mercoledì 30 luglio 2014

Le pronunce dell'arcano direttore del Conservatorio dell'Aquila




Ogni tanto torno a mirare  il sito del Conservatorio dove ho insegnato per oltre vent'anni, L'Aquila,  e dove oggi ho letto una dichiarazione, perfetta nella logica (analisi) e nei contenuti. E mi sono chiesto, sorpreso positivamente anzi sinceramente ammirato, perchè mai non mi sia mai accorto in tutti gli anni di mia permanenza al Conservatorio, della verve del futuro direttore, con il quale ho, per sua grazia e concessione, spesso collaborato, quando nei primi anni di Music@, lui faceva il grafico ed io il direttore  (di Music@, naturalmente)  e dietro mie indicazioni e sotto la mia diretta supervisione,  con me sempre al suo fianco, lui impaginava al computer. In quegli anni stava sempre zitto, e forse per questo non mi sono mai accorto di tanta eloquente, dotta oratoria. Col seno di poi devo ammettere che in tutto quel tempo, lui meditava e si preparava al grande passo: la direzione del Conservatorio che un concertista come lui avrebbe meritato da molto prima.
La dichiarazione aveva a che fare con un festival dei Conservatori, altra idea gigantesca (ma non c'è già il Premio delle Arti il quale, proprio perché gestito dai conservatori e dal ministero  non produce  nulla di nulla?) organizzato dal Conservatorio di Frosinone, nel corso del quale ha vinto un premio un Trio, composto da studenti di tre conservatori, uno dei quali aquilano, il quale esprimerebbe 'ampliamente la cultura e tradizione afro-latinoamericana'. Proclama gigantesco!

“L'incontro dei tre studenti dei conservatori dell'Aquila, Fermo e Perugia - commenta in una nota il conservatorio dell'Aquila - è segno di un chiaro obiettivo perseguito dai musicisti, volto a promuovere una comune identità legata alla tradizione afro-latino americana, cultura ampliamente espressa proprio dal chitarrista argentino Martin Diaz Gonzalez”.

Per fortuna che c'è Marino sindaco

Contrordine , il clima  di guerra all'interno dei teatri romani non s'è  dissolto, come ci avevano fatto intendere alcuni fatti dei giorni scorsi. Affatto. All'Opera i sindacati degli scioperanti, sia quelli che alla fine hanno firmato che quelli irriducibili - letteralmente 'una pulce' che  vuol farsi sentire dalla maggioranza - hanno semplicemente  rimandato la ripresa delle ostilità, a dopo che il piano industriale sarà approvato ( ?) e a settembre quando con Marino e Fuortes verrà discussa la pianta organica del teatro. Ora regna una pace finta e surreale, con la promessa (minaccia) che i fucili hanno sempre i colpi in canna. E loro se non soddisfatti daranno fuoco alle armi. Alla ripresa autunnale. In vacanza ci vanno tutti, scioperanti compresi.
 Il ruolo di Marino nella soluzione di questa crisi è stato fondamentale, come abbiamo capito dai ringraziamenti che ha rivolto al consiglio di amministrazione che in questi giorni drammatici si è espresso più d'una volta con posizione decisa e passione, per la soluzione del caso. Ed anche quando ha annunciato che 'dall'autunno il melodramma sarà diffuso nelle periferie', da considerarsi a tutti gli effetti l'annuncio del secolo, anche se non abbiamo capito cosa volesse dire e che necessità avrebbero le periferie della diffusione nei loro territori del melodramma.
 Ma dove il ruolo di Marino è stato decisivo su tutta la linea è nella  storia del Teatro Valle, una sorta di porto franco dell'arte, pagata dagli altri, esterni. Occupato ormai da tre anni, in totale anarchia, nonostante la bontà dei progetti, con le spese di gestione che se li accolla il Comune, prima l'interventista Alemanno che però si è rannicchiato sotto la  sua scrivania al Campidoglio ed ha gridato a chi lo cercava: ' qui comando io e sto dove mi pare; al Valle no, non ci vado, mi menano!', e poi Marino che da mesi promette una soluzione senza che questa  arrivi mai, perchè anche quella di oggi, e cioè  che entro domani il Valle deve essere liberato per lavori urgenti (o per sfrattare gli occupanti?), nonostante la mediazione degli amici Marinelli-Sinibaldi-Calbi, è stata respinta: "noi di qui non ce ne andremo, se vogliono facciano venire la polizia a prenderci, ci dovranno portar via dal palcoscenico". Dunque anche qui Marino ha fatto cilecca. Non gliene va bene una, perchè anche nel caso del Teatro Eliseo ( terzo caso non risolto, ma rimandato a settembre) chi ci è andato è stato Franceschini ed anche la Marinelli, Marino no.
 Finalmente, invece, una buona notizia per Marino, che viene dal matrimonio di Franceschini con la Di Biase, presidente della commissione cultura del Campidoglio. Il ministero, ha detto Franceschini, entrerà nel Festival del Cinema di Roma, purchè resti una festa popolare  e presti attenzione alle periferie'. Daje, ma quella delle periferie è una fissa! E solo su questa fissa ministro e sindaco, mediati dalla Di Biase, si trovano d'accordo.  Inneggiamo ad un matrimonio fra persone per il bene del paese.

martedì 29 luglio 2014

La Cisnal aggiunge un paio di elementi comici nella tragedia dell'Opera di Roma

Gli irriducibili sindacalizzati nel sindacato CISNAL dell'Opera di Roma,  che rappresentano intorno al 10% del totale dei  dipendenti, continuano a fare la 'faccia feroce' anche dopo che la CGIL è venuta a più miti pensieri. Loro ancora non ci stanno e gettano in faccia a tutti le loro ragioni.
La pianta organica è il primo argomento di trattativa non ancora conclusa. Se riducete l'organico dell'Opera - sostengono gli acuti sindacalizzati dipendenti - a "400 unità, siamo ridotti al rango di un teatro di provincia". In somma per i Cisnalsini che hanno in cima ai loro pensieri il ruolo del loro teatro e nient'altro, avendo l'Opera di Roma 'Capitale - e sottolineano 'Capitale' - solo 400 dipendenti, difficilmente potrebbe svolgere il compito che la nazione si aspetta e che loro intendono garantire. Naturalmente nessuno ha chiesto loro di indicare un solo teatro di provincia che ha 400 dipendenti.
Secondo argomento: questa sera , alla Bohème non scioperiamo perchè non abbiamo dato il preavviso di 48 ore, una regola alla quale ci siamo sempre attenuti nella nostra azione rivendicativa. Insomma gli scioperanti, assoluta minoranza, messi alla berlina e fuori gioco, non scioperano stasera, ma non perchè non hanno più la forza di farlo, semplicemente perchè a norma sindacale non hanno avuto le 48 ore di tempo per proclamare lo sciopero, dal momento che anche la CGIL s'era pronunciata per la ripresa delle recite a Caracalla con orchestra.  Che poi più che una ripresa, sarebbe la prima, visto che in precedenza s'erano avute recite con accompagnamento di solo pianoforte e cancellazioni che certamente non hanno fatto bene all'immagine dell'Opera, di quella stessa Opera che perfino i Cisnalini dicono di difendere e tenere alta nella considerazione generale.
 Certo finisce in commedia, ma va bene purchè finisca. E del resto era andata così anche quando  gli stessi sindacati minacciarono lo sciopero  della Manon diretta da Muti, alla viglia della tournée in Giappone. Poi revocarono lo sciopero, senza aver ottenuto prima alcunchè.

lunedì 28 luglio 2014

Il giorno del giudizio

Sarà il giorno del giudizio, per l'Opera. Solo per l'Opera di Roma Capitale? Per ora sì, anche se l^?opera di tutta Italia, salvo rare eccezioni, non sta tanto bene.
 I sindacati, questa volta convocati tutti a Piazza Campitelli dall'assessore Marinelli - basta questa grande vittoria per far desistere gli irriducibili - diranno che loro non accettano il piano di risanamento e rilancio del teatro  presentato da Fuortes, e che non credono ad una sola parola di ciò che dice Marino, ma a lei credono a occhi chiusi, senza nemmeno attendere di sentire le sue proposte. E vittoria sia. Il piano di Fuortes lo accettano per senso democratico e responsabilità nei confronti della maggioranza che lo ha sottoscritto e, quando parla Marino, hanno detto alla Marinelli che si metteranno i tappi alle orecchie. Chi li tacciava fino a ieri di irresponsabilità, accusandoli di essere degli sfascisti - attenti: con la 'esse' davanti, per non confonderli con quelli senza la 'esse' davanti, perchè loro, a parte l'esigua frangia CISAL, sono della CGIL - dovranno scusarsi con loro  e mettere nelle loro mani le sorti dell'Opera di Roma Capitale.
 E quelli che in tutti questi difficili giorni hanno fatto il voto del silenzio? Si uniranno al coro generale plaudente, precisando che la consegna del silenzio assunta dal direttore onorario a vita e dai consiglieri di amministrazione è stata la strategia vincente.
 Saluti a baci

Sindacati fuori dalla storia e dalle regole

Scrive bene oggi De Vico sul Corriere, quando ammonisce i sindacati - impegnati  attualmente in diverse situazioni critiche ( Alitalia, Opera di Roma, Parlamento) a non autoestromettersi dalla storia. Pochi rivoltosi - diciamo anche facinorosi -  si battono in difesa di  impresentabili ed indifendibili privilegi e rendite di posizione. All'Alitalia i piloti - una sottocategoria superprivilegiata, all'Opera di Roma, scende sulle barricate addirittura la spalla dell'orchestra ; in Parlamento la cagnara di sigle sindacali per difendere i propri iscritti ed insieme i privilegi di impiegati di vario grado e responsabilità che hanno compensi da cortigiani.
Se si considera che oggi in cronica carenza è il lavoro non il suo compenso, se quei pochi irriducibili tenessero duro,  andrebbe in fumo il riassetto dell'Alitalia e dell'Opera di Roma con moltissimi dipendenti a casa, e persisterebbe la vergogna dei dipendenti del Parlamento i quali mentre il paese brucia, continuano a fare bisboccia.
Naturalmente il discorso vale anche per i politici, 'fuoridelmondo'  come e peggio dei sindacalisti, che non riescono a capire che l'attività politica è un onore ed anche un dovere civile,  e non l'occasione per far soldi, acquisire potere e distribuire elemosine. Ci ha sorpresi quel che ha detto la compagna parlamentare di Bondi, parlamentare anch'egli già ministro e cantore del capo, alla richiesta di spiegare l'assunzione di suo figlio, studente in architettura,  al CSC (centro sperimentale di cinematografia), dipendente dal Ministero del suo compagno: "perchè i figli dei parlamentari non possono avere contratti di lavoro?" Ha ragione signora, anche i figli dei parlamentari devono poter lavorare, solo che  i contratti di lavoro non ci devono essere solo per i figli dei parlamentari, i quali, a differenza di buona parte dei cittadini, possono anche mantenere agli studi i loro rampolli; mentre invece vogliono metterli sul groppone dei cittadini. Se uno pensa alle scarse qualità  personali e professionali di tanti parlamentati messi lì dai capipartito,  vien voglia di scendere in piazza. Per quanti, troppi, di loro, vale il detto: dentro il vestito niente.
La constatazione si unisce anche a delusione quando si legge di uno come Blair, ad esempio, ambasciatore per il Medio Oriente dell'Europa, il quale mentre  in Israele ad a Gaza ballano sui missili, lui organizza e partecipa alla grandiosa festa di compleanno della sua mogliettina Cherie.
Torniamo ai sindacati. In una intervista di Simona Antonucci a Bonanni, sul Messaggero di oggi, il segretario generale CISL, richiesto di un parere sugli scioperi di questi giorni e sulle rivolte sindacali che mettono in forse importanti accordi industriali, così si esprime: Esiste un codice sindacale sottoscritto da tutti,  nel quale si dice chiaramente che una decisione assunta a maggioranza deve essere accettata dalla minoranza". Non c'è scampo. E' così.

domenica 27 luglio 2014

Una passerella di donne allo Sferisterio di Macerata. Micheli portato in trionfo e confermato per i prossimi dieci anni

Francesco Micheli, per la stagione dello Sferisterio, della quale è gran ciambellano e regista in proprio per uno dei titoli in cartellone, Aida - gli altri sono Tosca e Traviata - non si è accontentato delle tre donne invitate sul podio. Perchè, come leggiamo oggi anche sul Corriere, ha invitato molte altre donne, ingiungendo loro di salire addirittura sul palcoscenico, per fare  ombra a quelle che, complice la mezzaluce, dal podio non potranno mai rubare la scena. Per le cose mai viste altrove, ma solo a Macerata oggi,  Micheli si trova a  fronteggiare una fila  interminabile di giornalisti di tutto il mondo che vogliono congratularsi con lui ( molti  dei quali  fra quelli che lui non chiama a presentare opere o a far altro a pagamento, per cui assolutamente disinteressati, almeno per questa stagione). Micheli, perciò, a distanza di qualche anno appena,  è riuscito a  superare in popolarità una recente edizione del Maggio Musicale Fiorentino, gestita  bellamente da Giambrone-Arcà, nella quale la donna trionfava, anche con il sostegno di un libro di saggi eccellenti ( ve ne scrisse anche  la Aspesi) nei quali si  andava dimostrando, nero su bianco, che ormai la donna aveva superato l'uomo.
  Micheli,  costretto a prendere atto della crudele realtà, ha chiamato, oltre le tre donne per il podio, molte altre donne in scena,  in ruoli appositamente creati per il grande palcoscenico dello Sferisterio di Macerata; dove ha inserito, nelle opere programmate, le seguenti figure femminili: Violetta, Flora, Annina, Floria Tosca, la marchesa Attavanti, Maria Maddalena, Aida, Amneris; e un codazzo di amiche, serve, zingare, maschere, confidenti e schiave.  Diffusasi la notizia dell'esercito femminile che avrebbe marciato su Macerata,  molti esponenti dell'altro universo, quello maschile,  hanno pagato il biglietto per l'Arena, facendo così aumentare gli incassi,  e trasformando il festival maceratese da pozzo senza fondo di un tempo - chi glielo dice a Orazi? - a cassaforte di oggi.


                          Questa breve noticina scrivevamo ad ottobre scorso:
Accade di leggere in queste ultime settimane, la cui memoria ancora è viva, di donne che inonderanno il palcoscenico all'aperto dello Sferisterio di Macerata, la prossima estate, come annunciato da tempo dal suo direttore artistico, il regista Francesco Micheli. Il quale ha così profondamente ragionato: se il palcoscenico è pieno di donne, di ogni genere dalle sante alle puttane, perchè  non lo può essere anche il podio? e perciò ha chiamato tre direttrici che  avranno la responsabilità delle tre opere in cartellone. La profondità di pensiero ci sconvolge, letteralmente.

Il silenzio di Muti e del Consiglio di amministrazione dell'Opera di Roma mette pensiero

L'abbiamo scritto l'alto ieri, su questo nostro blog, che il silenzio di Muti in questa tragica situazione è davvero inspiegabile, anzi mette pensiero. Oggi questa nostra riflessione  la leggiamo pari pari sul Corriere ( Romana) in un'apertura  affidata a  Valerio Cappelli, un tempo cantore oggi detrattore, nell'un caso e nell'altro senza ritegno, anche perchè è assai poco credibile  che veda oggi tutto nero ciò che fino all'altro ieri vedeva tutto bianco. Ma, come dicono le persone avvedute, solo i cretini non cambiano opinione; e Cappelli cretino non è. Semmai opportunista e fiancheggiatore, che, come si sa sono comportamenti impuniti.
Proviamo ora ad aggiungere qualcosa a quel nostro umile consiglio a Riccardo Muti a farsi vivo, perché forse lui lo ascolterebbero, facendo desistere gli irriducibili dai loro propositi guerrieri.
Fra quelli che non parlano, oltre Muti, inspiegabilmente, vanno messi anche almeno un paio di membri - si dice così - del Consiglio di Amministrazione, come il m.  Giorgio Battistelli, compositore esimio, e Simona Marchini, gentile signora con  affezione viscerale nei confronti dell'Opera alla cui distruzione ambedue assistono in silenzio, impietriti  di fronte a così scellerato proposito.  Sarà così?
 O forse ambedue stanno seguendo il consiglio del famoso parlamentare Razzi,  trasmessoci per bocca dell'inimitabile Crozza: 'fatti li c. tui'.
Non è un bel fare per chi ogni tanto - quando gli conviene - si sbraccia e forse, in pubblico, si straccerebbe anche le vesti, in difesa della musica in Italia.

Per la stagione di Caracalla 2014, non sparate cifre al vento

Ancora qualche appunto , sommesso,  alla dichiarazioni ufficiali che arrivano dall'Opera di Roma Capitale, nel mezzo del disastro a Caracalla. Le serate che avevano fatto incassare abbastanza si attestavano sui 165.000 Euro circa; se ricordiamo bene. Ora il giorno dopo il Gala di Roberto Bolle e altre star del balletto due amiche, un'altra altissima cifra viene sparata al vento. L'incasso della serata con Bolle è stato di 258.000 Euro circa, portando l'incasso ad oggi ad oltre 2.000.000 di Euro. E la platea resta naturalmente quella degli altri spettacoli e cioè  4.000 posti. Dividendo la cifra dichiarata incassata con i posti disponibili viene fuori una media costo a biglietto di 64,00 Euro circa.
Non consideriamo che i biglietti a Caracalla - come del resto in tutti i teatri italiani che non sempre si riempiono e sono ampiamente finanziati da soldi pubblici - sono abbastanza alti, e ragioniamo solo sui costi di quelli di Caracalla , divisi per settore:  Euro 135,00 (poltronissime A), 85,00 (settore A), 60,00 ( B), 40,00(C) e 25 (D). Il costo medio dei biglietti, per raggiungere quella somma sarebbe superiore anche a quello del settore B. Allora vien da chiedersi quanto grande sia la platea per i settori Poltronissime e A, per incidere al rialzo sulla media costo dei settori B,C,D, sicuramente la gran parte della platea alle terme?
 Non siamo ragionieri, ma forse qualche conto l'hanno sbagliato all'Opera, e l'hanno sbagliato anche nel fare il conto generale degli incassi, perchè non hanno forse conteggiato, detraendoli, i costi dei biglietti rimborsati.

sabato 26 luglio 2014

Richiesta a Fuortes su 'amministrazione trasparente'

Tempo fa segnalammo al sovrintendente, dopo aver letto l'elenco infinito dei collaboratori a vario titolo dell?Opera di Roma, ereditati  dalla precedente gestione fallimentare,  e tutti pagati profumatamente, ed una più di tutti; una  situazione vergognosa che Catello aveva prodotto distribuendo soldi a tutti. Oggi apprendiamo che di soldi ne furono elargiti anche agli artefici di quegli sconci concertini 'una botta e via' reclamizzati come l'ultima novità popolare, allo scopo di  far salire, fintamente e vergognosamente, la produttività del teatro che tuttora resta molto molto bassa.
Oggi apprendiamo che il Circolo 'Petroselli' fondato da SEL al teatro dell'Opera, ha inviato prima a Barca e poi a Marinelli, un corposo dossier sugli sprechi, colpevoli, della gestione De Martino. All'arrivo di Fuortes quegli incarichi di consulenza anche triennali, come nel caso da noi segnalato, risultavano in essere, anche dopo la cacciata  coatta del sovrintendente spendaccione. Perchè non sono stati annullati per mancanza di soldi?
Fuortes, alcuni non poteva annullarli perchè avrebbe recato dispiacere ad alcuni suoi sodali  dell'Auditorium, che per le consulenze all'Opera erano stati i suggeritori - tanto paga pantalone!
 Ora scopriamo che dal sito quel lungo schifoso elenco di inutili collaboratori è sparito. A fuortes chiediamo se è sparito solo l'elenco o finalmente è riuscito a mandar via quegli inutili collaboratori, e risparmiare quei soldi letteralmente buttati per fare favori a destra ed a manca.

La vergogna di Nastasi coperta da Franceschini. Nomina commissione consultiva musica 2014

L'avevamo detto pubblicamente, e scritto nero su bianco, che anche questa volta, finché Nastasi metteva bocca, quel concorso per titoli, diciamo così, per i membri delle commissioni consultive del Ministero sarebbe stata un FARSA.
E puntualmente il decreto di nomina dei componenti firmato ieri dal ministro sta a dimostrarlo. La presiede detta Commissione VALERIO TONIOLO, un campione di trasformismo, senza  specifica competenza in nessuno dei campi nei quali l'hanno fatto girare al Ministero nei tempi passati ed ancora oggi. Toniolo gestisce l'Auditorium Conciliazione, della famiglia Cesa,  al quale la Polverini, per avere un teatro di rappresentanza, aveva fatto un contratto di qualche milione di Euro.
Ma il Toniolo era stato allevato al tempo del Giubileo nel seno di Rutelli e da allora, con la levatrice Cesa, è cresciuto in ogni campo, divenendo esperto per decreto e volontà di Nastasi ed i suoi soci ministri,  con competenze in campo teatrale, danza e musica.
 Evidentemente Franceschini ha affari suoi da coltivare perchè non si sveglia per sventare la oscure manovre che Nastasi mette in atto, con il tacito consenso di chi dovrebbe metterlo in riga, fottendosene dei suoi padrini eccellenti, in primis GIANNI LETTA, suo testimone di nozze. Sempre lui.
 Poi viene nominata anche Silvia Colasanti, esperta in melodramma. Chi la protegge per scrivere una simile fesseria? La Colasanti è una compositrice, anche brava, che ha scritto  qualche lavoro di teatro musicale. Per questo diventa esperta in melodramma?
 C'è poi Licalsi, ritenuto anch'egli particolarmente competente in campo musicale dal ministro Franceschini, si legge nel decreto. E che solo a noi è sconosciuto, specie per la sua prestigiosa attività di direttore, espletata con un coro di Caltanisetta.
E, solo per il 2014, farà parte della commissione, come membro aggiunto - si legge sempre nel decreto - il direttore generale Nastasi che evidentemente deve addestrare i pulcini; Toniolo no, l'ha già fatto nei trienni precedenti.
 Nel decreto si legge che 57 sono state le candidature.
 Dal ministero,  ministro compreso, poichè non conoscono ciò di cui devono occuparsi e quindi non capiscono bene quel che dicono, può uscire qualunque cosa. La solita vergogna italiana.
 Sarebbe stato opportuno conoscere anche l'elenco di coloro i quali avevano manifestato l'interesse a partecipare a detta gara; siamo convinti che sia Toniolo che la Colasanti non avevano neanche inviato i loro curriculum, e più facile pensare che li abbia scritti  ed infilati nelle domande Nastasi, dopo che  nella lista dei concorrenti non aveva trovato nessuno di suo gradimento, via i giornalisti. Sarebbe in fondo un imbroglietto da poco ed un gioco da ragazzi per una volpe come Nastasi.  Invece quell'elenco resta segreto. Per quale motivo? Sarebbe stato opportuno.

                  Di  Valerio Toniolo abbiamo scritto già a novembre scorso. Ecco il testo

Qualche anno fa su Music@ ( n. 7, marzo-aprile 2008) in un articolo intitolato ‘ una vera schifezza’ raccontavamo l’orrore dell’ultimo regalo fatto dal ministro Rutelli  al mondo della cultura italiano, prima di abbandonare definitivamente il Ministero: nelle commissioni  consultive per musica e danza aveva nominato persone senza competenza in materia, oppure vecchi mammasantissima ai quali  erano addebitabili  disastri  nei bilanci delle istituzioni che avevano in precedenza presieduto. Nella commissione musica, all’epoca, sedeva Valerio Toniolo,  e non era la prima volta che Rutelli lo sceglieva come suo ‘aiutante di campo’: prima era stato anche nella commissione cinema. Evidentemente non poteva farne a meno. Toniolo ci contattò, promettendoci che ci avrebbe mostrato le sue credenziali in fatto di musica. Non lo incontrammo allora.
I giornali ( La Repubblica, con una dettagliata ricostruzione) a seguito dello scandalo alla regione Lazio,  hanno tirato fuori anche il nome di Toniolo,  in relazione all’Auditorium Conciliazione,  concesso in gestione dal Vaticano  alla società ‘I Borghi’( di Lorenzo Cesa e Matteo, suo figlio) ristrutturato con i soldi di ARCUS ( vi dice qualcosa?),  con la quale la Regione ha  stipulato un contratto milionario (1.300.000  Euro circa) per tre anni, a partire dal 2010,  per avere un  luogo di ‘rappresentanza’. Il 2010 è l’anno in cui la Polverini arriva alla Regione e con Lei anche Francesco Artemisio Carducci, già assessore del sindaco Rutelli,  che  alla Regione è capogruppo UDC. Naturalmente Carducci, nonostante il cognome illustre, deve lasciare al momento dell’incarico in Regione,  quello di amministratore de ‘I Borghi’ che gli era stato passato da Cesa, quando anche la sua presenza come amministratore si era resa incompatibile con le sue cariche politiche. Da Cesa a Carducci,  e da Carducci a Toniolo,  suo fedelissimo, che ancora oggi siede in una di quelle Commissioni  ministeriali ( Danza. Dal cinema alla musica, alla danza!) ed amministra, attraverso la società ‘ I borghi’ dei Cesa, l’Auditorium Conciliazione che fra breve ospiterà l'ennesima edizione del 'Concerto di Natale' e che non è stato concesso al Nobel Dario Fo.
 renderlo noto con i rispettivi curriculum per leggere quante cazzate alcuni possono aver scritto, dei 57 che hanno fatto richiesta di partecipazione, sapendo che al ministero, per i loro giochi, le avrebbero bevute. Ne leggiamo di continuo. Più gli interessati sono delle nullità e più lungo è il loro curriculum. Tanto gli esaminatori, quando gli conviene, fingono di  credere a quel che leggono,  quando sanno che  per metà quei curriculum sono monnezza. In passato qualcuno della commissione riferiva, in segreto, che la commissione aveva espresso i suoi giudizi ma che poi Nastasi se ne sarebbe fottuto ed avrebbe agito diversamente.  Fino a quando Nastasi grazierà con le nomine persone non proprio all'altezza del compito, lui potrà fare ciò che vuole, e mai nessusno denuncerà l'accaduto nè si dimetterà.
 Il quale Nastasi, giacchè ci siamo, continua a finanziare i cosiddetti 'Cantieri dell'immaginario' aquilani, da anni, nonostante incontrino poco seguito,  con un bel gruzzolo; solo perchè nella prima edizione incontrò lì il suo amore, Giulia Minoli che poi ha sposato, ed anche perchè quella è zona  di Gianni Letta, suo padrino, che bisogna foraggiare anche quando non ce ne sarebbe la necessità.



venerdì 25 luglio 2014

Tre cose tre vogliamo sapere da te. Che c'azzeccano Fiorella Mannoia e Caruso, i Google glass e Turandot., Fuortes e il risarcimento

Eh no, qualcuno deve spiegarci cosa c'entra Fiorella Mannoia con Caruso, visto che ha ricevuto, qualche giorno fa, il 'Premio Caruso' immortalato dalla telecamere di Rai Uno, con questa motivazione, letta dal sindaco e, probabilmente, non condivisa da alcuno: 'regina della canzone, ambasciatrice dell'arte e della cultura italiana nel mondo'. Una motivazione che,  se si toglie il particolare che la Mannoia è una cantante, potrebbe andar bene  per chiunque altro esporti prodotti italiani, come i pelati e l'olio di oliva extravergine. Tanto, sia in questo caso come in quello della Mannoia, il riferimento a Caruso è inesistente!
 Fuortes ha chiesto alle due sigle sindacali che stanno in questi giorni scioperando- vergognosamente! - di essere risarcito - il teatro non lui - del danno prodotto da tale sciopero. E' un atto dovuto, data la sconsideratezza dei sindacati nello scioperare. E il danno che ora ammonterebbe a 68.000 Euro circa, potrebbe aumentare fino a 300.000, nel caso lo sciopero  avesse a continuare, e che l'Opera  non venisse dichiarata fallita, per i danni anche futuri, sull'immagine del teatro e sui danni alla biglietteria anche per le prossime recite: ne restano ancora una dozzina. Ciò che però con comprendiamo nel comportamento di Fuortes è come mai abbia cambiato idea, rispetto ai primi giorni di sciopero, quando dichiarava che rispettava il sacrosanto diritto degli scioperanti che proseguono nella loro azione suicida.
 Di nuovo riflettori accesi sul Teatro Lirico di Cagliari, da quando è approdato Mauro Meli - ma si tratta di un ritorno - alla sovrintendenza. I giornali amici - e non sono pochi, specie quelli i cui critici il sovrintendente Meli invita a tenere conferenze o a scrivere per il programma di sala - inneggiano al nuovo corso del nuovo/vecchio sovrintendente, le cui tecniche di persuasione mediatica conosciamo bene, dati i suoi precedenti trascorsi cagliaritani.
 Ora, ha cominciato Il Sole, poi L'Espresso e il Corriere, scrivono della Turandot in cartellone, perchè nel corso della rappresentazione verranno sperimentati una decina - pari al numero degli spettatori?- di Google Glass, che non sappiamo bene cosa siano, che permetteranno a ciascuno di vedere della Turandot che si sta rappresentando quello che vuole, promuovendo tutti a registi casalinghi che si fanno la ropria Turandot.  Questa operazione servirebbe ad avvicinare nuovo pubblico all'Opera, dichiara Meli e i giornalisti la bevono.
 Caro Meli devi farci vedere un teatro efficiente, con una orchestra di qualità e senza  far debiti, come hai fatto la scorsa volta - anche se tu lo neghi di fronte a dio ed al mondo intero. A noi quegli occhialini, lo sappiamo già, ci fanno venire il mal di testa. Preferiamo guardare la scena con i  nostri occhi e ascoltare la musica.

La corda è sul punto di spezzarsi al Teatro dell'Opera di Roma Capitale

Tira e tira, la corda anche la più solida alla fine si spezza. Ieri ennesimo incontro senza nulla di fatto, domani la Bohème andrà in scena a Caracalla per la terza volta senza orchestra, con l'accompagnamento del solo pianoforte, tra la protesta generale del pubblico. Martedì, se i rivoltosi ed anche facinorosi - chiamiamoli con il loro nome - non recederanno dai loro proposti sfascisti, il teatro dell'Opera  darà via libera, con il consiglio di amministrazione convocato per quel giorno, al fallimento coatto. E...buonanotte ai suonatori.
 Si chiude per ricominciare, naturalmente tutti fuori anche quegli oltre trecento che non sono d'accordo con gli scioperanti.
 Riccardo Muti tace, non  prende posizione quando forse una sua parola potrebbe avere peso per la soluzione che tutti auspicano. Ma forse lui lascia che si scornino fra di loro!
 Fuortes, che dopo appena un semestre ha capito quanto sia difficile reggere un (quel) teatro - il suo la voro all'Auditorium o al Petruzzelli sono al confronto una passeggiata di salute - ha già messo le mani avanti. Se fallimento ci sarà, con l'affido del teatro ad un commissario, lui non vuole essere il commissario che deve liquidare e rifondare una nuova struttura. Ha dichiarato che non vuole farlo anche perché è un lavoro che non a fare. Mani alzate di Fuortes di fronte alle difficoltà.
La ragione per cui non ha lasciato l'Auditorium - come avrebbe dovuto fare - è proprio l'aver immediatamente intuito che la sfida all'Opera era grandissima e rischiava di travolgere lui e la sua fama di bravo amministratore. Come sta per accadere.
 L'Auditorium è una  casa d'appuntamenti offerta ogni volta al miglior offerente,  chiavi in mano, a cifre non tanto modiche - una  sala costa più dell'intero Circo Massimo! Naturalmente l'Auditorium ha una sua programmazione, ma la cosa non cambia, perchè, comunque, non ha una struttura produttiva con personale artistico e tecnico proprio, come un teatro d'opera. Ciò non toglie che nel decennio ormai trascorso la sua gestione abbia prodotto buoni risultati.
 Oggi il Corriere ha battuto tutti. Richiamo in prima pagina; articolone in cronaca, intervento nelle 'opinioni', e terzo articolone nella 'romana', con il solito pastone sulla recente storia del teatro. Che si dà gloriosa  a partire dal dopoguerra. Sbagliato. Si veda la storia da prima della guerra ed anche durante la guerra stessa, e si resterà stupefatti per il livello di produttività e la qualità stessa delle produzioni. Un esempio per tutti il 'Wozzeck' di Berg, in piena occupazione nazista, nel 1942.
 Poi si tira in ballo, nel suddetto pastone, anche lo spettro di Sinopoli che ebbe una sua esperienza all'Opera, nella quale trascinò Sergio Sablich che poi,  non ottenuto il risultato sperato, abbandonò a se stesso. (A proposito di Sablich, abbiamo notato, sfogliando il libriccino 'il mio Wagner' che nell'introduzione alle conversazioni di Sinopoli, Cappelletto, all'epoca assunto come 'drammaturgo' all'Opera  - A FARE CHE? - non nomina neppure una volta Sablich, che pure era il Sovrintendente e di conseguenza  gli aveva fatto il contratto ben compensato, naturalmente su richiesta di Sinopoli, suo amico).
Sinopoli paragonò Roma, a causa dell'Opera, a Tunisi. Durante quell'esperienza, Sinopoli di danni ne combinò - ampliò il personale tirando dentro tanti suoi amici, una vergogna! - e forse il più grosso gli fu impedito di compierlo: formare un'orchestra 'internazionale' che si sarebbe aperta e chiusa, all'occorrenza, con la quale che fare? Non l'ha mai spiegato bene. Un direttore che si assume la responsabilità di un teatro lavora con l'orchestra stabile e la porta ai livelli che egli desidera - Sinopoli poteva farlo. Perchè non lo fece? Allora evitiamo di santificarlo per miracoli che non ha fatto. Non dimentichiamo che lui le sue cose se le aggiustava come voleva. Ricordate quell'altra sparata sull'Auditorium di via della Conciliazione? Quello non è un auditorium,  e fino a quando Roma non avrà un auditorium non tornerò a dirigervi. E infatti  ebbe un incarico a Londra, certamente più interessante e per il quale fece quella sparata contro Roma. poi però a Roma tornò a dirigere, prima ancora che fosse pronto l'Auditorium - morì prima, ma avrebbe avuto senz'altro da ridire, magari, a ragione, per i problemi acustici, specie della sala grande - ma al Teatro Olimpico, un cinema, diciamo la verità un grande garage la cui acustica lasciava a desiderare alle orecchie di tutti, ma non del sofisticato Sinopoli. Formò a Roma un'orchestra da camera, con la quale prese a fare il repertorio sinfonico, Schubert, se ricordiamo bene all'Olimpico, il cui palcoscenico per l'orchestra aveva dimensioni ridotte. Un' Orchestra troppo piccola anche per Schubert, ma lui acutissimo trovò la scappatoia ideologica. Schubert è un autore cameristico, dunque con una formazione ridotta le linee delle sue composizioni emergono con maggiore evidenza. E tutti i giornalisti suoi amici lo seguirono. E, infine, le sue operazioni wagneriane senza rappresentazione: la musica da sola è sufficiente. Non sappiamo cosa avrebbe opposto Wagner.
 Infine,  torniamo a Carlo Fuortes  che continua a sparare cifre di biglietti venduti e incassi; ma forse lo fa per incoraggiare i soldati alla lotta, come qualunque generale. Perchè dal 'Messaggero' apprendiamo che al 'Barbiere' di Caracalla andato in scena con orchestra ( la stessa che sciopera in 'Bohème') c'era 'molta gente'. Non era tutto esaurito,?allora come ha fatto l'incasso sbandierato? E poi ci volete dire una volta per tutte quanti posti ha Caracalla? anche per capire dove poggia quella astrusa pretesa degli scioperanti ( sfascisti!!!, che c'entrano loro con i posti?) che avrebbero voluto 5000 posti a Caracalla contro gli attuali 4000 agibili.

giovedì 24 luglio 2014

Quanto rende Rendering di Luciano Berio? Sintonizzarsi su Radio3 per un calcolo

"Da tempo mi chiedevano di fare 'qualcosa' con Schubert, ed io mi sono sempre rifiutato per la pericolosità dell'argomento. Poi la fulminazione, gli appunti per una 'decima sinfonia' ed alcuni altri abbozzi musicali  presenti nelle carte utilizzate dal musicista ( Schubert, naturalmente) negli ultimi tempi di vita e la decisione di fare quel 'qualcosa', dietro la spinta di una richiesta del Concertgebow di Amsterdam. E così nel 1990 nasce 'Rendenring' di Schubert/Berio". Questo scriveva, all'incirca, Luciano Berio per presentare la sua nuova composizione schubertiana, che ha avuto un buon successo, come anche quell'altra 'boccheriniana' sulla 'Ritirata notturna di Madrid', una vera furbata rispetto al lavoro più complesso sulla sinfonia schubertiana;  e quello sul finale di 'Turandot', nella speranza di  far guadagnare al musicista ed al suo editore i diritti per quell'opera ormai di pubblico dominio. Ma la 'Turandot', finale di Berio, non viene così spesso utilizzato come il musicista avrebbe desiderato.
Ieri sera, nella televisione di Michelle Dall'Ongaro che è Rai5, èstato trasmesso 'Rendering', diretto goffamente da Berio, sul podio della Scarlatti di Napoli, dunque di molti e molti anni fa, forse all'indomani della composizione che ha già un quarto di secolo.
 Perchè tanto interesse per un lavoro certamente molto interessante ? Semplicemente per denunciare ancora una volta che una sigletta ricavata da 'Rendering', nei passaggi schubertiani, manco a dirlo, da molti anni ormai costituisce la identificazione sonora quotidiana dei programmi di Radio 3, in apertura, in chiusura e durante.
 Non sappiamo che contratto Radio3 di Dall'Ongaro abbia stipulato con Berio, ma a vrebbe dovuto farlo con Schubert che ormai non conta più nulla, se a forfait o in base alla sua utilizzazione giornaliera, mensile, annuale  Da quando  'Rendering' schubertiano è approdato in Radio non ci stanchiamo, all'occasione, di scrivere che sarebbe ora che quella musica venisse sostituita magari con una , che so di Rossini, per la quale Radio 3, senza nulla perdere, eviterebbe di pagare diritti agli eredi di Berio. Cambiano tante cose dappertutto, ma  quella musica no.

Vincenzo Bolognese difende privilegi?

In una breve intervista a Paolo Boccacci di Repubblica la 'spalla' dell
'Orchestra dell'Opera di Roma, rispedisce al mittente le accuse di 'sfasciacarrozze' che da molte parti si sono levate contro i dipendenti del Teatro dell'Opera di Roma Capitale, artefici dello sciopero della Bohème a Caracalla,tuttora pendente. Nei giorni scorsi erano state smentite le cifre relative agli scioperanti che non sono il 30% dei dipendenti affiliati ai due sindacati contestatari, bensì il 50%. Come a dire che  gli aderenti sono più numerosi, dunque devono avere più voce in capitolo, rappresentando quasi la metà dei dipendenti dell'Opera, mentre, a loro dire, Fuortes tiene fuori dagli incontri istituzionali che avvia con gli altri  due sindacati, perchè va dicendo che numericamente, contano poco.
Ma Bolognese dice anche altro. Che lui sciopera non per avere più soldi- benchè guadagni meno di un usciere della Camera  ( ma  non dice se a fine carriera!) - ma per difendere la qualità. E la qualità vuol dire anche  rimpinguare la piana organica dell'orchestra che oggi è a quota 90, mentre dovrebbe essere di 117, e per la cui mancanza ogni  volta si scritturano temporaneamente strumentisti esterni.
 Non siamo esperti di metri quadrati e di loro capienza, se relativi a strumentisti con strumenti, ma siamo certi che nella buca dell'Opera come di qualunque altro teatro, 117 strumentisti non c'entrerebbero neanche l'uno sull'altro. Forse, in questo caso, Bolognese non dice che  per effetto di permessi, motivati e non, ogni volta l'orchestra è sotto organico, quello attuale, e perciò ricorre a contratti esterni. Se l'Opera producesse di più, se tutti i suoi lavoratori lavorassero di più, allora forse di 117 strumentisti, salvo rarissimi casi per strumenti  poco usati e quindi non in organico, si sarebbe costretti a ricorrere a esterni.
 E Bolognese dimentica forse di dire che l'appartenenza all'Orchestra dell'Opera non impedisce ai suoi strumentisti di svolgere attività esterna - forse qualche volta assentandosi dall'Opera? - attività sacrosanta ma che in nessun caso dovrebbe danneggiare e creare problemi all'impegno professionale principale. E così?
 Forse qualche precisazione, perciò, meriterebbe la breve chiacchierata con Paolo Boccacci. Come quella letta  proprio oggi, su alcuni giornali, e cioè che Bolognese nei primi sei mesi ha lavorato per 62 giorni complessivamente, ma ha percepito ogni mese lo stipendio per 26 giorni lavorativi. E gli altri quattro mesi che ha fatto? ha suonato  nell'esercizio della libera professione? Bene ha fatto. Non è che si è messo a studiare quattro mesi per suonare 62 giorni. Le cose da chiarire sono molte. Come anche  andrebbe spiegata e giustificata quell'aggiunta allo stipendio per la trasferta a Caracalla, all'aperto. Siamo pazzi?
Tempo fa una giovane violinista di Santa Cecilia, oggi promossa sul campo, ci mostrò la sua busta paga; allora lavorava con contratti a tempo determinato. Beh, il suo stipendio di allora era più alto del nostro, con una anzianità di quarant'anni di insegnamento in Conservatorio. Dunque sulle cifre che ogni tanto vengono sbandierate per dire a tutti che la vita di un orchestrale è davvero dura, andrebbe fatta una seria riflessione, perché nella maggior parte dei casi sono cifre false e  bugiarde. Oggi, in Italia, e forse anche dappertutto, gli orchestrali si devono mettere in testa che il loro è un bel lavoro, affatto mal pagato, e che devono guadagnarselo lo stipendio  lavorando di più e meglio. Perché il grande problema di oggi è che il lavoro non c'è anche in campo artistico, dunque chi ce l'ha deve tenerselo  stretto e lavorare per meritarselo.

mercoledì 23 luglio 2014

Pronta al varo Rai-Repubblica, con il via libera di De Benedetti e i ringraziamenti di Vianello

Cosa sarà andato a fare Del Rio, sottosegretario tuttofare del governo Renzi, a casa di De Benedetti? Un semplice invito di cortesia a colazione? De Benedetti, richiesto dalla Sardoni, ha detto che non è tenuto a rivelare gli argomenti di conversazione  con il sottosegretario. E, del resto, a colazione, si parla di tutto; niente a che far con affari editoriali e di governo.
 A fugare ogni dubbio sulla materia di quell'incontro, dovrebbe bastare  la 'lontananza' di Renzi dalla tv,  anche se troppe volte sbandierata. Ma se c'è da sostituire il conduttore di Ballarò, Giò Floris, passato a miglior padrone, e si pensa magari di sostituirlo con un giornalista della carta stampata, è fin troppo chiaro che la scelta del direttore di Rai3, Vianello, immediatamente comunicata agli uffici di Palazzo Chigi, non può che cadere sulla redazione di Repubblica, ormai tutt'uno con la rete televisiva di sinistra, da dove Vianello ha già preso, e prima di lui anche gli altri direttori, Corrado Augias, e poi la De Gregorio ed ora anche Massimo Giannini, vicedirettore del giornale di Scalfari, esperto in economia.
 Nei disegni del direttore generale della RAI, Gubitosi, ci sarebbero molti accorpamenti interni alla Rai, a cominciare dal settore dell'informazione; dovrebbero essere fusi Tg3,Rai News,RaiParlamento,TGR, Rai Quirinale, - ma non quell'obbrobrio di TeleCamere (da cancellare  assolutamente)  e neanche Rai Vaticano - affidando al direzione di tutto a Monica Maggioni, supervalutata, nonostante la sua  rete faccia ascolti  da disaffezione, come ha denunciato la Gabanelli ieri sul Corriere, e i cui meriti giornalistici, da quando è alla direzione della rete di informazione, restano sconosciuti ai più; giacchè l'unico  episodio per cui  è emersa la sua figura professionale, è stata l'intervista al presidente siriano,  Assad, cioè il dittatore carnefice che la Maggioni potrebbe aver conosciuto negli anni in cui lavorava duro come inviata di guerra. Evidentemente la Maggioni ha anche altri meriti a noi sconosciuti ma di gran peso.
Torniamo , invece, alla fondazione di Rai-Repubblica, la nuova rete televisiva svincolata dai partiti, tutti eccetto uno: quello di Repubblica.
 Visionari di Augias non è andato bene; Pane quotidiano della De Gregorio, bravissima (e di bell'aspetto , perchè non dirlo?) giornalista ma negata assolutamente  per la televisione,  non è andata bene; e allora invece che interrompere  il legame con il giornale di Ezio Mauro, lo si rinsalda, meglio Vianello lo rinsalda, staccando Massimo Giannini , al quale intende affidare la  conduzione di Ballarò. Giannini è giornalista economico, si vede spesso in tv,  - lo si è visto anche da Ballarò - fa anche bella figura perchè preparato, ma assolutamente a digiuno nella conduzione di una cagnara televisiva. In tv non c'era nessuno da mettere al suo posto, nemmeno fra i giornalisti che già fanno trasmissioni di successo, altro che quelle di Augias e della De Gregorio. No. occorre contrastare l'avanzamento delle altre reti, nella logica ancora radicata che le tre reti rispondono a tre referenti politici. Se a Rai 2 c'è Porro ( Il Giornale)- anche questa trasmissione non è che  sia andata bene, eppure la si conferma, per bilanciare quella presenza occorre mettere uno di Repubblica ( giornali e conduttori  apertamente in lotta continua). La riforma di Gubitosi non corregge la principale anomalia: non occorre fare entrare altri per bilanciare le anomalie esistenti, occorre sradicarle alla radice, con grande risparmio per tutti.
 E per una volta, considerando che se un prodotto non va - come qualunque editore non coglione raebbe - va tolto  dal mercato per sostitutirlo con un altro, sul cui esito è lecito scommettere, non - come si continua a fare- tenerlo in palinsesto a dispetto anche degli ascolti e dei costi.
 perchè non si fa inviatre da De Benedetit anche Vianello, così si fa speigare come mandare avanti un'azienda editoriale- che è il mestiere che il  padrone di Repubblica-L'Espresso  sa fare? E prima della fusione Rai-Repubblica?

La stagione musicale ideale dei critici/giornalisti, sognata da Classic Voice, non è la stessa che vuole il pubblico

Leggevamo, nei giorni scorsi, l'editoriale di una rivista che porta nel mondo dell'informazione la 'Voce del Classico'. E ci sorprendeva l'acume con cui il suo direttore  ragionava sulle stagioni del melodramma in Italia. Che si deve fare per avere pubblico e mantenere viva l'affezione del pubblico per il nostro grande repertorio? Diversamente da quanto possiamo noi immaginare, non era questa la domanda che l'acuto direttore si poneva, evidentemente non interessato a numeri e resoconti finanziari e, neppure, supponiamo, alla qualità di ciò che si offre al pubblico. Veramente alla qualità pochissimi sembrano interessati, se dobbiamo leggere quasi ogni giorno che nella nostra penisola, all'interno dei teatri, si verificano miracoli  a getto continuo, come a Cagliari, dove nel panegirico del nuovo timoniere cagliaritano, presente sulla medesima rivista,  si leggeva che ha messo su una stagione in ventiquattr'ore e che al debutto della medesima,  l'acqua di quel teatro sì è tramutata in vino! Importa di più che la confezione della stagione interessi ai critici, che come è noto a tutti, non pagano il biglietto nei teatri, salvo quando si mettono contro la dirigenza di uno degli elefanti melodrammatici italiani, come insegnano casi passati e recentissimi.
Fra quelle acute osservazioni abbiamo letto che il grande repertorio su quale si basa, come seconda 'direttrice di marcia', la programmazione di un noto virtuoso teatro italiano, che fa pubblico ed incassi e produce tanto, è una specie di 'supermercato coop',  nel quale per nessuna ragione al direttore della nota rivista interessa andare a fare la spesa.
Mentre, scendendo in corsa dal carro-Lissner e volendo con un triplo salto appollaiarsi sul carro-Pereira,  lo stesso direttore elogia gli interventi del prossimo sovrintendente milanese, elencando due 'colpi da maestro' inferti alla placida programmazione di Lissner: il 'Giulio Cesare' di Haendel , e la 'Finale di partita' di Kurtag. Magistrali, come non dargli ragione?
 C'è solo qualche piccola cosa che fugge al direttore della nota rivista. E, cioè, che i teatri restano aperti solo se hanno pubblico, se mantengono viva la tradizione del nostro melodramma che solo ai critici non piace tanto, e se amministrano bene le risorse che hanno, e se ne procacciano altre proprie; se pensano a come ampliare il pubblico e  a crearsene di nuovo. Il che non si fa con le regie che stravolgono e dissacrano, ma con una produzione intensa, qualitativamente non al di sotto degli standard  consolidati  di decenza, o con titoli sconosciuti  che fanno la gioia solo dei critici sprovveduti, ma anche, a quanto pare, dell'acuto direttore della ben nota rivista che porta fra noi la 'Voce del Classico'.

martedì 22 luglio 2014

La cura di Fuortes, il rianimatore, non è dura. Ma se l'Opera di Roma Capitale non la assume, rischia...

La minaccia di Marino di mettere in liquidazione l'Opera di Roma Capitale, è semplicemente uno spauracchio, agitato tanto per mettere paura. Figurati se quei navigati sindacalisti, più bravi come sindacalisti che nel resto,  si fanno mettere in ginocchio. Si sa che è assai difficile, anzi impossibile, che si possano portare in tribunale i libri contabili dell'Opera di Roma per chiederne il fallimento. Le si è cambiato anche il nome, in 'Teatro dell'Opera di Roma Capitale', per renderla imperitura, quando si sa che di capitale in quel teatro non c'è molto altro, oltre Muti ed il volenteroso Fuortes. Resta il fatto che i sindacati stanno tirando troppo la corda, manifestando contro un piano industriale  definito dal Sovrintendente, nel quale grandi traumi sono evitati.
Che dovrebbero dire i lavoratori di intere fabbriche che sono da mesi in cassa integrazione e senza speranze di trovare un lavoro futuro? Perché è questa la situazione, quei pochi scioperanti irresponsabili non  possono far finta di non sapere. Dall'Opera andranno via una sessantina di dipendenti - l'Opera ne ha quasi 500 - a nessuno sarà tolto un soldo dallo stipendio, però tutti si devono mettere in testa che devono LAVORARE, più di quanto lavorano oggi. E' la condizione indispensabile per accedere al fondo 'salva teatri' del Ministero e ricominciare il cammino virtuoso del risanamento economico e della riscossa artistica, che ancora non è garantita, a dispetto della presenza di Muti, che va  gridando ai quattro venti che la sua orchestra è oggi una delle migliori del mondo: bum!
 Il piano Fuortes, che i sindacati conoscono bene anche se fanno finta del contrario, non è un piano 'lacrime & sangue', quale forse in teatro meriterebbero i molti che non hanno mai protestato per la finanza allegra della gestione De Martino. E se quel piano non accettano immediatamente, riprendendo a lavorare  subito a Caracalla anche per la prossima replica di 'Bohème', e continuano invece a tirare la corda,  può anche accadere che quella corda si spezzi.
 E' inutile continuare a fare la 'faccia feroce', tanto  torneranno a fare la 'faccia fessa' come hanno già fatto quando hanno minacciato lo sciopero della prima di Muti e poi l'hanno ritirato.
Meglio non esagerare. E che stiano esagerando lo deduciamo dal fatto che le loro condizioni contrattuali sono più che onorevoli - di questi tempi si può stare anche peggio.
 Tornino, perciò, a lavorare, anzi a lavorare di più e poi, in seguito, chiedano di essere compensati per la mole e la qualità del lavoro raggiunte. Adesso rischiano di brutto, i sindacati CGIL e FIALS. Mentre  i rispettivi capibastone hanno fatto il voto del silenzio.

Giambrone sovrintendente a Palermo. Il suo destino è segnato; sarà come quello di De Martino a Roma

Non è un caso che ambedue, Francesco Giambrone e Catello De Martino, il primo neo sovrintendente al Teatro Massimo di Palermo - ma si tratta di un ritorno. Giambrone dovrebbe tenere in considerazione come andò la prima volta, sia l'entrata che l'uscita, perchè potrebbe nuovamente ripetersi, come l'entrata anche l'uscita - e l'ex sovrintendente del Teatro dell'Opera di Roma (che adesso si chiama Teatro dell'Opera di Roma Capitale, che è tutta un'altra musica) siano nati nel 1957. Involontariamente anche l'anagrafe li accomuna. Giambrone ha studiato medicina che si sa essere assai prossima per diversi trascorsi  storici alla musica; De Martino scienze politiche per ritrovarsi a capo ambedue, senza arte nè parte, di due importanti teatri. Per grazia ricevuta.
Per arrivarci la strada di ambedue  si è un pò, ma neppure tanto, diversificata. De Martino stata all'Eni, da dove è finito a Santa Cecilia - chissà per quali strani percorsi - e quindi all'Opera, con gran sollievo dei vertici ceciliani, come qualcuno ci confidò all'indomani del suo trasloco, prima come direttore del personale nel teatro commissariato da Alemanno, e poi sovrintendente, senza alcun merito nè esperienza,  sol perchè il sindaco lo promuove.
Giambrone non ha bisogno di cercare un sindaco amico per la sua promozione, la prima come la seconda volta, perchè lui ha fatto la campagna per Orlando a Palermo, allora come oggi, e il sindaco riconoscente,  lo prese come assessore alla cultura e poi lo premiò affidandogli il Teatro Massimo. Esattamente ciò che è accaduto anche la seconda volta, cioè oggi.
 Giambrone sarebbe stato un buon medico? chi lo sa? Da subito il giovane medico comprende di aver sbagliato mestiere e vuole sfondare nella critica musicale. Chiese anche a noi- ma noi non potemmo allora aiutarlo - di scrivere su 'Piano Time' che allora dirigevamo. Lui capisce che per far carriera non servono competenze ed esperienza, basta buttarsi in politica o servire un politico.
Che è poi quello che ha fatto, la prima e la seconda volta, quando ha dovuto screditare il sovrintendente in carica. Un regista? diceva Giambrone, e Orlando annuiva, come può un regista guidare un teatro, se è a digiuno di musica? E come può, invece, guidare un teatro  un medico? A proposito ha mai fratto il medico? magari sarebbe stato capace,  non lo sapremo mai. Via il sovrintendente precedente,  insediamento del Commissario ( Guttuso Carapezza), secchiate di merda gettate addosso all'ex sovrintendente, per finalmente realizzare per la seconda volta il sogno di dirigere il Massimo.
 De Martino si insedia a Roma, è così bravo che solo per la sua presenza - si legge nel  suo curriculum farsa - Muti accetta l'incarico all'Opera. De Martino , come accadde ed accadrà nuovamente a Giambrone, trova i conti in  disordine, in un battibaleno li  risana - non si dice apertamente che per risanarli, a Roma come a Palermo, c'è un sindaco amico, che sborsa i soldi necessari - e tutti lo acclamano salvatore del Teatro.
Negli anni di permanenza all'Opera ha insegnato in Università e Conservatori: anche in questo il curriculum dei due si somiglia, perchè pure Giambrone ha insegnato in infinite università, e forse anche in Conservatorio,  ambedue hanno insegnato la gestione di istituzioni culturali. E ambedue hanno messo piede nelle stanze delle commissioni ministeriali, che rappresentano spesso il premio per sovrintendenti e direttori artistici trombati perché incapaci.
 Giambrone, a differenza di De Martino, dopo la prima traumatica uscita dal Massimo agli inizi degli anni Duemila, è rimasto per qualche anno a spasso, poi ha assunto l'incarico di sovrintendente a Firenze, in coppia con Paolo Arcà direttore artistico, altra grande personalità sempre sulla cresta dell'onda, nonostante i numerosi fiaschi( Milano, Genova, Firenze, Parma), per la protezione mai smentita dei 'grembiulini associati'.
 Giambrone arriva a Firenze - suo fratello parlamentare, nel partito di Di Pietro ed Orlando non c'entra naturalmente. Perchè le due carriere, benchè parallele,  hanno sempre viaggiato su due binari  distinti e differenti: i binari del merito per ambedue, anche quando il Giambrone parlamentare era a capo del partito in Sicilia. L'uscita da Firenze avviene qualche settimana prima che emerga il buco di bilancio prodotto e tenuto nascosto dal sovrintendente, esperto nella gestione di istituzioni culturali.
 Giambrone torna a casa, diventa presidente del Conservatorio palermitano, dove forse insegna musicologia, materia nella quale si è addottorato sul campo, e attende la crisi della giunta palermitana e  la rentrée di Orlando, al fianco del quale diventa nuovamente assessore alla cultura, ed oggi finalmente, coronando la faticosa scalata, di nuovo sovrintendente.
 Non sappiamo, dal curriculum, se anche Giambrone, come De Martino , sia stato insignito di croci al merito e onorificenze della repubblica, ma immaginiamo di sì.
 Ciò che Giambrone ancora non sa - anzi, sa bene - è che la sua esperienza si concluderà  esattamente come si è conclusa,  quella del suo gemello all'Opera di Roma.  Traumaticamente. Cambierà colore l'amministrazione, i flussi di denaro dal Comune al teatro cesseranno o diminuiranno, emergerà la realtà dei buchi - quegli stessi buchi ed altro che ha rimproverato al suo predecessore - e Giambrone ,per la seconda volta, tornerà a casa. A fare finalmente il medico? Ma se non l'ha mai fatto? E' andata così anche le altre due volte. Quale altra traccia ha lasciato Giambrione dei suoi passaggi? Appena insediato ha detto che vorrebbe riportare a Palermo Pina Bausch. Certo, è morta! Dunque almeno per questo nessuno lo incolperà.
 Se vuole, chieda consigli a De Martino, che da Roma è stato cacciato letteralmente  a pedate.

lunedì 21 luglio 2014

Il Sovrintendente Carlo Fuortes non sa fare i conti. Su Caracalla 2014 dà cifre inesatte

Appena qualche cifra per una tiratina d'orecchi al sovrintendente che si vanta di aver portato le recite d'opera nella stagione estiva di Caracalla  di quest'anno a 16, contro le 9 della stagione passata. Eh, no, caro Fuortes. I conti occorre farli bene.
L'anno scorso hanno fatto due titoli d'opera 'canonici' che sono quelli a cui  forse si riferisce il sovrintendente ( 'Cavalleria' e 'Tosca'). Però Fuortes non può far finta di scordarsi o di non sapere che nella stagione-festival - che tanto piaceva a Vlad e Muti ed anche a Vespa, che però prima  aveva detto pubblicamente  se non erano pazzi quelli che volevano fare di Caracalla un luogo sofisticato e per élites - hanno anche presentato alcune serate di balletto su 'Carmen e Arlesienne' di Bizet, e che nella 'palestra' delle terme, luogo delle sofisticazioni vladiane e mutiane a Caracalla, era stata presentata per quattro-cinque sere,  'Didone ed Enea' di Purcell nella regia di Mutina, Chiara.
Allora conteggiando anche questi altri spettacoli d'opera e di balletto - perchè non si dovrebbe? - a Caracalla nel 2013 si fecero più recite di quelle programmate quest'anno da Fuortes. Naturalmente poco frequentate, stando ai dati definitivi, e non ai proclami dei giornali amici.
 Non vorremmo che anche quest'anno i calcoli sul pubblico riflettano più le aspirazioni di Fuortes,  che le reali presenze; come abbiano tentato di sottolienare, alla  lettura delle prime dichiarazioni vittoriose di Fuortes a proposito delle 40000 presenze, prima delle recite d'opera. In una platea di 4000 posti non ci possono stare ogni sera 4500 persone.
 Speriamo di averli fatti bene i conti - come crediamo, avendoli fatti con la calcolatrice - incrociando i dati della capienza di Caracalla con le cifre sparate da Fuortes sia sulle presenze che sugli incassi da botteghino, per i giorni di programmazione.

A cena con il nemico: pace fatta fra Michele Campanella e Bruno Cagli dell'Accademia di Santa Cecilia?

Lo scorso autunno all'indirizzo degli Accademici di Santa Cecilia giunsero alcune lettere, non proprio graditissime dai destinatari, fra le quali due del cardinale Bartolucci ed una del pianista Michele Campanella. In  virtù del fatto che l'uno e l'altro  erano accademici - il cardinale nel frattempo è morto, alla veneranda età di novanta  e passa anni- nelle lettere si criticava l'operato di Bruno Cagli, a capo dell'Accademia ormai da tempo immemorabile. Si leggevano in quelle lettere accuse pesanti, riprese e diffuse da Elisabetta Ambrosi de 'Il fatto quotidiano'. Cagli non ha  risposto a nessuna di quelle accuse. Nel frattempo cosa è accaduto di nuovo? Non sappiamo, mentre leggiamo proprio oggi che ad Acireale si svolge un piccolo festival con annesse masterclass, nella Villa di proprietà della famiglia del compositore Francesco Pennisi, affidato alla direzione del Primo dei violini II dell'Accademia,  David Romano, al quale partecipano anche altri componenti l'orchestra dell'Accademia, e vi partecipa anche Pappano -  solo per un incontro, mentre furbescamente  si vorrebbe far pensare che il noto direttore lì suoni e tenga un corso.  Perchè Pappano ad Acireale? Per semplice amicizia con uno dei suoi orchestrali, come del resto  per l'amicizia che lo lega al Primo violoncello, Luigi Piovano, ha suonato spesso in luoghi dove normalmente non ci sarebbe andato. Ma a leggere l'organigramma dei membri onorari della piccola ma interessante iniziativa che riguarda anche l'architettura ed altro, si leggono i nomi Cagli, Pappano ecc...,  e ciò svela l'arcano. Ma fra i partecipanti c'è anche Michele Campanella.
Allora uno si chiede: dunque  Campanella ha fatto pace con Cagli, oppure gli lancia una sfida 'andando a  cena con il nemico'? Che Cagli e Campanella siano ( stati ?) nemici lo attesta inequivocabilmente  la lettera inviata dal pianista all'Accademia, nell'autunno scorso. 
Che riproduciamo di seguito
Agli Accademici di Santa Cecilia
Cari Colleghi,
il risultato più triste della presidenza Cagli è la disaffezione che si è diffusa tra noi. Ormai la vita dell'Accademia è cosa che riguarda un'esigua minoranza di colleghi, mentre la gran parte di noi si tiene lontana dalle occasioni in cui viene deciso il futuro dell'istituzione: perché partecipare quando si conosce già il risultato? Alla vigilia delle scorse elezioni vi avevo inviato una lettera che qualcuno di voi forse ricorderà, nella quale auspicavo una svolta che recuperasse all'Accademia una vitalità, un dinamismo indispensabili alla sua sopravvivenza. Così esponendomi, mi sono condannato alla proscrizione: infatti sono stato escluso dal cartellone dei concerti sine die. A quanto mi risulta, non sono il solo a ricevere tale trattamento. Scrivo questo per dirvi che l'altra faccia delle promesse elettorali (sistematicamente elargite, assai spesso non mantenute) è l'isolamento. Chi non vota per il Presidente o per i candidati che lui suggerisce, merita una punizione....... Spero anch'io come il Cardinale Bartolucci e il nostro anonimo collega che sia arrivato il momento di prendere coscienza della necessità di una forte reazione alla decadenza etica nella quale l'Accademia sta affondando. La causa principale di essa è l’affezione al potere, che si autoalimenta in assenza di un'energica dialettica interna e che non teme di ledere la dignità degli Accademici attraverso atteggiamenti degni della peggiore politica. Che brutta aria che si respira in Accademia! Non rassegniamoci al suo declino!
                                                                                                                Vostro Michele Campanella


Un'inchiesta al mese: Il pubblico del melodramma in Italia. Diamo voce al classico

Abbiamo capito la tecnica. Se dici che presenti un'inchiesta e se anticipi i risultati sui grandi mezzi di comunicazione e regali anche CD,  una rivista qualche copia in più la vende. Perchè sia chiaro a tutti: una rivista di musica seria - pesante, classica o 'musica e basta', l'ultima trovata di qualche associazione con deficit  mentale - in Italia vende qualche migliaio di copie, in parte dovute all'allegato CD.  CD + rivista al prezzo di poco più di 10 Euro, per chi non ha CD, è un affare. E la rivista? Serve solo per non far alzare l'IVA del CD, comprato  dai fondi di magazzino delle multinazionali e venduto senza l'IVA regolamentare, perchè venduto  'come allegato redazionale alla rivista'. La stessa strada tentata anni fa da un'altra rivista che oggi è in affanno - e ce ne dispiace.
Però non si può dire che le inchieste ed i sondaggi, al ritmo di uno al mese, non influiscano sulle vendite, se ogni mese, proprio a causa di quelle inchieste/sondaggi, i lettori hanno qualche sorpresa. Come quella, ad esempio, relativa al più grande cantante del secolo scorso che ha dato un risultato davvero sorprendente che neanche le più acute previsioni avrebbero potuto azzeccare: Maria Callas. Chi lo avrebbe potuto immaginare? E chi è questa signora - si saranno chiesti i lettori della rivista?
Sorprese maggiori dall'inchiesta sulle migliori orchestre, dove  la sorpresa è stata che la migliore è quella del'Accademia di Santa Cecilia di Roma. Ora, anche a noi che all'orchestra romana vogliamo un bene enorme pari alla stima, ci è sembrato un risultato davvero imprevedibile, ma meritato se lo dice la ben nota rivista, forte del parere dei 50 critici interpellati ogni volta, al punto che neanche i Wiener o i Berliner retrocessi, hanno potuto nulla obiettare.
 Sul numero di questo mese l'inchiesta ancora più accattivante riguarda il pubblico delle fondazioni liriche e del melodramma in generale, in Italia. 'Dal 2008 al 2013 l'opera ha perso in Italia 100.000 spettatori' . Con questa agghiacciante rivelazione si apre l'inchiesta in questione. Poi per mitigare ed attutire il colpo, al termine spettatori si sostituisce 'ingressi'. Cioè a dire quando si parla dei centomila non si intende necessariamente spettatori 'paganti', perchè le cifre aggiornatissime della SIAE, date in esclusiva alla nota rivista,  riguarderebbero paganti e 'portoghesi', i quali ultimi, nel teatro che abbiamo più frequentato negli ultimi anni, popolavano platea e palco 'reale' - una  vergogna  tutte quelle quelle facce note in ben altri ambienti prendere posto nel palco di rappresentanza a Roma.
 Ma anche perchè non si capirebbe il grandissimo divario fra le entrate di botteghino di due teatri che hanno un pubblico non  differente quanto sarebbe, proporzionalmente, logico attendersi.
Insomma fra tutti i teatri si sarebbero persi, nel giro di cinque stagioni, 100.000 posti fra ingressi e pubblico pagante; ma nel 2013 la tendenza a perdere pubblico si sarebbe invertita, essendoci stati quasi 50.000 spettatori in più - che, naturalmente, si spera paganti. Una piccola svista della rivista che non ci dice se , a causa di tale aumento, nei cinque anni presi in esame, la diminuzione del pubblico sarebbe di 50.000 circa.
In cima alla classifica dei teatri virtuosi per produzione e pubblico la Fenice di Venezia,  altra rivelazione.
Naturalmente ci sono delle eccezioni. Bari, ad esempio, fa sapere la acutissima inchiesta, nel 2008 aveva un teatrino dove era ospitata la stagione lirica, pochi posti e pochissimi spettacoli; nel 2013 si è svolta invece al Petruzzelli, teatro grandissimo e qualche titolo in più che portano l'aumento al 250% in più. Questo miracolo davvero era inimmaginabile.
La Scala avrebbe avuto, secondo l'inchiesta, il maggior calo di presenze nel quinquennio?. E' così oppure i calcoli sono stati fatti sulla presunzione di presenze?
 Alla crisi economica che alla fine non poteva non toccare anche i teatri, nell'inchiesta si fa un rapido accenno.
 E, poi, rivela  l'inchiesta: i teatri chiedono finanziamenti triennali, riduzione dell'IVA su biglietti, accesso al 'fondo salvateatri' anche da parte di teatri che intendono investire senza che abbiamo buchi di bilancio; cancellazione dell'IRAP... argomenti questi di cui per la prima volta sentiamo parlare.
 Insomma senza l'inchiesta mensile, che ci porta 'chiara e forte' la voce della classica, non possiamo  più vivere.
 Stiamo pensando, per emulare il successo delle inchieste della nota rivista, di proporvene una anche noi, ma dovete concederci del tempo, per riflettere,  per non fare un buco nell'acqua. Perchè emulare la nota rivista non è  impresa semplice.

Ingrid Muccitelli, la ragazza di Mauro Masi

Evidentemente i direttori generali della RAI, anche quando ce ne liberiamo, contano ancora nell'azienda pubblica, se riescono a piazzare le loro 'ragazze' - qui nel senso letterale di 'la mia ragazza' - in RAI, senza che queste nulla abbiano fatto per meritarlo, oltre che per essere, nel caso specifico, 'la ragazza di Masi'.
La quale ragazza aveva avuto un contratto appena dopo l'uscita di Masi, una specie di buonuscita aggiunta a quella che 'gli diedero' - si preferisce dire  che 'gli spettava', sul quale 'spettava' forse ci sarebbe da discutere - quando fu dirottato altrove.
Qualche altro direttore generale (e chissà quanti altri papaveri della televisione pubblica, 'tutto il mondo è paese') - raccontano i bene informati - ha fatto altrettanto, ma invece che alla fine del suo mandato, per non dare nell'occhio e per evitare che la assunzione recasse la sua firma, il giorno prima della presa di possesso dell'incarico, fece assumere la sua 'ragazza', in  un  ruolo abbastanza prestigioso(funzionaria).
Perchè sia chiaro: personaggi come Masi cadono sempre in piedi, come si dice, non potendosi disconoscere, neppure da parte del suo più acerrimo nemico, i meriti lavorativi che hanno portato la RAI, sotto la gestione Masi, ad un attivo di parecchi miliardi (di lire) di debiti.
La Muccitelli cominciò ad apparire stabilmente in  una trasmissione settimanale, nel fine settimana, presentando le bellezze del nostro paese. 'Siamo qui, e parliamo con ...' cominciava sempre così e poi si mostrava il 'pesce lesso' - senza offesa - che è : guardava fisso l'interlocutore, senza capire quel che diceva - era questa l'impressione - e attendeva che il collegamento finisse, dopo aver fatto le domandine che le avevano scritto sul foglietto. Da un collegamento ad un altro,  la ragazza cambiava solo il vestito: per la sua 'ragazza'  Masi non bada a spese. Imbarazzante. Poi visto il successo,  è stata promossa.
Ora ce la ritroviamo in un programma di  mezza mattina su Rai Uno, per l'estate. Oggi parlavano del problema 'lunedì', quando bisogna tornare al lavoro - chi ce l'ha - dopo sabato e domenica; un tema sul quale già si sono espressi pensatori e sociologi.
Bravissima come sempre, nel fornire al pubblico, in ogni puntata, quel campionario di banalità e idiozie con cui dallo schermo televisivo irradia della sua luce il paese.
 Alla fine verranno a dirci che la trasmissione è andata benissimo - non c'è 'peggior cieco di chi non vuol vedere' - e l'anno prossimo le daranno la conduzione di una prima serata.
Con i nostri migliori auguri alla ragazza di Mauro Masi.

sabato 19 luglio 2014

Franceschini che aspetta a decidere?

Il 26 maggio scorso è scaduto il termine per presentare al ministero di Franceschini la propria 'manifestazione di interesse' di partecipare al concorso 'per titoli' per far parte delle commissioni consultive del ministero, nei settori della musica ecc..
 E' la prima volta che il ministero chiede alle persone competenti nei vari settori la disponibilità ad aiutare il Ministro nell'esame delle pratiche di richiesta dei finanziamenti del FUS. Finora come ha fatto? Semplicemente, ci ha messo chi gli pareva, persone molto spesso  in evidente conflitto di interesse (giudici dei richiedenti e destinatari del FUS), quando non anche incompetenti e pure imbroglioni. Alcuni di essi componenti hanno vissuto nelle loro professioni l'unico attimo di notorietà proprio  nel periodo in cui hanno fatto parte di quelle commissioni, anche se solo consultive. E qualche volta, alcuni ce li  siamo trovati presenti per più di una tornata, perché il ministero li traslocava da una commissione ad un altra, per non perderli. Tanto preziosa ed insostituibile era considerata la loro presenza.
 Ora sono trascorsi quasi due mesi e l'esito di quel 'concorso' ancora il ministro Franceschini non l'ha reso noto; come  d'altro canto non renderà mai noto l'elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di partecipazione, che sarebbe davvero interessante leggere.
Che aspetta? Lui non ha trovato ancora il tempo? Il suo direttore generale Nastasi, verosimilmente, ha troppo da trafficare; oppure,  non trovando fra i partecipanti nei vari settori persone che gli vanno a genio, sta meditando come infilarcene degli  altri? Non ci meraviglieremmo che  si facciano traffici simili, ne abbiamo visto di peggiori.
 Noi, comunque, come tanti altri interessati a conoscere l'esito di quel concorso,   restiamo in attesa.

Sacre famiglie unite. Dai Clinton ai Muti

L'altro ieri con  fastidio grande leggevamo della figlia dei Clinton che sì è messa a far soldi, un mestiere che ha appreso dai suoi genitori: il papà, quello della Lewinsky- l'unico merito per il quale passerà forse alla storia - che  è diventato conferenziere pagatissimo (come del resto anche l'ex premier inglese che ora fa il consulente perfino di Putin ) e dalla mammà che non ha ancora deciso se scendere in politica e candidarsi alle prossime presidenziali ed intanto mette su un bel gruzzolo di dollari, a milioni, attraverso il coinvolgimento dei suoi possibili sostenitori. La figlia, oggi signora, che tutti ricordiamo con l'apparecchio ai denti, ora gira l'America facendosi strapagare. Una vergogna familiare!
 La famiglia conta ancora ed è il cardine della nostra società, in America come in Italia .
Oggi, sempre sui giornali leggiamo di un'altra grande famiglia, non di politici. La famiglia Muti, la famiglia del grande direttore che nei prossimi giorni, escluso il capofamiglia, è impegnata a Borgia in Calabria per l'anteprima della nuova opera di Nicola Piovani, protagonisti Depardieu - già ospite al 'Festival di Ravenna e dei Muti', e in Berlioz con Muti padre, e Chiara Muti, e la Cristina Muti, moglie del maestro, regista. In queste settimane non sono al loro primo lavoro. Cristina Muti, per il festival suo, ha seguito anche tutte le trasferte  e i vari concerti 'per un amico' di suo marito, nel quale il maestro ha fatto suonare anche suo genero, marito di Chiara, la quale Chiara è reduce dal nuovo lavoro di Azio Corghi col quale fa spesso coppia fissa, un melologo, presentato in questi giorni passati a Siena.
Nessuno chiede ai Clinton come ai Muti di cancellare il senso sacro della famiglia (se anche in Giappone stanno facendo di tutto per farlo tornare in auge, noi non possiamo essere secondi a nessuno).No, neanche per sogno, ma almeno di non farlo vedere ogni giorno e sbatterlo in faccia a chi una famiglia   sacra e potente non può vantare.
Salvo che, nel caso di Muti, il maestro e la sua famiglia non facciano quel che fanno, solo perchè così ci danno materia per indignarci per l'ennesima volta. Lanciandoci una sfida: chi si stancherà prima?

Alberto Burri a cent'anni dalla nascita.Città di Castello in festa

Alberto Burri, una delle glorie nazionali, rivoluzionario in pittura, era di Città di Castello, dove ha perciò luogo una fondazione a lui intitolata che, in città, ingloba  anche un museo, ed un secondo grande museo, nei vecchi essiccatoi del tabacco, alle porte della cittadina. L'anno prossimo ricorre il primo centenario dalla nascita e non solo Castello, bensì l'Italia ed il mondo si appresta a celebrarlo. A Roma, nei giorni scorsi, il Ministro Franceschini ha presentato le iniziative messe in cantiere per dette celebrazioni, per le quali s'era speso in Parlamento il deputato castellano Walter Verini, ex di Walter Veltroni, se non altro per dimostrare al suo collegio che è ancora vivo.
 Di Città di Castello e Burri vogliamo raccontare una storia.
Nel 2004 gestimmo l'annuale Festival delle Nazioni di Città di Castello e che  si espande anche nel suo territorio, toccando cittadine al di là della Regione, come Sansepolcro, in Toscana, che ospiterà, per le celebrazioni di Burri, una mostra 'Burri incontra Piero della Francesca'.
 In quell'anno, per sottolineare la vocazione artistica della città, ed anche per allentare l'attenzione dei media dalla cittadina squassata da uno scandalo che aveva lambito, indirettamente, anche qualcuno degli amministratori del festival,   arricchimmo il festival con una mostra a Palazzo Vitelli, una mostra di pittura con  materiale mai uscito dall'archivio storico dell'Opera di Roma: i bozzetti teatrali di Prampolini, affidandone la cura a Calvesi, che allora era al vertice della Fondazioni Burri.
 Naturalmente cogliemmo l'occasione per ospitare anche nel grandioso Museo fuori città, due meravigliosi spettacoli: l'Enoch Arden di Richard Strauss con Piera degli Esposti ed Emanuele Arciuli (per il quale  Salvatore Sciarrino, il grande compositore cittadino castellano da tempo, aveva appositamente scritto preludio, interludio e postludio per orchestra da camera) ed uno spettacolo di danza affidato a Roberto Castello; meravigliandoci che uno con quel cognome nessuno aveva pensato di coinvolgere prima in una delle tante edizioni del festival.
 Nel corso di quella edizione incontrammo anche Verini, il 'castellano potente'- così lo indicavano - che era, a Roma, come l'ombra di Veltroni. Con lui parlammo del festival in corso - che gli era sembrato fra i più belli della sua storia - di alcune difficoltà di rapporto con alcuni dei castellani che gestivano il festival e che volevano mettere bocca anche nelle scelte artistiche, e parlammo pure dei progetti futuri. Verini ci rassicurò soprattutto della innocuità delle 'serpi' che lui avrebbe pensato ad avvelenare prima che potessero mordere. La qual cosa naturalmente non fece, quando tentarono di morderci il calcagno prima che ce ne accorgessimo, perchè - ragionò il grande politico castellano- le serpi si sarebbero trasformate, al momento giusto, in elettrici ed elettori che avrebbero fatto comodo  ad ogni tornata elettorale.
 Per l'edizione del 2005 avevamo già in buona parte abbozzato il progetto. Era l'anno prima delle grandi celebrazioni mozartiane, sulle quali avremmo preceduto tutte le altre istituzioni  con un programma sui generis di omaggio al grande musicista. Ma nel 2005 cadevano anche i 90 anni dalla nascita di Burri, e perciò per la mostra -  una tradizione inaugurata con Prampolini che però volevamo proseguire - pensammo a Burri, e per questo prendemmo contatti con la Scala, l'Opera di Roma, oltre che con la Fondazione, per una mostra dedicata a 'Burri per il teatro', nella quale avremmo esposto anche il bozzetto del teatro fatto costruire per la Triennale e poi distrutto e che ora si intende ricostruire.
 Poi le cose, almeno per noi, andarono non come avevamo immaginato e Verini ci aveva rassicurato, nel senso che le serpi morsero il nostro calcagno costringendoci ad andar via. E il progetto svanì. Ci misero un direttore d'orchestra che dirige solo dove ha  responsabilità amministrative e che le serpi è ben disposto ad assecondare. Poi cambiò anche il presidente, al posto del prof. Fontana, venne un giornalista, Giuliano Giubilei, che svolge il ruolo di rappresentanza del festival nelle conferenze stampa e basta, che si muove da dieci anni in qua senza infamia e senza lode, mentre il Festival ha ripreso il suo corso di routine, girovagando fra nazioni, e accettando dalle rispettive rappresentanze diplomatiche e culturali in Italia  suggerimenti ( e forse anche imposizioni)  sulla confezione del programma,  mentre il direttore artistico, in attesa di poter salire una volta all'anno sul podio, sta a guardare. Quest'anno, l'Armenia. Paese lontano del quale pochi sono in grado di confrontare il paese reale  con l'immagine che a Castello si vuol dare.

Almeno i numeri dateceli precisi. Dall'Opera di Roma al Festival di Spoleto

"Mi hanno riferito che quest'anno abbiamo superato quota 60.000", ha dichiarato gongolante Giorgio Ferrara alla fine della edizione 2014 del Festival di Spoleto - dove  resterà ancora per qualche anno - riferendosi all'affluenza del pubblico. Lo aveva preceduto Carlo Fuortes, 'nel mezzo del cammin' di Caracalla 2014, quando ha detto che ancor prima di iniziare le recite operistiche a Caracalla s'erano avute già 40.000 presenze. Noi, per Caracalla, sulla base degli spettacoli già presentati, e dei posti disponibili, contando anche gli introiti sbandierati da Fuortes, abbiamo calcolato che in ognuna delle sere a Caracalla  sarebbero andate, anzi sono andate 4500 persone paganti.
 A Caracalla, non sappiamo se  anche a seguito di quelle dichiarazioni trionfalistiche,  è arrivato il primo temporale portato dallo sciopero  di due sigle sindacali che hanno messo in ginocchio tutti gli altri lavoratori, al punto che la prima di Bohème è andata in scena senza orchestra, come anche la prima replica, facendo sostenere il canto al solo pianoforte. Un disastro. Alla prima  molti spettatori hanno abbandonato la platea facendosi rimborsare il biglietto; alla replica, il sovrintendente, confortato anche dal nuovo assessore Marinelli, ha pensato bene di far dono della gratuità a tutti coloro che avessero voluto assistere all'opera. Durante la quale, una consistente fetta di spettatori,  poco dopo l'inizio, ha abbandonato Caracalla a causa di evidenti defaillances vocali del soprano. Erano in 3000, in 4000, 4500? Non si riesce a capire l'esatta disponibilità di posti  delle terme dopo l'annuncio dell'ampliamento, salvo che a Caracalla non abbiamo installato una platea mobile allungabile o accorciabile a seconda delle necessità di pubblico, o che in fondo in fondo ci siano molti posti in piedi, come accade nella Sala d'oro del Musikverein di Vienna, dove i posti a sedere non superano il migliaio.
Da un articolo del Corriere sappiamo che i posti di Caracalla 2014 sono 4.000. Resta il dubbio se il giornalista sia ben informato o no, e che abbia anch'egli sparato una cifra senza veirifica.
Ma non ci convincono neanche le cifre sparate da Ferrara che da anni ha trasformato quel gioiello di festival menottiano, nella succursale di  una casa di riposo per grandi teatranti, perchè le giovani leve lì non mettono piede. Anche a Spoleto le cifre  ci sembrano fallocche. I luoghi in cui si svolgono gli spettacoli non sono grandi, salvo Piazza Duomo per il concerto finale; e perciò come si fa  a raggiungere la ragguardevole cifra di 60.000 spettatori paganti?
 Facevano così negli anni passati all'Opera di Roma, da dove Ferrara prende Alessio Vlad  perchè gli suggerisca l'opera da mettere in scena. Non sarà che  parte della consulenza consiste anche nello sparare sempre più in alto sul pubblico presente?

Marianna Madia nel pallone

Dobbiamo ricrederci nuovamente su di lei:  la buona volontà non basta per fare bene il ministro se non si conosce a fondo la materia e  non si ha pratica di amministrazione dello Stato; e l'età giovane non è un valore in sè, contrariamente a ciò che va ogni giorno predicando il capo del governo, per difendere tutta la giovane schiera dei suoi ministri, e le quote rosa, dimenticando che il presidente Napolitano prima di dare l'ok  definitivo al suo gabinetto ha voluto che al tesoro e finanze non ci fosse un altro boy scout, ma Padoan, vecchia volpe, chiamato di corsa dal FMI. La Madia si sta rivelando di buona volontà ma di scarsa efficienza e capacità.
 Solo qualche esempio che  non può sfuggire neanche a noi che certo di amministrazione dello Stato sappiamo niente.
 La mobilità dei dipendenti pubblici che la Madia pensa di inaugurare, senza aggiunta di spese per lo Stato in caso di mobilità giornaliera ( perchè non la toglie ai parlamentari che ce l'hanno e a tanti altri frontalieri nazionali che si muovono per rubare soldi allo Stato - i casi dei tanti consiglieri regionali di Piemonte e non solo del Piemonte  avrebbero dovuto suggerirglielo). Alla Madia vogliamo far sapere che  i dipendenti pubblici soggetti per lavoro alla mobilità, senza che percepiscano per tali spostamenti una qualche diaria dallo Stato, sono tanti.  Noi conosciamo il caso dei professori, in specie di quelli dei Conservatori italiani, sparsi in tutta la nazione,  e vicino a quota settanta. La gran parte di questi insegnanti viaggia, e taluni anche da Catania ad Alessandria, per i primi anni, in attesa di un  trasferimento  più vicino al proprio domicilio. Quanti insegnanti sono costretti settimanalmente a prendere l'aereo da Roma, ad esempio, per Cagliari o per Palermo o viceversa. Per tali spostamenti va in fumo buona parte del loro lauto stipendio. Capito Madia? A nessun ministro della Repubblica, preposto a tale settore, è venuto in mente di fare un  censimento di questi lavoratori  costretti allo spostamento forzato, per vedere se non era possibile, attraverso un ridisegno della mappa degli insegnamenti e dei professori affidatari , a correggere questa anomalia che oltre tutto , per ragioni ovvie, comprensibili anche alla ministra, non è salutare per gli allievi e  per l'istituzione di appartenenza.
La ministra, altro caso, gongola per il fatto che  fra breve nessun pensionato pubblico potrà ottenere incarichi pubblici. Questo privilegio - lei non lo sa - non l'hanno i normali pensionati, bensì quelli che hanno sempre trafficato, i quali si giustificano dicendo che la loro esperienza  ( in traffici non sempre leciti) non può essere buttata a mare. L'ulteriore privilegio di continuare a lavorare benchè in pensione  è consentito solo a chi vive di privilegi. Lo sa questo la giovane ministra?
 Tante altre cose la Madia non sa. E mentre continua a fare nuove leggi per riformare - a suo dire -la pubblica amministrazione, non ha tempo per fare osservare quelle già esistenti. Esiste una legge, ad esempio, che proibisce agli insegnanti di avere incarichi  retribuiti fuori dell'amministrazione pubblica - la cosiddetta legge 'Brunetta' - accompagnata da disposizioni che i ministeri competenti hanno inviato alle singole amministrazioni. Questa legge è regolarmente disattesa. Lo abbiamo scritto tante volte, ma non c'è verso, alla Madia come ai ministri dell'Istruzione, compresa la Giannini, non gli fotte assolutamente nulla. Loro per dire al mondo quanto sono attive, di leggi ne fanno nuove,  lasciando che le vecchie vadano in malora!

giovedì 17 luglio 2014

Vietato procurare scossoni ai parlamentari italiani e ai dipendenti del Parlamento

L'Italia, ogni giorno ce ne convinciamo di più, non è un paese normale. Continuano gli sprechi, i soldi letteralmente buttati, i privilegi immeritati anche in termini economici e, d'altro canto si perpetua la disattenzione dello Stato e della società verso i deboli, i poveri e quello che sappiamo e che ogni giorno si arricchisce di nuovi sconcertanti particolari. In ogni senso.
 L'ultimo è questo. Si sta mettendo mano alla riforma del Senato, si parla dell'accorpamento delle due camere, liberando quindi completamente Palazzo Madama che forse si svenderà oppure ospiterà altri uffici parlamentari, e si pensa anche a ridurre - come è naturale che sia; lo si pensa e dice da molti anni, ma guai a mettere mano alla riforma - privilegi  stipendiali  per l'esercito di dipendenti, tutti- assicura la Boldrini - superspecializzati.
Senonchè la ventina circa di sigle sindacali alle quali aderiscono i dipendenti, evidentemente divisi e riuniti per classi di stipendio, scatti e mansioni, sono già sul piede di guerra. Se tagliano gli stipendi ai loro associati, addio alle quote d'iscrizione - ma forse anche quelle le pagano i cittadini per i loro dipendenti del Parlamento superspecializzati.
Ma la Boldrini e lo stesso Parlamento le pensano  tutte per difendere il durissimo lavoro dei Parlamentari e degli assistenti, e per non turbare la loro quiete. Gli stipendi e gli alti privilegi andranno rivisti, ma con gradualità, per non creare traumi in quelle menti nobili impegnate nel rendere la vita dei cittadini sempre più facile ed agevole. Insomma se tagli ci saranno,  cominceranno ad avere effetto dal 2018. Cioè fra quattro anni, quando, probabilmente, con il cambio di Governo e nuove elezioni - come si va sempre più spesso paventando, nonostante le rassicurazioni di Renzi che vuole regnare ancora per mille giorni - quelle decisioni potrebbero essere riviste  e modificate nel senso che tornano ad essere quelle di oggi. Perchè è molto difficile che i parlamentari si taglino i privilegi accumulati- sarebbe come tagliarsi da soli le p.... - come, si teme fin d'oggi, per la modifica e l'abolizione del Senato, la doppia Camera che tanti problemi ogni giorno procura all'iter parlamentare.
In questi stessi giorni è venuta fuori anche un'altra proposta, quella di tagliare anche il numero dei parlamentari della restante Camera, che oggi sono più di seicento. Ma anche questa riflessione in libertà non si sa da quale pensiero scaturisca. Si vuole tagliare tutto il tagliabile, per destabilizzare oppure  c'è una qualche altra ragione? E si può tagliare, per tagliare comunque,  o così facendo si vanno a toccare i livelli e le percentuali di rappresentanza dei cittadini?
In un paese normale si vorrebbe capire, ogni volta che si assume una decisione, da quale ragionamento scaturisca. In Italia è pretendere troppo?
 Ultimissime dal Parlamento.  Molti dipendenti stanno pensando di andare in pensione il prima possibile, prima che la scure dei tagli si abbatta sui loro indecenti compensi, onde evitare una decurtazione secca anche delle loro pensioni e buonuscite. Mica fessi i dipendenti del Parlamento. E, del resto, la Boldrini l'aveva detto: si tratta di dipendenti superspecializzati.

Il sindaco Marino potrebbe essersi bevuto il cervello. Senza accorgersene

Non vogliamo offenderla, sindaco Marino. Lei non si impressioni per la colorita espressione, che non deve prendere alla lettera, perchè ridurre allo stato liquido un cervello non è cosa facile, e poi chissà quale schifoso sapore abbia. Comunque Marino non si è sottoposto a tale martirio, nè dovrà farlo. Semplicemente quell'espressione a Roma significa che Marino  qualche volta dice o fa cose per le quali uno dubita l'ex chirurgo sia  in possesso di tutte le capacità mentali, come nella sua intenzione di accorpare le varie istituzioni culturali romane, al fine di risparmiare uomini, mezzi ed anche competenze e, sicuramente, perfino risultati. E non intende istituzioni/doppioni, no, lui vuole accorpare  tutto l'accorpabile.
 Ieri, nella prima intervista al Messaggero del suo nuovo/vecchio assessore alla cultura, Giovanna Marinelli, ex di Veltroni, Borgna, Bettini, Rita Sala le domandava di quell'insano progetto che secondo il sindaco  dovrebbe accorpare Teatro dell'Opera di Roma Capitale - il nome va sempre detto per intero, dopo tutta la fatica che hanno fatto per averlo. Che pagliacciata! - e l'Accademia di Santa Cecilia. Le due orchestre si fonderebbero - allo stesso modo in cui, nell'ospedale americano in cui lavorava Marino,  fusero i reparti di neurologia  ed urologia - farebbero indistintamente repertorio sinfonico e operistico - uno dei due direttori 'stabili' o 'principali' o che dir si voglia, perfino 'onorario a vita' - potrebbe essere  messo in mobilità, affidando tutta l'attività ad uno dei due; si taglierebbe il numero degli impiegati , i tecnici e le direzioni artistiche - in taluni casi molto popolate - e tante altre cose. Nell'ospedale in cui lavorava Marino, dopo quell'accorpamento, alcuni neurochirurghi effettuarono interventi di prostata e urologi operarono ai canali cerebrali, pare con successo in ambedue i casi. E la cosa non deve meravigliare se è vero che, come si dice in tutto il mondo e non solo a Roma, vi sono in circolazione molte 'teste di c...'.
Chissà, dice Marino, che non possa accadere anche nella musica, a Roma, dove si potrebbe liberare  tutto lo spazio che oggi l'Accademia di Santa Cecilia occupa all'Auditorium, restituendolo a Musica per Roma che lo vorrebbe per ampliare ancora la propria attività.
La Marinelli, che 'non sta completamente fuori'- altra espressione colorita ma efficace  in uso a Roma - si è permessa, timidamente, qualche dubbio sulla fattibilità di tale progetto; ma il sindaco ci crede fermamente e se nessuno gli farà risputare tutto il cervello che s'è bevuto, nel frattempo, allora forse vedrà aprirsi un altro fronte di protesta durissimo certamente, ma  agitato da persone - musicisti- che il sindaco Marino liquiderebbe come persone 'fuori di testa'.Questi artisti!
Un'ultima annotazione a margine dell'intervista della Marinelli. Bisogna riportare l'Estate romana alla sua caratteristica 'popolare', ora è troppo 'elitaria'. Di quale estate  l'Assessore parla?

domenica 13 luglio 2014

Daverio poteva essere un buon assessore se Marino non gli avesse preferito la Marinelli

Riassunto delle puntate precedenti. Giovanna Marinelli ha fatto parte della corte di Veltroni dal quale a fine mandato venne promossa per i servizi resi, anche con merito - perchè dubitarne? - assieme a Verini, suo braccio destro, oggi deputato;  a von Truppen, scrittore  mandato alla RAI al Maggio fiorentino, all'Agis, ovunque pur di farlo stare a galla, ed anche alla giovanissima Marianna Madia, da poco orfana di uno dei principale collaboratori dell'ex sindaco-segretario, candidata al Parlamento in seggio sicuro, la quale ora sta dimostrando di voler a tutti i costi imparare. Ci vorrà ancora del tempo ma alla fine forse ci riuscirà, perchè è brava e si impegna.
 Questa è la storia di alcuni dei 'Veltroni's boys & girls'. 'Se Parigi avesse avuto il mare ...' si dice dalle mie parti. Se Marino non avesse preferito la Marinelli di Veltroni, Daverio sarebbe stato un buon assessore. Il critico, noto per la sua presenza costante in tv da anni a raccontare storia ed arte del nostro paese, stava già facendo progetti, nonostante che - a suo dire - nessuno l'avesse mai contattato. Egli pensava che nella scelta di Marino avessero peso le qualità e le competenze dei candidati.
 In una intervista aveva anche dichiarato che non  avendo più nessun rapporto con la RAI era libero e vergine per assumere quell'incarico-sfida a Roma. Ma - gli chiede l'intervistatore - come nessun rapporto con la RAI,  lei continua ad essere in tv con il suo programma. No - risponde il critico - si tratta di puntate vecchie che la RAI continua a mandare in onda. Evidentemente piacciono.
Ha ragione Daverio, che si è precipitato a dichiarare, conoscendo la legislazione vigente, che non sarebbe entrato in conflitto di interessi.
(E' curioso. Tutti sanno che fra certi incarichi ed altri nel settore pubblico c'è un conflitto di interessi e l'assoluta proibizione per legge - noi stessi nell'ultimo  numero pubblicato di Music@, abbiamo proposto un elenco dei molti casi di incompatibilità fra l'incarico di professore e incarichi stabili di direzione artistica od amministrativa - ma nessuno si muove per farli cessare; non si muove la Madia che propone altre leggi, non si muove la Giannini alla quale evidentemente non import, e che qualcuno di questi incarichi incomptaibili li aveva sotto gli occhi nella sua Perugia; insomma, non si muove nessuno).
 Torniamo alla trasmissione di Daverio in RAI. Non crediamo dipenda dal fatto che quella trasmissione era prodotta dalla Cappelli, personaggio con  potenti entrature in RAI, da tempo immemorabile. Ma allora - ci viene spontanea la domanda: perchè la RAI non rimanda in onda anche le belle puntate di 'All'Opera!' , ben sessanta, presentate con successo da Antonio Lubrano su Rai Uno per sei stagioni consecutive, a cavallo degli anni Duemila, accolte da un successo di pubblico ben più alto della trasmissione di Daverio?  Tre le risposte  possibili:
- 'All'Opera!' non era prodotta dalla Cappelli, bensì dalla RAI;
- dell'opera non importa un bel niente a nessuno in RAI;
- la cultura, ed anche l'opera, purtroppo è in mano, per RAI 1, a Marzullo.
E forse ve ne sono anche delle altre che, al momento, ci sfuggono.

Piazza per Pizza

Sembrerebbe un racconto inventato di sana pianta, senonchè è finito con una denuncia ai carabinieri. Si voleva sostituire pizza con piazza, ma non era un gioco di parole. Perchè Piazza è un professore allettato da due politici, forse politici finti, che lo hanno convinto che loro potevano fargli fare carriera, farlo arrivare nelle  stanza del Palazzone di Viale Trastevere, dove ha sede il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca scientifica, e farlo sedere addirittura sulla poltrona di pizza. Anche Pizza  è una persona in carne ed ossa, nientemeno che il sottosegretario a detto ministero, nonostante il  cognome. E pare che Pizza - se ricordiamo bene -  a  dispetto del suo cognome vanti anche meriti di studioso di qualche materia. Naturalmente Pizza era all'oscuro di Piazza; l'avesse saputo l'avrebbe preso per un gioco: togliete Pizza e mettete Piazza; perchè? non basta Pizza? ci vuole proprio Piazza? non si può tenere sia  Pizza che Piazza?
 I due politici - finti o balordi? - convincono il malcapitato Piazza che stanno per uscire dal loro partito, di centro, pronti a fondarne uno nuovo, nel quale Piazza avrà una grossa responsabilità, e, al momento di farsi valere presso il capo del governo e pretendere da lui la ricompensa per il sostegno offerto, ecco che Piazza viene nominato sottosegretario. In attesa della scissione e del successivo rimpasto di governo, il Piazza ignaro del raggiro, incontra altri politici ed anche prelati - veri, finti o balordi anch'essi? - ai quali i truffatori lo presentano. Ma perchè fanno tutto questo per Piazza? Poichè nulla si fa gratis, lo fanno perchè hanno chiesto ed avuto da Piazza la bella somma di 400.000 Euro, neppure tanto alta per un posto da sottosegretario. Piazza versa i soldi per prendere il posto di Pizza; ma Pizza non esce da Viale Trastevere e Piazza non può entrarvi. Allora, e solo allora, Piazza si fa furbo, capisce che è stato raggirato e  va a denunciare tutto ai carabinieri. Comunque la storia finisce bene, ma poteva anche non cominciare se solo Piazza, professore non tanto accorto,  avesse capito a volo che troppo cara costava la sostituzione di pizza con piazza. Una semplice vocale in più pagata la bellezza di 400.000 Euro.

sabato 12 luglio 2014

Nevica a Caracalla

 Le nuove frontiere dello spettacolo.  A Caracalla, dove non si sa ancora se Bohème andrà in scena, causa agitazione sindacale che potrebbe rientrare, solo a poche ore dall'inizio della rappresentazione - con quali conseguenze sulla qualità dello spettacolo non è difficile immaginare - domani accadrà l'inverosimile, sempre che Bohème vada in scena. A meno che, per compensare i fedeli spettatori che comunque, nel dubbio, andranno a Caracalla sperando di poter assistere alla rappresentazione dell'opera di Puccini, non si faccia nevicare comunque.
Insomma il regista dell'opera ha pensato che era sprecata la spesa della macchina per la neve se questa avesse a cadere solo sul palcoscenico; perciò , a temperatura intorno ai 30°, quale si presume ci sarà domani sera, prenderà a nevicare prima sul palcoscenico e poi sul pubblico, con grande gioia per quello straniero orientale, meno forse per quello italiano che solitamente arriva  al teatro delle terme come se dovesse andare ad una serata di gala - non parliamo naturalmente del pubblico che arriva con i torpedoni  da fuori Roma e che solitamente è composto o da gitanti anziani che hanno vinto al concorso per l'acquisto di pentole inox, o da veri amanti dell'opera, che della nevicata sulla platea se ne sbattono.
 Noi, permetteteci, troviamo semplicemente demenziale che per far colpo sul pubblico dell'opera a Caracalla, al quale interessa l'opera oltre che lo straordinario scenario delle terme, si giochi la carta della nevicata imprevista. Su di essa può puntare solo chi di opera non conosce nulla, capisce poco, e,  in definitiva, non gli importa un fico secco. Come, ci viene il dubbio che accada a più di un dirigente del teatro dell'opera. Ci sembra di vedervi uno stile che conosciamo già segnare molti spettacoli dell'Auditorium, dove vige la regola e la convinzione che della musica non freghi niente a nessuno e che perciò occorra  fare qualcosa di strano ( elicotteri, metronomi), per rendere interessante l'acquisto di un biglietto.
Infine, il regista, autore dello scoop, dimentica che la neve  d'estate a Roma non è una novità. Da tempo un artista si diverte a farla cadere dalle parti di Santa Maria maggiore, per ricordare l'evento atmosferico 'miracoloso' che indicò il luogo sul quale erigere la basilica mariana.
 A Roma, come diceva un saggio, tutto è stato già visto e fatto.