mercoledì 8 aprile 2015

'L'affare Vivaldi' secondo Federico Maria Sardelli per Sellerio

Federico Mari Sardelli, direttore barocco e studioso del medesimo periodo musicale può considerarsi - come egli stesso si considera - Vivaldi reincarnato.  E' innegabile che Sardelli sia oggi uno dei massimi studiosi di Vivaldi. Di Sardelli, come di altri studiosi del medesimo barocco, non ci piace quando, calatisi nella persona del loro oggetto di studio, pretendono  con sicumera di ricrearne alcune opere in buona parte perdute, sulla base di pochissimi schizzi pervenutici. Addirittura qualcuno s'è arrischiato perfino a ricostruire opere intere partendo dal libretto, l'unica traccia dell'opera pervenuta fino a noi e di qualche noterella storica o di cronaca, oppure di considerazioni metriche o stilistiche. A noi, modestamente, ciò sembra troppo. perché, per quanto uno studioso possa conoscere a fondo  il musicista studiato, ogni singola nota, difficilmente potrà dirci quali soluzioni il musicista avrebbe adottato qui o là, semplicemente perchè Sardelli, ma potremmo anche citare i casi di Malgoire e di altri specialisti, geniale quanto si vuole e  massimamente competente, non è Vivaldi. Qui sta il punto.
 Con grande interesse abbiamo, invece, letto d'un fiato l'affascinante ed agile sua ricostruzione della riscoperta vivaldiana, dalla costituzione, agli inizi del Novecento, del famoso fondo vivaldiano ' Foà-Giordano' della Biblioteca Nazionale di Torino. Che è la seguente; e Sardelli assicura che ciò che ha raccontato è, in massima parte, la verità documentaria e che, solo in pochi casi, particolarmente nella narrazione di fatti e persone, immediatamente dopo la morte di Vivaldi, ha lavorato anche di fantasia.
 Cominciamo dagli anni Venti del Novecento, e da un salesiano che  fa sapere di possedere un lascito di partiture musicali di vari autori del quale, volendo disfarsene, chiede il valore al direttore della Nazionale di Torino (Luigi Torri) ed al musicologo Alberto Gentili. Il quale Gentili, aprendo un faldone dopo l'altro, scopre quali tesori quelle carte custodissero, valutandolo economicamente intorno alle 300.000 lire. La Nazionale di Torino non aveva i soldi per acquistarlo - le Biblioteche in Italia sono sempre vissute in ristrettezze - ma Torri e Gentili si mettono alla ricerca di un benefattore che voglia acquistarlo per farne dono alla Biblioteca. Alla fine lo trovano nella persona dell'agente di cambio Roberto Foà, il quale lo acquista  'in memoria' del suo figlioletto deceduto in tenerissima età.
 Gentili si mette, allora, a studiare quel lascito prezioso, in previsione di una futura catalogazione e ripubblicazione. Ma si accorge che mancano alcuni faldoni, quelli che sul dorso riportavano un numero pari. Risale al donatore del fondo ai salesiani, la nota famiglia Durazzo. Dopo  un lavoro diplomatico sopraffino riesce ad incontrare il marchese Marcello Durazzo, di un altro ramo della famiglia patrizia, a Genova, il quale nella sua vasta biblioteca, ha proprio i faldoni 'pari' mancanti al fondo già acquisito dalla Nazionale.
 Gentili fa di nuovo una valutazione del secondo fondo,  Torri e Gentili cercano un nuovo compratore, che  trovano nella persona dell'industriale tessile Filippo Giordano, il quale elargisce la somma di 130.000 Lire  necessaria per il secondo acquisto e così l'intero ricchissimo fondo vivaldiano viene costituito presso la Nazionale di Torino, assumendo il doppio nome delle famiglie dei benefattori acquirenti: 'Foà-Giordano'. Ed arriviamo agli anni Trenta.
 Il regime esulta per l'acquisto, salvo poi a perseguitare in seguito i protagonisti della riscoperta, perchè ebrei.
Prima che Gentili, padre della notissima clavicembalista italiana,  Gabriella Gentili Verona,  sia costretto a fuggire all'estero, diventa il curatore del fondo che Ricordi avrebbe dovuto poi pubblicare, man mano che lo studioso andava trascrivendolo  in notazione moderna. La notizia, che si era sparsa  fra gli studiosi del barocco musicale, giunse anche alle orecchie di Ezra Pound e della sua compagna dell'epoca, Olga Rudge - che lavorava all'Accademia Chigiana di Siena - i quali allora stavano trascrivendo Vivaldi, utilizzando i manoscritti conservati a Dresda.
 I due andarono a Torino per incontrare Gentili ed avere acceso ai manoscritti vivaldiani. Sardelli descrive con molti particolari - alcuni presumiamo di fantasia - l'incontro vivacissimo fra i tre. Pound chiedeva a gran voce i manoscritti, Gentili opponeva che c'era un contratto di esclusiva con Ricordi e che egli aveva già cominciato a studiarli e tarscriverli. Bastava attendere. Non solo. Quando vide le trascrizioni di Pound e della Rudge, non potè  non far notare ai due gli errori grossolani nei quali erano incorsi, il più evidente dei quali era  l'aver ritenuto che i pentagrammi vuoti, nel corso di una composizione volevano indicare sempre che gli strumenti interessati tacevano. Gentili fece loro notare che quei pentagrammi molte volte stavano a dire che gli strumenti suonavano all'unisono quel che era indicato sul pentagramma notato e che perciò non c'era necessità alcuna di riscrivere quella parte dal compositore.
Pound telefonò a Roma, da dove fece arrivare un duro richiamo a Torri. Il regime funzionava. Poi i concerti a Rapallo ad opera di Pound e Rudge, e la riscoperta vivaldiana a Siena,, nel corso di una memorabile 'Settimana musicale senese', nella quale una parte considerevole ebbe anche Alfredo Casella, auspice il conte Guido Chigi Saracini.
 La fine della storia è triste, anzi tragica, ma non per Vivaldi che da allora ha ricominciato a risplendere. Per gli eroici fautori della sua riscoperta, ai quali si deve la costituzione del 'fondo Vivaldi' torinese, tutti perseguitati dal folle regime fascista per le nefaste sue leggi razziali.

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