mercoledì 31 agosto 2016

Rifiuti 1 e 2. La storia del ragazzo egiziano (13 anni) che viene in Italia a chiedere aiuto per il fratellino gravemente ammalato; il caso Apple-Irlanda-UE

La storia del tredicenne aveva commosso tutti- in Italia  si è sempre disposti a commuoversi di fronte a storie come quella del piccolo egiziano che si era imbarcato su una carretta del mare, portando con sé solo un certificato medico con la diagnosi della grave malattia del fratellino restato a casa e bisognoso di cure  sofisticate che la famiglia non poteva pagare e che in Egitto  non avrebbero forse saputo somministrargli.
Diciamo 'forse', perché dopo che in Italia era stato tutto predisposto perché il fratellino dell'eroico migrante venisse accolto, e con lui anche i suoi genitori, e curato a Firenze, arriva una incomprensibile risposta dall'Egitto, forse - diciamo ancora forse - in relazione al caso Regeni tuttora aperto, tuttora inspiegabile.
Il bambino sta meglio, molto meglio, al punto che non è necessario venga in Italia a farsi curare, anche perché - fanno sapere le autorità egiziane - le cure di cui ha bisogno gliele può assicurare anche la sanità egiziana.
Si tratta di un vero e proprio miracolo anche per i tempi della guarigione: un bambino affetto da una grave malattia che improvvisamente guarisce ed è fuori pericolo. Se miracolo c'è stato non c'è che da ringraziare il buon Dio, se invece il miracolo non c'è stato,  di un nuovo gravissimo reato si macchierebbe l'autorità egiziana che, per difendere la sua normalità (?) non si cura di sacrificare la salute e la vita stessa di un bambino.

 E poi un rifiuto n.2 che vede protagonisti l'Unione Europea, la Apple e l'Irlanda. La UE ha stabilito che la Apple  ha evaso, fino ad oggi, al fisco irlandese, la bella cifra di 13 miliardi di Euro. una montagna di soldi che potrebbero creare problemi anche al colosso americano, il quale prontamente s'è fatto sentire e difeso. Ma la cosa ancor più strana - perchè la difesa della Apple era del tutto prevedibile - è che l'Irlanda non vuole quei miliardi che le spetterebbero, nonostante che alcuni anni fa abbia chiesto all'Europa una settantina di miliardi per non fallire. E perciò adesso un conflitto si apre fra la UE che vuole regole uguali in tutte i paesi dell'Unione, e l'Irlanda che per tenersi il colosso americano (ed anche altri colossi industriali) pratica un regime fiscale direttamente concorrenziale con tutti gli altri paesi dell'Unione. L'Irlanda si rifiuta di esigere dalla Apple quei miliardi di Euro e decide di ricorrere contro la decisione UE. Insomma fatevi i c... vostri, che ai nostri vogliamo pensarci noi e soltanto noi.

martedì 30 agosto 2016

Alessandro Gassman si indigna per la presenza di Bertolaso in tv a parlare di terremoti. Avrebbero dovuto chiamare Gassman?

Ieri sera a 'In onda' della La7, era ospite Guido Bertolaso che per aver organizzato e diretto la Protezione civile per un decennio circa, e per avuto esperienza dell'emergenza terremoti in più occasioni compreso il catastrofico terremoto aquilano, aveva  tutte le ragioni per essere interpellato sull'argomento. Alla sua destra e sinistra il giornalista Gatti( L'Espresso) durissimo con Bertolaso, durissimo ogni pur ragionevole causa, beccato in aperta dissidenza con il giornale del suo stesso gruppo, 'La repubblica', ed il sottosegretario dell'Economia con la delega per i disastri, di cui al momento non ci sovviene il nome ma che parlava come un libro scritto, che lei leggeva, e perciò poco rilevante.
Per la semplice presenza di Bertolaso in tv si indigna Alessandro Gassman, quello del tonno, che negli ultimi tempi, avvenenza da bel tenebroso a parte, ha girato parecchi stabili per volontà di Gianni Letta, e che ricordiamo soltanto perchè, durando nella sporcizia Roma, ha lanciato l'invito ai cittadini a prendere scopa e paletta e pulire davanti casa. Ora questo piccolo inutile eroe non ha nessun titolo per indignarsi pubblicamente ( attraverso i social, come si dice) della presenza di Bertolaso che ha gestito in Italia molte emergenze e che a tutt'oggi, salvo alcune assurde accuse di Gatti  si è macchiato solo di quegli incontri, non di Protezione civile, nel Salaria Village - ci pare si chiami così.
 Alcuni si sono arricchiti  con il terremoto aquilano, Bertolaso no.  Il quale, invece, ha affrontato l'emergenza  sfollati - oltre cinquantamila unità, cifre da capogiro -  con determinazione. Se poi il governo dell'epoca, anche per favorire alcune aziende, ha voluto erigere quei monumenti alla disintegrazione sociale che sono i vari gruppi di case, Bertolaso non ha responsabilità alcuna. Lui ha  fatto sì che in pochi mesi gli aquilani rimasti senza casa avessero un tetto. Se poi gli Anemoni, i Balducci  e gli altri , compreso quell'altro farabutto di Piscitelli, che la notte del sisma si sfregava le mani pensando agli affari, non può esser colpa di Bertolaso che certamente aveva pieni poteri in quei mesi ma che forse, salvo qualche favore, non è  il colpevole numero uno della mancata ricostruzione.
 Girando per L'Aquila abbiamo notato fino all'ultima nostra visita tutti quei palazzi ingabbiati con barre di ferro della ditta Mercegaglia, alla quale nessuno però ha chiesto il conto  di quanto abbia fruttato alla sua azienda il terremoto.
Troppe cose andrebbero riscritte e rettificate sul terremoto aquilano. Anche tutto quel che, ingiustamente, di negativo è stato addebitato a Bertolaso, al quale si deve se il Conservatorio aquilano, unico fra gli istituti di formazione, ha avuto fin dalla fine dell'autunno dello stesso 2009, una sede provvisoria sì, ma con caratteristiche  che prima di allora non  aveva mai avuto, e  nella quale tuttora  risiede. Nonostante avesse, negli anni, vagato, per palazzi storici di grande pregio ma di poca pratica utilità.

domenica 28 agosto 2016

Dario Franceschini? Disastro 'completo'.

Altro che 'mezzodisastro' come lo aveva soprannominato Renzi. Dario Franceschini, sulla poltrona del Collegio romano, si rivela ogni giorno di più  'disastro completo'.
 All'indomani del terremoto , quando gli hanno fatto notare che era tempo di svegliarsi, prima che  i mostri umani che si aggirano come sciacalli pronti ad avventarsi sulle eccellenze  artistiche che quei paesini nascondevano,  facessero la loro parte dopo la distruzione del mostro naturale, ha risposto che prima occorreva pensare alle vite umane e dopo ai beni artistici. E naturalmente nessuno avrebbe potuto biasimare tale comportamento  maledettamente corretto, che invece era scorretto su tutta la linea e sintomo della incapacità e incompetenza del ministro.
Il quale avrebbe dovuto immediatamente inviare  nei paesini,  accanto alla protezione civile , alla croce rossa ed ai volontari, gli esperti - la cosiddetta unità di crisi dei beni culturali - per provvedere alla messa in sicurezza di ogni cosa. Perchè anche per i beni culturali vige la stessa regola che per le vite umane da salvare, e cioè che i primi giorni, anzi le prime ore, sono fondamentali.
Franceschini ha fatto bella figura, ma s'è guadagnato le critiche di tutto il mondo che tiene alla salvaguardia del nostro patrimonio artistico e monumentale.
Del quale, evidentemente, a Franceschini, non importa  nulla, se nei giorni di ferragosto importanti siti archeologici e musei sono rimasti chiusi per carenza  di custodi, secondo l'organico previsto. Ha nominato venti supersovrintendenti, pescandoli anche all'estero, si fa bello  facendo la giornata dell'arte per il terremoto, ma poi  fa mancare a musei e siti archeologici il personale per tenerli in vita ed aperti.
Già, perchè proprio in questi giorni in cui lui si fa vanto di aver trovato nelle pieghe del ministero i 18 milioni per costruire la platea lignea del Colosseo - inutile e costosa opera per la quale non sarà ricordato, se mai riuscisse a realizzarla, semmai  deriso ed incolpato per aver buttato al vento una montagna di soldi che poteva essere destinata ad altro, come alla manutenzione ordinaria del nostro patrimonio d'arte - si viene a sapere che, a fatica, è riuscito ad ottenere dal governo, di cui fa parte, la somma di una quarantina di milioni di Euro da destinare, nel corso dell'intero anno, a detta manutenzione ordinaria. Appena il doppio di quelli destinati alla sua folle impresa. Come la chiamate questa se non follia, la follia di un ministro che si rivolge, cappello in mano, ai ricchi  del mondo per ottenere soldi per restauri e manutenzione, che lui non ha, mentre i soldi per quella pazzia al Colosseo, li ha subito trovati ?

Il Festival MiTo cambia timonieri. Ma anche rotta?

Fra qualche giorno il festival che da una decina d'anni unisce idealmente Torino e Milano - nato  dalle ceneri di Settembre Musica e gestito da Micheli/ Restagno/Colombo ( curiosamente il Corriere di oggi, nella presentazione, a pagamento, dimentica di fare il nome di Restagno, artefice della programmazione, mentre  la coppia Michel/Colombo provvedevano alla 'questua') si presenta più nuovo di prima, con il vertice  cambiato ( Gastel, Campogrande) ed affidato per l'organizzazione non ad una nuova fondazione - come si era pensato al momento del cambio per mettere in sicurezza il festival - ma a due organismi delle rispettive città ( I Pomeriggi musicali per Milano, La Fondazione per la musica e... a Torino, guidata fino all'arrivo dell'Appendino dalla signora Vergnano; ed ora? ).
 Nuovo vertice, nuove intenzioni, nuove finalità ma meno soldi - che è stata secondo noi, assieme alla prospettiva di cambi al vertice delle due municipalità, la ragione vera del cambio della guardia, altro che  ritorno agli studi, nel caso di Restagno, in compenso,  più idee, ed ogni concerto a tema, secondo le dichiarazioni preliminari.
Se è per questo, tolte certe trasmissioni televisive che sarebbero da premiare per manifesta idiozia, a causa dei titoli giornalieri, la stessa idea - quella cioè di studiare un titolo per ogni concerto, un titolo che colpisca più del programma stesso e dei suoi interpreti - si vede spesso far capolino nei programmi di alcune istituzioni che si curano assai meno della qualità sia delle proposte che delle esecuzioni.
Senza voler mischiare fanti a santi, se si scorre la programmazione della Istituzioni sinfonica abruzzese, che da poco ha una nuova direzione artistica, si vedrà come tolti i titoli sempre curatissimi ed estratti dal cilindro magico dalla direzione, l'orchestra viene regolarmente affidata ad una schiera di giovani ( non abbiamo nulla contro i giovani, ma per un'orchestra che è rimasta 'giovane', nonostante vanti decenni di esistenza, si fa presto a farla precipitare in basso,  ancora più in baso, molto in basso, lasciando brillare in alto solo quei titoli!).
 Non è il caso di Mito, dove  a Campogrande, compositore dalle mille trovate ( come quella degli inni delle nazioni che partecipavano all'EXPO), speaker radiofonico,  i titoli vengono facili. Come altrettanto facile è venuto ordinare agli interpreti un programma che quei titoli illustri, almeno per non fare la figura di chi dice una cosa ed un'altra ne fa fare.
 Vi sono  naturalmente delle idee, e del resto avendo assunto come titolo generale, o tema, del festival 'padri e figli', ditemi voi quale autore o periodo o opera sarebbe esclusa a priori. Niente e nessuno può considerarsi fuori, ed è quello che ha pensato Campogrande, allestendo una grande mostra di musica con qualche pezzo forte, o nuovo se vogliamo.
Sulla reale utilità  della nascita di MiTo abbiamo sempre nutrito seri dubbi, stando che Torino e Milano sono città che hanno diverse istituzioni musicali e sono servite, per la musica, da gennaio a dicembre, salvo settembre, che si è incaricato di riempire per anni il terzetto di cui all'inizio, ed ora il duo Gastel-Campogrande.
 Ci piace, ad esempio, lo spettacolo importato dall'Olanda - se abbiamo letto bene - destinato ai bambini (destinato a porre ancora una volta il problema della educazione e pratica musicale nelle scuole italiane fin dall'infanzia) come anche le giornate  in cui si esalta la pratica corale amatoriale in Italia, in collaborazione con la benemertia FENIARCO (alla quale quei delinquenti del Ministero di Franseschini hanno negato anche un finanziamento simbolico!); ci piace la presenza di tanti musicisti italiani (che al terzetto che ha guidato per anni il MiTo non andavano proprio a genio) anche se  per chi è addentro alle premiate ditte non sfuggono  rapporti e legami (anche pericolosi!), ci piace anche l'assenza delle compagini orchestrali estere che da sole svuotavano le casse del festival; mentre non ci piacciono gli studiosi che pretendono di far rivivere i geni ai quali si sono dedicati (vedi Sardelli con Vivaldi, ma accettiamo lo scherzo), e ci piace anche l'idea di far presentare ogni concerto  da competenti, evitando che dicano le solite ovvietà ( Radio 3 ne presenta esempi preclari!), che si sbrodolino nella presentazione degli interpreti,  ma che  facciano in poche prole capire al pubblico, predisponendolo, quello che stanno per ascoltare e magari non conoscono.
In questa attività, fatta fuori l'onnipresente radiofonico Giovanni Bietti, che assieme a qualche compositore, anch'esso radiofonico, sta riducendo all'osso il pubblico di Radio 3, Campogrande si è affidato a due coppie, una per ogni città ( che magari parleranno tutti contemporaneamente, giacchè ci sono giorni in cui contemporaneamente, ma in luoghi diversi - per fortuna  - ci saranno  concerti), nelle quali due componenti li conosciamo bene per  averli ascoltati assai spesso alla radio. Più che per il 'radiofonico' romano, in trasferta a Milano, temiamo per la milanese ' radiofonica', che sicuramente, come fa da anni ogni settimana, è bravissima a 'menare il can per l'aia'.

sabato 27 agosto 2016

Perchè invochiamo l'algoritmo solo per compiere errori ed ingiustuzie?

La discussione sulla 'deportazione' - cosiddetta - dei professori del sud al nord del nostro paese, non si è ancora conclusa. Che anzi, con i risultati degli esami di maturità si è ulteriormente acuita. Si è data la colpa alle commissioni d'esame del meridione che , si è detto e scritto, sono state nei confronti dei loro esaminandi di manica larga, allo scopo di  autopromuoversi indirettamente da parte dei professori medesimi. Se si mandassero professori del nord nelle commissioni d'esame del sud  i 100/100 e lode si ridimensionerebbero.
 Già ma dove stanno i professori del nord, e quali sono? Perchè nella discussione si è venuto anche a sapere che gli allievi delle scuole del sud, negli anni sono diminuiti- dal 50% circa di un tempo rispetto al totale degli studenti italiani, si è giunti ora a poco più del 35%.  Che vuol dire che la gran parte degli studenti si trova al nord, dove evidentemente la scolarizzazione nelle scuole di ogni ordine e grado è più capillare.
 Perciò se si dovessero mandare  nelle commissioni del sud professori del nord, questi sempre provenienti dal sud sarebbero. E dunque il problema è senza soluzione, perchè anche l'introduzione dei cosiddetti sistemi di valutazione INVALSI non riuscirebbero a risolvere il problema ammesso che di problema si tratti. In ogni scuola  ogni commissione, anche da anno ad anno,  valuta diversamente gli allievi e traduce altrettanto diversamente il giudizio  di 'maturità' in numeri.
La nostra lunghissima esperienza di insegnante ci conduce a simili conclusioni. Quante volte alla fine di un esame abbiamo perso tempo anche per il voto da dare,  ad esempio, se insufficiente: 2 o addirittura 1 oppure 3 o 4? Attribuire 1 o 2 per indicare l'insufficienza dell' esame sostenuto a noi è sempre parso una specie di 'sfregio'  e di 'disprezzo' nei confronti dell'esaminando, e perciò ci siamo sempre opposti a tale traduzione in numero della insufficienza riscontrata. Non è che un esempio.
 Torniamo alla cosiddetta 'deportazione'. Esiste un'alternativa? Potrebbe essere quella di spostare gli studenti al sud per non spostare i professori al nord? Bella trovata.
 Comunque anche nel caso delle cosiddette deportazioni, i professori incolpano l'algoritmo al quale il ministero ha affidato lo smistamento, per lavarsi la coscienza dei numerosissimi imbrogli che ha sempre fatto nella destinazione dei professori e che, sicuramente, troverà modo di continuare  a fare.
 Perchè per i problemi dei 'raccomandati' in ogni senso o campo, si trova sempre una soluzione.
 Sempre lo steso idiota algoritmo fu invocato da Nastasi, e Franceschini con lui, per falcidiare le attività di spettacolo dal vivo in Italia (festival, associazioni, rassegne ecc...).
 Nei giorni scorsi, leggendo le infinite relazioni sul terremoto che ha sconvolto il centro Italia e che ci rimanda con il ricordo ancora dolente a quello aquilano che abbiamo vissuto in prima persona attraverso i volti e le storie dei nostri allievi di Conservatorio, abbiamo anche letto che , merito di un algoritmo, in Giappone si stanno facedo grandi progressi nell'AVVISTAMENTO, con anticipo di qualche ora dei terremoti.
 Beh l'unico caso in cui l'algortimo non è idiota, in Italia non lo si utilizza.

giovedì 25 agosto 2016

Terremoti a L'Aquila, 1349 ,1703. Cronache

                                          Terremoto a L'Aquila. 10 settembre 1349 

Quando credevamo stare in lo loco più tuto, subitamente venne sì gran terremuto, dalla morte de Cristo non fo mayore veduto; appena homo trovonseci che non gesse storduto. De persone ottocento d’Aquila fo stimate che per lo terremuto foro morte et sotterrate, chi si vedeva strillare et fare pietate, chi plangea lo filio, chi mollie et chi lo frate. Chi plangea la matre, chi patre et chi sorella, chi se grattava lo petto, et chi la mascella; et geano scommorando omne strada et ruella, per retrovare li corpi, con amara favella. Quando le case cadero, tanta era polverina, non vedea l’uno l’altro in quella matina; multi ne abe ad occidere senza male de ruina ben se lli dè ad conoscere la potentia divina! Or che vedesse edefitia et case derupate! tuctequante le ecclesie erano atterrate che fo lo maiure danno che avesse la citate, salvo la morte delli homini ad dire la veritate. Le strade erano incomodate de prete et de legname; forria forte ad Abruzzo scommorare lo marrame! assay fo granne affanno; vinneroce tuctotame li nostri contadini ad scomborare le strade. Non jaceamo in casa, ma le logie facemmo; più che nove semane pur de fore jacquembo più frido assai che calla in quillo tempo ambembo; et de nostri peccati poco ne penetembo. Correa li anni Domini mille et trecento et plu quaranta nove, credate ca non mento, quando fu lo terremuto et quisto desertamento; et quilli che moreronci, dio ly agia ad salvamento! Però che era l’Aquila così male adrivata, de ecclesie ed edifitia cotanto desertata, et anchi delle mura non era circondata, multi homini credevano non foxe abitata. Et anchi comensaro parichi ad scommorare, chè nne voleano gire de fore ad abitare; credeano che Aquila non se degia refare, lo conte sappe questo, abese ad conselliare. Vedendo poi lo conte la terra desolata per granni terremuti così male adobata, le mura erano ad terra, non era reparata, pensò subitamente de fare la sticconata. Como illo comandò, foro facti li sticcati de bono lename grosso, multo ben chiovati; sticcavano la terra per multi vicinati, et forone grandi utili, ca stevamo inserrati.
                                                               (Buccio di Ranallo. Cronaca aquilana. 1363)


                                    Terremoto a L'Aquila. 14 gennaio - 8 febbraio 1703

Il giorno delli quattordici del suddetto Mese ad un’ora e mezza di notte si fece sentire un sì grande, e spaventoso Terremoto, che recò non piccolo timore a tutti, e fece cade il Campanile di San Pietro di Sassa, con tutta la Tribuna, et moltissimi Cammini, con aver fatto fiaccare molti Edifici, e Case, senza offendere però persona veruna. Il Martedì poi circa le ore vent’una tornò a replicare un altro non tanto grande, ma con più danno, mentre caderono due altri Campanili, cioè quello di San Pietro di Coppito, e quello di Santa Maria di Rojo, è patito grandemente quello della Cattedrale, che sta quasi cadente; & in altre Chiese vi à fatte varie aperture; in somma si sta tremando, ed ogn’uno sta con baracche in Campagna, ne si attende ad altro che à Processioni, Esercizj Spirituali, Confessioni, Communioni, ed altre opere di pietà: li danni maggiori causati da’ detti Terremoti seguiti fino al predetto giorno, si sentono in Montereale, che l’abbi tutto gettato à terra, con mortalità di ottanta persone in circa; Civita Reale tutta spianata, con essersi salvate solo dieci persone. Borbona andata tutta, ed è restato il Borgo con poco danno. A Cummoli caduto tutto, ove sono restate quindici persone morte. La Matrice quasi tutta disfatta, con mortalità di venticinque persone, senza poi quelle delle Ville. La Posta, e Leonessa hanno al maggior segno patito. Il giorno due Febraro, Festa della Purificazione di Maria sempre Vergine Nostra Signora, su l’re diciotto, e mezza, celebrandosi l’ultima Messa per la Funzione della distribuzzione delle Candele, si fece di nuovo sentire nella medesima Città dell’Aquila con treplicate scosse il Terremoto, e dannegiò a segno in un Miserere, che sono quasi a terra le Chiese di San Bernardino, San Filippo, la Cattedrale, San Massimo, San Francesco, Sant’Agostino, con il resto di tutte le Chiese, e Monasteri di detta Città. Tutti i Palazzi o rasi o cadenti. Nel Tempio di San Domenico, ove si faceva la Communione Generale in quella mattina morirono da ottocento persone ed all’ingrosso si fa il conto, che perissero in quella Città più di tre milla abitanti, & è impossibile, che quel luogo possa risorgere. Ne’ luoghi circonvicini, non vi è ancora il numero de’ Morti, ma bensì è certo, che oltre li sopranominati, cioè Pizzoli, La Barete, Arrischia, Scoppita, con tutte le adjacenti Terre sopra l’Aquila, sono spiantate; e sotto l’Aquila, Paganica, Tempera, Onda, S. Gregorio, S. Eusanio, Campaba, e tutte le altre fino a Castel Nuovo, ch’è un’esterminio, & una rovina deplorabilissima. In Paganica diroccate quasi tutte le Case. In tempera i Molini, una Valchiera, ed altri Edifici da Carta. In S. Gregorio il Molino colle Macine interamente sepolte. In Onda qualche Casuccia, ch’è restata, sta per precipitare: in somma è una desolazione, e si prova in tutti quei luoghi l’estremo giorno del Giudizio. Li viventi restati a tanto sterminio, tutti in Campagna aperta sotto Cappanne, e Tavole, ignudi, miserabili, e mendichi, con calamità e miserie inesplicabili. Dall’Aquila si manda a comperare il Pane nero nelle Terre, che anno meno patito, e beato, chi ne puole avere un giulio. La Fortezza verso Tramontana è caduta, il resto molto intronata à segno tale, ch’è stata abbandonata dal Castellano, e dalla Guarnigione, che dimora tuttavia in Campagna.
(Relazione de’ danni fatti dall’inondazioni, et terremoto nella città dell’Aquila, et in altri luoghi circonvicini, dalli 14 del mese di gennaro fino alli 8 del mese di febraro 1703. Roma 1703)

                                                                           ( Music@, bimestrale di musica. 2010) 

Francesco Giambrone chiama gli 'amici fiorentini' a Palermo

Il Teatro Massimo di Palermo, senza Francesco Giambrone sarebbe ripiombato nel malaffare nella cattiva amministrazione nei debiti. Anche il diretto interessato ne è convinto. E invece con lui al vertice tutto funziona a meraviglia.
Arrestano il responsabile di sala, per 'collusione' con la mafia, cambia il direttore operativo ( perchè quello che per tanti anni ha guidato il teatro, viene dirottato alla sovrintendenza dell'Orchestra sinfonica siciliana, che dopo l'uscita di Roberto Pagano,  dissennatamente patrocinata dal barone Francesco Agnello, non ha mai trovato pace), riduce le cause di contenzioso di dipendenti con la Fondazione,  e, conseguentemente, anche le spese legali, recupera crediti bloccati dal 2007.

Poi, in prossimità delle elezioni comunali e regionali, o in previsione delle stesse, fa venire da Firenze un nuovo direttore operativo, Elisabetta Tesi, che nell'amministrazione fiorentina ha assunto diversi incarichi. Perchè proprio da Firenze? Gliel'ha suggerita il premier Renzi o il suo vice Nardella?  No, nessun suggerimento esterno.  Decisione di chiamata 'sua sponte'.

Giambrone conosce  Elisabetta Tesi dagli anni in cui egli aveva asunto la sovrintendenza del Teatro Comunale (oggi: Opera di Firenze) in coppia con Paolo Arcà. Incarico dal quale si dimise, ricordate perchè? Per semplici ragioni di bilancio: il solito buco nero della gestione, in conseguenza del quale venne chiamata a Firenze la  commissaria/sovrintendente, ing. Francesca Colombo ( tutti 'franceschi' all'Opera di Firenze negli ultimi anni: Francesco Giambrone, Francesca Colombo, Francesco Bianchi; se non son franceschi non li prendono!).

Negli anni in cui Giambrone era a Firenze, e dunque gli stessi anni per la cui gestione, evidentemente non positiva, si dovette rimandarlo - con la coda fra le gambe, come si dice -  a Palermo ( dove, ironia della sorte, insegnava anche all'Università 'buona gestione delle imprese culturali'; e dove  con il ritorno di Orlando al Comune, ha potuto ripetere la stessa ascesa di molti anni prima: prima supporter del sindaco, poi assessore e poi di nuovo al Massimo, scippandolo a Cognata) e chiamare a Firenze la Colombo per metterci una toppa, Elisabetta Tesi aveva al Teatro Comunale  il medesimo incarico che ora ha assunto a Palermo.

Dunque Giambrone per un incarico così delicato, non fidandosi dei palermitani,  chiama direttamente ad occuparlo una persona 'fidatissima' che ha lavorato con lui quando era sovrintendente a Firenze (lui per prevalenti meriti politici: suo fratello senatore e ai vertici del partito che fu di Di Pietro, anche in Sicilia, e di Orlando!) e che ha dovuto in quegli anni, assieme a lui, firmare bilanci quasi sempre con buchi, facendo piombare, con il contributo di entrambi, l'Opera di Firenze in una situazione economica quasi fallimentare che la Colombo non è riuscita a sanare e forse neppure Francesco Bianchi riuscirà, ora che il debito complessivo si è fatto grande quanto una montagna.

Illazioni, accuse? Semplici  logiche riflessioni alla luce dei fatti. Comunque ad Elisabetta Tesi i migliori auguri di sana gestione. Augurandole che, ad elezioni avvenute, nel caso il partito di Orlando dovesse perderle e Giambrone fratello lasciare l'incarico al Massimo, il suo successore - come di regola - non abbia ad accusarlo di cattiva amministrazione, nella quale necessariamente, sarebbe coinvolta anche lei, direttore amministrativo della Fondazione, e tornarsene a Firenze


martedì 23 agosto 2016

Il melodramma, come sta di salute? Non bene. I cinematografi potrebbero dargli una mano per rimettersi?

Dopo che una tv a pagamento ha trasmesso la Tetralogia wagneriana, tutta in una giornata, non pochi commentatori hanno indicato simili esperimenti come fra i pochi che possono far uscire il melodramma dalla stagnazione ( di pubblico). E parere analogo, largamente positivo, s'è letto relativamente alla proiezione delle opere nei cinema di molti paesi, avviata anni fa dal Metropolitan di New York e seguito, più di recente, anche dal Covent Garden londinese.
I dati relativi alle proiezioni nelle sale cinematografiche parlerebbero chiaro: mentre il pubblico del Metropolitan è sceso a livelli ormai tragici, la proiezione del cartellone  del Metropolitan ha fruttato, di contro, negli ultimi anni, la bella cifra di 18 milioni di dollari. E allora perchè non proseguire imitando tale esperimento anche in Italia a cominciare dalla Scala?
Giusta riflessione ed altrettanto giusta indicazione, salvo che non si venga a scoprire che buona parte di coloro che vanno al cinema a vedere le opere trasmesse in diretta, talvolta, dai grandi teatri, altri non sarebbero che coloro i quali frequentano abitualmente i nostri teatri d'opera e che trovano, di tanto in tanto, interessante seguire al cinema ciò che si fa nei teatri del mondo.
 Ma al di là del giudizio che si può dare sui due esperimenti, con tutte le precauzioni del caso, il problema principe - quello cioè del calo del pubblico dei teatri e dell'innalzamento dell'età del medesimo resta irrisolto, in tutta la sua gravità.
La soluzione, di pura follia, che taluni prospettano, soprattutto a seguito dei dati incoraggianti delle proiezioni delle opere nei cinema, sarebbe quella di chiudere i teatri che evidentemente, secondo questi soloni, spaventerebbero il pubblico giovane e nuovo. Chi tale soluzione prospetta non conosce quale fantastica emozionante esperienza costituisca la visione/ascolto di un'opera nel luogo per il quale è nata, il teatro. E tale nostra convinzione sarebbe confermata dal crescente numero di visitatori che per qualche istante soltanto vuole immergersi nella fascinosa atmosfera di un teatro d'opera, di cui l'Italia è piena.
 Il pubblico perciò non è spaventato dal teatro, inteso come sala nella quale l'opera si rappresenta.
 E allora da cosa è dissuaso, se diserta,  sia quello giovane - il fenomeno è mondiale - sia quello nuovo?

 Noi abbiamo due semplici idee, che con noi  molti altri condividono. Senza tornare al principio del disastro, soprattutto italiano - e cioè alla mancanza di conoscenza e pratica musicale dalle scuole -  sarebbe il caso che si partisse da due regole fondamentali. Se i teatri ( il guaio investe anche le grandi istituzioni musicali sinfoniche) non sono pieni come dovrebbero le cause principali sono due.

Innanzitutto il repertorio - nella programmazione si continua a tener d'occhio la presenza dei critici, con titoli fuori repertorio, piuttosto che il pubblico che , per essere spronato ad andare all'opera, ha bisogno di titoli noti, arcinoti che conosce e vuole  riascoltare ( non è certo con la Tetralogia wagneriana, comunque, che si porta gente nuova e giovane all'opera, questo è chiaro a tutti!). Dunque il cartellone dei teatri, per creare nuovamente affezione al melodramma, deve essere costruito in massima parte sul grande repertorio, che è costituito da capolavori, il cui richiamo non scema col tempo.

E poi il costo dei biglietti che in Italia è troppo alto e costituisce il principale motivo della diserzione di un pubblico nuovo e giovane dall'opera. Sbaglia chi dice che i prezzi dei biglietti sono in linea con quelli degli altri paesi. Sì, ma i nostri stipendi, mediamente, non sono affatto in linea con quelli degli altri paesi.  I  sostenitori ad oltranza della non esosità dei biglietti del teatro d'opera fanno notare che quando i giovani vanno ad ascoltare le star del rock pagano biglietti  abbastanza  costosi. Vero, ma si tratta di occasioni speciali. Il pubblico dei teatri deve essere fatto di gente che va a teatro regolarmente, non una volta l'anno. E i teatri devono essere aperti tutte le sere, offrendo quindi la possibilità a tutti di andarci, se non una sera, quella appresso o l'altra ancora.
 Operazioni come quella della Traviata romana di questa primavera, con la regia della giovane Coppola, ed i costumi di Valentino, fanno arrivare a Roma le dive di Hollywood o le star delle passerelle della moda, per la gioia di Fuortes e Franceschini e dei fotografi, ma non portano un solo spettatore in più al teatro d'opera. Sono occasioni 'mondane' non 'musicali'.

Infine una colpa non piccola l'ha anche la televisione che crede di aver assolto al suo compito di servizio pubblico, relegando la musica come l'opera ed anche il teatro, in quella riserva indiana di Rai 5, senza provare  a rendere 'televisivi' quei prodotti di alto conio, come invece  meriterebbero per figurare. Non ci stancheremo mai di ricordare che Rai 1 una decina d'anni fa l'aveva fatto con la bella trasmissione 'All'Opera! con Antonio Lubrano, nella quale fummo impegnati con grande soddisfazione anche noi nelle vesti di autore,  per ben sei estati, gratificati da indici di ascolto assai incoraggianti anzi lusinghieri.  La Rai, anche quella di Campo Dall'Orto, non solo non pone rimedio a tale anomalia, facendo guadagnare alla musica i canali generalisti che soli  le possono dare visibilità, ma anche a trasmettere quelle 'televisive' versioni di una sessantina di grandi titoli del melodramma ci pensa affatto. Sono puntate bell'e pronte, ben fatte e curatissime. Cosa costerebbe? Nulla, e d'estate piuttosto che vedere quelle  banalisime repliche viste riviste, forse i grandi titoli del melodramma soprattutto italiano, figurerebbero meglio sul piccolo schermo.

lunedì 22 agosto 2016

Rossini Opera Festival. Bilancio 2016. Anticipazioni 2017. Comunicato ufficiale

Successo senza precedenti per la XXXVII edizione del Rossini Opera Festival. Il botteghino ha fatto registrare il record assoluto di incassi (1.150.000 euro) e un numero di presenze (17.250) mai registrato nella storia recente della manifestazione. La percentuale di stranieri ha raggiunto addirittura il 71%, certificando l’interesse sempre crescente del pubblico e la popolarità del Festival: ai primi posti Francia, Germania, Giappone, Inghilterra, USA, Austria, Belgio, Svizzera, Spagna e Olanda. Ben 42 le nazioni presenti, con nuovi ingressi quali Colombia, Messico, Perù, Costa Rica e Turchia.
Anche gran parte dei giornalisti vengono dall’estero. Hanno realizzato servizi sul Rof testate provenienti da 24 paesi del mondo: Argentina, Austria, Belgio, Città del Vaticano, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Inghilterra, Lettonia, Lussemburgo, Perù, Repubblica Ceca, Romania, Russia, San Marino, Serbia, Slovacchia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Sud Africa, Ungheria.
Rai Radio3 ha diffuso in diretta su Euroradio il cartellone operistico della manifestazione, riproposto dalle radio di 14 paesi di tre continenti (Australia, Austria, Danimarca, Francia, Germania, Inghilterra, Lettonia, Polonia, Portogallo, Romania, Serbia, Spagna, Stati Uniti, Svezia). Le tre opere sono state inoltre ascoltate in tutto il mondo in diretta online e, per una settimana, in streaming on demand sul sito web di Rai Radio3.
Il viaggio a Reims del 12 agosto è stato trasmesso in diretta streaming sul sito web, sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del Rossini Opera Festival.
Presenti a Pesaro, accanto ai grandi nomi della critica internazionale, i rappresentanti di alcuni tra i più importanti teatri e istituzioni musicali: Metropolitan Opera, Japan Opera Foundation, Theater an der Wien, De Vlaamse Opera, Opera Vlandeeren, Opéra Royal de Wallonie, Dutch National Opera & Ballet, Semperoper Dresden,  Rossini in Wildbad, Bayerische Staatsoper, Opéra National de Paris, Theâtre Châtelet de Paris, Opéra di Rennes, Opéra National du Rhin, Royal Opera House di Muscate, Teatro Comunale di Bologna, Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Carlo Felice di Genova, Macerata Opera Festival, Teatro San Carlo di Napoli, Teatro Massimo di Palermo, Teatro Regio di Parma, Orchestra nazionale della RAI.
Il XXXVIII Rossini Opera Festival (10-22 agosto 2017) proporrà due importanti novità musicologiche, realizzate in collaborazione con la Fondazione Rossini: Le siège de Corynthe (direttore Roberto Abbado e regia affidata alla Fura dels Baus) e La pietra del paragone (direttore Daniele Rustioni e regia di Pierluigi Pizzi). Accanto ad esse, la ripresa del rarissimo Torvaldo e Dorliska (direttore Francesco Lanzillotta e regia di Mario Martone).

Natalia Aspesi, sul ROF ( Rossini Opera festival) ha sempre ragione

Alla vigilia del 'Rossini Opera festival' abbiamo letto con l'attenzione di sempre - di ogni anno per ogni edizione - i suoi pronostici positivissimi seguiti dall'immancabile elogio della famiglia Mariotti, sempre più numerosa e più presente  nella rassegna pesarese ( infatti ora si è aggiunta anche la nuora del rampollo direttore d'orchestra) il cui patriarca, il dott. Gianfranco, è al vertice del festival dalla prima edizione, e cioè da 37 anni, anomalia tollerata in Italia (ma solo in Italia) di  un sovrintendente a capo di istituzione pubblica; cosa abbastanza normale in una impresa privata i cui proprietari restano in sella finchè lo desiderano o vita natural durante.
 Passiamo sopra tale anomalia, considerata 'felice, benedetta e salutare', dalla Aspesi, per darvi conto del bilancio finale del festival che, come aveva annunciato alla vigilia la giornalista sempre bene informata, avrebbe superato quest'anno per affluenza di pubblico e, conseguentemente, per mole di incassi, ogni pur rosea previsione.
Come dovevasi verificare, quest'anno 'si è registrato il record di incassi ( 1.150.000 Euro; 1.000.000 circa l'anno scorso) e un  numero di presenze ( 17.250; l'anno scorso 16.000) mai raggiunto nella storia recente della rassegna. La percentuale di stranieri - continua il comunicato - del 71%, ai primi posti Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna'.
 Fin qui il comunicato che però tace dell'assenza quasi totale del festival dai maggiori quotidiani italiani, come  era accaduto anche l'anno scorso. Ma si tratta di poca cosa, quando i teatri e le sale sono piene. Dei giornali possiamo fottercene bellamente.
 Appuntamento alla prossima edizione con l'apertura della 'porta santa rossiniana' da parte di Natalia, la 'papessa' di Pesaro.

domenica 21 agosto 2016

Teatro Regio di Torino. A quando la 'Ciociara' di Tutino da Moravia

 A giugno del 2015, all'Opera di San Francisco, commissionata dal direttore Luisotti, è andata in scena la nuova opera di Marco Tutino tratta dal famoso romanzo di Moravia, La ciociara, già immortalato da una famosa e premiatissima versione cinematografica con Sofia Loren protagonista che, in America, fu titolata 'Le due donne'.
 Al debutto americano si lesse che l'opera nuova era coprodotta da San Francisco e Torino ( teatro regio) dove sarebbe approdata nella stagione successiva, e cioè quella del 2015-16, nel medesimo allestimento, con il medesimo direttore e la stessa protagonista (Anna Caterina Antonacci).
 Poi... se ne sono perse le tracce, non vi è stata rappresentata- come promesso- nella stagione successiva (2015-16) alla prima americana e neppure in quella successiva (2016-17) che avrà inizio fra pochi mesi, nel cui cartellone compare Luisotti che però non dirige la nuova opera di Tutino, bensì 'Pagliacci' di Leoncavallo ed ora anche dei 'Torinesi'.
Che sarà successo ?

I vertici del Teatro Massimo di Palermo, al 'massimo' non stanno molto bene

Dopo l'Opera camion, il Massimo di Palermo  per far sapere al mondo che è ancora aperto,  rinuncia anche alla chiusura notturna, convocando  una squadretta di ignari bambini che, volendo introdurli nel mondo dell'opera, li fa dormire sotto le tende nelle sale del teatro, gli fornisce bagno e mensa ad una modica cifra. E' il primo teatro in Italia ad assumere una simile iniziativa. Inutile.  E noi speriamo sia l'ultimo ( P.A.)

“Una notte a teatro”: l’11 giugno si dorme in tenda nelle sale del Teatro Massimo

C’è posto per trenta bambini tra 8 e 11 anni, al via le prenotazioni
Giochi, caccia al tesoro, cena, colazione e concerto finale sotto la guida degli scout 
Il Massimo è il primo Teatro lirico italiano a lanciare l’iniziativa

Una notte in campeggio al Teatro Massimo, il Teatro più grande d’Italia. Una notte per giocare, divertirsi con la caccia al tesoro, dormire dentro le tende e svegliarsi a suon di musica. Chissà se incontreranno il fantasma della monaca che secondo la leggenda si aggira tra i palchi, i 30 bambini tra gli 8 e gli 11 anni che parteciperanno a “Una notte a teatro”, la nuova iniziativa del Teatro Massimo, prima Fondazione lirica italiana ad aprire le sue porte di notte ai bambini. 

Dalle 18.30 di sabato 11 giugno alle 12.30 dell’indomani, domenica 12 giugno, i piccoli saranno affidati al Gruppo scout Palermo 11, che li accompagneranno e guideranno nel montaggio delle tende, nella pulizia personale, nella cena (offerta da Galloway) e nella colazione mattutina che sarà somministrata in una sorta di “cucina da campo” allestita all’esterno. Si andrà a letto e ci si sveglierà al suono della tromba: la sera sarà il tempo dell’ammainabandiera, e la mattina dell’alzabandiera. Le tende saranno allestite nelle splendide Sala Onu e Sala Stemmi, e i giochi saranno tutti a tema, per scoprire i segreti dello straordinario edificio progettato da Basile alla fine dell’Ottocento. Proprio come per un campeggio, i bambini dovranno portare con sé una borraccia d’acqua, una lampadina tascabile, un portacolori con matita, penna, gomma e colori vari, una tazza di plastica per la colazione, uno stuoino di gomma, un sacco a pelo estivo o in alternativa un lenzuolo matrimoniale. E poi quel che occorre per la notte: un paio di pantaloni di pigiama o di tuta leggera, una maglietta (o sopra pigiama), un cambio di biancheria, un paio di calze con gommini antiscivolo, spazzolino, dentifricio, sapone e una tovaglietta. 

L’”avventura” culminerà l’indomani alle 11.30 nel concerto vocale “I colori della musica” durante la quale saranno presentate due messe, una africana e una latino americana: la Missa Luba ricca di canti popolari e improvvisazioni, guidata dal griot senegalese solista  Badara Seck che con la sua linea di canto ne esalta lo stile etnico, insieme al Coro di voci bianche; e la Missa Criolla per Coro e Coro di voci bianche caratterizzata dall'uso di ritmi tradizionali della musica argentina.

Il biglietto costa 15 euro comprensivo dei pasti. C’è tempo fino a domenica 5 giugno per prenotarsi alla mail

Peter Stein alla Scala rilegge il Flauto magico di Mozart, e rivuole i 'dialoghi' nella lingua originale

Ha lavorato tutto il mese di agosto Peter Stein con gli allievi dell'Accademia scaligera per il Flauto mozartiano che mette in scena dai primi di settembre. Perchè per il noto regista la 'recitazione' dei cantanti è importantissima. Giusta osservazione, che fa il paio con l'altra, stravecchia, secondo la quale il Flauto mozartiano non è favola per piccini ma un profondo apologo sull'amore e sul cammino che porta dalle tenebre alla luce.
 Tre coppie in scena, ragiona il regista - con i vari contorni di dame e fanculli, due coppie di tre elementi ciascuna: una nobile ( Tamino e Pamina), una plebea ( Papageno e Papagena) ed una che ha a che fare con  il Bene e il Male ( Sarastro e Regina della notte) in lotta fra di loro. Stein si è anche scervellato per mostrare fra le prime due coppie una scena di sesso - che si  poteva risparmiare. Chissà se pensava a se stesso quando ha accusato i registi di oggi - escludendosi a priori - di fare qualunque cosa, spesso a dispetto della stessa pièce o opera che dirigono.
 Poi- come ha dichiarato in una lunga intervista a Giuseppina Manin del Corriere - d'accordo con il sovrintendente Pereira, ha deciso  di ripristinare  senza non tagliare neppure una  virgola dei dialoghi che caratterizzano il Flauto. Che però ha preteso in tedesco come nell'originale, mettendo sotto i cantanti perchè imparassero la lingua del libretto.
 Ma poi ha aggiunto, a sostegno della sua tesi secondo la quale  era necessario riproporre i dialoghi e nella lingua originale, che la recitazione  e gli stessi dialoghi sono 'perfino più importanti della musica'. Vacci adagio Stein. Senza la musica di Mozart - ma il discorso vale  per qualunque grande lavoro del melodramma - quella storia, non certo per bambini (e in questo concordiamo) sarebbe una delle tante strorielle, sarebbe nulla.
 Tutte le storie del melodramma, nessuna esclusa, dalle più normali a quelle più astruse, e ve ne sono, sarebbero semplici inutili storielle senza la musica che attribuisce loro un superiore valore che fa passare sopra anche la logicità e congruenza di tante di esse.

lunedì 15 agosto 2016

Helga Rabl-Stadler, presidente del Festival di Salisburgo, è 'Grande Ufficiale dell'Ordine della Stella d'Italia'

Insignita dell'onorificenza di "Grande Ufficiale dell'ordine della Stella d'Italia" Helga Rabl-Stadler, presidente del Festival di Salisburgo. La cerimonia si è svolta a Salisburgo sabato (13 agosto) dopo il concerto dell’Orchestra Filarmonica di Vienna diretta dal Maestro Riccardo Muti. L'onorificenza è stata consegnata dall’Ambasciatore della Repubblica Italiana a Vienna,  Giorgio Marrapodi.
“La Dott.ssa Helga Rabl-Stadler è una personalità di spicco nella cultura austriaca. È stimata non solo per le sue esperienze artistiche ma anche per le sue straordinarie capacità gestionali. In questa maniera ha contribuito essenzialmente alla fama di questo festival mondialmente apprezzato“, sottolineava l’ambasciatore.  “In stretto contatto con i più importanti musicisti italiani si è sempre impegnata per la promozione dell’arte, contribuendo considerevolmente all’approfondimento dell’amicizia fra l’Austria e l’Italia“.
„È un grande onore e un grande piacere ricevere un‘onorificenza ufficiale dal tanto amato paese che è l’Italia“,  ha commentato Rabl-Stadler.  Ha ringraziato Riccardo Muti “per questo meraviglioso concerto”. “Dal 1971 Riccardo Muti è la nostra stella principale, che illumina il cielo del Festival. Questo fine settimana sarà per la 250 esima volta sul palcoscenico di Salisburgo, - un caso unico! - che mi entusiasma quando  dirige la nostra Filarmonica di Vienna.”
Infine: “Quest’onorificenza mi riempie il cuore di gioia.  Credo che il mio amore per l’Italia sia scritto nel mio codice genetico: sono nata nello stesso giorno 2 giugno 1948, quando è nata la costituzione della Repubbica italiana. Per me l’Italia,  dopo la mia patria, rappresenta il meglio dell’Europa. Questa medaglia al merito è uno stimolo per me  sostenere con prestigio la presenza di artisti italiani in Austria anche in futuro”.

Festival di Lucerna. Ciclo 'Primadonna', il nostro sospetto è confermato

Quando abbiamo letto il programma dettagliato della giornata 'monstre' del prossimo 21, durante la quale sfileranno sul podio della Lucerne Festival Orchestra, ben cinque direttrici, ci siamo resi conto che i nostri sospetti erano fondati. Perché le cinque direttrici che  dirigeranno nel corso di un concerto maratona programmato dal festival: Konstantia Gourzi, Mirga Gražinytė-Tyla, Anu Tali, Maria Schneider ed Elena Schwarz sono evidentemente sconosciute ai più, e ad esse il festival non ha ritenuto opportuno offrire a ciascuna lo spazio di un concerto, come ha fatto per le altre: Emmanuelle Haïm, Marin Alsop, Susanna Mälkki e Barbara Hannigan che, invece, dirigono da tempo e sono abbastanza note ed apprezzate, optando quindi per un'ammucchiata in un sol giorno, anche se non dirigono tutt'e cinque insieme e contemporaneamente. Questo sì che sarebbe stato un bel colpo.
 Ora se il sovrintendente avesse avuto certezza del loro valore, sebbene  a carriera ancora tutta da fare, avrebbe dovuto dare a ciascuna di loro lo spazio di un concerto. Invece no, il sovrintendente ha voluto solo strafare, come si usa anche nei festivalini di quarta categoria, dove come primo obiettivo non si ha la qualità delle proposte, bensì lo sbalordimento del pubblico, solitamente 'ignorante'- inutile nasconderselo. A questo stesso principio ubbidisce anche la presenza dei cosiddetti 'bambini-prodigio'.

L'iniziativa del Festival svizzero, relativamente alla giornata dell'ammucchiata, ci ha fatto venire in mente un altro episodio, italiano, di qualche anno fa, veneziano, nell'ambito del premio 'Una vita per la Musica', alla cui prima edizione, alla fine degli anni Settanta,  1979, noi assistemmo al Teatro La Fenice, quando il premio venne attribuito ad Arthur Rubinstein: una serata di grandissima commozione che ci è rimasta nella memoria e di cui scrivemmo per Paese Sera, giornale al quale allora collaboravamo.
In una delle numerose edizioni del premio, che ogni anno veniva (e viene tuttora, ma con cambio al vertice. Dalle mani del fondatore, Tosi, è passato in quelle di Messinis) attribuito ad una personalità italiana e non del mondo della musica, si decise di attribuire il premio a Franco Ferrara, da tutti ritenuto il 'maestro dei maestri', fra i direttori d'orchestra. Ma gli organizzatori pensarono non al valore del premiato, un valore assoluto per riconoscimento generale,  che doveva costituire in ogni edizione la ragione fondante del premio veneziano, ma al fatto che egli, avendo smesso di dirigere in anni lontani  e dedicandosi in seguito solo all'insegnamento, ai più non diceva quasi nulla, e perciò nella medesima edizione decisero di premiarne due e non uno di direttori, mettendo al fianco di Ferrara, Gianandrea Gavazzeni. Era come dire che non potevano sprecare una edizione del premio con un nome che non avrebbe potuto portare al premio stesso lustro. Una vera porcheria. Che ci pare anche Lucerna desideri mettere in atto, destinando a cinque direttrici un medesimo concerto fiume.

Il ciclo 'Primadonna' del Festival di Lucerna fa bene alle donne musiciste?

 Non è la prima volta che un festival dedica attenzione al tema della presenza delle donne nella musica. In Italia, ad esempio, lo Sferisterio di Macerata, un paio d'anni fa, per volontà del suo capo, Francesco Micheli,  ha anticipato Lucerna, portando sul podio dell'Arena tre direttrici e in scena eroine , come Violetta, Manon, Tosca, con uno sforzo di immaginazione e produttivo senza pari.
 Al medesimo tema della presenza delle donne nella musica ha dedicato una vita di studi ed infinite iniziative Patricia Adkins Chiti, con la sua 'Donne in musica' e con la pubblicazione di alcuni volumi sull'argomento.

Ora  che arriva anche Lucerna che porterà nel festival donne compositrici, strumentiste, cantanti - finalmente anche le cantanti presenti ad un festival tanto importante -  viene da domandarsi quanto questo sbarco in massa giovi alla causa della 'parità' di uomini e donne nella musica. Con una attenzione particolare alle direttrici d'orchestra, tuttora abbastanza rare, mentre nel campo del canto come dello strumentale, ed anche nella composizione, come ha scoperto Lucerna, le donne sono in numero considerevole.
Ben 11 le direttrici che sfileranno sul podio del Festival di Lucerna. E, in un giorno particolare, il 21 di questo mese, se abbiamo capito bene, cinque di esse, dalla tarda mattinata a pomeriggio inoltrato, si esibiranno una dopo l'altra in un concerto fiume e 'monstre', nel senso di 'mostruoso'. Mai vista tanta concentrazione di donne sul podio nello stesso giorno ed in così poco tempo.
 Poi nei giorni successivi ciascuna di loro probabilmente ( noi lo spereremmo!) dirigerà il suo concerto, ma quella passerella dovrebbe servire, nelle intenzioni dell'acuto sovrintendente, a mettere le cose in chiaro,  e a far sapere che anche le donne dirigono.
 Servirà alla causa quell'ammucchiata?

Primadonna al Festival di Lucerna. Dichiarazione del sovrintendente, Michael Haefliger


Quest’anno la donna sarà la protagonista all’edizione estiva del Lucerne Festival. Le musiciste appariranno in primo piano su diversi fronti ma forse l’avvenimento di maggior risonanza consisterà nella presenza di undici direttrici d’orchestra: un convegno così numeroso rappresenterà sicura

 Il sovrintendente del Festival  di Lucerna Michael Haefliger sul programma di quest'anno che ha al centro il ciclo 'Primadonna': “In Occidente ogni costituzione ha come fondamento il principio dell’uguaglianza, dal quale deriva l’uguaglianza in diritto tra uomo e donna. Nella vita di ogni giorno tuttavia le cose vanno spesso in modo diverso. Per esempio le donne hanno dovuto battersi per ottenere il diritto di voto o, in Germania, per avere il diritto di esercitare un lavoro senza l’autorizzazione esplicita del marito – una disputa continuata fino negli anni 1970. Oggi ancora quote sono necessarie per permettere una miglior rappresentanza delle donne nelle direzioni e nei consigli di amministrazione delle grandi aziende. Anche nel campo musicale, affidare la direzione, precisamente la direzione musicale, a una donna non va da sé. Quando avete sentito dirigere una donna l’ultima volta? Quanti nomi di direttrici d’orchestra sareste in grado di citare? Non è una vergogna non saper rispondere a queste domande ma ciò mostra semplicemente il cammino che resta da fare. Dunque non perdiamo tempo e rimbocchiamoci le maniche.”

domenica 14 agosto 2016

Gli studenti italiani del Sud sono più intelligenti e bravi di quelli del Nord, si applicano di più e perciò alla maturità prendono voti migliori.

Puntuale come il sole d'estate, ogni anno, a conclusione degli esami di maturità, scoppia la polemica, alimentata dai giornali che non sanno di cosa parlare, sui voti ritenuti troppo alti degli studenti nelle regioni del Sud Italia. Puntuale come la trasmissione televisiva di inizio estate sulla 'prova costume'; o come il panegirico agostano a firma Aspesi, sul festival rossiniano di Pesaro, ancor prima che inizi  e senza conoscerne ancora gli esiti.
E la polemica è basata sulla convinzione che i professori che compongono le commissioni di maturità sono, rispetto ai loro colleghi del Nord, di manica più larga, anzi larghissima, abbondando negli esiti degli esami i 100 e lode. In cima alla classifica da molti anni la Puglia, poi Calabria, Campania, Sicilia; in fondo alla stessa classifica Abruzzo e Molise ed anche Marche, se non ci sbagliamo. In  mezzo le regioni 'lamentose' del Nord e centro Italia.
Secondo tali lamenti gli studenti del Sud non sarebbero più intelligenti e più bravi del loro colleghi del Nord; e la differenza di valutazione di intelligenza e bravura espresse in voto, sarebbe tutta colpa dei professori che armerebbero un complotto contro il Nord.
 Noi, invece, siamo assolutamente convinti della superiorità del Sud sul Nord, in fatto di intelligenza ed anche di bravura, relativamente agli studenti ed ai futuri professionisti. E che se Maria Stella Gelmini, ministro di disastrata memoria, venne al Sud ( Calabria) per prendere l'abilitazione di avvocato, che al Nord non l'avrebbe presa mai e poi mai, è solo perchè il Sud, al contrario del Nord, è stato sempre solidale ed accogliente verso i connazionali più deboli ed impacciati, provenienti da altre regioni, come nel suddetto caso.
 A quelli del Nord, comprendendovi opinionisti, statistici, giornalisti e professori, sostenitori della superiorità del Nord sul Sud e contemporaneamente  della manica più larga dei professori che operano al Sud - e quelli che dal Sud, e sono tanti, ed operano al Nord, che fanno gli riprogrammano la testolina sulla manica più stretta del settentrione, al cambio di regione? - vogliamo, per tagliare la testa al toro, proporre un esempio, in base al quale non potranno che convenire con noi sulla superiorità del Sud sul Nord.
 Un esemplare di animale umano settentrionale, quale Matteo Salvini, sarebbe mai potuto nascere e formarsi al Sud, e fare lì la immeritata carriera politica? La nostra risposta è no. Al Sud esemplari come lui sono molto rari, e una volta individuati  gli tagliano subito le gambe, per impedirgli di far danni da grande. Allora convincetevi, non c'è nessun complotto contro il Nord, ma solo naturale superiorità delle regioni del Sud su quelle del Nord, in fatto di intelligenza e di impegno scolastico, come attestano plasticamente quei 100 e lode, che per numero superano quelli assegnati al Nord, semplicemente perché al Nord non se li sono meritati.

Gustavo Dudamel tace sul presidente venezuelano Maduro, come taceva su Chavez, accusa Montero. Il difficile rapporto tra intellettuali e potere

Di fronte al potere oppressore, vi sono sempre stati sostenitori o fiancheggiatori ed oppositori. E, riguardo a  quest'ultimi, oppositori che si sono dichiarati senza mezzi termini ed anche pagato, con l'esilio con il carcere quando non anche con l'eliminazione fisica, ed altri che, invece, hanno preferito continuare a lavorare, senza scontrarsi apertamente con il potere, insomma a resistere 'passivamente' per salvare il salvabile.
 In quale di queste categorie entri anche il celebre caso di Furtwaengler non è così facile definire. Secondo alcuni egli tacque, per comodità, secondo altri egli non si oppose apertamente al potere per 'salvare il salvabile', assecondato dal potere medesimo che  così voleva dimostrare al mondo che in fondo tanto cattivo non era.
 Ora sono trascorsi molti anni dal quando Furtwaengler mantenne un certo rapporto con il potere nazista in patria, ed anche molte cose che dovrebbero indurre coloro i quali hanno voce in capitolo - e gli intellettuali veri, ed i musicisti anche sono fra questi - a parlare e denunciare. Mentre, ad esempio, non lo fanno personaggi come Lang Lang che sa bene che nel suo paese i fondamentali diritti umani sono calpestati.  A differenza del direttore Fischer che ha denunciato, addirittura attraverso un'opera, la repressione nella sua Ungheria, o come il pianista compositore turco, Fazil Say che fu condannato per aver criticato il potere del suo paese.
 Quando in Sud Africa  dominava l'apartheid, si discusse spesso dell'argomento, senza arrivare mai ad una conclusione univoca e soddisfacente, anche perchè direttori celebri come Bernstein, tanto per fare un nome, non disdegnava di andare a dirigere in quel paese il cui potere, alla luce del sole e senza vergogna, si dichiarava razzista.
 Veniamo ai nostri giorn, per i quali abbiamo citato i casi - esemplari ed encomiabili! -del direttore ungherese e del pianista iraniano; mentre potremmo, per l'altro verso citare il caso Gergiev che ha ottimi rapporti con Putin che certamente non è un campione di democrazia, ma che comunque protegge il Marijnsky di San Pietroburgo, mettendo Gergiev nelle stesse condizioni di Furtwaengler, sebbene il potere russo non sia paragonabile a quello nazista, però in Cecenia...
Potremmo anche citare il caso di Claudio Abbado assiduo frequentatore, per dar sostegno al 'Sistema', del Venezuela di Chavez ed anche di Maduro, come anche della Cuba di Castro, dalla cui bocca non ci pare di aver mai sentito parole di condanna dei rispettivi dittatori, ma solo lodi per qual che facevano per la musica.
 Adesso che la situazione in Venezuela è precipitata - mentre per fortuna quella di Cuba sembra aver preso  una piega migliore - anche i nipotini del grande direttore si comportano come il loro modello: tacciono. Colpevolmente o no ?
 Poprio in questi ultimi giorni è scoppiata una polemica, alimentata da una brava pianista venezuelana, Montero, residente negli USA,  che su quotidiani internazionali, si è dichiarata molto critica, contro Gustavo Dudamel, il quale contro i dittatori che hanno governato il suo paese ( Chavez) e lo governano tuttora ( Maduro) non ha detto una sola parola. Ha taciuto, ben conoscendo la drammatica situazione, tragica, del suo paese, alla faccia del Sistema, per la cui difesa egli si è giustificato.
 Dudamel non ha detto una sola parola - accusa Montero - perchè teme di perdere i privilegi e gli agi di cui gode ( lui è stabile a Los Angeles, e sembra fottersene  della tragica situazione del suo paese, dove mancano i beni  di prima necessità ed anche i medicinali; il popolo è allo stremo, sull'orlo di una catastrofe, se non fa prima una rivoluzione per cacciare Maduro). Il riccioluto direttore s'è giustificato dicendo che non ha mai detto una sola parola di appoggio ai dittatori del suo paese,  ha taciuto come accusa la Montero, e che vuole difendere il 'Sistema' fondato da Abreu.
 Ma anche altri accusa Dudamel di aver sbagliato tacendo, anche perchè se non parla lui che  è conosciuto e fa opinione, chi altri dovrebbe farlo? la povera gente che nonostante la tragedia che sta vivendo, continua a suonare e cantare  ' per sopravvivere'? Come facevano nei vari campi di concentramento i musicisti torturati ed internati, senza  che però in quella occasione il mondo conoscesse le atrocità dei vari campi di prigionia e concentramento, mentre  oggi l'opinione internazionale conosce e denuncia la tragica situazione venezuelana, e Dudamel tace.

Il capo gabinetto della sindaca Raggi, Carla Raineri, parla la lingua che tutti conoscono, parlano e capiscono: quella dei soldi

La polemica sul compenso, ritenuto abbastanza alto, del capo di gabinetto della sindaca di Roma Virginia Raggi, Carla Raineri, è divampata negli stessi giorni in cui un altro magistrato come lei, donna come lei, che avrebbe dovuto scrivere le motivazioni della sentenza nel delitto di Avetrana - la emissione della sentenza si ebbe l'anno scorso a luglio -  non le ha ancora scritte, a distanza di oltre un anno, perchè 'occupata nelle commissioni d'esame per la magistratura', facendo rischiare così alla magistratura stessa, la colpa della possibile scarcerazione della cugina della ragazza assassinata, condannata ad una lunghissima pena ( se ricordiamo bene, forse ergastolo) per decorrenza dei termini.
Chiunque si rende conto che i magistrati che lo Stato italiano paga bene non sanno discernere dove sia il giusto. Nel caso specifico se far parte di una  commissione esaminatrice o scrivere le motivazioni di una sentenza di condanna di un tremendo delitto.

Quel che è certo è che lo Stato italiano i magistrati li paga bene, come ha confermato con orgoglio Carla Maineri, che percepisce uno stipendio annuo di circa 215.000 Euro e che ora, lavorando a fianco di Virginia Raggi,  perde addirittura, rispetto al suo stipendio anteriore, all'incirca 1000 Euro al mese, guadagnando 193.000 Euro di cui un aparte andrò in viaggi ed albergo ( ma in quale 'due stelle' vivrà a Roma?), mentre il suo predecessore sotto Marino,  Luigi Fucito ( consigliere parlamentare che ha voluto e preteso  evidentemente lo stesso stipendio che prendeva alla Camera dei Deputati: 263.000 Euro. Ma allora, se dopo la Raineri, la Raggi dovesse chiamare Campo Dall'orto a fare il capo di gabinetto dovrebbe dargli 650.000 Euro di stipendio, secondo tale logica). Alla faccia dei limiti imposti dalla legge per chi lavora nel pubblico. Alla fine delle storia l'unico a prendere i 240.000 sarà solo il Presidente della Repubblica, mentre chiunque altro, non parliamo della Rai, riceve compensi che arrivano anche aa doppio e più del presidente Mattarella.
 Raineri ha poi spiegato che Lei ha lasciato la famiglia a Milano, dove spera di recarsi  il sabato e domenica, mentre tutti gli altri giorni lavora dall'alba a notte inoltrata, e che non è venuta a Roma a fare beneficenza,  e che insomma il lavoro va retribuito. Ci chiediamo. per quel che merita, o non tutti i lavori sono retribuiti secondo merito ed impegno, ma il suo è ben retribuito?
 E poi ha aggiunto, sulla magistratura, che chi critica il suo stipendio in realtà vuole attaccare la magistratura, dove Lei è entrata nel 1981, e guadagna quella cifra - come tutti gli altri magistrati, perché gli scatti sono AUTOMATICI - ora che ha sessant'anni.
 Il suo ragionamento non fa una piega sulla retribuzione, che tentiamo di paragonare a quella di una altro dipendente pubblico, il cui lavoro è altrettanto delicato di quello dei magistrati.

Ecco dove il ricorso alla lingua che tutti parlano, quella dei soldi , ha la sua efficacia, perché dimostra senza incertezza, il valore sociale ed economico che si dà ad una professione.
 Parliamo degli insegnanti. Noi siamo entrati nella scuola nel 1972, dieci anni prima della Raineri, da allora abbiamo sempre insegnato fino al 31 ottobre 2013, dunque  per oltre quarant'anni.
 Quale fosse il nostro stipendio agli inizi non lo ricordiamo più. Nell'82, dalle scuole superiori, passammo ad insegnare nei Conservatori di musica, dove siamo rimasti fino all'età della pensione.
 Da quando ci ricordiamo, e cioè da almeno una ventina d'anni prima di andare in pensione, il nostro stipendio non è mai cambiato, è rimasto  più o meno lo stesso di quello dell'ultimo anno ( non entriamo nella polemica relativa all'entrata dell'Euro, che agli stipendi 'normali', come non sono quelli della magistratura,  ed invece  lo sono quelli degli insegnanti, ha dato un durissimo colpo) il nostro stipendio ultimo è stato di  circa 40.000 Euro lordi  annui. Non vogliamo neanche aprire il capitolo di molti insegnanti costretti  ad insegnare lontano da casa senza che nessun bonus venga loro riconosciuto per tale costoso disagio.
Nessuna considerazione, secondo la lingua dei soldi, del delicato lavoro dell'insegnante, al quale non si dà neanche una lira di aumento all'anno, e questo, relativamente alla situazione degli ultimi sette anni, aggiunge  disprezzo a disprezzo, nella considerazione generale del suo lavoro.
Perciò la Raineri quando è entrata in magistratura forse aveva lo stipendio di fine carriera di un insegnante, ma poi negli anni lo ha quintuplicato, mentre l'insegnante è rimasto per quasi tutti gli anni di servizio, al palo. Tirate voi le somme nella lingua dei soldi.
 Intanto ci  auguriamo  che svolga secondo coscienza e scienza il suo lavoro di 'capo' del gabinetto della sindaca Raggi. Almeno questo.

venerdì 12 agosto 2016

Arcangelo Sannicandro, deputato SEL non metalmeccanico io lo conosco

Arcangelo Sannicandro, di un paio d'anni meno giovane di me, lo conosco dai tempi dell'Università, quando già militava nell'allora Partito Comunista, mentre io studiavo teologia. Lo conosco perchè ambedue eravamo di Trinitapoli, sebbene lui fosse nato a Corato. Ci incontravamo e frequentavamo nei mesi estivi, quando io tornavo al mio paese in vacanza. E allora giocavamo, ma con impegno, a fare io 'don Camillo' e lui Peppone, molto più giovani noi dei notissimi protagonisti cinematografici, nati dalla penna di un acuto scrittore (Guareschi). Nessuno di noi due pensava alla possibile abiura dell'avversario, e perciò ambedue ci limitavamo a sfoggiare la rispettiva verve contraddittoria, io tomistica, lui marxiana, ciascuno secondo le proprie capacità.
 Poi il Peppone trinitapolese di un tempo ha fatto tutta la carriera politica sempre nel Partito Comunista ed i suoi derivati; ed io, invece, ho cambiato abito, abitudini ed interessi. Lui alla passione politica ha unito la professione di avvocato; io, smessa la militanza e gli interessi religiosi, mi sono dedicato all'insegnamento ( Storia della musica) ed al giornalismo, militando nella critica musicale.
 Da allora sono passati moltissimi anni, i successivi nostri incontri, sempre estivi, e sempre più sporadici, si limitavano a rivangare le belle serate di un tempo a discutere su religione e marxismo, chiesa e partito comunista. Ora apprendo dai giornali che lui ha fatto i soldi ed io no, il suo UNICO ultimo arriva a 400.000 Euro, il mio non li ha mai sfiorati neppure nei periodi di maggiore ed intensa attività sui due fronti, ed oggi è molto ma molto lontano da quella cifra. Che egli attribuisce, in massima parte, al suo lavoro di avvocato.
 Oggi leggo di lui, a seguito di un intervento alla Camera dei Deputati, nel corso della discussione di   un progetto di legge dei '5 Stelle' che vorrebbero portare l'indennità parlamentare da 10.000 a 5.000 Euro. Un  progetto che Arcangelo ha rigettato, abiurando a prima vista la sua fede di Peppone - della quale agli inizi viveva - affermando: noi non siamo mica metalmeccanici, e rimandando tutti al suo Unico per dimostrare che lui non si opponeva al progetto grillino per soldi - lui ne guadagna  tanti facendo ancora l'avvocato - ma per una questione di principio: il parlamentare è un rappresentante del popolo che lo ha eletto, e non un lavoratore subordinato, un co.co.pro. qualunque. Una ragione in più per non opporsi. Ciao, Arcangelo,  ormai ex Peppone.

giovedì 11 agosto 2016

Caracalla della sconfitta? Perchè l'Opera di Roma non canta vittoria per la sua stagione estiva alle Terme?

Perchè non arriva ancora il bollettino della vittoria della stagione estiva dell'Opera di Roma a Caracalla? Forse perchè Fuortes è in viaggio fra Verona e Roma , con una deviazione verso Pesaro per consigliare la papessa Aspesi? O forse - più verosimilmente - perchè la vittoria cantata ancor prima di vincere la battaglia del successo di pubblico, non c'è stata?
 A noi che coltiviamo segretamente la religione dei numeri prima di quella dei proclami, piacerebbe avere il bilancio di Caracalla 2016, modello Auditorium, dove Fuortes si fa bello di aver mischiato i generi alti e bassi e bassi ed alti. Tanto che vi ha portato stelle del rock e financo un pianista classico a suonare  all'aperto nelle condizioni più inadatte che si possano immaginare mentre era circondato a mò di corona da un volo di gabbiani vocianti.
 Forse non lo conosceremo mai il bilancio, o forse ce lo daranno addomesticato - in fondo un bicchiere mezzo vuoto può sempre guardarsi come mezzo pieno - per non fare marcia indietro su certi modi  di far programmi, che se andavano bene all'Auditorium non è detto che funzionino anche a Caracalla.
 Tutto ciò ci addolora perchè ci fa capire l'estraneità di certi personaggi - parliamo di Fuortes, per essere chiari - al mondo dell'opera. Lui pensa, anzi è convinto, che con regie innovative si risolve il problema dell'opera. Non capisce - perchè non può - che l'opera , specie a Caracalla, è lo spettacolo popolare che tutti ancora amano e che, di conseguenza, non c'è bisogno che si affidi a registi che stravolgono vicenda e spettacolo. Impari, con il suo direttore artistico a scegliere bene i cast ed i direttori, e non disdegni i registi cosiddetti tradizionali. Il resto lo fa il melodramma.
 A Verdi, l'amato grande Peppino, bastavano poche indicazioni per la messa in scena, non aveva bisogno di registi che ridisegnassero scene e storia, mentre oggi i registi credono di non poter fare a meno di farlo.
 E allora restituisca a Caracalla la sua anima popolare, faccia opera e balletto e titoli popolari e tradizionali regie. Questo cercano  le migliaia di italiani e stranieri che d'estate affollano -  e affollerebbero ancora di più - Caracalla.
Che se ne fanno di Lang Lang che suona all'aperto senza nessuna protezione e con sistemi di amplificazione che già con l'opera fanno cilecca, figuriamoci con un pianoforte?
 E comunque attendiamo il bollettino finale. e se vittoria sarà ce ne faremo una ragione. Ma solo vittorie di numeri accettiamo.

mercoledì 10 agosto 2016

Il caso Fabio Grassi a Bologna. E li chiamano ancora giornalisti? ( Corriere di Bologna ripreso dal sito di Franco Abruzzo)

Dopo una riunione nella tarda mattinata con i vertici di Apt, Fabio Grassi si è dimesso dall' incarico di capo ufficio stampa dell' azienda di promozione turistica controllata dalla Regione. Una decisione inevitabile, dopo l' articolo pubblicato ieri dal Corriere di Bologna, in cui una collaboratrice del nostro quotidiano raccontava i dettagli dell' incontro avuto con Grassi lo scorso 29 luglio. In quell' occasione Grassi aveva convocato la giornalista e due colleghi di altre testate per raccontare di averli inseriti a loro insaputa nelle note spese di due pranzi (a febbraio e ad aprile del 2015) presentate in Apt per ottenere il rimborso. Peccato che, a quei pranzi, i cronisti non fossero presenti. Grassi - questa è la sua versione dei fatti - sarebbe andato al ristorante (conto complessivo 287 euro) con Dario e Jacopo Fo e con l' editore di Minerva Roberto Mugavero. Ma, sapendo che l' azienda non gli avrebbe concesso i rimborsi, ha inserito nelle note spese i nomi dei giornalisti chiedendo loro di confermare la sua versione dei fatti in cambio di alcune bottiglie di vino. Ieri mattina, quando i vertici della Regione hanno appreso la notizia, la poltrona di Grassi è apparsa subito traballante. L' assessore regionale al Turismo Andrea Corsini ha incalzato l' azienda: «Chiedo ad Apt Servizi di verificare immediatamente se i fatti riportati rispondano a verità». E poi: «Se le risposte che arriveranno dovessero confermare le rivelazioni del quotidiano, mi aspetto i provvedimenti disciplinari del caso. Non è pensabile che una Amministrazione come la nostra possa tollerare comportamenti che gettino discredito sulla corretta gestione delle risorse pubbliche. Siamo assolutamente intransigenti». Qualche ora dopo è arrivato il passo indietro di Grassi, annunciato con una nota firmata dalla presidente di Apt, Liviana Zanetti: «Ho accettato le dimissioni volontarie di Grassi motivate dalla volontà di tutelare l' immagine dell' Azienda». Zanetti si è detta convinta che le vicende raccontate «arrecano grave pregiudizio all' immagine dell' azienda», assicurando di avere attivato «un' accurata e approfondita indagine interna che, in tempi rapidi, faccia piena luce su ogni circostanza descritta». Le dimissioni sono state subito definite «un atto doveroso» dall' assessore Corsini, che gelido ha concluso: «Nei prossimi giorni mi aspetto da Apt una relazione su tutte le note spese di Grassi. Poi vedremo il da farsi». L' indagine interna dovrà accertare se Grassi abbia contraffatto altri giustificativi pur di ottenere i rimborsi dall' azienda. In Atp, dove Grassi era capo ufficio dall' anno della fondazione, il 1998, il passo indietro del capo ufficio stampa equivale a un terremoto. Anche perché, le opposizioni si sono subito scatenate e il Movimento 5 Stelle - che già aveva chiesto alla Corte dei Conti di indagare sull' ospitalità accordata da Apt ai giornalisti - è arrivato a sollecitare l' intervento della Procura. Ma anche il Pd è stato duro. Il segretario regionale dem Paolo Calvano ha definito «un bene» le dimissioni di Grassi: «Quello che ha fatto Grassi non poteva trovare giustificazioni - ha detto Calvano - Comportamenti del genere rischiano di mettere in cattiva luce tutta la pubblica amministrazione. Apt ora verifichi se ci sono altre situazioni simili a quelle descritte». Al netto di eventuali sviluppi giudiziari - ancora da verificare - le dimissioni di Grassi sono la prima conseguenza dell' interrogazione presentata in Regione a fine luglio dal M5S che aveva chiesto alla giunta il dettaglio delle spese sostenute da Apt per ospitare in Riviera giornalisti di testate nazionali ed estere. Nei faldoni erano venuti fuori decine di «ospitate» dagli importi variabili: dai 7.000 euro spesi da Apt per accogliere in occasione della Notte Rosa 38 inviati, ai 70 euro per invitare in osteria un cronista locale. Corsini, in quell' occasione, aveva difeso l' ente dicendo che i costi sostenuti dall' azienda «per permettere alla stampa di raccontare l' Emilia-Romagna sono di gran lunga inferiori alle tradizionali campagne pubblicitarie». Insomma, si tratterebbe di una strategia di marketing. Ma il presidente nazionale dell' Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino aveva avvertito i colleghi: «Farsi pagare i conti per scrivere sulla Riviera può costare un procedimento disciplinare». (Corriere di Bologna).

Sindaca Raggi, che aspetta?

Delle emergenze romane la lista, in questa torrida estate, si allunga sempre più. Alla 'monnezza' per la quale la stessa sindaca paventa una 'emergenza sanitaria' - ed è forse ancora la prima e più drammatica delle emergenze di Roma - la nuova inquilina del Campidoglio non ha dato ancora una risposta, come una emergenza merita: immediata e risolutiva, almeno provvisoria, mentre si pensano piani di più lunga durata e definitivi.
A questa s'e aggiunta, drammatica anch'essa, l'emergenza trasporti, in un periodo in cui Roma è invasa da turisti costretti ad attendere  il passaggio dei mezzi, anche in centro, per 40-50 minuti. Le cause: i mezzi rotti e la mancanza di soldi per i pezzi di ricambio  che  costringono molti mezzi a non uscire dai depositi.
 Poi le emergenze eterne, e d'estate ancora più gravi, come i parchi con i prati arsi dal sole, perchè anche le ville storiche cittadine o non hanno impianti di irrigazione o quelli esistenti sono fuori uso e perciò inservibili e le erbacce che ormai spuntano dappertutto, non solo nei prati ma ai bordi dei muri e marciapiedi. La Raggi, almeno gli impianti di irrigazione rotti potrebbe farli riparare, o no? E potremmo continuare.
La Raggi non ha scuse se non riesce intanto a tamponare le emergenze e ad occuparsi, contemporaneamente, di come risolverle definitivamente. I tempi che dimostra di avere non sono quelli di una città che ha bisogno in molti campi di risposte immediate.
 Si potrebbe aggiungere il tira e molla, che sa di ricatto, con il comitato delle Olimpiadi del 2024, solo perché  vuole sventare  'il sacco della città' di qualche comitato di affari di costruttori. Non può continuare a non assumere decisioni, avanzando che anche un sindaco capace di fare miracoli non può risolvere il disastro di decenni. Certo, ed ha ragione, ma non può nemmeno prendersela comoda e non far nulla, mentre la città va in rovina.
 Già, perché poi certe decisioni - quando si tratta di dare addosso alla sua parte avversaria, le prende. Come quella sulla vendita della Fiera di roma, per la quale ha abbassato il volume edificabile, che l'ha messa in contrasto con la Regione e la Camera di Commercio che non sono state interpellate, e che hanno - giustamente - minacciato dal canto loro di uscire dalle partecipate comunali, già afflitte da problemi ed ora  sul punto di affogare, come l'Auditorium, l'Opera di Roma, il Teatro di Roma, la Fondazione per il Cinema.
 Mandare tutto a puttane? Questo vuole la Raggi ed il direttorio che la consiglia -  troppo, e forse malamente -  per far vedere ancora una volta - come se  non lo sapessimo da tempo- in che condizioni le precedenti amministrazioni hanno ridotto Roma?
 I cinque Stelle non hanno gradito l'impietoso articolo di Francesco Merlo su Repubblica di oggi che delinea una città in rovina.  Ma che doveva scrivere?  Che la Raggi sta illuminando Roma? Quand'anche la illuminasse, i suoi raggi  renderebbero ancora più evidenti la rovina di Roma, anche sotto il cielo delle 'Cinque stelle'.

martedì 9 agosto 2016

Quelli che... la Macedonia è solo un dessert ed altre amenità giornalistiche

In questi giorni si sente spesso dire  dei danni e dei morti che ha procurato nel Messico il passaggio di un uragano. Negli stessi giorni - lo abbiamo letto su uno dei giornali che sfogliamo quotidianamente - venti morti ci sono stati anche in Macedonia, ma questa notizia non segue mai quella sul Messico, sebbene  dello stesso tenore ed argomento. Ci siamo dati una ragione: sicuramente per molti giornalisti, per i quali la scuola è soltanto un lontano spiacevole ricordo, che leggono le notizie, la Macedonia è soltanto un dessert e non una regione a noi vicina, più vicina del Messico; e perciò non si sono preoccupati più di tanto quando hanno letto dei morti a seguito di consumazione di dessert 'macedonia' e sono  passati oltre.

A proposito di giornalisti televisivi e del vestire acconcio. Questa sera la brava giornalista del Tg della 7, Fanuele ci sembra che si chiami, si è presentata con una camicetta blu cobalto con maniche diverse, una tagliata sopra il gomito, l'altra che arrivava fino al polso. E chi, come noi, non ha  capito a prima vista, che si trattava di camicia così confezionata, ha pensato che la brava giornalista non avesse avuto tempo di tagliare le maniche della sua camicia alla medesima altezza. Ecco quale strano pensiero una giornalista televisiva non deve far venire a chi l'ascolta ma la guarda anche e perciò si distrae anche da quello che dice.

Dal giornalismo televisivo a quello della carta stampata. Volete che vi diciamo  senza pudore come la pensiamo su un fatto oggi in evidenza? Ha fatto bene l'editore a licenziare il direttore del 'Quotidiano Sportivo' nazionale che ha pubblicato la notizia di una vittoria alle Olimpiadi, titolando le 'tre cicciottelle' in riferimento alle tre vincitrici in una medesima disciplina. Filippo Facci s'è stracciato le vesti e strappato i capelli per l'accaduto - il licenziamento. Noi no e crediamo che se lo sia meritato, per quanto apparentemente sproporzionato alla colpa. Perchè  agli occhi dell'acuto direttore è apparso  strano che tre cicciottelle vincessero, mentre sarebbe stato più naturale che a vincere fossero tre 'strafighe', le quali - caro ex direttore - vincono pure, ma solitamente in altre discipline, pur acrobatiche, ma di tutto riposo, e che  comunque  si praticano senza l'ausilio di tute, cuffie ed armi. Sicuramente nel giornale in cui andrà a lavorare, se gli accadrà, come gli auguriamo, sarà più prudente e più rispettoso del valore delle persone, e cancellerà dal suo vocabolario l'odioso termine il cui uso caro gli è costato:cicciottelle.

La Corte dei conti bacchetta mister Tod's o Franceschini, il ministro?

Il restauro del Colosseo, monumento simbolo dell'Italia nel mondo, è un affare che scotta e che dovrebbe produrre bruciature inguaribili più che sulle dita di mister Tod's  su quelle di Franceschini e della sua corte ministeriale.
 Cosa dice di così bruciante la Corte? Dice che i favori resi a mister Tod's, sponsor del restauro del Colosseo, che vi ha messo ben 25 milioni di Euro, sono eccessivi, soprattutto per la durata degli stessi.
 Forse vero, ma senza i soldi di Mister Tod's il Colosseo stava ancora in quelle pietose condizioni nelle quali si trovava prima del restauro. Per il quale il ministero di Franceschini e dei suoi inutili predecessori non era riuscito a trovare soldi. Versati poi  nelle casse del ministero da mister Tod's che ha aperto una fila di sponsor, che speriamo lunga e duratura.
 Lo stesso ministero, che non disponeva  nei suoi fondi di quei 25 milioni per il restauro del monumento, ha invece immediata disposizione di 18 milioni di Euro che il ministro Franceschini ha destinato al suo inutile progetto di ricostruire la platea lignea del monumento, dove ospitare sfilate e spettacoli di funamboli e majorettes ed anche per cene esclusive - come già avvenuto.
 Ma se Franceschini o qualche suo inutile predecessore avesse trovato subito i soldi necessari al restauro del Colosseo, non sarebbe stato costretto dalla necessità ad andare in cerca di sponsor con il cappello in mano.
 La Corte in sostanza dice che il ministero non può fregarsene dei suoi tesori,  mandandoli in malore, dicendo sempre che ha non ha fondi - fondi che poi trova all'istante per progetti come quello della ricostruzione della platea - e poi pretendere dagli sponsor, oltre i soldi che dice di non avere, una sensibilità disinteressata.
 Se altri mister Tod's mettessero mano ai  loro portafogli e dessero tutti i soldi necessari per rimettere in sesto il grande patrimonio italiano, chi gli va a  dire che  pretendono molto nello sfruttamento a loro favore dei beni restaurati?
 Il ritardo nella prosecuzione dei lavori al Colosseo - che  allunga i tempi di sfruttamento concessi a mister Tod's - non è imputabile allo sponsor, bensì al ministero che procede, anche quando ha i soldi, come un pachiderma, ma anche - guarda caso - al progetto folle di Franceschini della platea, la quale ha ritardato l'inizio dei lavori agli ipogei, già finanziati da mister Tod's.
 Ma allora la Corte bacchetti duramente Franceschini e si auguri che di mister Tod's l'Italia ne abbia ancora tanti.
 E poi, come mai nessuno - e neanche l'attentissima Corte - s'è lamentato di quella ignobile carnevalata ospitata nei Fori, pagata da un ricco 'pirata' della Malesia che ha una compagna cantante, intitolata 'Music for Mercy'? Quella orrenda serata, trasmessa anche dalla Rai con la benedizione del Vaticano, è servita solo a far sfilare in passerella quella giovane bella cantante, compagna del pirata.  Ed anche a lui. Non è stata una profanazione del Foro romano, senza che neanche un Euro il ricco malese destinasse alla sua manutenzione?

Al Rossini Opera Festival dà il via Natalia Aspesi

Con l'apertura della porta 'pesarese' affidata come sempre alla 'papessa' di fede rossiniana, Natalia Aspesi, che dalla prima edizione non ne ha mancata una, anche per presenziare alla tradizionale apertura della porta dedicata,  la 36° edizione del ROF può cominciare.
 Molte le novità di questa edizione, secondo la Aspesi, riconosciuta 'papessa' anche del giornalismo italiano.
 L'inaugurazione, che Lei ha  visto all'anteprima, è con  un titolo poco frequentato di Rossini, La donna del lago' - che nel suo giornale, La repubblica, è diventata 'ragazza' - già presentata a Pesaro, la prima volta molti anni fa (anni Ottanta), e che segnò la fulminea ascesa del podio di Maurizio Pollini e l'altrettanto fulminea ridiscesa. Quest'anno tutta un'altra musica, perchè sul podio  non c'è Pollini, ma Michele Mariotti, volto nuovo in quel di Pesaro che a detta di Carlo Fuortes, suggeritore della Aspesi ed uno che di direttori se ne intende, è il 'primo dei giovani direttori' (forse voleva dire il 'numero uno'). Che, prima di dirigere a Pesaro, ha diretto alla Scala e poi è diventato stabile a Bologna, da dove si porta a Pesaro anche l'orchestra,  per la gioia di papà Gianfranco,  'unico caso in Italia di un sovrintendente che è al timone del festival dall'inizio'. Una permanenza che per la Aspesi suona titolo di merito, per noi no, perchè pensiamo che dopo 37 primavere aggiunte a quelle sue anagrafiche precedenti, sarebbe ora che mollasse il timone, magari diventando presidente 'onorario a vita' della Fondazione che governa il festival, e nella quale da quest'anno è entrata anche Federica Tittarelli, naturalizzata romana, ma pesarese d'origine, nella cui villa di famiglia - come ci informa puntualmente la Aspesi, dandoci notizia della novità, si è svolta una sontuosa cena, alla fine della recita ( quest'anno anche la villa degli 'hermes' di Pesaro, i Ratti,  ha ospitato un secondo ricevimento).
 Lo spettacolo affidato a  quel diavoletto di  Damiano Michieletto, era di 'altissimo livello'- come ha suggerito alla Aspesi un altro che se ne intende, Alessio Vlad, in missione 'artistica' a Pesaro con Fuortes (la presenza della coppia dell'Opera di Roma in missione a Pesaro ci fa venire in mente un'altra gloriosa (?) missione, raccontataci  da Valerio Cappelli sul 'Corriere', quella di Catello De Martino, inglorioso(!) sovrintendente dell'Opera, al Concerto di Capodanno a Vienna, qualche anno fa) forse per ingaggiare per le prossime stagioni il 'primo dei giovani direttori', l'ancora giovane Mariotti,  magari in compagnia di sua moglie, cantante russa ormai celebre ('molto carina, con vitino di vespa e gambe perfette, voce sexy, disinvoltura ed ironia di attrice, è ormai una grande star', parola di Natalia ) conosciuta proprio in un festival pesarese, Olga Peretyatko, la cui presenza a Pesaro non poteva sfuggire all'occhio acuto della Aspesi che, anche per questo, ha dovuto citare il secondo titolo in cartellone e cioè Il Turco in Italia, visto anche questo secondo in anteprima.
 Chiude il reportage la Aspesi con un 'ultima notizia che ci procura grande piacere, e cioè che "quest'anno, malgrado la drammatica situazione internazionale, sono aumentati gli spettatori, soprattutto stranieri". E se il buon giorno si vede dal mattino, che scriverà a chiusura del festival?

lunedì 8 agosto 2016

Sostenitori ad oltranza degli incarichi a tempo, ora ci batteremo per gli incarichi a vita

Perchè abbiamo da sempre sostenuto che gli incarichi di grande responsabilità  devono essere 'a tempo' - regola da non applicare ai lavori comuni, quelli  che tutti vogliamo durino una vita o per lo meno fin quando si ha la forza di lavorare, insomma il cosiddetto 'posto fisso' che oggi, anche nei lavori più umili sembra in bilico?
Perchè quando si occupa un posto di rilevanza strategica, che comporta l'amministrazione di grandi numeri di dipendenti e di grandi somme di spesa, la permanenza a lungo nel medesimo incarico genera molti più problemi di quanti  apparentemente sembra risolverne l'esperienza maturata con gli anni. Già.
Prendiamo ad esempio i casi di alcuni dirigenti al massimo livello delle fondazioni liriche - che forse conosciamo meglio di altri - come i sovrintendenti o i direttori artistici, peggio ancora il caso - unico in Italia - dell'Accademia di Santa Cecilia, dove il sovrintendente è anche direttore artistico (conta poco il fatto che poi vi sia una 'direzione artistica' molto nutrita, di segretari, coordinatori, consulenti, direttore musicale ecc... e naturalmente di 'agenti' che hanno anch'essi il loro peso).
 Se si dà una situazione simile - come si è data per anni a Santa Cecilia, nel caso di Bruno Cagli che è rimasto al vertice per quasi vent'anni, salvo una breve interruzione - è evidente che i musicisti invitati siano sempre gli stessi - diciamo quelli ai quali 'artisticamente' (respingiamo perfino il semplice sospetto che vi siano interessi anche di altro genere) il direttore artistico è legato da  stima ed affinità. Sempre quelli, e chi rimane fuori lo è per sempre.
 Il medesimo discorso si potrebbe fare anche per i programmi e per tutto il resto. E restiamo volutamente sempre nel campo del lecito, ma non ci nascondiamo che  qualche striatura di 'illecito' potrebbe infiltrarsi in tanta purezza artistica.
 Se invece si cambia, mettendo nero su bianco che non si può restare nel medesimo incarico di vertice per più di due mandati- come accade in molti campi, perfino nella presidenza degli Stati Uniti- alle cose dal vertice si guarderà diversamente. Un capo azienda sa che più di due mandati non potrà ottenere, ed allora darà libero sfogo alle sue convinzioni, inviterà chi gli pare - fottendosene delle critiche degli esclusi - ma sa anche che alla fine del secondo mandato, nella migliore delle gestioni, dovrà lasciare. Ed allora forse nella sua testolina potrebbe fare capolino l'idea di lasciare un buon ricordo. Nel caso contrario, egli cercherà in ogni modo di farsi amici coloro che poi dovranno sostenere la sua ricandidatura e votarlo. Gli esempi sono tantissimi.
 Tutto quel che diciamo vale naturalmente per quegli incarichi che hanno a che fare con il settore pubblico, quelli cioè che senza il sostegno economico pubblico dovrebbero chiudere i battenti. Ecco perché abbiamo fatto l'esempio delle fondazioni lirico-sinfoniche. Nelle aziende private il padrone dei suoi soldi e del destino della sua impresa può fare quello che vuole, ben sapendo che se le cose vanno male  lui è finito. E lui i vertici, quando le cose non vanno per il loro verso, li cambia anche dall'oggi al domani. Mentre nel pubblico quando le cose vanno male, chi  ne è responsabile viene - non sempre - dimesso e basta; ci penserà 'pantalone' a rimediare ai disastri, ma con i soldi di tutti. Sta qui la differenza enorme che corre tra il pubblico ed il privato.
 Il discorso si può applicare anche alla Rai, sebbene proprio in queste settimane molti giuristi abbiano messo in luce la sua duplice identità: pubblica/privata.
 Insomma, tanto per restare in tema: i direttori dei telegiornali Rai devono rimanere nel loro incarico per sempre o dopo un certo numero di anni, due mandati al massimo , devono sloggiare? Se così si facesse , terminato l'incarico i direttori tornerebbero nel ruolo di 'dirigenti', da dove erano stati prelevati, perdendo solo l'indennità di direzione, e nessuno dovrebbe affannarsi a cercare un altro incarico degno di quello lasciato.
 Ora, però, abbiamo cambiato idea. Radicalmente.
  Dopo il recente cambio dei direttori dei Tg Rai, richiamandosi al principio che occorra ogni tanto cambiare - in due mentre in un altro non si è proceduto allo stesso modo - ci siamo convinti che i direttori dei telegiornali come anche i vertici delle grandi istituzioni pubbliche devono restare 'a vita' nei loro incarichi'. Semplicemente per evitare che ogni tanto arrivi il capo di turno e decida di cambiarne alcuni- chissà perchè solo alcuni - e lasciarne altri, senza nessuna, o poca, valutazione dei rispettivi meriti professionali e di risultato.

domenica 7 agosto 2016

Cafonal di Dagospia fa il tutto esaurito

La sezione dedicata a nuovi e vecchi cafoni nel fortunato sito internet (Cafonal di Dagospia) si  è intasata nelle ultime settimane sia per  le numerose visite che per  le infinite imprese che vi sono narrate. Fra tutte, alcune accomunate dalla volgare ostentazione dei soldi che solo  a chi nelle vene ha acqua più che sangue, vien in mente di fare.
 Oggi Grasso sul 'Corriere', riferendo di alcuni fatti di tale  pietoso comparto conclude dicendo che nobili si nasce e ricchi si diventa. Ed i protagonisti  citati dal noto critico nobili, in nessun senso lo sono, soltanto ricchi e  cafoni.
 E cita un celebre cantante, Fedez, quello che spara sentenze su tutti, anzi tutti contro, il quale sui social - sempre i social - perchè tutti questi i cazzi ( pardon, c'è sfuggito!) propri vogliono sempre mostrarli agli altri, sbatterglieli in faccia anche quelli che sarebbe meglio tenere nascosti, come  nel caso di Fedez? -  mostra quel superattico milanese da due milioni di Euro in cui vive.
 Sulla stesa scia e nella medesima  categoria dei cafoni arricchiti, un celebre giocatore del'Inter in viaggio verso Napoli ( purtroppo siamo costretti da una smodata  passione calcistica del nostro nipotino a tenerci aggiornati), Icardi e la sua signora che fanno sapere a tutti che hanno orologi da parecchie migliaia di euro ed anche altro. A noi verrebbe in mente di scrivergli via social: ' metteteveli...( scusateci ancora, ma questi te le tirano dalla bocca!).
E per finire, solo momentaneamente, la lista dei nuovi cafoni, le immagini postate dalla diretta interessata, la signora Bonolis, la quale ha fatto sapere a tutti che per andare in vacanza ha noleggiato un aereo privato ( lei poi si è giustificata dicendo che fra i figli ve n'è uno che ha problemi di deambulazione; per carità, bene ha fatto a noleggiare l'aereo). Ma a noi che ci frega?
 Ora Dagospia ci ha pregato di far sapere ai diretti interessati ed a tutti gli altri aspiranti cafoni, che la sezione 'Cafonal' è al limite, non c'è più spazio per nessuno. E perciò, almeno per un pò, si astengano dall'esibirsi in pubblico, attraverso i social.