppia con la Staatsoper di Berlino, della sua nuova opera: Ti vedo, ti sento, mi perdo. Aspettando Stradella, oltre naturalmente alla mostra che illustra anche visivamente  il suo ormai lungo percorso compositivo, che dura da quasi mezzo secolo.

Non crediamo però che una città italiana, come Milano e qualunque altra, si entusiasmi e partecipi coralmente a simili festeggiamenti,  come ci capitò di vedere a Salisburgo, un pò d'anni fa, quando all'interno del celebre festival , l'allora direttore artistico, Markus Hinterhauser,  di recente tornato alla guida dell'istituzione austriaca, gli dedicò una sezione monografica assai ricca che spaziava dalle opere per il teatro, alla musica vocale, sinfonica, cameristica a quella per strumento solista (pianoforte):  Kontinent Sciarrino.  Un festival nel festival, nel quale tutta la cittadina sembrò coinvolta,  come si poteva desumere dagli striscioni per le strade, oltre che sulle facciate dei luoghi deputati, dalle vetrine dei negozi che mostravano foto, partiture, copertine di dischi e poi anche dagli  incontri e dalla master class ecc.. per celebrare, facendolo meglio conoscere, il compositore italiano. Milano saprà fare altrettanto?

L'altra sera, alla prima della nuova opera di Salvatore Sciarrino alla Scala, ascoltata a Radio 3, in diretta, si sono potuti  ascoltare i lunghi applausi che hanno salutato la fine del primo atto ed anche la fine dell'opera. Così lunghi ed insistenti, da sorprendere il cronista radiofonico da Roma,  il quale si è sentito in obbligo a  giustificarli  con la tipologia di pubblico della serata: principalmente quello del festival contemporaneo 'Milano Musica' , abituato - voleva dire - ad 'autoflagellazioni' e  a salutare le stesse, alla fine, con applausi. Il cronista, insomma, non credendo alle sue orecchie - ma a nessuno interessava sapere cosa lui pensasse di quegli applausi - spiegava con un concentrato di idiozie la sua sorpresa.  Potremmo aggiungere che il cronista radiofonico romano era il giusto pendant di quello che commentava la serata dalla Scala, con sciatteria e pressapochismo.
Ma con tutti i critici che quella sera erano a Milano - dove si era consumata nel pomeriggio, una riunione plenaria della 'venerabile confraternita' dell'Associazione nazionale di categoria - Radio 3 non si poteva affidare a qualcun'altro in grado  di condurre  con competenza e senza approssimazione la diretta radiofonica dalla Scala?

Veniamo all'opera: Ti vedo, ti sento, mi perdo. In attesa di Stradella, che la Scala di Lissner (e Berlino in coproduzione) aveva commissionato al musicista qualche anno fa , ma che è andata in scena solo ora, sotto la sovrintendenza Pereira.  Lissner avrebbe voluto che il compositore la consegnasse in quattro e quattr'otto, mentre invece Sciarrino voleva pensarci e lavorare con i  tempi suoi e comunque con il tempo necessario e sufficiente per elaborare e realizzare un nuovo progetto che, da quel che si è ascoltato, sembra essere molto diverso da quelli suoi, anche recenti, destinati al palcoscenico (La nuova Euridice secondo Rilke, del 2015)

 Nel frattempo, oltre a formalizzare  il progetto della nuova opera,  Sciarrino ha voluto approfondire la conoscenza  di Stradella, della sua musica, verso la quale ha sviluppato un vero innamoramento.
Non l'ha affascinato tanto la figura del musicista, intorno alla quale, secondo le sue conoscenze,  c'è molta letteratura ed invenzione, al punto che - ha spiegato Sciarrino - non abbiamo neanche un suo ritratto, e che, se avesse avuto la vita movimentata che gli si suole attribuire, non avrebbe avuto materialmente il tempo di scrivere tutta quella musica meravigliosa, studiata con cura e attenta riflessione.

Per la stessa ragione, molti anni fa, cioè per la particolare qualità  e modernità della sua musica, Sciarrino, s'era appassionato ad un altro celebre, e dannato, musicista: Gesualdo da Venosa, al quale aveva dedicato una prima opera, la sua più fortunata, Luci mie traditrici; una seconda per la compagnia dei pupi di Cuticchio; ed alcune 'ricreazioni' di suoi celebri madrigali e perfino dell'unica sua musica strumentale. Sicuramente Sciarrino si augura di contribuire,  con la sua opera, ad una meritata e  approfondita conoscenza della grandezza di Stradella.

Sulla nuova opera, aleggia la figura 'assente' di Stradella, del quale, in un palazzo nobiliare dove sono riuniti una cantante, i musicisti e i signori con i loro servi, si attende per la necessaria prova, la nuova cantata, che arriva sì, ma alla fine dell'opera,  e della quale si fa in tempo ad ascoltare l'avvio mesto e struggente. Mentre, proprio all'inizio dell'opera, Sciarrino, con una sua ampia rivisitazione e ricreazione  di musica stradelliana,  ci ha fatto gustare la ricchezza, novità  e modernità della sua musica.

Delle  sue capacità 'ricreative' - non semplici rivisitazioni ed ancor meno trascrizioni o strumentazioni - come una volta ha spiegato in un lungo illuminante scritto - Sciarrino ha dato ormai infiniti saggi, ultimo,  fra quelli che abbiamo ascoltato,  Sposalizio, da Franz Liszt,  scritto per l'Orchestra  di Padova del suo interprete privilegiato, il direttore d'orchestra Marco Angius, e che Sciarrino ha illustrato in lungo e largo, nel corso delle lezioni di musica trasmesse da Rai 5, solo qualche mese fa. In questi giorni, a Milano, Sciarrino ed Angius hanno presentato i due CD Decca che ripercorrono, a grandi linee s'intende, la carriera compositiva del musicista.  I 2  CD Decca, che Angius ha registrato a capo della sua Orchestra padovana, vanno ad aggiungersi alla ottantina e passa già in circolazione e che costituisce ad oggi la ricchissima discografia di Sciarrino.

Sciarrino, invitato ad illustrare alla radio l'opera, durante l'intervallo della 'prima' scaligera, ha messo in risalto come la sua musica riveli un sapore 'arcaico' in quest' opera. Ed è quello che arriva all'orecchio dell'ascoltatore, abituato a ben altri sperimentalismi sonori dal musicista.  Con un effetto straniante, studiato e non casuale, che fa apparire Sciarrino l'antico e Stradella il moderno. Un ribaltamento di grande effetto.

Della complessa regia (Flimm) e ricchezza rappresentativa  dell'opera, come anche dei diversi piani in cui si articolava il palcoscenico scaligero; dei gruppi, dislocati  avanti e in fondo alla scena, e dei costumi ricchissimi e colorati, non possiamo dirvi nulla in prima persona, dovendoci attenere esclusivamente al racconto  ed  agli osanna, radiofonici, a differenza degli applausi di soddisfazione ed apprezzamento del pubblico del teatro che abbiamo ascoltato con le nostre orecchie.

mercoledì 15 novembre 2017

Festival di musica contemporanea. Da Milano Musica a Nuova Consonanza, escludendo la Biennale di Venezia

La Biennale di Venezia la lasciamo fuori da questa breve riflessione su due festival di musica contemporanea in pieno svolgimento, l'uno milanese ( Milano Musica), venticinquenne, l'altro romano ( Nuova Consonanza) che deve aver  già superato la cinquantina. Due modalità e logiche molto diverse di oganizzazione artistica.

Nuova Consonanza, festival 'romano' in ogni senso, organizzato come una società di mutuo soccorso fra musicisti di area romana  e di diverse generazioni, senza intromissioni ingombranti. Si passano  il testimone della presidenza fra loro e a turno, quando scendono da quello scranno si omaggiano, eseguendosi le musiche gli uni degli altri. Naturalmente ci sono anche alcune eccezioni che dovrebbero far assumere respiro più ampio, a quello che si configura come un mercatino cittadino, per non dire rionale, perché anche fra i musicisti romani, che sono tanti e di diverse generazioni, ci sono gruppi e sottogruppi, e se comanda uno non c'è trippa per gli altri.

Si obietterà che Nuova Consonanza prima di essere un festival  era un 'gruppo' di improvvisazione interessato a far progredire il linguaggio musicale, e prima ancora anche una associazione, dunque normale che debba tutelare gli associati. Sarebbe anche normale se l'entrata in associazione non fosse dettata dalla tutela di interessi professionali, piuttosto che da effettivo valore e merito acquisiti sul campo. Sì, ma chi esamina valore e merito, se per entrare non v'è nessun esame e vaglio delle opere, ed a decidere sono altri compositori che sono entrati con lo stesso sistema?

 La conclusione è quella cui accennavamo: il Festival si risolve, in ogni edizione, come un mercatino dove gli associati, salvo rare eccezioni, mettono in mostra le loro opere, senza che ci sia qualcuno che decida compositori ed opere.
 Non denunciamo questo da ora, lo abbiamo fatto in infinite occasioni; alla lettura del programma abbiamo sempre gridato alla sua 'quasi' inutilità.
 Specie, come accade in questa edizione, nel cui cartellone leggiamo che una intera serata è dedicata a festeggiare, anzi celebrare, i 60 anni di un grandissimo compositore che da qualche anno  ha un grande potere, ai vertici dell'Accademia di Santa Cecilia, mentre prima, ancora un potere altrettanto grande, aveva in Rai. Parliamo di Michele dall'Ongaro il quale, per essere celebrato come compositore non ha proprio i numeri, che invece vedono consistere i componenti della sua corte,  da quand'era alla Rai, al periodo in cui fu presidente di Nuova Consonanza, e, in misura  ancora maggiore, ora che comanda a Santa Cecilia.

 Tutt'altra musica a  Milano Musica, associazione per la musica contemporanea animata, fino alla sua morte, da Luciana Pestalozza, alias Ricordi, che dal 1992 organizza un omonimo festival, talvolta come rassegna di compositori, talaltra, come accade nella edizione in corso, in versione monografica, in onore dei 70 anni di Salvatore Sciarrino, del quale proprio ieri è andata in scena alla Scala, con notevole successo, la sua nuova opera, coprodotta dal Teatro milanese e da Berlino.
 Milano Musica è il festival di Casa Ricordi. e che la cosa sia chiara a tutit  la direzione artistcia del festival è affidata a un dirigente di Ricordi ( Mario Mazzitelli), e i compositori presenti  appartengono quasi tutti al catalogo Ricordi. Anche Sciarrino? Sì anche Sciarrino, fino al 2004 circa, e dopo a Rai Trade, che ha successivamente assunto la denominazione societaria di Rai.com.

Che ha fatto Milano Musica? Ha colto l'occasione per  ripercorrere la ormai lunga gloriosa carriera di compositore di Sciarrino, attingendo a piene mani al catalogo  Ricordi, assai ricco già fino al 2004, cioè fino a quando ha pubblicato anche la sua musica.  In detto catalogo sono comprese anche Luci mie traditrici, la sua opera più conosciuta e fortunata e che vanta già sei regie differenti,  come anche Morte di Borromini, con  Fabrizio Gifuni recitante, ambedue ascoltate in questi giorni alla Scala  o anche altrove a Milano.
 Naturalmente non potevano mancare opere più recenti  del catalogo di Sciarrino nel cartellone del festival,  come quelle commissionate per l'occasione e perciò edite da Rai.com, ma ciò era funzionale a coprire la fisionomia tutta 'ricordiana' del festival milanese. E anche questo, per un altro verso, non è certo quel che ci si aspetta da un festival di musica contemporanea, il cui cartellone deve comporsi andandosi a cercare le vere novità, ovunque siano, qualunque ne sia l'editore.

Certo qualche novità c'è, e, forse, una fa il verso ad un altro avvenimento  della programmazione della Scala, e cioè l'esecuzione diretta da Chailly, della Messa da requiem per Rossini, voluta da Giuseppe Verdi, e finita nel dimenticatoio, senza neanche vedere la luce,  nel 1869, quando era stata programmata e doveva contemplare brani scritti da compositori italiani, come omaggio al grande musicista scomparso l'anno prima.
 Nel programma di 'Milano Musica' c'è anche un somigliante, curioso esperimento: quello  di un collettivo di musicisti, cinque, riuniti sotto la sigla  Nu/ Thing, e di una loro composizione/ sperimentazione improvvisazione di gruppo.


Tra Venezia e Bologna. Per un Direttore artistico ( Fenice) promosso a Sovrintendente, un Sovrintendente ( Teatro Comunale) retrocesso a Direttore artistico. Forse

Mentre a Venezia si è consumato un autentico pasticcio: la nomina di Ortombina a Sovrintendente della Fenice, mantenendo anche la precedente carica di Direttore artistico; a Bologna, al Comunale si è verificato il cammino opposto: l'attuale Sovrintendente/Direttore artistico, Nicola Sani - osannato in tutte le plaghe italiche, da Bologna a Siena, da Venezia a Roma a Parma - è stato esautorato e retrocesso: al suo posto è stato promosso Fulvio Macciardi, direttore generale del teatro. E non  si sa ancora - si attende un incontro con il ministro Franceschini - se Sani tornerà al suo precedente incarico in teatro, quello di Direttore artistico, o batterà la ritirata da Bologna, anche se dubitiamo che ciò possa avvenire.

 E se ambedue gli spostamenti sembrano essersi concretizzati su due ascensori, apparentemente simili, di pubbliche istituzioni,  portando ai piani alti Ortombina, e scendendo a quelli bassi Sani, i rispettivi palazzi che i due abitavano, anzi amministravano, fino a poche ore fa, appartengono - per continuare con la metafora abitativa - a 'edilizie' differenti, anzi opposte.

Ora, al netto di sorprese amministrative che in Italia sono, sempre ed ovunque, possibili e temibili, il condominio veneziano sembra ben amministrato dal 'promosso' Ortombina - e fino a poco fa anche da Chiarot che, per questo, è stato portato trionfalmente sul trono dell'Opera di Firenze -  mentre quello bolognese di Sani, si troverebbe, secondo gli ultimi dati, nelle stesse pessime condizioni di Firenze, dove, per questa ragione, è stato chiamato il 'salvatore' Cristiano Chiarot; e per la stessa ragione, a Bologna, il direttore generale del teatro, Fulvio Macciardi,  è stato promosso a Sovrintendente, con l'ordine tassativo di dare una sistematina ai conti in profondo rosso, visto che Sani non è stato capace di farlo, e perciò bocciato, 'retrocesso', esautorato.

Noi di Venezia pensiamo, e lo abbiamo anche scritto, che si tratti di un pasticcio che comunque in un teatro che sembra viaggiare a gonfie vele, fa temere meno che per  Bologna, dove non possiamo non pensare che l'osannato Sani abbia iniziato la sua parabola discendente, per la quale se non correranno in suo soccorso  i poteri  che fino ad oggi l'hanno sostenuto e spinto -  sia politici che di loggia, come è da supporre anche per i suoi legami senesi - fra breve potremmo trovarcelo non a chiedere l'elemosina per strada - di barboni ce n'è già tanti - ma quanto meno a scendere dai troppi treni sui quali  ha viaggiato, a grande velocità ma forse senza titolo ... di viaggio (biglietto), contemporaneamente, da qualche tempo: dalla Accademia Chigiana, all'Istituto di Studi verdiani, alla Fondazione Luigi Nono, alla IUC di Roma, al Teatro Comunale di Bologna. Non sarà certo costretto a mollare tutto, perchè i suoi sostenitori, per salvare almeno la faccia, non saranno così vigliacchi da abbandonarlo tutti in un sol colpo - ma potrebbe anche accadere; però che le sue mire espansionistiche, dopo il flop bolognese, vadano ridimensionate è non solo opportuno ma necessario, per evitargli ed evitarci altri guai o spiacevoli sorprese.

 In Italia fortune folgoranti e repentine, spesso immeritate, come quelle di Sani sono assai frequenti. Da un certo momento in avanti si scopre l'acqua miracolosa  di Sani e tutti intorno che  ne vogliono  una boccetta, per i proclamati benefici effetti, al punto che sembra  impossibile che l'intero paese sia sopravvissuto senza, fino a quel momento. Come abbiamo fatto a non accorgerci di Lui - sembrano chiedersi tutti, tanto che tutti lo cercano tutti lo vogliono. Poi, dopo averla assaporata, centellinandola, ci si rende conto che quell'acqua miracolosa è come l'elisir d'amore del dottor Dulcamara,  nient'altro che vino che dà alla testa, e allora via a sversarla per strada, perché nessuno più vuole berla. E allora tutti a correre dietro al finto medico-mago che aveva un rimedio 'finto'  per ogni malanno, ma per linciarlo. Nel qual caso, si verificasse anche per Sani, non vorremmo essere proprio noi a doverlo salvare dai suoi inseguitori. Come siamo stati costretti a fare con altri finti maghi che, dopo averli smascherati per primi, ci siano sentiti in dovere  di salvarli dagli inseguitori inferociti.


domenica 12 novembre 2017

Speriamo che BELLA ad una donna si possa ancora dire senza essere accusati di molestia!

Siamo sinceramente preoccupati sull'evolversi delle cose, dopo lo sporco affare Weinstein in USA, al punto che anche rivolgere un complimento ad una donna deve avvenire dopo attenta riflessione e valutazione, perchè potrebbe essere letto come molestia  sommessa, e, per questo, anche dopo anni, ragione di accusa. Lo temiamo veramente.

Abbiamo avuto la stessa sensazione alcuni anni fa, quando emersero fatti terribili di abusi di ogni genere su minori da parte di adulti. Al punto da temere che un sorriso all'indirizzo ad un bambino, perfino in passeggino con la madre, poteva essere interpretato come un adescamento ed essere motivo sufficiente di linciaggio pubblico. E che il pericolo vi fosse avemmo la sensazione in un caso in cui sorridemmo ad un bambino che ci guardava passare, salutandoci con la manina, e noi ci trovammo a riflettere se rispondere al saluto con la mano ed anche al sorriso. Mentre prima, da quando eravamo diventati nonni, lo facevamo regolarmente.

 Dunque occorre comunque prudenza in ogni atto o gesto, e sempre rispetto per l'altro sesso. Il quale è spesso oggetto di molestie, anche gravi, ed anche  di violenze vere e proprie, inutile nasconderselo; e quasi sempre, anzi sempre, quando si trova in posizione subordinata rispetto all'uomo di potere.

Ma anche attenzione alle vendette subdole. Giovani attrici o cantanti - conosciamo anche noi  dei casi rivelatici dalle dirette interessate - alle quali gli agenti (o i registi, nel caso del cinema) prima di occuparsene hanno chiesto che pagassero 'pegno', ma con prestazioni e favori sessuali. Talvolta fatti intuire attraverso comportamenti equivoci, talvolta richiesti velatamente,  altre esplicitamente quando  non addirittura attraverso una vera e propria  tentata violenza, sventata solo con la fuga e con una fragorosa risata ed un  bel vaffa.

Perciò  pensare che il malcostume si limiti a pochi casi isolati, e circoscritti ad alcuni ambienti è sbagliato. Le donne, specie quando giovani belle ed anche bisognose vengono quasi sempre molestate in un modo o nell'altro e spesso fatte oggetto di violenza, se cercano lavoro. Questo deve finire.

Se una donna - ma i casi finora emersi riguardano anche maschi -  è in cerca di lavoro non deve mai essere costretta, per ottenerlo, a sottostare alle infami insinuazioni o richieste di produttori, o registi o agenti di turno, e deve essere considerata solo in base alle sue capacità. Perchè  se la professionalità non è l'unico elemento di valutazione, allora è evidente e quasi normale che una donna  si lasci usare da balordi tipo Weinstein, il cui aspetto maialesco - già quello - avrebbe dovuto allarmare tutte le donne in procinto di avvicinarlo, e convincerle a girare alla larga per cercare lavoro altrove. Sperando di non finire dalla padella alla brace, come la pratica, ASSAI DIFFUSA, di richieste di favori sessuali, quando non addirittura di violenze, fa temere. 

Dario Franceschini. La mia carta vincente: i superdirettori. Emergenza cultura lo corregge con l'appello che riproduciamo

"Dario Franceschini è un ministro che ama molto gli annunci. Anche se la materia prima degli annunci non è molto consistente. Di recente ha convocato una Conferenza sul paesaggio anche se i piani paesaggistici co-pianificati, prima sotto Renzi  e poi sotto Gentiloni, si riducono alla miseria di 3 appena su 20 e la Giunta di centrosinistra della Sardegna sta cercando di smantellare gli eccellenti piani salvacoste della Giunta Soru (pure di centrosinistra) coordinati da Edoardo Salzano nel 2004, attaccando pure frontalmente l’ottimo soprintendente sardo che si oppone a quel disastro.
Sulla legge detta “sfasciaparchi” in discussione al Senato e che indebolisce palesemente i Parchi Nazionali non ha trovato mai il modo di emettere un accenno di critica e di difesa della valida legge-quadro Cederna-Ceruti del 1991 con la quale sono stati creati ben 19 Parchi Nazionali oggi semiabbandonati a se stessi quando non frammentati.
Ora il ministro per i Beni Culturali convoca un’altra presentazione per illustrare i grandi risultati ottenuti dai super-direttori dei primi Musei di eccellenza in termini di ingressi e di incassi. Va premesso che i dati statistici ministeriali sugli ingressi sono quanto mai nebulosi per effetto delle domeniche gratis che sembrano quantificate a spanne. Comunque, con tutti i vantati incrementi, le entrate dovute a ingressi e ad attività di valorizzazione, rappresentano soltanto il 9-10 per cento delle dotazioni ministeriali. Percentuale molto modesta. Forse per questo si vuole introdurre a forza (il Vicariato di Roma sino a ieri si è opposto) un biglietto di ingresso al Pantheon.
I super-direttori, soprattutto quelli stranieri, si sono prodigati nell’incrementare gli introiti a forza di sfilate di moda, di matrimoni fra i templi o nei palazzi ducali, di feste di compleanno di qualche potente, di banchetti di laurea, di altre iniziative che screditano soltanto l’arte e la cultura italiana. Sono idee davvero mirabolanti che qualsiasi Pro Loco di provincia poteva fornire gratis e non a 165-195mila euro lordi l’anno per direttore. Gli ultimi brillanti parti intellettuali dei superdirettori o dei direttori che credono religiosamente nell’ingresso salvifico dei privati nei nostri Musei, nelle Regge e nelle aree archeologiche sono la Zumba (sì, la Zumba) un ballo collettivo da crociera o da palestra, lanciato fra le mummie del Museo Egizio torinese, e gare di canottaggio nella grande vasca della Reggia di Caserta. Nell’ultimo caso senza aver pensato a ripulire dai rifiuti la vasca vanvitelliana, come hanno messo in evidenza gli stessi giornali locali. Ma si annunciano voli di mongolfiere e gare di tiro con l’arco, dopo aver valorizzato aperitivi, apericene, mozzarelle, vini e amari locali. E la montagna di ferraglia che ancora ingombra il Palatino, cioè il palco di “Divo Nerone” opera rock? Doveva far incassare al Ministero grasse royalties. Doveva essere il banco di prova della tesi secondo la quale i beni culturali possono diventare “macchine da soldi”. Invece è affogata nel ridicolo subito dopo la “prima” penosa rappresentazione. Un fallimento totale.
Ovviamente i superdirettori, nell’ansia di far soldi, hanno pure spinto a fondo il pedale del “mostrificio” sfornando mostre su mostre che non nascono da alcuna ricerca scientifica, ma vengono proposte insieme ai pacchetti turistici. Mentre dipinti italiani indubbiamente delicati (Raffaello, Caravaggio, ecc.)  facevano il giro del mondo. In cambio di quali vantaggi? E la ricerca poi dov’è finita? Quella costa tempo e fatica, e l’amministrazione dei Beni Culturali è stremata, paralizzata da una sciagurata “riforma” che ha provocato aumento delle carte burocratiche, moltiplicazione di tanti istituti autonomi, caos, spesso paralisi. Quindi costi molto più elevati di gestione. Il Ministro ha mai raccolto l’opinione degli addetti sul campo in tutta Italia? No, la sua “riforma” è andata avanti fino all’ultimo senza un minimo di riflessione e valutazione generale. Tempo ne è passato e le disfunzioni risultano ancora moltissime. Ma, fatto inaudito, rimangono ignote al pubblico per il bavaglio antidemocratico che impedisce ai dipendenti di parlare, di esporre critiche, anche quelle  più costruttive. Tutto deve andare bene. E invece non va bene per niente. Come è ampiamente documentabile. Basta soltanto vedere quali e quante sono state e sono le drammatiche carenze e i cronici ritardi nell’emergenza e nel post-terremoto di Amatrice e dintorni rispetto a vent’anni fa, al 1997. A quando una presentazione del ministro sull’argomento?"


EMERGENZA CULTURA, Vittorio Emiliani, giornalista e scrittore, Tomaso Montanari, storico dell’arte, Maria Pia Guermandi, archeologa, Vezio De Lucia, urbanista, Licia Borrelli Vlad, Adriano La Regina, Anna Gallina Zevi, Fausto Zevi, Pietro Giovanni Guzzo, Carlo Pavolini, Paola Pelagatti e Paolo Liverani, archeologi, Michele Achilli, Paolo Berdini, Vezio De Lucia, Pier Luigi Cervellati e Edoardo Salzano, architetti e urbanisti, Maria Rosaria Iacono, vice-presidente nazionale Italia Nostra, Anna Maria Bianchi, presidente del Laboratorio Carteinregola, Corrado Stajano, scrittore, Giovanna Borgese, fotografa,Francesco Mezzatesta e Giorgio Boscagli coordinatori Gruppo dei 30 per i Parchi, Andrea Emiliani, storico dell’arte, Giorgio Nebbia e Gianfranco Amendola, ambientalisti, Benedetta Origo, specialista di giardini storici, Gianandrea Piccioli, dirigente editoriale, Luigi Piccioni, storico dei Parchi, Jadranka Bentini, presidente Italia Nostra Bologna, Cristiana Mancinelli Scotti, Salviamo il Paesaggio Roma-Lazio, Luciana Prati, presidente Italia Nostra Forlì, Marina Foschi, architetto Italia Nostra, Franca Fossati Bellani, oncologa, Andrea Costa, ambientalista, Alfredo Antonaros, scrittore, Gianni Venturi, italianista, Chiara Frugoni, medievista, Paolo Baldeschi, docente di paesaggio, Lucinia Speciale, storica dell’arte, Vincenza Riccardi Scassellati, storica dell’arte, Irene Berlingò, archeologa, Nino Criscenti e Pino Coscetta giornalisti, Gaia Pallottino ambientalista, Bernardino Osio, ambasciatore, già segretario dell’Union Latine. Mirella Belvisi Italia Nostra Roma, Elio Veltri saggista politico, Ornella Selvafolta, docente Politecnico Milano, Fernando Ferrigno, giornalista e scrittore.

Roma. Sovrintendenti statale e comunale 'cecati' da tutti e due gli occhi

La storia dell'opera rock 'Divo Nerone', per la quale la produzione era riuscita a mettere insieme un gruppetto di nomi altisonanti, è finita male, molto male. Anzi con un disastro.

Il sovrintendente statale, Prosperetti, che aveva autorizzato  lo spettacolo, destinandolo ad uno dei luoghi più sacri della romanità, il colle Palatino - ed era la prima volta che un sito di rinomanza mondiale ospitava uno spettacolo discutibile - aveva dichiarato quando, dopo le prima recite, si capì che il suo destino era disastroso, che quando aveva dato il benestare alla operazione, non aveva capito  quale impatto avrebbe avuto nel Foro romano, oltre naturalmente a non aver capito nulla del tipo di spettacolo che andava ad autorizzare. Verrebbe da domandargli se c'era qualcosa che egli avesse capito, e che avrebbe dovuto e fosse in grado di capire.
Quando vide per la prima volta l'installazione abnorme ed invasiva, si meravigliò e si scusò come un qualunque allievo scoperto a copiare dal vicino di banco alle elementari.

Lo spettacolo - osceno, banale, dozzinale ed anche sacrilego per il luogo! - chiuse anzitempo e si pose il problema di smontare quell'enorme palco ( che nel punto più alto ha una copertura alta trenta metri circa) e relativa platea, di tremila posti circa - se non andiamo errati.  Verrebbe anche da chiedere a Prosperetti se si sia mai recato, durante l'allestimento, sul Palatino, come avrebbe dovuto e non ha fatto. La produzione promette dopo l'ingiunzione statale che smonterà il palco, ma passano i giorni, le settimane ed anche più d'un mese e il palco e la platea sono ancora lì.

 Si muove la dott. Galloni, se del Ministero o di qualche altra struttura interessata al caso fa lo stesso,  - che poi  è la stessa dirigente che fu ospite anni fa di una festa in villa sull'Appia antica e certamente visitò la antica cisterna sottostante la moderna piscina all'aperto,  e vanto degli attuali proprietari, ma tacque mentre avrebbe dovuto denunciare la cosa ai suoi superiori - la quale decide che la struttura va comunque smantellata ( sono trascorsi già sei mesi circa e sta ancora lì) e, intanto essendo la produzione dello spettacolo inadempiente, provvederà il Ministero che poi si avvarrà sulla ditta ( ma come si sa, in questi casi, il Ministero può dire addio per sempre a quei soldi!). La Galloni comunica che ci vorrà più d'un mese di lavori, e se gli dei la aiuteranno, forse per Natale, il Palatino sarà offerto, nella sua precedente conformazione, alla vista dei turisti.
Naturalmente Prosperetti, il 'cecato', resta al suo posto.

Come forse pure anche un altro 'cecato' - si chiama  Parisi Presicce - questa volta 'comunale',  resterà al suo posto, nonostante la storia del piano sopraelevato in un hotel di via del Pellegrino, in pieno centro, che lui o i suoi tecnici non hanno visto, dopo aver autorizzato alcuni lavori, se non dopo la denuncia che ha fatto Vittorio Emiliani. Che non è sovrintendente di alcunchè, ma solo presidente del 'Comitato per la bellezza', e giornalista nato che riesce a vedere illeciti sui quali le autorità preposte chiudono un occhio .

Il sovrintendente comunale 'cecato' si è recato sul posto, ha riscontrato l'illecito e, pensiamo, ordinato la demolizione. Si farà o ci sarà un contenzioso che verrà chiuso da una qualche sanatoria?

 Di questi continui successi, Francechini, responsabile ultimo, non parla mai. Parla solo degli altri.


venerdì 10 novembre 2017

Pasticcio veneziano: Ortombina da direttore artistico a sovrintendente della Fenice, conservando anche la carica di direttore artistico. La contempla, tale anomalia, anche la nuova legge sullo spettacolo dal vivo?

"Fortunato Ortombina ha “scalato” anche la vetta della Fenice, diventando da ieri insieme sovrintendente e direttore artistico del teatro veneziano, nominato dal Consiglio di indirizzo della fondazione, con in testa il suo presidente Luigi Brugnaro, sindaco della città lagunare. Ortombina prende il posto di Cristiano Chiarot, con cui ha lavorato in tandem - per restare al ciclismo - in questi anni della guida della Fenice e che già da qualche mese “volato” a Firenze, per guidare un Maggio Musicale Fiorentino un po’ malandato sul piano gestionale.

Una nomina, quella di Chiarot, fortemente voluta dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini e concordata quindi anche con Brugnaro - che lo ha lasciato partire un po’ a malincuore - ma che aveva in sé già una linea di continuità con la nomina annunciata di Ortombina. Che si è fatta però attendere per qualche mese.

«L’abbiamo tenuto un po’ in prova» ha detto un sorridente Brugnaro ieri al termine del Consiglio di indirizzo che ha nominato Ortombina «perché prima abbiamo voluto assicurare l’equilibrio del bilancio, fondamentale anche per una fondazione lirica, ma sono convinto che con Ortombina ora si possano fare cose sempre migliori per la Fenice, migliorando l’efficienza del teatro, raggiunta anche riducendo un po’ il numero delle produzioni, allungando le repliche e proponendo anche titoli attrattivi per il pubblico. Sono convinto che sia la scelta giusta per la Fenice e dal ministro Franceschini ho avuto anche il viatico per fare la mia scelta in piena autonomia».

E Ortombina, mantovano gioviale ma anche ambizioso e sicuro di sé ha chiosato: «C’è chi dice che siamo un teatro con troppi turisti, ma noi lo siamo innanzitutto dei veneziani, anche metropolitani, e dei veneti. Vogliamo essere sempre più anche un teatro del mondo, perché la Fenice è per me il più bel teatro del mondo». Nessun problema per il doppio ruolo, visto che Ortombina, diventando sovrintendente, manterrà anche la direzione artistica.

«Sarebbe stato un problema» ha commentato «se in questi anni fossi stato solo un direttore artistico che si occupava della scelta dei cantanti e dei titoli produttivi. Ma ho invece contribuito con Chiarot e con la squadra della Fenice a creare un modello produttivo che ora è invidiato anche da altri teatri lirici italiani e che porterò avanti in una linea di continuità».

Ortombina, 57 anni, dal 1980 al 1997 ha lavorato al Teatro Regio di Parma come professore d’orchestra, artista del coro, aiuto maestro del coro e maestro collaboratore. Tra il 1988 e il 1990 ha collaborato con il Festival Verdi e successivamente, fino al 1998, ha lavorato presso l’Istituto nazionale di studi verdiani. Dal 1997 al 1998 è stato assistente musicale della direzione artistica del Teatro Regio di Torino, dal 1998 al 2001 segretario artistico della Fondazione Teatro San Carlo di Napoli, dal 2001 al 2002 direttore della programmazione artistica della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia, dal 2003 al 2007 coordinatore della direzione artistica della Fondazione Teatro alla Scala di Milano.

Ha insegnato dall'anno accademico 2005/06 al 2009/10 “Storia dei sistemi produttivi musicali” presso la facoltà di Musicologia dell’Università di Pavia (sede di Cremona). Dal gennaio 2007 a oggi ha ricoperto il ruolo di direttore artistico del Teatro La Fenice. Ma agli inizi della sua carriera - come ricorda lui stesso - ha fatto anche il camionista, il facchino alla Barilla, il ruspista in un cantiere. Una manovalanza senza la quale - secondo lui - non sarebbe mai diventato direttore artistico prima e sovrintendente poi. Lo attende ora il compito non facile di mantenere la Fenice sull’eccellente linea di galleggiamento di questi anni, che le ha permesso un aumento costante degli incassi e una crescita di pubblico legata anche all’aumento impressionante del numero degli spettacoli. «Ma ogni volta che lo apriamo, il teatro si riempie sempre, perché il pubblico ci ama»."


                                                                                                 ( da: LA NUOVA VENEZIA)

Quale sorte per le Fondazioni liriche dalla nuova legge sullo spettacolo dal vivo?

  • Viene aggiornata la disciplina delle fondazioni lirico-sinfoniche, che godranno di un fondo specifico governato da nuovi criteri di erogazione dei contributi statali, parametrati in base alle risorse ricevute da privati, Regioni e Enti Locali e alle capacità gestionali dimostrate.
Sinteticamente, in attesa di leggere nel dettaglio la nuova disciplina generale, e per le Fondazioni liriche, in base a quali criteri verrà assegnata la ripartizione del  fondo 'speciale' FUS , dà intanto da pensare il criterio principale. Chi si saprà procurare fondi altrove, da altri enti oltre che dai privati, ed avrà dimostrato proprie capacità gestionali, sarà premiato anche dal FUS statale.

 Intanto la quota del FUS destinata alle Fondazioni liriche diventa un 'fondo specifico', finora valutato intorno al 50% circa del FUS, per la semplice ragione che le Fondazioni liriche, se si vogliono far esistere, devono necessariamente avere almeno orchestra e coro, oltre a tecnici ed impiegati, il che li pone in una situazione molto diversa da tutti gli altri enti finanziati dal FUS.  Inutile perciò prendersela con le 'Fondazioni liriche che si mangiano buona parte del FUS', anche perchè le idee balzane paventate da alcuni, anche dallo stesso ex direttore generale dello spettacolo, Nastasi - che, in un convegno non molto lontano, a Firenze, espose la sua idea pazza di trasformare le Fondazioni liriche in istituzioni non  più produttive  -  come anche dal geniale sovrintendente attuale dell'Opera di Roma, Carlo Fuortes, quando si mise in testa che per risolvere la crisi del teatro della Capitale, occorreva ESTERNALIZZARE ORCHESTRA E CORO, sarebbero una catastrofe procurata proprio da chi dovrebbe avere a cuore le sorti delle nostre Fondazioni liriche.
Ad ora non si riesce a capire che si fa con quelle Fondazioni che non riescono a procurarsi consistenti entrate proprie, oltre quelle delle istituzioni del territorio, da sommare a quelle statali. Perchè non bisogna dimenticare che non tutte le Fondazioni liriche hanno lo stesso appeal della Scala, ad esempio, o di Santa Cecilia - le quali comunque appartengono , sole solette, ad un comparto a parte, esterno al FUS, avendo ricevuto dallo Stato la cosiddetta 'autonomia'.

Insomma se, mettiamo, una Fondazione  è ben amministrata, e  con i fondi che riceve dalle istituzioni locali e dallo Stato riesce ad avere i conti in ordine,  ed a  proporre una programmazione che richiama pubblico, che fa lo Stato? La punisce? Consigliando indirettamente alle istituzioni locali di diminuire i loro finanziamenti, ad imitazione dello Stato che i finanziamenti non glieli aumenta?

Le incognite ci sembrano ancora molte, e per scioglierle attendiamo di leggere nel dettaglio la legge. Ma sappiamo fin d'ora che le Fondazioni liriche che beneficiano già dell'Art Bonus non hanno trovato sufficienti benefattori amanti del melodramma disposti ad affiancare lo Stato  nel tenere in vita dette Istituzioni; sappiamo anche  che la gran parte di esse ha fatto ricorso alla cosiddetta 'Legge Bray' per chiudere il conto con un passato in rosso per i conti; e sappiamo anche, notizia fresca fresca, fonte Federculture, che i concerti classici e le rappresentazioni liriche  solo gli unici settori dello spettacolo dal vivo che nella passata stagione hanno registrato un calo notevole: - 15%, riguardante ovviamente il pubblico e relativi introiti da botteghino. E, da tempo, sappiamo anche che il giorno del giudizio per dette fondazioni sarà il 31 dicembre del 2018: chi ha i bilanci in ordine resta, chi no, esce dal club. Ma non sappiamo ancora dove finirà, che farà, se potrà rientrare, a quale condizioni? Insomma sappiamo che il Ministero sta  montando una sorta di 'porta girevole'  per il melodramma italiano, senza dirci perciò dove immette e quando  si ferma, dove si ferma.

Gli unici a gioire sono i protagonisti  della cosiddetta musica popolare - dove anche l'interpretazione dell'aggettivo genera equivoci - cui viene riconosciuta dignità artistica ed è quindi ammessa al finanziamento pubblico. Il quale  registra un massiccio ( !) aumento, dopo le decurtazioni catastrofiche degli ultimi anni:  il FUS aumenta di una decina di milioni di Euro nei prossimi due anni, e di una  ventina fra tre, quando arriverà alla stratosferica cifra di 350 milioni di Euro, che si avvicina a quanto alcuni Stati europei danno al proprio teatro d'opera nazionale, insomma all'equivalente della nostra Scala, che di fondi statali ne riceve molti meno.

giovedì 9 novembre 2017

Nuova legge sullo spettacolo. Sole 24 Ore

rriva l’estensione dell’ArtBonus a tutti i settori dello spettacolo. La Camera ha infatti approvato in via definitiva la legge delega di riordino del settore dello spettacolo (“Ddl Disposizioni in materia di spettacolo e deleghe al Governo per il riordino della materia”). A favore 265 voti, 13 i no. La nuova legge, ha sottolineato il ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini, «incrementa le risorse del Fondo Unico per lo Spettacolo, estende l’ArtBonus a tutti i teatri, rende permanente il tax credit musica, introduce maggiore trasparenza, porta sostanziali novità per il rilancio e la crescita del settore e prevede il graduale superamento della presenza degli animali nei circhi». «Un altro impegno mantenuto - ha aggiunto -: dopo la nuova legge sul cinema». Di seguito le principali novità della legge sullo spettacolo dal vivo.
Aumentano le risorse per lo spettacolo 
La riforma aumenta le risorse del Fondo Unico per lo Spettacolo con fondi pari a +9.5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019 e a +22.5 milioni di euro a decorrere dal 2020.
4 milioni di euro per spettacoli nelle zone del sisma 
La legge autorizza la spesa di 4 milioni di euro per attività culturali nei territori colpiti dal sisma del Centro Italia.
Estensione dell'ArtBonus a tutti i settori dello spettacolo 
La riforma estende l'Art Bonus a tutti i settori dello spettacolo: grazie al provvedimento anche le orchestre, i teatri nazionali, i teatri di rilevante interesse culturale, i festival, i centri di produzione teatrale e di danza, i circuiti di distribuzione potranno avvalersi del credito d'imposta del 65% per favorire le erogazioni liberali finora riservato esclusivamente alle fondazioni lirico-sinfoniche e ai teatri di tradizione.
Stabilizzazione del Tax credit musica 
La legge stabilizza il tax credit musica, beneficio riconosciuto alle imprese produttrici di fonogrammi e videogrammi musicali e produttrici di spettacoli di musica dal vivo per la promozione di artisti emergenti, con oneri pari a 4.5 milioni di euro a decorrere dal 2018.
Sostegno statale a nuovi settori dello spettacolo 
Grazie a questa riforma, il sostegno statale allo spettacolo dal vivo si estende alla musica popolare contemporanea, ai carnevali storici e alle rievocazioni storiche e verrà riconosciuto il valore di diverse forme di spettacolo, tra cui le pratiche artistiche amatoriali, le espressioni artistiche della canzone popolare d’autore, il teatro di figura, gli artisti di strada.
Aggiornamento delle norme sulle Fondazioni lirico sinfoniche 
Viene aggiornata la disciplina delle fondazioni
lirico-sinfoniche, che godranno di un fondo specifico governato da nuovi criteri di erogazione dei contributi statali, parametrati in base alle risorse ricevute da privati, Regioni e Enti Locali e alle capacità gestionali dimostrate.
Superamento degli animali nei circhi 
Le nuove norme prevedono il graduale superamento dell’utilizzo degli animali nello svolgimento delle attività circensi e dello spettacolo viaggiante.
Nasce il Consiglio superiore dello Spettacolo Nasce il Consiglio superiore dello spettacolo, organismo
consultivo del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo che sostituisce la Consulta per lo spettacolo. Il Consiglio avrà compiti di consulenza e supporto nell’elaborazione e attuazione delle politiche di settore, nonché nella predisposizione di indirizzi e criteri generali relativi alla destinazione delle risorse pubbliche per il
sostegno alle attività di spettacolo.