giovedì 31 ottobre 2019

Roberto Bolle a Caracalla, luglio 2020. L'EVENTO degli EVENTI - comunica l'ufficio stampa dell'Opera. Ma Bolle e i suoi amici non va a Carcalla tutti gli anni dal 2011?

La Fondazione del Teatro dell’Opera di Roma è lieta di comunicare l’evento degli eventi del mondo del balletto, senza precedenti per gradimento e presenze, alle Terme di Caracalla: Roberto Bolle and Friends dell’eccezionale étoile scaligera Roberto Bolle già principal dancer dell’American Ballet Theatre di New York. Roberto Bolle and Friends è in programma il 14 e il 15 luglio 2020.
Il Gala dei gala che nasce dall’esperienza e dal carisma di Roberto Bolle qui in veste di interprete e direttore artistico, riunisce alcune delle stelle più brillanti del panorama ballettistico internazionale. Un evento straordinario, imperdibile per gli spettatori che dal 2011 accorrono alle Terme di Caracalla numerosi e desiderosi di vedere il loro beniamino e icona del balletto mondiale esprimersi in uno dei luoghi più suggestivi e maestosi della capitale. La bellezza del suo corpo perfetto e la sua eleganza lo rendono una creatura leggendaria. Il dialogo forbito che riesce a stabilire tra la struttura delle danze proposte e l’apparato architettonico lo sublima. Regala ai presenti un’esperienza estetica ed artistica profondamente emozionante.
Il Sovrintendente Carlo Fuortes nel rinnovare quest’appuntamento ricorda che “In questi anni Roberto Bolle, con la sua ineguagliabile capacità artistica e comunicativa, è riuscito a creare, alle Terme di Caracalla, un tempo ( ? ) di festa e di celebrazione della grande danza mondiale donando qualità e maestosità, generando empatia e unione di sentimento in un pubblico sempre più numeroso .”

Teatro Lirico di Cagliari. Si può dire : di male in niente? Ne parla anche il regista ( de che?) Stinchelli della Barcaccia di RaiTre, comico in trasferta a Cagliari

Giorni decisivi per la nomina del Soprintendente del Teatro Lirico di Cagliari: scaduto il termine per la presentazione delle candidature mentre per giovedì prossimo, 10 ottobre, è prevista la convocazione del Consiglio di indirizzo. E circolano già i primi nomi. Il più suggestivo è quello di Katia Ricciarelli. L'indiscrezione - con tanto di punto interrogativo - è stata lanciata su Facebook dal regista Enrico Stinchelli, a Cagliari in questi giorni per l'opera Attila. Secondo il conduttore della Barcaccia, programma radiofonico della Rai, Ricciarelli avrebbe già parlato giovedì scorso con il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu. Nel caso in cui la scelta ricadesse su di lei, sarebbe - spiega Stinchelli - la seconda donna-cantante lirica sovrintendente in Italia dopo Cecilia Gasdia a Verona.
Sarebbero trentatré le domande presentate al Lirico di Cagliari per la successione di Claudio Orazi, il numero uno uscente destinato al Carlo Felice di Genova. Nell'elenco - secondo le prime indiscrezioni - non ci sarebbe il nome di Katia Ricciarelli. Ma questo non significa che la cantante non sia in corsa: il Consiglio di indirizzo, che si riunirà giovedì 10 ottobre, si riserva di scegliere il nuovo soprintendente anche fuori dalla lista delle candidature presentate.
Tra i papabili uno dei più accreditati sarebbe Antonino Marcellino. Che però a giugno ha accettato la direzione dell'Orchestra sinfonica siciliana. Tra i pretendenti, poi, diversi ex soprintendenti di Cagliari, da Maurizio Pietrantonio ad Angela Spocci. E tra i nomi "forti" spicca quello di Marco Tutino. Non è detto, però, che la scelta debba ricadere su un "continentale". Ecco allora in lizza anche l'ex soprintendente Mauro Meli, direttore artistico nell'era di Orazi. In corsa, inoltre, Gianluca Floris, presidente del Conservatorio di Cagliari. (ANSA)

Varata la Commissione per vigilare sul razzismo e l'antisemitismo. La Lega e FdI si astengono per non finire fra i primi ad essere sanzionati. Forza Italia si associa: per restare a galla si attacca al salvagente Salvini che, naturalmente., la affonderà alla prima occasione

Con 151 voti a favore e 98 astenuti (Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia) l'aula di Palazzo Madama ha approvato la mozione di maggioranza a prima firma Liliana Segre, per l'istituzione di una Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza e razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza. Il voto e' stato accolto con un lungo applauso da tutto l'emiciclo, che si e' rivolto verso la senatrice a vita Segre. La mozione prevede che la Commissione sia composta da 25 membri eabbia compiti di osservazione, studio e iniziativa per l'indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base dell'etnia, la religione, la provenienza, l'orientamento sessuale, l'identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche. La Commissione controlla e indirizza la concreta attuazione delle convenzioni e degli accordi sovranazionali e internazionali e della legislazione nazionale relativi ai fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e di istigazione all'odio e alla violenza, nelle loro diverse manifestazioni di tipo razziale, etnico-nazionale, religioso, politico e sessuale, e avrà anche una funzione propositiva, di stimolo e di impulso, nell'elaborazione e nell'attuazione delle proposte legislative, e promuoverà anche ogni altra iniziativa utile a livello nazionale, sovranazionale e internazionale. Nel mirino ci saranno soprattutto i fenomeni di hate speech, i discorsi d'odio sempre più proliferanti nel web, forme di espressioni che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l'odio razziale, la xenofobia, l'antisemitismo o più in generale l'intolleranza, ma anche i nazionalismi e gli etnocentrismi, gli abusi e le molestie, gli epiteti, i pregiudizi, gli stereotipi e le ingiurie che stigmatizzano e insultano. Liliana Segre, reduce della Shoah, secondo il recente report dell'Osservatorio sull'antisemitismo, riceve una media di 200 insulti a sfondo antisemita al giorno. Secondo la senatrice del Partito democratico Monica Cirinnà "la collega Segre è un faro di lucidità, equilibrio, passione per la libertà, l'eguaglianza e il rispetto reciproco. L'istituzione di una Commissione speciale è importante per cominciare a ricucire il tessuto sociale e civile di questo Paese, per ritornare ad un uso responsabile del linguaggio ad ogni livello e soprattutto per imparare a riconoscere la violenza e dunque ad individuare gli strumenti più adeguati a combatterla". Meloni: rischio regime "La mozione Segre arriva da lontano, l'aveva presentata la Boldrini nella passata legislatura. Parte dall'antisemitismo, e va benissimo, e poi si allarga e comprende il nazionalismo, che non è illegale, e anche chi diffonde stereotipi. Che c'è di odio in questo?". Lo ha detto Giorgia Meloni a 'Fuori dal coro' a proposito dell'astensione del centrodestra al Senato sulla mozione Segre.  "Io non voglio finire in un regime, voglio vivere in una nazione in cui chi non la pensa come questi signori di sinistra non viene segnalato all'autorità giudiziaria", ha spiegato la leader di FdI aggiungendo: "Mi spiace che tutto questo sia inserito in un dibattito su un tema serissimo". Carfagna: mia FI non si sarebbe mai astenuta "La mia Forza Italia, la mia casa, non si sarebbe mai astenuta in un voto sull'antisemitismo. Stiamo tradendo i nostri valori e cambiando pelle. Intendo questo quando dico che nell'alleanza di centrodestra andiamo a rimorchio senza rivendicare la nostra identità. Se l'unità della coalizione in politica è un valore aggiunto, essa non può compromettere i valori veri, quelli che fanno parte della nostra storia". Lo afferma in una nota Mara Carfagna, vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia, dopo il voto al Senato sulla cosiddetta mozione Segre. Lega si astiene Il gruppo della Lega aveva annunciato in aula a Palazzo Madama la propria astensione sulla mozione di maggioranza a prima firma Liliana Segre per l'istituzione di una Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza e razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza. Nel suo intervento, la senatrice del Carroccio Stefania Pucciarelli ha spiegato che "non aver voluto trovare punti di condivisione per far nascere la commissione col consenso di tutti è stata un'occasione persa. Non per togliere nulla alla senatrice Segre - ha aggiunto - cui va tutta la nostra solidarietà, ma con questi presupposti il gruppo della Lega si asterrà". 

                                                                 (RAI NEWS)

Al concorso Rai per 90 giornalisti da assegnare alle varie sedi regionali si sono iscritti in 3770

Sono state 3.722 le candidature al concorso indetto da Rai per la selezione di 90 giornalisti professionisti da assegnare alle redazioni delle sedi regionali e delle province autonome italiane.
Alla chiusura dei termini, il 28 ottobre, segnala Viale Mazzini in una nota, “tutte le richieste sono state evase, nonostante la fase finale di raccolta delle adesioni sia stata caratterizzata da un incremento esponenziale delle candidature, con circa 1.400 richieste negli ultimi 3 giorni”.

Alla prima fase della selezione saranno ora convocati tutti i candidati iscritti alla selezione, mentre alla seconda e terza fase saranno ammessi i primi 270.
Commentando i numeri, l’UsigRai in una nota ha parlato di  “un successo”, e di uno “straordinario risultato già dal numero delle candidature”.
“Vuol dire che la Rai servizio pubblico è una azienda ancora fortemente attrattiva per chi vuole fare il giornalista”, commenta il sindacato, rivendicando “con orgoglio l’impegno speso per arrivare alla nuova selezione. Perché afferma in maniera irreversibile la via di accesso trasparente e meritocratica alla Rai. E perché porterà innesti preziosi per aiutare la necessaria e urgente trasformazione del servizio pubblico radiotelevisivo in servizio pubblico multipiattaforma e crossmediale”.
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La Raggi sbagliò anche la CALL nel caso della governance dell'Auditorium di Roma, poi corretta. Nulla ancora si sa dei nuovi vertici ( da Roma TODAY del 9 ottobre 2019)

Auditorium, la call per il nuovo Cda è da rifare: "Errore sulle scadenze". Tensioni tra Bergamo e Raggi

Call fatta male e condita di polemiche. Stavolta il pasticcio in Campidoglio riguarda la nomina dei vertici da mettere a capo della Fondazione Musica per Roma, ente a partecipazione pubblica che gestisce ideazione e programmazione degli eventi all'Auditorium. Ieri la manifestazione d'interesse è stata pubblicata sull'albo pretorio del Comune, oggi è sparita, rimossa, perché il termine ultimo per presentare la domanda era fissato al 15 ottobre. Meno di dieci giorni di tempo. 
Troppo poco, come fatto notare non senza irritazione dal vicesindaco con delega alla Cultura Luca Bergamo. "Immagino ci sia stato un errore materiale nella pubblicazione". Che poi in realtà gli sbagli sono più di uno. Alla finestra temporale ravvicinata si aggiunge anche l'inserimento della pec, la posta elettronica certificata, come indirizzo tramite cui inviare la propria candidatura, elemento che non favorirebbe, ha sottolineato ancora Bergamo, la partecipazione di nomi stranieri. 
Insomma, eccola qua l'ennesima bagarre con i soliti ingredienti che si ripetono: un bando sbagliato, da rifare, e tensioni sempre pronte a riaffiorare tra i componenti della maggioranza. Nel caso specifico tra il vice Luca Bergamo e la sindaca Virginia Raggi. I due avrebbero dovuto collaborare sulle nomine dei nuovi vertici, la seconda spingeva su una call pubblica, il secondo per una selezione a tavolino tra nomi di alto profilo, ma tutti provenienti dall'area di centrosinistra. Dettaglio, si fa per dire, che la sindaca non ha digerito. Così, senza saperne nulla, Bergamo si è ritrovato il bando pubblicato, con gli errori di cui sopra.  
Ne comparirà un altro nelle prossime ore. Ricordiamo che gli uscenti sono l'amministratore delegato Josè Dosal Noriega, nominato da Ignazio Marino nel 2015, il presidente Aurelio Regina, in carica da otto anni, la consigliera Azzurra Caltagirone, editrice del Messaggero, tutti in scadenza al 21 ottobre. Ma ora il Campidoglio vuole tagliare col passato. Unica possibile riconferma potrebbe essere quella di Dosal, nome di altissimo profilo, selezionato lui sì tramite una call internazionale, sull'Albo pretorio un mese un mezzo, alla quale risposero 140 candidati. 
Nella mattinata di oggi il vicesindaco si è affrettato a smentire le frizioni con la sindaca tramite una nota stampa. "A domanda sulla scadenza a breve dell'avviso per le candidature al CdA di Musica per Roma ho risposto che immaginavo un errore materiale vista la scadenza troppo vicina. Una constatazione confermata dai fatti. Il resto è ridicolo e non fa onore a chi lo scrive". Un gesto quasi obbligato visto il fragile rapporto di Bergamo con la maggioranza, specie con quella frangia di consiglieri che non lo tollera fin dall'inizio: troppo di centrosinistra, troppo vicino al PD.

martedì 29 ottobre 2019

Novità, fresche di giornata in apparenza ma vecchie di anni, negli organi direttivi del Conservatorio Casella - L'Aquila

Si tengono oggi al Conservatorio Casella dell'Aquila le elezioni del 'Consiglio Accademico' per il prossimo triennio che va a cominciare, parallelamente con la nuova direzione del Conservatorio, passata di mano - ma di poco, come dalla mano destra alla sinistra: da Piermarini, in carica fino al prossimo 31, cioè dopodomani, al suo vice Di Massimantonio, che assume ufficialmente la carica  l'indomani e cioè il 1 novembre, dopo che aveva vinto le elezioni interne  alla fine di settembre con una schiacciante maggioranza rispetto all'altro candidato, Ciamacco ( che ora, per consolazione, si candida al Consiglio Accademico, nel quale risulterà eletto).

 Di questa elezione e del passaggio di consegne fra 'soci': Piermarini e Di Massimantonio -  il secondo, che ora diventa direttore è stato, per i passati due mandati triennali del primo, suo vice, mentre ora il primo, a parti invertite, potrebbe diventare il vice del secondo, eletto direttore) abbiamo scritto già altre volte.
 Da quando erano giunte alle nostre orecchie  notizie relative al tragico scherzo che i due si approntavano a giocare al Conservatorio con il tacito consenso della schiera di sommi musicisti che vi insegna. 

Di Massimantonio, con la benedizione di Piermarini - pensate in quali mani finisce una istituzione musicale preposta alla formazione - è stato eletto direttore; si insedia, resta alla direzione per qualche tempo, tanto per interrompere i mandati del precedente direttore, poi si dimette - così dicono le voci dal sen del conservatorio uscite - Piermarini si ricandida e con la stessa politica usata in questi anni si fa nuovamente eleggere e magari anche per altri due mandati.  

Il Conservatorio dell'Aquila, dei cui membri il nuovo 'biennale' bollettino interno, Musica+, indietro con le pubblicazioni di quasi due anni (a differenza del precedente Music@, rivista di musica in piena regola, e non bollettino interno, che  è uscita per sette anni puntualmente ogni bimestre!) racconta le magnifiche gesta, non riesce a trovare  un direttore all'altezza della carica e si affida a organisti di secondo o forse anche terz'ordine o fila, se si preferisce, che evidentemente un qualche sistema per restare a galla l'hanno trovato o inventato,  per tenere nelle loro mani le redini di governo del Conservatorio per un paio di decenni. Come si annuncia e potrebbe accadere.

Adesso però c'è un'altra novità. Il direttore ancora in carica per quale giorno, ha firmato il decreto che indice le elezioni del nuovo 'Consiglio accademico'. E fra gli insegnanti che hanno presentato le loro candidature c'è, udite udite, anche lui: Giandomenico Piermarini. 

In sintesi: il direttore Piermarini,  ancora in carica,  presiede le elezioni dei membri del 'Consiglio accademico', fra i quali potrebbe essere eletto anche il m. Piermarini, da quando non sarà più direttore. Ma adesso, potrebbe il direttore in carica, sempre lui, Piermarini, a salutare l'elezione del candidato Piermarini  dal 1 novembre, quando cesserà dalla sua attuale carica di direttore.
E in attesa di ritorno, con la complicità di Di Massimantonio, e per suo volere, nominato suo come vice, per rendere  pan per focaccia a  chi se lo è messo al suo fianco per i sei passati anni di gestione del 'Casella'.

E questa anormalità, e quel che ne consegue, passa come una  normalità sebbene abnorme. Mentre il MIUR resta a guardare!

SCRUTINIO
Chi temeva di dover rinunciare alla presenza illuminante, negli organi direttivi del Conservatorio, del suo attuale direttore - ancora per un giorno - in scadenza, stia tranquillo: lo riavrà membro del Consiglio Accademico, a guidare la didattica del Conservatorio, e forse anche come vice del prossimo direttore, che prima di essere eletto era, a sua volta, il vice di Piermarini. ANCORA UN PAIO DI GIORNI DI ATTESA E IL NUOVO DIRETTORE LO NOMINERA' SUO VICE, al quale  sarebbe un peccato rinunciare.

lunedì 28 ottobre 2019

Dopo le elezioni in Umbria. PASTONE per cani a guardia di poltrone. Dove chi è completamente nel pallone è Di Maio che non capisce quello che dice e non sa ciò che vuole



LUIGI DI MAIO e tutti gli altri

La batosta elettorale in Umbria fa riflettere Luigi Di Maio. "Per la prima volta nella storia abbiamo deciso di fare un'alleanza, un patto civico, con il Pd. Questo esperimento non ha funzionato, in Umbria siamo a uno dei risultati più bassi, questo esperimento non è più praticabile. Il M5S va meglio quando va da solo", ha detto il ministro degli Esteri e capo politico del M5S, in un'intervista a Sky Tg 24 aggiungendo che "quello che mi interessa di più e' che si facciano le cose per l'Italia". "Sto lavorando affinché questo governo porti a casa il programma nei prossimi tre anni e poi si faccia valutare dagli italiani: il voto sarà il momento in cui potranno valutare se abbiamo fatto bene o male, questo è il nostro obiettivo". Ma sulle conseguenze del tracollo umbro dello schieramento giallorosso in versione civica, è braccio di fetto tra il premier Giuseppe Conte e il ledader della Lega Matteo Salvini: "Le elezioni in Umbria sono state un test da non trascurare affatto", ha detto Conte, "ma noi siamo qui a governare con coraggio e determinazione, il nostro è un progetto riformatore per il paese. Un test regionale non può incidere, se non avessimo coraggio e lungimiranza sarebbe meglio andare a casa tutti", ha affermati il presidente del consiglio . "E' un voto che ha anche una valenza nazionale", ha replicato Salvini, "Conte continua con la sua arrogante distruzione dell'Umbria, sbagliare è umano ma perseverare è diabolico...ogni giorno si apre un problema nuovo". Nicola Zingaretti, segretario del Pd, ha invece sottolineato che è "una sconfitta netta, ma il risultato conferma, malgrado scissioni e disimpegni, il consenso delle forze che hanno dato vita all'alleanza". Un modo come un altro per scaricare un po' la responsabilità dell'insuccesso su Matteo Renzi, l'ex premier ed ex segretario del Pd che ha creato da poco il nuovo partito, Italia viva. Il numero uno di Iv, però, ha replicato nel pomeriggio, dopo un po' di attesa: "In Umbria, come previsto, il centrodestra ha vinto nettamente le regionali. Credo sia stato un errore politico drammatizzare il voto di questa pur bellissima regione, errore compiuto sia rivendicando l'alleanza strategica fra Pd e Cinque Stelle, sia impegnando il capo del governo nella chiusura della campagna elettorale", ha sottolineato Renzi nella sua E news. "La foto di Narni, insomma, non ha aiutato a vincere. Penso che il governo debba preoccuparsi solo di governare, e di cercare di farlo bene. Noi stiamo dando una mano e continueremo a farlo: nei prossimi mesi continueremo con le nostre proposte su fisco e infrastrutture. I partiti che hanno voluto l'alleanza umbra rifletteranno sulle loro scelte. Noi come Italia viva siamo rimasti fuori dalla vicenda umbra. Nei prossimi mesi ci presenteremo alle regionali, a cominciare dalla Toscana, ma il nostro orizzonte continua a essere quello di andare in doppia cifra alle politiche. Che per noi si terranno nel 2023 e comunque dopo l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Leggo sui giornali che qualcuno attribuisce la colpa a me persino della sconfitta in Umbria. Mi spiace che si possa arrivare a tanto. Questo odio nei miei confronti ha qualcosa di inspiegabile. La verità è che quando ho lasciato la guida del Pd governavamo 17 regioni su 20. Adesso il Pd governa in 7 regioni su 20. L'idea di dire che è sempre tutta colpa mia non mi sembra geniale. Ma se serve a qualcuno per mettersi il cuore in pace, non replico, evito le polemiche e invito tutti a lavorare".



GIUSEPPE CONTE

All'indomani delle elezioni Regionali in Umbria, per il premier Giuseppe Conte la strategia di Governo resta il patto M5s-Pd.
 Secondo il premier, anzi, va rafforzato lo spirito di squadra perché "siamo nel pieno di un percorso ed oggi ho ancora più entusiasmo, più coraggio e determinazione di ieri". Questo è quello che il presidente del Consiglio ha detto al suo arrivo ad un evento Eni a Marina di Ravenna. 
 "Siamo all'inizio di questo percorso, abbiamo già impostato una manovra che si preannunciava limitata soltanto alla sterilizzazione dell'Iva, invece abbiamo messo tante altre cose, nel rispetto del programma. Siamo nel pieno di questo percorso". 
 Conte ha poi aggiunto che "quando nel 2023 ci confronteremo nella competizione elettorale saremo giudicati per quello che abbiamo fatto e se riusciremo a proseguire con entusiasmo saremo giudicati positivamente. E' su questo che dobbiamo concentrarci: dobbiamo recuperare spirito di coesione e non dobbiamo aver paura".
"Quando è iniziata l'esperienza di governo ci siamo impegnati con la massima determinazione e il massimo coraggio per un programma di governo molto articolato. L'azione di governo va proseguita e rafforzata, bisogna continuare con il gioco di squadra", ha insistito. 
Alla nuova presidente dell'Umbria Donatella Tesei, il premier fa i migliori auguri a nome dell'Esecutivo: "Io auguro, al nome di tutto il Governo, alla presidente Tesei che possa realizzare misure e iniziative per migliorare la qualità di vita dei cittadini umbri. E' giusto che abbiano risposte efficaci e all'altezza. Qualcuno ci sta criticando dicendo che manchiamo di rispetto ai cittadini umbri, ma non manchiamo di rispetto a nessuno" aggiungendo "questo non significa che io non tornerò in Umbria: il Governo non valuta il colore politico dei governi regionali. A chi mi ha criticato per essere andato a Narni in campagna elettorale dico che chi vi parla non ama i tatticismi, la convenienza personale. C'era da dare una mano e tornando indietro lo rifarei non una, ma mille volte".


MATTEO SALVINI e tutta la canizza

"Una sconfitta figlia di un accordo sbagliato". Così Matteo Renzi commenta il flop dell'intesa M5s-Pd in Umbria. Esulta, invece, Matteo Salvini: "E' stata una vittoria di tutto il centrodestra. Chi semina tradimento raccoglie tradimento", afferma. Franceschini ribatte: "Si vince con il buon governo, sbagliato dire stop all'alleanza con il M5s". I pentastellati sono divisi. Di Maio: "Il patto col Pd è una strada impraticabile".
Il 37% conquistato dalla Lega ha confermato che Matteo Salvini guida il primo partito in Italia, mentre i venti punti di distacco fra il candidato di centrodestra e quello di Pd e M5s sono suonati come una bocciatura dell'alleanza fra le due forze. Il mix ha alzato a livelli di guardia la tensione nella maggioranza di governo. 

Luigi Di Maio prima ha chiuso le porte a una riproposizione del patto per le prossime regionali e poi ha messo un bastone fra le ruote del Conte bis: il programma deve essere "migliorato e innovato" e anche sulla Manovra servono ancora discussioni. Il premier gli ha risposto con un consiglio che sa di avvertimento: "Lascio ai leader le valutazioni, ma dico loro di prendersi del tempo". Mentre il segretario Pd, Nicola Zingaretti, ha replicato con un semiultimatum: "L'alleanza ha senso solo ed esclusivamente se vive in questo comune sentire delle forze politiche che ne fanno parte, altrimenti la sua esistenza è inutile e sarà meglio trarne le conseguenze". 

Renzi: "Una sconfitta figlia di un accordo sbagliato" - La linea del Nazareno pare un po' questa: il M5s è crollato, il Pd al massimo si lecca qualche ferita, quindi non siamo noi quelli che temono di più il ritorno al voto. Alza la posta Matteo Renzi. A differenza degli altri leader e di Conte, il leader di Iv non ha "messo la faccia" sul voto umbro. E dopo la sconfitta ha commentato sarcastico: "Una sconfitta scritta, figlia di un accordo sbagliato", e la foto di Narni", con tutti i leader di maggioranza tranne lui, "non ha aiutato a vincere". Ma Conte ha rivendicato quello scatto: "Lo rifarei mille volte". 
 A mettere in moto lo sconquasso in maggioranza di governo è stata la dimensione della vittoria in Umbria di Donatella Tesei, che ha portato il centrodestra al governo regionale dopo cinquant'anni di giunte di sinistra. Per Donatella Tesei ha votato il 57,5% degli elettori, mentre Vincenzo Bianconi, che correva per Pd e Cinque Stelle, si è fermato al 37,5%. 

A livello di partiti, nel centrodestra la Lega ha ottenuto il 36,9% (contro il 38,2% delle europee), FdI il 10,4% (6,6%), il doppio di quelli di Forza Italia, ferma al 5,5% (6,4%). Mentre il Pd si è attestato al 22,3% (24%) e il M5s al 7,41% (14.6%). 

Salvini: "Per il governo giorni contati" - La lettura della tornata locale è subito sconfinata sul piano nazionale. "Per i signori Conte, Di Maio, Renzi e Zingaretti - ha detto Salvini - che sono momentaneamente e abusivamente occupanti del governo nazionale i giorni sono contati". Più diretta Giorgia Meloni: "Penso che il governo debba immediatamente rassegnare le dimissioni". Mentre per Silvio Berlusconi il centrodestra "è il futuro dell'Italia e ha il diritto-dovere di governare il Paese". 

Il boom di Fratelli d'Italia - Nell'alleanza si comincia intanto a pensare ai nuovi equilibri, alla luce della crescita di Fdi e del tonfo degli azzurri. Tanto che fra gli osservatori c'è chi ha fatto notare come in Umbria Meloni e Salvini avrebbero praticamente potuto fare a meno del cavaliere. 

 Nella maggioranza il contraccolpo è stato forte, ma nessuno ha dato seguito alla richiesta del centrodestra di lasciare Palazzo Chigi. Il governo va avanti fino al 2023, ha riposto Conte, "quando ci confronteremo con le elezioni e verremo valutati per quello che abbiamo fatto". E pure Di Maio, che appare il meno entusiasta, ha detto che sta lavorando "affinché questo governo porti a casa il programma nei prossimi tre anni". 


Di Maio: "5 Stelle al voto da soli" - Malgrado queste rassicurazioni, le posizioni del leader Cinque Stelle hanno colpito la maggioranza più delle picconate del centrodestra. I Cinque Stelle devono andare al voto da soli ,è la riflessione di Di Maio, perché le coalizioni, a qualsiasi livello e con qualsiasi alleato, ci fanno perdere consensi: "Per quanto col Pd ci lavoro meglio che con la Lega - ha detto Di Maio - al Movimento fa male lo stesso". 

E allora, alle regionali i M5s puntano a diventare "la terza via fuori dai due poli". E per stare nel governo chiedono una sorta di tagliando al programma e nuove riflessioni su alcuni punti della Manovra. Come sul cuneo fiscale, proprio una delle bandiere Pd. 

Fond.Isabella Scelsi - Roma. Riprendono le attività con la presentazione di uno studio di Walter Branchi

 

Fondazione Isabella Scelsi
via di San Teodoro 8
Roma

Mercoledì 30 ottobre 2019, ore 18.30


presentazione del libro
Intero - Verso una musica della complessità
di Walter Branchi
Edizione Fondazione Isabella Scelsi, 2019


Presentano:

Antonio Mastrogiacomo, Conservatorio N. Sala, Benevento
Michela Mollia, Conservatorio di Musica G. Rossini, Pesaro
Luigino Pizzaleo, Conservatorio di Musica S. Cecilia, Roma


Sarà proposto un ascolto di frammenti da Intero di Walter Branchi



Si prega cortesemente di confermare la propria presenza con una mail all’indirizzo fondazione@scelsi.it entro il 28 ottobre

Per sostenere l'attività culturale della Fondazione si richiede un contributo volontario minimo di 10,00 euro
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Prosegue l'avanzata 'stradelliana' capitanata da Andrea De Carlo. Teatro Torlonia, Roma, giovedì 31 ottobre ore 20.30



Di incerta attribuzione fino ai giorni nostri l’opera Amare e fingere è stata recentemente attribuita di Alessandro Stradella (1643 – 1682) grazie alle ricerche del musicologo Arnaldo Morelli (Università dell’Aquila). L’opera, su libretto di un anonimo letterato, forse da identificare con Giovanni Filippo Apolloni, fu rappresentata a Siena nella tarda primavera del 1676, in onore dei principi Agostino e Maria Virginia Chigi. Nel dramma vengono messe in scena le intricate vicende amorose dei personaggi che mascherano la loro vera identità, tra finzioni e sentimenti dissimulati.  Accade dunque che nelle favolistiche «campagne d’Arabia», vive sotto mentite spoglie Celia, una regina, che vive lontana dalla corte, dedicandosi alla caccia. La accompagnano Clori (in realtà Despina, una principessa persiana lontana dal suo regno) e il tutore Silvano, che cerca di indurre la regina a ritornare a corte e sposarsi al fine di assicurare la continutà dinastica del regno. Celia si innamora di Fileno, un uomo apparentemente di rango più basso, ma che in realtà è il il principe Artabano venuto in incognito dalla Persia per ritrovare la sorella rapita dieci anni prima dai predoni arabi. Tuttavia, a causa delle convenzioni sociali a cui è impossibile sottrarsi, né la regina né il principe possono sposare la persona che amano. Fileno si innamora di Clori, che a sua volta ama riamata Rosalbo. La tensione cresce per il fatto che Clori si trova ad essere contesa da due uomini, prima amici e poi nemici, divisi da un’aspra rivalità, che sta per sfociare in un sanguinoso duello. Ma la tensione svanisce, quando si scopre non soltanto che Fileno/Artabano è in realtà il fratello di Clori/Despina, ma che la stessa donna e Rosalbo, l’altro pretendente sono entrambi di stirpe reale. A questo punto l’ordine sociale è salvo: le due coppie possono unirsi in matrimonio e la storia può concludersi con un classico lieto fine.


Il discorso musicale. Se ne parla a Bologna presso il Museo di s.Colobano- collezione Tagliavini

CONVERSAZIONE DI ATHENA MUSICA

MERCOLEDì 30 OTTOBRE 2019
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INVITO
  
Gentilissima / Gentilissimo
  
a nome del Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Dott. Carlo Monti, e del Presidente di Genus Bononiae - Musei nella Città, Prof. Fabio Roversi Monaco, siamo lieti di invitarLa al primo appuntamento del ciclo "Le Conversazioni di Athena Musica", in programma mercoledì 30 ottobre 2019 alle ore 17 presso il Museo di San Colombano - Collezione Tagliavini (Bologna, via Parigi 5). 



L'ingresso libero e gratuito fino all'esaurimento dei posti disponibili.




Per informazioni: eventi@genusbononiae.it
  mercoledì 30 ottobre 2019 ore 17


Chiara Bertoglio
(Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale di Torino e Conservatorio di Cuneo)

Raccontare il discorso musicale, discorrere in musica: il Silmarillion
di Tolkien

Paolo Gozza
(Università di Bologna)

Psicoanalisi del clavicembalo.
Sul 'Sogno di D'Alembert'

***
Athena Musica, associazione nata dal Gruppo di Studio di Estetica musicale e Filosofia della musica da tempo attivo all'interno dell'Alma  Mater, propone un ciclo d'incontri sul tema Il discorso musicale
Ogni incontro desidera aprire la discussione tra studiosi e pubblico, proporsi cioè come un laboratorio di ricerche musicologiche, offrendo la possibilità di assistere "dal vivo" alla costruzione del pensiero musicale. 
Prossimi appuntamenti del ciclo:
18 dicembre 2019, 29 gennaio 2020, 25 marzo 2020 e 27 maggio 2020, alle ore 17.
San Colombano - Collezione Tagliavini
via Parigi 5, Bologna
 
Per informazioni:

GIULIA MARIA CRESPI. Quando i vecchi sono più giovani dei giovani ( da La Repubblica, intervista di Pino Corrias)




                                     GIULIA  MARIA  CRESPI


A proposito di Greta Thunberg dice: «Gli uomini sciocchi, rancorosi e vecchi ne parlano male. La deridono. Io invece adorerei conoscerla questa magnifica ragazzina di 16 anni che sta scuotendo il mondo. Mi piacciono i suoi occhi, il suo tono, il suo calmissimo furore».

Che cosa le direbbe?
giulia maria crespiGIULIA MARIA CRESPI
«Che è un seme del futuro. Che le sue parole daranno frutti. Che mi piacerebbe passare un pomeriggio con lei, magari sotto gli alberi della Zelata, ora che è autunno e tutto diventa così bello da scacciare persino la malinconia».

Giulia Maria Crespi, 96 anni, è seduta su un divano bianco. Beve una tisana fumante, ogni tanto mangia una mandorla salata. È la decana degli ambientalisti italiani. La signora del Fai, il Fondo per ambiente italiano che ha salvato ville, castelli, boschi, una parte preziosa del nostro paesaggio, magari piccola, ma con immensa risonanza, per restituirlo allo sguardo pubblico e fare della bellezza un dono.



I saloni del suo palazzo di corso Venezia contengono il silenzio delle cattedrali. E le sue parole un pezzo della nostra storia. Si ricorda «quando Milano era più bella di Parigi», con l’acqua dei navigli che correva accanto alle magnolie. L’acustica perfetta della Scala, prima dei bombardamenti. Le istitutrici a casa che le insegnavano Storia dell’arte e il latino, le fabbriche tessili di famiglia, le estati con gli Agnelli e i Franchetti. Mussolini che minacciava suo padre, proprietario del Corriere della Sera. Mussolini appeso in piazzale Loreto. Il ritorno dei prati nel Dopoguerra. L’asfalto e il cemento, a soffocare i prati, durante il Miracolo economico: «Sala è un buon sindaco, ma anche lui ama un po’ troppo i grattacieli».



Si ricorda della prima volta che entrò da proprietaria al Corriere, anno 1961, «tutti si inchinavano, mentre io tremavo perché sapevo di non sapere nulla». Si ricorda della bomba in piazza Fontana, il 12 dicembre 1969, quando Spadolini direttore scese in Cronaca e disse che bisognava smontare le pagine che accusavano i fascisti e rimontarle «dicendo che erano stati gli anarchici». Di quando lei licenziò Spadolini per piazza Fontana «e perché stava sempre al telefono con i ministri». Dei litigi con Indro Montanelli. Di quando la accusavano di essere troppo ricca, troppo comunista e addirittura l’amante di Mario Capanna, «quello del Movimento studentesco che io neanche avevo mai visto».



Ascoltata oggi, è una storia persino divertente.
«Una mattina vennero i poliziotti a circondare la Zelata, perché questo Capanna era latitante dopo certi scontri di piazza e lo cercavano a casa nostra. Non sapevo se piangere o ridere. Fui processata. Mi difendeva Giandomenico Pisapia, uomo e avvocato magnifico, ma io gli dissi che volevo difendermi da sola. E finì che diventai amica del giudice».

Quella fu la stagione di Piero Ottone direttore.
«Ottone è stato il mio maestro di giornalismo. Ha svecchiato il Corriere con Pier Paolo Pasolini in terza pagina, le inchiesta ambientaliste di Antonio Cederna, i reportage di Corrado Stajano».



Montanelli non amò quella svolta e preparò lo scisma.
«Credo che lui volesse diventare direttore o forse solo che io glielo chiedessi. Litigammo. Se ne andò. Non me ne sono mai pentita».

Però poi nuovi poteri finirono per estrometterla dal “Corriere”.
«Era il 1974. C’era la crisi. Si fece avanti Rizzoli che faceva da maschera ai soldi di Cefis e forse già allora al potere della P2. I miei due soci mi abbandonarono e mi abbandonò anche Agnelli».

Lei lo considerò un tradimento.

«Lo era. Mi aveva giurato che sarebbe sempre stato il mio cavaliere bianco. Invece non mosse un dito. Mi disse che i tempi erano cambiati ed erano cambiati gli interessi della Fiat. Andai a inginocchiarmi a casa sua a Roma. Lui disse al maggiordomo di accompagnarmi alla porta perché aveva da fare».

Eravate amici dall’infanzia.


«Andavamo insieme a sciare al Sestriere e d’estate a Forte dei Marmi. Mi ricordo una festa speciale di notte, avevamo vent’anni e facemmo tutti il bagno nudi. Quando mio padre lo scoprì, rimase orripilato».

E neanche l’amicizia bastò.
«Non l’ho mai perdonato. Anche se ho continuato a essere amica di Marella, la moglie, che ho visto soffrire moltissimo».

Era un re regnante.
«Regnava ammirato da tutti compresi i suoi operai alla catena di montaggio».

Finita la sua avventura al “Corriere”, iniziò quella del Fai.
«L’idea della fondazione venne alla mia amica Elena Croce. Era il 1975. Invece di lamentarci delle cose brutte potevamo impegnarci per salvare quelle belle che venivano abbandonate. Cominciai da una piccola spiaggia di Panarea, poi il castello di Avio a Trento».

Oggi i vostri siti sono più di sessanta.
«Tutti donati gratuitamente e aperti al pubblico. Un miracolo che vive grazie a migliaia di volontari e a milioni di visitatori».

La gente ama le cose belle. Ma gli uomini spesso si specializzano in quelle brutte.


«Il veleno è il profitto e l’ignoranza. Periferie orrende, fabbriche orrende. Pensi al Petrolchimico costruito nella laguna più bella del mondo. O alle acciaierie di Taranto, tra i due mari, che hanno avvelenato l’aria, la vita, ogni cosa. È il demone di re Mida che, trasformando tutto in oro, è morto di fame».

La giustificazione è il progresso, i posti di lavoro, il prodotto interno lordo.
«No, è l’idiozia. Quando distruggi in fretta, nel tempo lungo la paghi. La mia meravigliosa Sardegna è stata devastata da fabbriche chimiche e dal cemento sulle coste. Mentre potrebbe avere un’agricoltura unica al mondo, allevamenti, artigianato, un turismo non predatorio».



Colpa della politica?
«Colpa dei politici. Che non hanno una visione, non sognano, non vedono. Vogliono solo i voti del prossimo anno».

Quello che sognava più di tutti era Berlusconi.
«Peccato che sognasse solo per sé. Mi dicono sia diventato orrendo a forza di chirurgia plastica e di fondotinta. È vero che non conta più nulla?».

Il capo delle destre ora è Salvini.
«Dalla padella alla brace. Questo Salvini usa la paura, la rabbia e l’ignoranza per distruggere il Paese e l’Europa. Io penso che la nostra unica salvezza sia una Europa grande e unita».

È per questo che russi e americani la assediano.
«Trump è un uomo terribile. E anche Putin. E il turco Erdogan. Siamo circondati da matti».

Tra i politici italiani chi salva?
«Prodi certamente. Un po’ Rutelli. E Veltroni che al Partito Democratico ci ha creduto veramente. Io l’ho anche aiutato come potevo. Ora si è disgustato della politica. E andandosene mi ha deluso».

Renzi?


«È uno che fa e poi disfa. Vuole essere sempre al centro. Un po’ come il Berlusca che è tutto lui, solo lui. Lo sa che in Sardegna siamo confinanti? Una volta gli ho detto di venire a vedere le mie rocce sull’acqua e lui mi ha risposto che le sue erano più belle. Ma io so che sono sassi che ha fatto portare dai camion. Renzi uguale, vuole dominare. Ma poi cosa ha dominato?».

Grillo?
«Per carità, grida sempre».

Giuseppe Conte?
«Prima mi sembrava molto modesto. Ora parla, esiste, resiste. È un buon avvocato di mediazione. E la mediazione è la cosa che serve di più in politica».

Lei ama la politica?
«La mia politica è il Fondo ambiente italiano. Che vuol dire fare, investire, restituire, anziché chiacchierare. Il premio è migliorare di un millimetro la vita di tutti noi».

Il suo posto più bello?


«L’unico che ho comperato, Cala di Trana, a Palau. Era il 1958, c’era il mare, il vento, una collina. Dalla strada di terra battuta apparve una processione di carri trainati dai buoi, donne in costume, uomini a cavallo, avanzavano dentro a un silenzio sontuoso. Come in una visione magica. Ero in fuga d’amore con Guglielmo, che avrei sposato anni dopo. Era il posto del nostro destino».

Per questo ama così tanto la Sardegna?
«La Sardegna è diversa da tutte le isole del mondo. Naviga da sola nel tempo. Ha un profumo e una luce speciali. Per qualche ragione misteriosa, sono diventata molto più sarda che milanese. Più spirituale che materialista».

È religiosa?
«Non da messa alla domenica. Ma credo nel mistero della vita».

Ha paura della morte?
«No. Mi piacerebbe morire nel sonno, ma non avverrà».

Perché?
«Perché è troppo comodo. Morire è faticoso. E io sto morendo piano piano, ho avuto sei volte il cancro, non vedo, sento male, cammino male».

È favorevole all’eutanasia?


«Assolutamente no, non fa parte del mio destino. Ma ho due amiche che si sono già prenotate un posto nelle cliniche svizzere».

Quindi è contraria al divieto?
«Io sono contraria a tutti i divieti. Ognuno è libero di scegliere».

La chiesa è contraria.
«Ah, la chiesa! Io credo nella reincarnazione. Credo nelle ripetute vite terrene. E credo che per ogni bene fatto ci sarà un risarcimento futuro».

Quindi è ottimista?
«Sì, anche se sono convinta che in questo momento stia planando sul mondo uno spirito negativo. Quello delle guerre, del sangue. Ci saranno catastrofi, continueremo a avvelenare la vita e l’aria. Ma un minuto prima di soccombere, troveremo la forza di rinascere. Per questo Greta è così importante. Parla ai giovani, parla al futuro».

Anche lei lo fa.
«Sono contenta di averci provato. Di avere avuto e restituito. Avrei ancora tanta voglia di arrabbiarmi per l’arroganza e la stupidità degli uomini. Ma so che il mio tempo sta finendo. So che quando viene l’inverno cascano le foglie e la vita si ritira. Io mi sto ritirando».


Il latino non è una lingua morta e defunta. E, se studiata, farebbe un gran bene alle menti dei giovani di oggi ( da Corriere della sera, di Paolo Di Stefano)

Saggi. La storia dal punto di vista degli idiomi ne «Il caos e l'ordine» (Einaudi) di Lorenzo Tomasin


Il latino radice d'Europa : una lingua che vive ancora


di Paolo Di Stefano/Corriere della Sera


27.10.2019 - Ma il latino sarà davvero, come dicono, una lingua morta? A sentire Lorenzo Tomasin, autore de Il caos e l' ordine (Einaudi), no, il latino non è una lingua morta. È una lingua che sopravvive nelle lingue romanze (o neolatine), cioè nel portoghese, nello spagnolo, nel catalano, nel francese, nel provenzale, nel romeno, nel sardo, nel romancio e soprattutto nell' italiano.


«Il concetto di lingua morta , che associamo comunemente al latino (e al greco antico), è una nozione tanto intuitiva quanto ambigua», scrive Tomasin, linguista veneziano che insegna Filologia romanza all' Università di Losanna. Perché? Prendiamo il dalmatico, che un tempo era diffuso sulle coste orientali dell' Adriatico. Ebbene, quella varietà romanza si è sempre più esaurita sotto la pressione del croato, fino al giorno in cui è rimasto un solo parlante: Tuone Udaina, morto il 19 giugno 1898. Quel giorno il dalmatico si è estinto. E il latino?


Al latino non è successo ciò che è successo al dalmatico né ciò che è accaduto alla lingua misteriosa tra la Patagonia e la Pampa di cui narra lo scrittore italo-argentino Adrián N. Bravi nel suo ultimo romanzo: L' idioma di Casilda Moreira (Exòrma). Il cui vero protagonista è il günün yajüch , una lingua antica nota soltanto a una donna e a un uomo, Casilda e Bartolo, due settantenni che non comunicano più tra loro per una vecchia lite amorosa. Il destino di quell' idioma è dunque irrevocabile. Non conosciamo invece l' ultimo latinofono, semplicemente perché non c' è stato un ultimo parlante nativo del latino. Non si può neanche dire, a rigore, che le lingue romanze discendono dal latino al modo in cui un figlio discende dal padre o dalla madre, o un nipote dai nonni o dai bisnonni. Perché se il passaggio delle generazioni comporta la secessione definitiva dagli antenati, nel caso del latino c' è una «naturale e ininterrotta sopravvivenza attraverso il tempo e lo spazio».


L' italiano e le altre lingue neolatine sono il risultato della trasformazione del latino, di cui non c' è alcun certificato di morte. Dunque? La tesi è che il latino agisce ancora oggi, e per questo, tra l' altro, sarebbe consigliabile studiarlo.


L' immagine suggestiva che Tomasin ci propone, per analogia, è quella di certi edifici storici delle città italiane, che sono la somma di progressive ristrutturazioni, aggiustamenti, ritocchi, interventi a partire da costruzioni antiche o medievali: nonostante l' aspetto globalmente nuovo, non è raro che rimangano a vista alcune vestigia e tracce del passato se non addirittura qua e là le strutture portanti primitive nella stratificazione di epoche.


Del resto, tutte le lingue si sviluppano nella convivenza di ordine e caos, nell' alternarsi di equilibri e rotture, nella compresenza di movimenti di sistole e diastole, secondo una intuizione del grande linguista e filologo tedesco Heinrich Lausberg. Sono le coppie antitetiche su cui si articola il libro di Tomasin e alle quali si aggiungono lessico e grammatica, eccezione e regola, antico e moderno, natura e storia.


Tutto ciò porta a considerare che riflettere sul linguaggio è un modo illuminante per interrogare la storia, e nella fattispecie riflettere sulle origini comuni delle lingue romanze significa chiamare in causa la complessità della cultura europea. Per cui se il libro di Tomasin è un atto d' amore verso la filologia romanza, ovvero quella che gli studiosi tedeschi dell' Ottocento hanno battezzato come romanistica, è anche un atto d' amore verso il Vecchio Continente. Per la cui definizione in epoca post-bellica ha avuto un ruolo importante proprio la prospettiva linguistica che metteva in relazione la romanistica con l' area germanica. Ed è interessante che, come tiene a ricordare Tomasin, i contributi più notevoli alla comprensione delle lingue e delle culture romanze siano venuti da grandi maestri tedeschi: si pensi appunto a Lausberg e a Gerhard Rohlfs, ma anche a studiosi della letteratura come Ernst Robert Curtius e Erich Auerbach. Nomi ricorrenti nel libro, con quelli di altri numi tutelari della linguistica e della storia della lingua, Ferdinand de Saussure (con l' opposizione tra sincronia e diacronia), Graziadio Isaia Ascoli e Giacomo Devoto in primis.


Il leitmotiv del libro di Tomasin è dunque l' interazione contraddittoria e imprevedibile tra quelle forze centrifughe e quelle forze centripete che si possono individuare in piccoli e grandi fenomeni linguistici: intrecci che quasi contengono in sé il senso stesso della identità europea, sino a rendere legittima l' idea che il punto di vista linguistico possa contribuire ai dibattiti molto attuali su un' integrazione europea che tendiamo a ridurre a questione economica e finanziaria.


Insieme, però, Tomasin si preoccupa di far emergere e comparare i diversi filoni di studio che sorgono dalla divaricazione di fondo: da una parte chi punta sul linguaggio come proprietà universale (dunque come prodotto dell' evoluzione quasi fosse un fenomeno biologico) e dall' altra chi vede nelle lingue un fatto saliente del divenire storico.


Da una parte chi valorizza gli elementi di unità, dall' altra chi sposa le diversità e le mutevolezze. Va da sé che mettere in relazione e a confronto le due tendenze sarebbe molto più utile che tenerle rigidamente separate, come è spesso accaduto.


Fatto sta che la specola dell' evoluzione delle lingue romanze getta luce sulle più vaste e profonde ragioni umanistiche che tendiamo a trascurare. Provocatoriamente, ma neanche tanto, Tomasin rovescia il principio vulgato (dall' Ottocento) per cui le lingue sono prodotti culturali e dunque oggetti storici, proponendo una prospettiva capovolta: «È la storia a essere nel suo complesso un fenomeno linguistico». Per tante ragioni, Il caos e l' ordine è un originale contributo non solo scientifico ma anche militante.