lunedì 27 aprile 2015

La carica degli italiani al Concorso Busoni, sessantesima edizione

Intanto prima ancora che si svolga la 60.esima edizione del famoso Concorso pianistico F.Busoni  con sede a Bolzano, nella città si riuniranno fra pochi giorni i rappresentanti della federazione  dei Concorsi internazionali, i quali - si spera - discuteranno della importanza dei concorsi, del loro ruolo oggi, della loro necessità per la selezione dei prossimi concertisti e di molto altro.
 Ma è l'edizione n.60 del Concorso, che si svolgerà alla fine del prossimo agosto, ad aver attirato la nostra attenzione, per due motivi. Il primo perchè fra i ventisette pianisti selezionati, ben dieci sono italiani, ed alcuni anche molto giovani. Una rappresentanza così nutrita delle nostre scuole pianistiche forse non si vedeva da molte edizioni, o no?  dipende da noi che non siamo informati?
 A tale proposito viene subito da pensare che tale folta rappresentanza sia dovuta anche alla presenza ad Imola della rinomata  Accademia pianistica di Franco Scala. Ed anche qui ci sbagliamo, perché, a leggere i curriculum dei singoli  finalisti l'Accademia di Imola non è mai citata. Vero è anche che fra gli italiani ci sono anche oriundi o stranieri che vivono stabilmente in Italia. Comunque nelle loro schede li si considera a tutti gli effetti italiani. E così sia. E a loro naturalmente auguriamo grandi allori in finale.
 Intanto nelle 60 edizioni del premio,  soltanto cinque italiani figurano fra i vincitori del Primo premio. Perticaroli ( 1952, alla terza edizione del premio); Mancinelli (1954) Cappello ( 1976), Cominati (1993) Andaloro ( 2005).
 Fra tutti, dopo Perticaroli che abbiamo conosciuto, a partire dagli anni Ottanta, nelle vesti di didatta piuttosto che in quelle di concertista, ci sembra che Cominati sia il pianista che più di tutti possa ad oggi vantare una bella carriera. Se gli altri vincitori non sono del medesimo parere, ci correggano.
 Altro motivo di interesse la composizione della giuria, presieduta dal giovanissimo Joerg Demus che vinse il premio un secolo fa, e composta da altri nove membri tutti vincitori, nei sessant'anni di vita del concorso, del primo premio, al punto che di taluni di essi si ignori perfino il nome e se abbia fatto una carriera concertista, come il Concorso dovrebbe preludere e far supporre.
Ciò detto, sarebbe interessante ed utile che i rappresentanti dei Concorsi che si riuniranno a Bolzano fra pochi giorni discutano sulla utilità dei concorsi, anzi sulla loro odierna  necessità in previsione della carriera concertistica. Perchè di casi strani nella storia di famosi concorsi, anche più importanti del Busoni, come lo Chopin , ve ne sono stati. Su tutti, in anni lontani,  quello di Ashkenazy che , sconfitto allo Chopin,  procura le dimissioni  di  Benedetti Michelangeli dalla giuria, analogamente a quanto fece in anni più vicini a noi la Argerich, quando allo Chopin non si diede la vittoria a Pogorelich.
 A proposito di giuria, non può passare inosservata l'assenza della Argerich, una delle più gloriose vincitrici del Busoni. Perchè? Può il Concorso di Bolzano festeggiare i sessant'anni, in assenza della Argerich? La  fascinosissima ragazzina che incantò tutti, non solo come pianista, come ha raccontato anni fa sul mensile 'Piano Time', Tito Aprea, giurato in quella edizione?
 Per tornare alla massiccia presenza degli italiani fra i finalisti, noi la pensiamo come Alexander Lonquich e cioè che in Italia vi sono molti talenti che sarebbe un vero peccato non riconoscere , aiutare nella carriera, o lasciarli andar via, nella indifferenza generale, mentre vediamo oggetto di eccessiva attenzioni alcuni pianisti non italiani, per chissà quali ragioni. E siamo certi che i giurati che li hanno, l'anno scorso, selezionati non sono stati di 'manica larga' con i nostri giovani pianisti. I quali, se avranno un futuro davvero luminoso molta della loro luce riverseranno, irradiandola, sulla storia del Busoni che, in questi ultimi anni, non sembra brilli particolarmente, a giudicare dai suoi vincitori.
Lo stesso discorso si può fare anche per altri concorsi, mentre vediamo delle carriere nate quasi per caso, senza il passaggio obbligato dai concorsi, e forse anche senza i meriti e le qualità necessarie. Come, invece, ne ha Ramin Bahrami, ma non in misura tale da giustificare il successo che ha , sinceramente eccessivo secondo noi, e che nessun concorso avrebbe potuto garantirgli. Dunque  ci sono altre variabili che andrebbero individuate e laddove il loro peso sia ritenuto eccessivo, smascherate e  neutralizzate. Anche per ridare peso, dignità ed importanza ai concorsi, qualora si ritengano ancora  utili,  addirittura necessari.

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