venerdì 31 gennaio 2014

Quando un manager competente mena il can per l'aia

Fuortes, nel ruolo di sovrintendente, dopo la sua prima uscita nella quale ha reso nota l'effettiva consistenza del buco all'Opera di Roma, intervistato da Anna Bandettini su 'La repubblica' di oggi, dà la sua ricetta per salvare l'opera che in Italia gode della peggior fama possibile, mentre all'estero  è sinonimo di creatività  e vanto per il nostro paese.
  Si sa qual è il problema italiano dei teatri lirici: poca produttività, ingerenza eccessiva della politica nella gestione e nelle nomine dei dirigenti, privilegi accumulati negli anni,  piante organiche gonfiate ad ogni cambio di gestione - una stratigrafia clientelare non sarebbe poi tanto difficile da  tracciare - consulenze inutili,  spese folli per allestimenti che durano meno di una stagione e per titoli desueti, programmazione assolutamente scriteriata. Senza che mai si chieda conto agli amministratori di  buchi di bilancio che ad ogni cambio di gestione si scoprono immancabilmente.
Nell'intervista si citano i pochissimi casi virtuosi italiani: Fenice, Scala,Regio, Santa Cecilia - quattro su quattordici - tutti gli altri hanno bilanci non proprio in ordine ed alcuni buchi stratosferici, quasi impossibili da colmare. Salvo che non intervenga ancora una volta Pantalone, che d'ora in avanti speriamo sia  fatto fuori per voltare definitivamente pagina, come invocherebbe la Legge Bray.
 Certo, nonostante tale legge, non fa ben sperare , ad esempio, il fatto che a Cagliari abbiano richiamato Mauro Meli che, quando se ne è andato via agli inizi del anni Duemila, s'è scoperta una voragine di debiti. Ora quello stesso teatro lo richiama a ricoprire lo stesso ruolo  del passato? Cose da non credere.
 Può fallire un teatro come l'Opera di Roma?  Su questo dubbio,  poco amletico, che ha una sola risposta: no, si è retta la politica di sempre dell'Opera di Roma. Nessuno dei suoi amministratori  vi è stato nominato perchè competente,  nessuno o quasi; tutti hanno rappresentato la longa manus dell'amministratore di turno, il quale ha coperto durante il suo governo ogni nefandezza che, puntualmente, è venuta alla luce, al termine dei ogni gestione. Compresa quella presente, per la quale agli amministratori da poco licenziati - anzi nessun licenziamento perchè De Martino, per effetto di un vergognoso paracadute sta ancora lì come direttore del personale, e  il direttore artistico, protetto da Muti, è inamovibile - non è stato chiesto conto del deficit che , per la sola stagione 2013, ammonta a 10 milioni circa. Che cosa ci ha fatto con quei soldi. Risponderà : non mi fate parlare perchè 'metto tutti in mutande' (naturalmente: tutti i consulenti e gli altri che hanno beneficiato della pappatoia) è la solita risposta mafiosa di chi comanda non per provata capacità ma perchè lo manda qualcuno. De Martino non ha detto neanche questo, perchè siamo ad un grado ancora inferiore di responsabilità.
Allora qual è la ricetta di Fuortes per sanare  l'Opera in Italia, ma noi saremmo felici che salvasse almeno l'Opera di Roma che è stato chiamato a governare, neanche più il Petruzzelli che sembra trovarsi in cattive condizioni economiche - ma non l'aveva salvato, Fuortes?
La ricetta di Fuortes è incisiva:  fuori la politica dal teatro; aumento della produttività; prepensionamento per una sessantina di  dipendenti; ridiscussione del contratto integrativo; ridefinizione del ruolo di Caracalla.
Si dirà: belle parole, frutto di buone intenzioni. Ma dopo il dire, concretamente cosa vuol fare?
Cominciamo dalla fine. Caracalla. Muti ha appoggiato il progetto del Festival Caracalla, caldeggiato dall'intellettuale Alessio Vlad, che ogni anno ha prodotto uno spettacolino in un ambiente riservato, intimo delle terme, per complessive 1000 persone o poco più in cinque o sei serate, e l'anno scorso  ha messo in cartellone un'opera di Purcell con la regia di Chiara Muti, e non vede di buon occhio una grande platea popolare. Fuortes dovrebbe dire cose concrete, non soltanto la diversa  collocazione degli spettacoli d'opera nelle grandiose terme. O forse anche lui soffre di complessi di inferiorità e vuole dimostrare di essere uno competente offrendo al pubblico internazionale  spettacoli che uno non va a Caracalla per vederli. Forse va all?Auditorium, il cui modello non è esportabile, compreso  quella sua inclinazione alla regia d'autore che forse in provincia, Bari, può aver funzionato.
Quando parla di aumento della produttività non deve farci andare con la mente a quel che ha fatto a Bari, dove ha sì aumentato la produttività del teatro,  ma portando le rappresentazioni operistiche da 39 a 41 - in UN ANNO !!!
 Potrà prepensionare un pò di gente, certo, potrà anche annullare le consulenze e far lavorare di più l'orchestra, ma poi dovrà decidere come articolare la stagione. La Fenice, ad esempio, ha trovato un sistema  particolare che guarda  al centro Europa (quasi teatro di repertorio) dove la produttività delle grande case del melodramma non è  certo paragonabile a quella italiana. Alcuni titoli del grande repertorio ritornano con regolarità nelle stagioni successive al debutto, il che permette di ammortizzare le spese degli allestimenti ed anche di diminuire i cachet degli artisti scritturati per più stagioni di seguito. Queste cose concrete avremmo voluto sentire da Fuortes , che questo problemi deve  conoscerli se non altro per l'esperienza barese, e non per la sua  lunga gestione dell'Auditorium di Roma-. che è tutt'altra cosa da un teatro  d'opera. Ed invece. generiche affermazioni, che , però, promette, per lunedì, dati e prospettive di risanamento più concrete.
 Infine gli storici spettacoli del teatro, firmati da grandissimi artisti ed i 60.000 costumi del teatro... si vede che di queste cose Fuortes s'intende poco. Certi allestimenti e costumi possono esser esposti in mostre , riprenderli per il palcoscenico è impresa più costosa che farne nuovi ed inutile.
 Voglio solo ricordare a Fuortes - giacchè parla dell'enorme lascito del suo archivio storico scenografico e costumistico - che la più bella mostra con i bozzetti di  Enrico Prampolini  dell'Archivio storico dell'Opera, gentilmente prestati dal sovrintendente Ernani, l'ho fatta io a Palazzo Vitelli di Città di Castello, nel 2004, da direttore artistico del Festival delle Nazioni. La scelta dei bozzetti e la presentazione della mostra la affidai al prof. Maurizio Calvesi. Non ho mai visto, negli anni a seguire, una mostra altrettanto prestigiosa  negli spazi del Costanzi o del Nazionale.
Allora di cosa parliamo? Sempre e solo di Muti che nel corso dell'intervista - fatto assai curioso - non viene citato neanche una volta? Una rondine, anche se di razza, non fa primavera da nessuna parte.

mercoledì 29 gennaio 2014

Questi sono gli italiani. letto sulla stampa

E' appena uscita la classifica dei 400 più noti e più apprezzati scienziati mondiali. Fra essi ben otto sono italiani. Da quanto si è letto, si tratta di scienziati che lavorano in campo medico e sono  un  autentico vanto per il nostro paese. Da loro vogliamo essere sempre rappresentati, loro vogliamo esportare.
Basta con la classe politica che, giorno dopo giorno, si scopre intenta a badare solo ai propri interessi; artefici di ruberie da lestofanti; disinteressati alle sorti del paese; volgari ed analfabeti; basta con le donnette, amanti del principe, che pontificano su tutto sapendo di nulla, e scelgono  i nuovi avventori del parlamento da suggerire al principe di turno.  Queste e quelli non sono l'Italia, anche se sono in vetrina per colpa di chi li ha nominati, come vanno ogni giorno ricordando le donnette a chi  alza la voce: senza il principe non esistereste. Dunque zitti!
Questa Italia non la vogliamo più, deve finire. E devono sparire per sempre, non necessariamente in qualche prigione della quale si butta via la chiave, coloro i quali hanno ridotto l'Italia così. E sono in tanti, agendo o stando a guardare.
Per noi l'Italia è solo quella di quegli otto scienziati italiani che onorano il nostro paese.

lunedì 27 gennaio 2014

Troppe teste bianche, quasi tutte nella platea della sala sinopoli dell'auditorium di roma. Ragazzi zero

Una serata davvero commovente quella trasmessa da Rai 5 per la 'Giornata della memoria', che cade il 27 gennaio, giorno anniversario della nascita di Mozart. La JuniOrchestra dell'Accademia di Santa Cecilia sul palco, in mano una bella collezione di violini appartenuti a musicisti vittime dell'olocausto e che possono, ciascuno, raccontare una storia disumana ed esaltante, a seconda delle circostanze e dei tempi. Il liutaio che li ha raccolti e restaurati ha giustamente fatto notare che l'ultima voce ascoltata dai deportati prima di finire nelle camere a gas, era la voce 'umana' di un violino. Poi il solito volto del noto musicologo di Rai 5 ci ha detto le solite parole d'occasione.
 E, finalmente, la musica. Fra un brano e l'altro del concerto,  Manuela Kustermann  ha raccontato le commoventi e tragiche storie di quegli strumenti, alcuni dei quali dai campi di concentramento finirono, con le loro note di dolore e di morte, nelle mani dei musicisti sopravvissuti che vollero fondare l'Orchestra della Palestina, il cui primo concerto venne diretto da Toscanini, come tutti sanno, e che fecero cantare nuovamente a quegli strumenti la vita.
In platea ad ascoltare il lunghissimo concerto-commemorazione c'erano numerose autorità, oltre naturalmente all'intero stato maggiore della comunità ebraica. Insomma tutti quelli che in simili occasioni devono esserci, la cui presenza è sacrosanta;  ma altri mancavano.
La platea era piena di teste bianche o pelate, o cotonate e tinte; mancavano  i giovani che erano quasi del tutto assenti. Gli unici  giovani erano quelli che suonavano, che non erano neanche tutti giovani, alcuni addirittura ragazzi. Perché? Non era rivolta principalmente a loro questa giornata ricordo, per prepararli a combattere tutte le barbarie del mondo, quando sarà il loro turno, nel caso avessero la sventura di trovarvisi  nuovamente invischiati?
 Anche a Roma come a Milano, poche ore prima, la serata televisiva è stata macchiata dalla telecamera che andava a fermarsi sui volti di alcuni noti. Banale!

Gli italiani e la musica

Siamo convinti che a guardare quella folla commossa che riempiva la piazza antistante la Scala,  alle 18 di oggi,  in silenzio, inondata  dalla Marcia funebre beethoveniana, eseguita dall'orchestra del teatro diretta da Barenboim, che proveniva dall'interno della Scala vuota  ma con porte aperte, in ricordo di Claudio Abbado scomparso una settimana fa, siamo convinti - dicevamo- che  non c'era nessun politico, nè tra quella folla, nè davanti ai teleschermi di Rai 5 che ha trasmesso in diretta quella doverosa e riconoscente commemorazione. Perchè,  se fossero stati presenti fra quella folla o davanti ai teleschermi,  avrebbero capito, finalmente ed una volta per tutte, che gli italiani non sono indifferenti alla musica, come loro, menti bacate e meschine, vanno pensando e supponendo.
 Quello spettacolo di popolo, quella musica, la Scala vuota erano eloquenti di per sé. Non c'era bisogno di altro. Per questo non abbiamo seguito, di proposito, le  poche parole della giornalista  che non abbiamo apprezzato, perchè fuori luogo e in un ruolo per lei non appropriato, in occasione dell'inaugurazione della Scala, sulla medesima rete.
Come anche  non abbiamo apprezzato quel fermo immagine  che ci faceva vedere in primo piano e per più di qualche secondo, un tempo interminabile data la circostanza, il prossimo sovrintendente della Scala,  Pereira, che aveva accanto la sua giovanissima moglie orientale, stilista, ed anche, sebbene solo per un istante e di sfuggita, il sovrintendete prossimo a lasciare, Lissner
Non c'era proprio bisogno. La sovrintendenza della Scala è altra cosa.  Quel soffermarsi ha in certo modo sporcato  lo spettacolo del silenzio e della musica in ricordo di Claudio Abbado. Vogliamo mettere un burocrate, anzi due, per quanto illuminati, con una direttore che tutta la sua vita ha servito con devozione l'arte della musica, senza  che per questo si abbia a santificarlo?

Anche la guardia di finanza denuncia, mentre il governo fa orecchie da mercante

 Un problema che ci sta particolarmante a cuore  per il quale una possibile soluzione non si intravede neanche in fondo al tunnel delle cose irrisolte italiane, è quello del doppio o triplo impiego di  pubblici dipendenti - del  caso Mastrapasqua non non serve occuparci, lui è al di là di ogni immaginazione, sovroccupato! -  nel nostro caso di insegnanti nei Conservatori, classe alla quale fino a due mesi fa appartenevamo anche noi, che svolgono parallelamente  attività di direzione artistica o amministrativa di società ed istituzione private, finanziate anche con soldi pubblici.
La Guardia di Finanza ha denunciato, nel suo rapporto annuale, oltre mille casi di dipendenti pubblici, ad ogni livello, impegnati - contra legem - in  incarichi fuori della pubblica amministrazione, per i quali naturalmente ricevono compensi, con grave danno per lo Stato.
 Nel numero di novembre di Music@ ( si consulta su :www.consaq.it) avevamo già sottoposto all'attenzione dei lettori il caso di numerosi insegnanti di conservatorio italiani che svolgono anche altre mansioni. E l'avevamo fatto perché nel caso particolare di un insegnante del Conservatorio dell'Aquila, il tribunale aveva sentenziato che tale secondo incarico era incompatibile e perciò lo  ha condannato a restituire allo Stato i compensi 'privati' ricevuti. Anche in quel caso la Guardia di Finanza aveva  detto che l'incarico di direttore artistico in un teatro abruzzese era incompatibile con quello di insegnante nel Conservatorio aquilano, il quale  ha iscritto nella sua relazione di previsione del bilancio 2014 le somme da restituire da parte del dipendente illegalmente impiegato fuori dal Conservatorio, come stabilito da tribunale e guardia di finanza.
 Forti di queste sentenze, alla fine di ottobre, prima di decadere dal nostro incarico di dipendente pubblico, avevamo scritto alla direzione del Conservatorio dell'Aquila per investirla del caso di alcuni insegnanti aquilani impegnati in incarichi  non consentiti dalla legge. Non sappiamo quale esito abbia avuto quella nostra lettera ufficiale protocollata. Fino ad oggi i direttori del conservatori come anche il ministero hanno fatto finta di non sapere, oggi possono continuare in questa logica da struzzo, sapendo che la legge impone loro di sapere, anche informandosi direttamente in assenza di sollecitazione diretta,  di vigilare e di intervenire secondo la disciplina che regola lo status giuridico di dipendente pubblico?
 Ora invieremo analoga richiesta al ministro Carrozza ed al Capo dipartimeno AFAM, sperando di  non trovarli ancora una volta distratti perchè impegnati nello studio di altre faccende meno rognose.

domenica 26 gennaio 2014

Nella musica i soldi non contano

E allora che cosa conta? Conta la qualità di una proposta, il suo nobile scopo. Quanto basta perchè tutte le migliori forze presenti si muovano in sua difesa e sostegno.
 Veniva da riflettere su ciò proprio in queste ultime settimane, vedendo i giornali  - le televisioni  sono per il popolo, non sanno appassionarsi alle nobili cause delle élites culturali - inondati di musica. Pagine e pagine sui due maggiori quotidiani che hanno per oggetto la musica; e siamo solo all'inizio perchè il sostegno alla nobile causa della musica continuerà ancora a lungo.
E non ci riferiamo naturalmente alla triste circostanza della scomparsa di Claudio Abbado - Claudio, più semplicemente, per tutti.
 Pensiamo alla foto gigante di Muti che da mesi campeggia sul Corriere per le opere di  Verdi. E più di recente, sempre sul Corriere, a quella di Barenboim per Beethoven. Ed ancora ad Abbado sulle pagine di Repubblica. Ad onor del vero  le pagine 'musicali' dei giornali non si esauriscono con questi tre campioni, ve ne sono altre, ad esempio su Repubblica, di pressante invito a seguire le lezioni di musica del noto musicologo Augias.
Perchè tanto fervore musicale  su giornali che hanno relegato la critica musicale in angoli sempre più ristretti- come ha fatto notare lo stesso 'stato maggiore' della critica musicale italiana, nel corso di un pubblico dibattito sull'argomento? Per un cambio di marcia. Perchè finalmente anche i giornali, che vanno da tempo dicendo che la cultura è il vero motore di riscossa del nostro paese, cominciano ad agire di conseguenza.
E, infatti, quei giornali stanno mandando in edicola  alcune  proprie collane discografiche che hanno a protagonisti oltre che Verdi e Beethoven, anche Muti, Barenboim ed Abbado. Ed intendono venderle, non arrendendosi di fronte alla crisi, anzi sfidandola.
Per la stessa ragione, ci ha sorpreso leggere nel Domenicale del Sole 24 Ore di oggi la solita doppia pagina dedicata al Massimo di Palermo -  a pagamento? dagli con i soldi! no, gratuita per servire alla nobile causa del teatro palermitano -  dove si inneggia alla nuova stagione aperta da un'opera rara di  Richard Strauss, affidata per la regia a Emma Dante. Non una parola che riprendeva il filo del discorso là dove l'anno scorso proprio il Sole 24 Ore l'aveva interrotto, quando  si schierava in difesa del sovrintendente Cognata, defenestrato dal nuovo/vecchio sindaco di Palermo. E non era il solo,  perchè l'aveva fatto anche  l'associazione critici musicali, che non parla mai e che, inaspettatamente, aveva spezzato una lancia a favore della gestione Cognata.
 Ora il Sole 24 Ore, vista la nobile causa del nuovo corso,  si scorda del passato volutamente -  e gratuitamente, vogliamo ribadirlo - per servire alla nobile causa del nuovo corso, scende in campo, lancia in resta.
 I soldi nella musica non contano. Come volevasi dimostrare e noi abbiamo, in minima parte, dimostrato.

sabato 25 gennaio 2014

Muti orfano di Abbado


 Non vogliamo parlare delle rispettive carriere musicali, sulle quali  in questi giorni sulla base di  un copione unico, si sono esercitati tutti i giornali. Vogliamo, in questo caso, guardare ai due con gli occhi del cronista, non del critico musicale.
E, adesso, che faranno i giornalisti che periodicamente attendevano la chiamata di  Abbado per correre da lui e poi, una volta tornati in redazione, attendevano un' analoga chiamata da Muti? Perchè, se non lo sapete, le cose andavano esattamente così. I due si facevano una sorta di guerra a distanza,  da nemici di fatto, a dispetto di ciò che avevano in comune, come una coppia di fratelli (coltelli).
Differivano,  profondamente, per il diverso carattere:  chiuso, ombroso, quasi scostante Abbado, apertissimo,  compagnone, spiritosissimo Muti; e la diversa indole musicale: Muti più viscerale, natura di musicista; Abbado più  razionale, costruito con studio ed applicazione; ma anche per le famiglie d'origine: Abbado ha alle spalle musicisti, Muti liberi professionisti: suo padre era medico a Molfetta.
Ma ciò che li univa era molto di più di tutto quello che li ha divisi, in ogni senso. Innanzitutto l'aver iniziato da giovani una grande carriera, Abbado a Milano, Muti a Firenze; l'essere stati a capo di  orchestre di fama mondiale, da quelle londinesi per ambedue alle americane per Muti, mentre Abbado ha prevalentemente lavorato in Europa; il forte legame dei due, seppure con diverse modalità, con i Wiener.
E poi la Scala. Sembra un destino: ambedue vi sono rimasti come direttori stabili o musicali che dir si voglia per diciotto anni: dal 68 all'86 Abbado, dall'86 al 2004 Muti. Nessuno dei due è arrivato  alla soglia dei venti anni,  colonne d'Ercole di 'permanenza' che nessuno può superare indenne, e poi l'uscita di ambedue a seguito di forti contestazioni. La Scala 'madre' che aveva accolto i due giovani direttori nel suo grembo diventa 'matrigna', alla soglia della maggiore età (di permanenza): li  caccia fuori casa o se ne vanno sbattendo la porta, a seconda dei punti di vista. Anche se vien voglia di dire che  una permanenza così lunga alla fine stufa, ed impone, anche senza traumi, un ricambio.
Per ambedue l'amicizia con Napolitano. Abbado per  ragioni di comune militanza politica e forse di più lunga data, Muti per conterraneità campana, sebbene non bisogna mai dimenticare che Muti ha vissuto la sua giovinezza a Molfetta ed ha fatto i primi studi musicali al Conservatorio di Bari, proseguendoli a Napoli.
 Ciascuno dei due ha fatto concretamente terra bruciata attorno all'altro. Negli anni scaligeri quando c'era Abbado Muti credo non abbia mai diretto alla Scala - anche se di questa notizia non siamo così certi; mentre sappiamo bene che negli anni di Muti a Milano, Abbado  non vi ha mai più messo piede, nonostante  gli ipocriti appelli - Claudio torna! - specie dopo la malattia.
 Ambedue, sebbene la bilancia in questo caso penda a favore di Abbado, hanno dedicato belle energie ai giovani. Abbado ha inventato  parecchie orchestre giovanili di grandissimo pregio, ultima la Mozart, per la quale tutti  - speriamo non solo a parole - sembrano prodigarsi perché sopravviva al suo fondatore; Muti ha inventato la sua Cherubini. E negli ultimi tempi hanno  giocato anche a prestarsele,  per mostrare al mondo intero che  erano amici e che l'antagonismo di cui anche noi parliamo, è pura invenzione giornalistica e di costume.
 Ma anche in famiglia ci sono molte affinità: in ciascuna famiglia dei due direttori c'è un regista ed un operatore musicale che hanno operato (o operano) a stretto contatto con il patriarca. Per Abbado, Daniele il regista ed Alessandra  a capo di Ferrara Musica, organizzatrice delle tournée dei Berliner in Italia,  organizzatrice anche per la Mozart; per Muti, la figlia Chiara regista ed attrice, e sua moglie Cristina, a capo del Ravenna festival. E nessuno ci venga a dire, dopo morte, che Abbado non abbia fatto nulla per i figli, perchè direbbe il falso;  il che vale anche per Muti: Chiara e Cristina sono di casa all'Opera di Roma, dove lui resta il sovrano assoluto, anche dopo l'arrivo di Fuortes, chiamato a  mettere in sesto le disastrate finanze del suo regno.
 Adesso c'è un punto che  li diversificherà  e che mai potrà accomunarli:  morto Abbado, senatore a vita,  Muti non potrà  mai esserlo, prendendo il suo posto ( come si andava dicendo ed auspicando alla viglia della nomina di Abbado, dai suoi estimatori);  per ragioni di opportunità, ma anche perchè Muti non lo vorrebbe mai per...

venerdì 24 gennaio 2014

A napoli, al teatro san carlo, arriva il commissario

Questa è una assoluta novità che nessuno avrebbe potuto immaginare. Un commissario governativo al teatro San Carlo. Il quale, da due anni, ha il bilancio in ordine - nonostante l'attività artistica frenetica ( neanche un centinaio di alzate di sipario l'anno!!!!!) - ma ha uno sbilanciamento patrimoniale enorme, di oltre venti milioni di Euro. Dunque per la prima volta arriva al San Carlo un commissario per vigilare che  l'accesso al fondo della legge Bray avvenga secondo le regole.
 Ma è proprio la prima volta che Napoli, in anni recenti, ha un commissario al San Carlo? No, ed il ministero dovrebbe ricordarlo, prima di inviare nuovamente un commissario, perchè fino a due o tre anni fa c'era già stato un commissario, nella persona del direttore generale dello spettacolo, Salvo Nastasi, l'enfant prodige messo lì da Urbani e mai più rimosso nonostante  le  numerose scivolate ed i madornali errori - ma dietro c'è la longa manus di Letta, lo zio naturalmente che è dietro ogni cosa dello spettacolo e non e che, come ha giustamente fatto notare Berlusconi, tutti gli schieramenti politici gli invidiano; e forse anche l'altrettanto longa, sebbene anche amorevole, della madre di Nastasi, giudice della Corte dei Conti preposta alla vigilanza sugli enti pubblici (che coincidenza!  che conflitto familiare!). Nastasi è stato al San Carlo per qualche anno, ha salvato il teatro - come del resto ha fatto anche altrove, vedi Firenze, ma anche Genova dove ha mandato suoi emissari, teatri questi precipitati nei vortici del debito, come anche a Cagliari dove è arrivata la bella Crivellenti, tranese, sempre con l'appoggio di Nastasi e Letta,  un altro casino davvero sorprendente.
Insomma dove Nastasi mette le mani accade il miracolo del risanamento, salvo poi - di nome e di fatto - che il teatro non si ritrovi da lì a poco tempo, nuovamente nei guai. Ma allora Nastasi non ha fatto nessun miracolo? No, un miracolo l'ha fatto, anche nel disastrato San Carlo, dove i lavoratori chiedono le dimissioni dei vertici, dalla Purchia a De Vivo, due campioni dell'organizzazione musicale internazionale. Ha messo sua moglie a dirigere il neonato - Nastasi levatrice -  Museo del Teatro, nonostante che la Giulia lo supplicasse in tutti i modi a non metterla lì.
I mezzi er trovare lavoro, o soldi anche senza lavoro, li ha dalla famiglia d'origine. Anche perchè la mossa di Nastasi getta ombra di impotenza sulla potente famiglia Minoli-Bernabei.

mercoledì 22 gennaio 2014

La sciatteria dei Wiener Philharmoniker

Ci hanno distrutto un mito, il mito dell'orchestra più bella del mondo: i Wiener Philharmoniker. E noi che ogni volta che ci capitava di citarli  premettevamo sempre: i Wiener  sono un'altra cosa, sono sempre i Wiener.
 Quante volte abbiamo ripetuto in pubblico e privato, in occasione dei Concerti di capodanno da Vienna e Venezia, che i due concerti quanto a programma non è che fossero molto diversi, anzi il concerto veneziano ha sempre avuto musica molto ma  molto più bella di quella viennese; e, del resto, anche quanto a direttori, non si differenziavano poi tanto, anzi in qualche caso - come per Pretre, il direttore che aveva prima diretto a Venezia e solo dopo debuttato a Vienna, nonostante i suoi ottant'anni ed i molti anni attivo sulla piazza viennese- Venezia aveva dato la sveglia a Vienna,  precedendola nelle scelta. Ma sull'orchestra no, nulla da dire: i Wiener sono i Wiener e qualunque altra orchestra , anche quelle indicate da recenti classifiche 'FARLOCCHE' tanto care ad una specializzatissima  rivista di musica, non può stargli alla pari, Scala, Santa Cecilia e Fenice comprese. In questa nostra convinzione avevamo parecchi sodali, specie quelli che dalle pagine del Corriere ogni anno ci dicevano - nonostante i successi televisivi e di pubblico del concerto veneziano- che con i Wiener non c'era nulla da fare.
 Ora, invece, proprio dalle pagine di quel giornale, il critico musicale e non un cronista che si occupa anche di cose musicali com'è quello che in questi anni ha sposato l'inutile ed infruttuosa campagna antivenezia, da quelle stesse pagine, arriva un'affermazione che ci sconvolge la vita e cambia radicalmente le nostre convinzioni. Scrive il noto critico milanese a proposito di un concerto a Milano dell'orchestra viennese diretta da Chailly: " Le classifiche delle orchestre sono demenziali - in questo concordiamo specie quando i risultati  sono fuori di ogni logica - perchè ogni singola prestazione dipende da mille variabili di repertorio,convinzione, acustica e da chi li dirige facendo cosa. Nel caso dei WIENER un comparativo assoluto si può però usare. Sono l'orchestra più VOLUBILE del mondo, capace di meraviglie incomparabili come di prestazioni  ai limiti della SCIATTERIA. Quando suonano come possono e sanno si fanno perdonare ogni cosa, però".
 Che ogni prestazione di un'orchestra dipenda sempre da molte variabili non è un mistero, e che, di solito, le orchestre anche le più blasonate non rendano quando sono in tournée in una sala che non conoscono e cc.. non ci vuole che venga a dircelo il collega illustre del quotidiano milanese, lo sappiamo da noi per esperienza, personale e professionale, diretta. Ma che i Wiener, anche nelle peggiori situazioni, possano scendere al di sotto di uno standard  che tutti comunque e sempre gli riconoscono, su questo non possiamo concordare con il nostro collega. E con qualche altro che - ricordiamo chiaramente, a causa della assurdità dell'affermazione - che, anni fa, in occasione di un concerto della Philharmonia di Londra a Milano faceva rilevare una stecca del primo corno, e magari in mille altre occasioni aveva cantato le meraviglie dell'orchestra  che so io... non facciamo nessun nome, perchè dovremmo fare un elenco interminabile.
 I Wiener per noi sono sempre i Wiener

lunedì 20 gennaio 2014

E' morto Claudio Abbado. Lunedì 20 gennaio. A Bologna. Aveva 81 anni.

Che la situazione  stesse precipitando  c'era da supporlo. Parecchi erano stati i segni premonitori negli ultimi mesi. Dalla sua assenza al ricevimento al Quirinale per la nomina di senatore a vita, alla cancellazione dei suoi impegni di novembre, tournée europea compresa, dalla successiva cancellazione anche di altri impegni ed addirittura dei suoi concerti di febbraio, dal comunicato della Mozart che giungeva proprio alcuni giorni fa nel quale si annunciava la sospensione dell'attività dell'orchestra; fino all'appello di Roberto Saviano sull'Espresso di questa settimana, panegirico del grande direttore ed appello perchè la Mozart viva, anche dopo Abbado. Questo Saviano non lo diceva, ma era quello che voleva dire. Saviano, come anche Benigni, amici ambedue di Abbado, avevano evidentemente informazioni più precise  e frequenti.
 Della gravità della situazione noi avevamo avuto notizia,  negli ultimi giorni di dicembre, quando eravamo a Venezia per il Concerto di capodanno alla Fenice, diretto da Diego Matheuz.  Il giovane direttore, pupillo di Abbado, fra un concerto e l'altro di fine anno, s'era assentato una mattinata, per andare a Bologna a salutare 'Claudio'. Al suo ritorno in teatro, gli domandammo: Abbado sta molto male, vero? Sì, Claudio sta male, ma lui è forte ed anche questa volta ce la farà - fu la sua risposta. Nei giorni di agonia, a Bologna per il Parsifal al Comunale, c'era suo nipote Roberto,  suo erede nella direzione: gli sarà stato certamente vicino, assieme ai suoi figli, prima di tutti Alessandra che, da quando suo padre si ammalò gravemente, è stata anche la sua assistente ed infermiera, quasi l'ombra che lo seguiva ovunque.
 Claudio Abbado era stato operato per un tumore nel 2000. Dopo alcuni mesi di convalescenza, ed avendo superato momentaneamente il rischio di morte, era comparso in pubblico a febbraio del 2001, a capo dei Berliner,  a Roma, nell'Auditorium della Conciliazione, visibilmente provato, per una intensa settimana di concerti, nel corso della quale presentò le sinfonie ed i concerti per pianoforte di Beethoven.
 Va ricordato che quella'residenza' romana' era venuta fuori dopo che Parigi aveva rinunciato alla trasferta dei berlinesi, già programmata. Per salvare la tournée, Mimma Guastoni l'aveva  presa per Musica per Roma che allora presiedeva; senonchè si era dovuta dimettere, e Berio da poco nominato a Santa Cecilia ( forse commissario, ancora?) s'era attribuita la paternità di quella trionfale tournée romana. Abbado era visibilmente provato - raccontano che fra un tempo e l'altro dei concerti fosse curato in camerino con farmaci  potenti.  Abbado, nonostante la malattia non voleva arrendersi. Per quasi quindici anni ha continuato, amministrando bene il suo tempo, alternando periodi di lavoro ad altri di riposo nei climi caldi o salutari del Venezuela o dell'amata Sardegna.  E forse la nascita della sua ultima creatura, l'orchestra Mozart ha avuto in lui un effetto ringiovanente.
 Poi,  negli ultimi  mesi dello scorso anno, la ricaduta che l'ha condotto alla morte. Noi vogliamo ricordarlo più che come direttore d'orchestra - chissà in quanti lo stanno facendo in queste ore - come padre amorevole di grandi orchestre di giovani, da quella Europea a alla Mahler, fino alla Mozart, senza dimenticare il suo sostegno alla missione di Abreu in Venezuela, da dove ha fatto emergere oltre Matheuz, Dudamel; come anche il sostegno concreto alla Scuola di Musica di Fiesole, alla quale aveva devoluto interamente il suo stipendio da senatore a vita, il cui incarico non ha potuto onorare.
Addio maestro,  educatore entusiasta di giovani!

giovedì 16 gennaio 2014

Ma quando studiano questi studenti?

Ogni giorno, quando  leggiamo sui dorsi romani dei quotidiani nazionali, di concerti che si svolgono qua e là, anche in luoghi impensabili, affidati agli studenti del Conservatorio romano di santa Cecilia, ci viene spontaneo domandarci: ma questi studenti quando studiano?
L'attività di produzione artistica che dovrebbe costituire il normale sbocco al termine degli studi e questi esserne la preparazione completa,  sta diventando, invece, per una inutile voglia di dimostrare che già gli studenti ed i loro insegnanti, sanno fare i professionisti della musica- mentre, gli studenti ancora non possono ritenersi tali, altrimenti perchè studierebbero; e, dal'altro canto, e gli insegnanti pensano di rivalersi  di una carriera che in effetti  non hanno mai avuto o non hanno saputo svolgere - una delle attività  che, per la frequenza degli impegni, pone a serio rischio il rendimento degli studi.
 Gli studenti devono studiare finchè hanno l'età e la possibilità; e poi,  una volta terminati gli studi - anche se non si finisce mai di studiare ed imparare- accedere alla carriera  musicale, se ne hanno i numeri. Invece  dietro richieste sempre più pressanti , dovute anche al bassissimo costo dei concertisti/studenti ( ad esempio a che è servito mandare l'Orchestra del Conservatorio dell'Aquila, a Campli in Abruzzo, per un concerto dell'Epifania? Campli non è un luogo prestigioso - il che potrebbe già in parte, una tantum, giustificare lo sforzo e impegnare  gli strumentisti - nè l'orchestra, instabile, può essersi giovata per la sua crescita del concertino fuori porta) l'attività di produzione sembra essere diventata la principale attività anche nei Conservatori, a scapito dello studio. .
 Nella scuola accade ciò che accade ovunque in Italia: e cioè che si fanno cose che ancora non si è preparati e pronti a fare, facendo cadere nel dilettantismo luoghi votati al sapere, come dovrebbero esser le cosiddette 'università' della musica in Italia.

Emma Dante: poesia ed impegno civile

Emma Dante alla sua seconda regia lirica, dopo 'Carmen' alla Scala.  Curerà lo spettacolo dell'opera 'Feuersnot' di R.Strauss che apre la stagione del Massimo di Palermo, con la direzione musicale di Gabriele Ferro che, da qualche anno, dopo anni bui, è tornato in auge sul podio, e non solo nella sua Palermo.
 In una intervista al Corriere ( a firma  Giuseppina Manin) che riprendiamo per l'interesse della sua visione, dichiara, a proposito della 'favola' ambientata nella notte di san Giovanni, nella quale Strauss celò volutamente  una invettiva contro i suoi concittadini monacensi per la loro assai scarsa attenzione nei confronti della sua opera, che è "un atto di accusa molto attuale vista la scarsissima attenzione che abbiamo per il nostro patrimonio musicale. Così in quei fuochi del solstizio d'estate io farò ardere, simbolicamente, una catasta di strumenti e di spartiti. A denuncia di come stanno andando le cose nei nostri teatri, di come questo Paese stia bruciando nell'indifferenza generale la sua musica e la sua cultura". ( Ha fatto la stessa cosa il nuovo direttore del conservatorio casella dell'aquila - musicista notissimo e democratico nato oltre che eccelsa personalità del mondo della cultura: Piermarini il suo nome - quando ha vietato la pubblicazione di un numero di Music@, bimestrale edito da otto anni dal conservatorio, contenente saggi e scritti di notevole valore, per il disprezzo nei confronti della cultura).
E spiega: "Strauss scrisse il 'Feuersnot' per vendicarsi delle delusioni artistiche. E' lui il mago Kunrad beffato dalla ragazza che ha osato baciare, lui che per ripicca spegne i fuochi della festa. Una figura in cui mi identifico anch'io. Anch'io non ho mai avuto un rapporto facile con la mia città.E ora, che finalmente mi permettono di entrare nel suo tempio lirico, ne approfitto per dire quel che penso:Sulla cultura falciata dai tagli, sul rattrappimento dei talenti. Oggi nessuno può più sperimentare  e osare nulla: bisogna solo fare cassa, essere prevedibili ed omologati. I teatri sono in ginocchio. Anzi in mutande.Come i miei danzatori impegnati in un tragico valzer". Brava Emma!

mercoledì 15 gennaio 2014

Letto sulla stampa:15 gennaio 2014.Brutte e belle notizie

Cominciamo dalle buone notizie, son poche in verità, ma vale la pena segnalarle.
Innanzitutto da quella che riguarda Lucia Ronchetti, la compositrice oggi sulla cresta dell'onda internazionale, che è stata chiamata a far parte della giuria che sceglierà i prossimi 'Prix de Rome' , e cioè i 'pensionnaires' di Villa Medici a Roma, fra i  numerosi candidati nei vari settori dell'arte. In giuria siede anche l'attrice e produttrice cinematografica che vive una storia sentimentale con il presidente Hollande, ma anche questa è una buona notizia.( Contrordine dell'ultim'ora: l'attrice è stata esclusa dalla giuria, per intervento diretto della ministra di origini italiane, Filippetti. Uno schiaffo al direttore dell'Accademia di Francia a Roma che l'avrebbe scelta? O forse troppo poco autorevole - altro schiaffo al direttore di Villa Medici - per far parte della prestigiosa giuria?)
La seconda buona notizia- che era già sui giornali di ieri- è la nomina di Marino Sinibaldi a presidente del consiglio di amministrazione del Teatro di Roma, dopo che Borgna si era sfilato per via delle numerose ed ingiuste critiche incrociate. Sinibaldi, direttore di Radio 3, viene dallo stesso ente dal quale veniva il suo predecessore, Scaglia, cioè dalla Rai. Scaglia scrittore, Sinibaldi animatore culturale fra i più vivaci ed impegnati. A testimoniare che oggi sono i  mezzi di grande comunicazione a mettere i vetrina i protagonisti della società; se non si appartiene ai  media, addio sogni. Solo che...solo che... Sinibaldi dovrebbe , a nostro modestissimo parere, dimettersi da Radio 3, come dovrebbero fare altri dirigenti Rai che occupano   poltrone di responsabilità anche fuori dell'azienda. Gubitosi che fa, si gira dall'altra parte per non vedere?
Ed ora - finalmente! direbbero i maligni- veniamo a quelle cattive.
 Alfano e non solo lui, perchè è in compagnia di Brunetta, il moralizzatore, e Masi, il macho ex direttore generale Rai,  compaiono fra gli affittuari di Ligresti, a roma, in via delle Tre madonne ai parioli, una viuzza che non gli daresti due lire, ma  molto molto chic e con case extralusso. La casa di Alfano è di appena 220 mq. Non sappiamo se lui e Brunetta e Masi  - che sicuramente saranno a loro volta in compagnia di altri - pagassero affitti di favore, ma  c'è da dubitare che i tre, nei propri ambiti, alla bisogna non abbiano mostrato riconoscenza al proprietario delle loro povere magioni romane?
E Nunzia? la signora Di Girolamo,  campana, con la sua cricca? Ci ha colpiti leggere che avrebbe dirottato parte dei finanziamenti europei destinati ad alleviare i portatori di  handicap da Benevento ad un'altra provincia dove alloggerebbe il suo stato maggiore. Questo leggiamo sui giornali; vero o non vero, a noi questa notizia fa venire lo schifo.
L'Aquila. L'Università, dopo lo scandalo che ha investito anche la giunta comunale - sono tutti innocenti!!!, cosi dicono - con le dimissione del sindaco, ha fatto una proposta, mettendosi a disposizione con un comitato di saggi che potrebbe dare una mano nell'individuare la strada da percorrere per  una svolta nella ricostruzione. Apriti cielo! chi si rifa viva? La Pezzopane, indignata, perchè si sente espropriata dei suoi compiti di amministratore pubblico che ritiene di aver  svolto compiutamente anche in relazione alla ricostruzione che  purtroppo langue nella maggior parte della città. La stessa Pezzopane che si era indignata allorchè, secondo lei ingiustamente, la commissione europea preposta alle candidature per le 'Capitali della cultura' del 2019, aveva escluso L'Aquila. già per la semplice ragione che non si può candidare una 'città fantasma'. E non , come sosteneva l'assessore/parlamentare, per la 'cattiva stampa'.
 La motivazione 'cattiva stampa' ci riguarda anche un  pò.
 Per otto anni abbiamo diretto un bimestrale di musica, edito dal Conservatorio aquilano, MUSIC@, che sì è guadagnato una certa fama per l'originalità e qualità dei contenuti.  La nostra critica ha offerto l'alibi al nuovo direttore del Conservatorio, che di nome fa Piermarini, per vietare la pubblicazione dell'ultimo numero di Music@ affidato alla nostra direzione.  L'alibi consiste nel fatto che - secondo la vulgata di una delle 'menti' del conservatorio aquilano - la nostra critica avrebbe inficiato i buoni rapporti che il conservatorio sta instaurando con gli amministratori aquilani. Si tratta ovviamente di un alibi  nelle mani di una direzione che non sa cosa sia la cultura e per questo la calpesta e la mette all'indice.

lunedì 13 gennaio 2014

La gaia intervista della straccamore al corriere

L'Opera di Roma è nell'occhio del ciclone da settimane, ed ancora di più lo è da pochi giorni, da quando, cioè, il nuovo sovrintendente Carlo Fuortes ha rivelato le vere dimensioni del passivo di bilancio del teatro, ed anche di quello accumulato nel corso dell'anno appena trascorso. Da non credersi. Insomma il tetaro, avrebbe avuto tanti soldi dal Comune ( Alemanno), ma non avrebbe saputo nè procurarsi soldi da sponsor, nè aumentare i biglietti venduti. Per quest'ultimo particolare, tante volte abbiamo scritto, dopo aver letto sui giornali amici che era tutto 'esaurito', che le cifre dei biglietti effettivamente venduti erano in netto contrasto con quei proclami di vittoria (di Pirro). Ma nel frattempo i giornali amici s'erano volutamente dimenticati delle bugie dette per pompare l'Opera.
 Comunque veniamo all'intervista uscita ieri sul Corriere, con richiamo in tutta evidenza in copertina," Danzando tra i veleni. L'étoile racconta le sue paure", foto a colori inclusa, l'unica della copertina domenicale. Uno si aspetta, nel clima rovente che  si respira all'Opera, di leggere qualcosa di veramente sensazionale, ed invece, le uniche cose che veniamo a sapere sono:
1" C'è un'atmosfera tesa, di paura e di rabbia, perché non si capisce dove siano finiti tutti quei soldi e la gente magari pensa che facciamo una vita da nababbi".
2. (la crisi) "Non può non riflettersi nel nostro lavoro.C'è un'atmosfera tesa, di paura, anche di rabbia perchè non si capisce dove siano  finiti ecc.  come sulla copertina. prosegue " In sartoria la situazione è insostenibile, non hanno la stoffa dei vestiti per mi fornitori non pagati. Dieci milioni di buco in un anno è una cifra da capogiro. Le notizie sono discordanti a seconda del sindacato che te le dice".
3. " L'ho seguito per spezzoni ( il film 'il cigno nero'), troppo dark.  Ho vissuto le cattiverie sulla  mia pelle. Durante un cambio di scena, mi hanno tagliato i lacci delle scarpette che dovevo cambiare....".
4. "L'anoressia nella danza esiste. Non siamo considerati come gli atleti o i calciatori, non eiste un team di medici, nel cibo ci arrangiamo col passaparola".
5."Eleonora Abbagnato è ancora troppo giovane, è impegnativo dirigere una compagnia così importante, con tutti i problemi di un ente lirico. Bisogna avere una certa preparazione.Ha ancora un pò di anni per impegnarsi come ballerina".
Insomma le vere notizie, che esulano dal clima rovente dell'Opera, del quale chiunque avrebbe immaginato di leggere, sono  solo quelle relative alla Abbagnato che ambirebbe diventare  direttrice del corpo di ballo dell'Opera di Roma; e sull'anoressia, presente  nel mondo della danza,  e curata con rimedi attinti dal passaparola.
La paura e la tensione che si vivono in teatro in queste settimane non c'era bisogno che  lo dicesse la Straccamore.
Dove sono finite le interviste - e gli intervistatori! - di una volta?

martedì 7 gennaio 2014

La musica in tv. All'Opera! deve tornare

Certo che non bisogna inseguire l’audience ad ogni costo. Ma neanche fregarsene del tutto. Anche nella tv pubblica.  Oppure tirarla in ballo quando non si vuol dare via libera ad una trasmissione, e dimenticarla quando nonostante reiterati flop, si continua a tenere in palinsesto certe trasmissioni, in attesa di ‘fidelizzare’ il pubblico!
 Se restringiamo l’indagine all’ambito musicale, l’appello all’audience è il ritornello opposto a qualunque proposta. Dicono i dirigenti che queste trasmissioni nessuno le vede – e in qualche caso dicono il vero; ma si dà il caso che, di contro, non si toccano trasmissione che vanno in onda da anni, nonostante che nessuno le veda.
 Lasciamo da parte RAI 5, la rete che dirigenti dell’uno e l’altro schieramento – favorevoli e contrari - tirano in ballo, quando si parla di ‘cultura’, perché i dati sono sconfortanti. Qualche esempio, dai palinsesti degli ultimi mesi. ‘I Due Foscari’, hanno avuto uno share di 0,56%, con 44.000 telespettatori; ‘Petruska’, uno share che di media fa  lo 0,18% con 25.000 telespettatori circa. Una débacle. Perché allora non chiuderla e risparmiare?
 E RAI 3? Resiste da anni ‘Prima della Prima’, stessa curatrice, stessa formula, molto gradita da telespettatori chic: lo share di una delle ultime puntate è stato dello 0,52, con 82.000 telespettatori. Non fermiamoci alla meno vista. C’è da due anni una trasmissione abbastanza curata, ‘Sostiene Bollani’, che ha come mattatore il noto pianista. ‘Sostiene Bollani’ ha uno share medio poco sopra il 3%, con una media di telespettatori intorno ai 500.000. E’ già qualcosa. E una ‘prima serata’, anzi una serata intera, giovedì 10 ottobre, per l’anniversario della nascita di Giuseppe Verdi, introdotta da Mieli e seguita da un lungo documentario sul musicista, realizzato da Maite Carpio, ha avuto uno share del 4,3%, con 1.128.000 telespettatori
 Ciò dovrebbe far concludere ai dirigenti RAI come, avendo cancellato dalla memoria dei nostri cittadini ogni traccia musicale del nostro glorioso passato, melodramma in primis, sia assurdo insistere con trasmissioni che, invece, presumerebbero una conoscenza di base del melodramma medesimo.


E allora che si fa? Ecco una proposta: tornare all’antico, secondo l’esortazione di Giuseppe Verdi. Per sei anni consecutivi, dal 1999 al 2004, RAI 1 ha trasmesso ‘All’Opera!’, una  bella trasmissione  con Antonio Lubrano, che aveva il pregio di far ascoltare l’opera prescelta, attraverso i momenti musicali salienti, lasciando al narratore/affabulatore, il racconto degli eventi ( uno dei pochi casi in cui questa orrenda parola ha senso)  fra l’uno e l’altro ascolto.  Un’opera, formato TV per formula e tempi. Quella trasmissione aveva uno share tra  l’ 8% e il 12%, con punte del 13% e 14%. Per capirci. ‘La Traviata a Parigi’, targata Andermann, quando venne trasmessa su Rai 1, tutta in una volta, fece poco più di 700.000 telespettatori; l’indomani, ‘L’elisir d’amore’, della serie ‘All’Opera!, oltre 900.000. Capito? share e telespettatori da far invidia a qualunque trasmissione, anche politica, delle tante, spuntate come funghi nelle ultime stagioni e che nessuno vede nella misura che ci si attendeva. E Allora? A dieci anni esatti dall’ultima serie, che si aspetta a rimetterla in palinsesto?

venerdì 3 gennaio 2014

Venezia batte Vienna nei concerti di Capodanno in tv. Cappelli, Barbieri, Cappelleto

Per il Capodanno il concerto 'autarchico' da Venezia, in diretta su Rai Uno, ha battuto quello da Vienna, in differita su Rai Due, 'non autarchico'- perchè nel suo programma compaiono quasi esclusivamente autori americani e inglesi e italiani. 'Arie italiane che richiamano drammi amorosi' contro 'l'ebbrezza del valzer e il rapimento delle polke che incarnano così bene lo spirito del nuovo anno'. Chi scrive simili scempiaggini, per difendere a spada tratta le musiche viennesi contro quelle italiane,  per la semplice ragione che ancora non si vuol convincere che il Concerto da Venezia ha una audience televisiva superiore a Vienna ed in continua ascesa (al contrario di ciò che accade per il Concerto da Vienna che  ogni anno perde colpi in tv), è l'italianissimo giornalista d'assalto del Corriere della Sera - del quale  nel precedente post abbiamo scritto per altre ragioni- e che risponde al nome di Valerio Cappelli. Ci viene il dubbio che a lui basti poco alcool, quel poco che gli viene dai valzer e dalla polke, per ubriacarsi.
L'altro ieri il Concerto veneziano ha raggiunto lo share del 27% ed è stato visto da 4.407.000 telespettatori - in assoluto il concerto 'classico' più visto della storia della televisione italiana.
Il concerto da Vienna, quello che piace tanto a Cappelli, invece, ha avuto uno share del 16,61% e 2.748.000 telespettatori.
 Il concerto veneziano, anche  rispetto allo scorso anno è in continua lenta ascesa, quello viennese in  continua inarrestabile e consistente discesa: occorre per questo eliminarlo dalle reti televisive italiane? Affatto: o forse per dargli più spazio bisogna cancellare il concerto veneziano che ancora oggi, ma fin dalla prima edizione, gli fa ombra? Nessuno ci pensa in tv. Sarebbe come cancellare un programma di successo, e, per il settore della musica, quello in assoluto con il successo maggiore di pubblico.
 E Cappelli? Per Cappelli  si suggerirebbe un'altra  cura: evitare di scrivere a capodanno,  perché di ciò che lui pensa dei due concerti, non frega nulla a nessuno, ed anche perché più manifesta la sua ostilità per il concerto veneziano 'autarchico' e più il concerto veneziano va bene in tv. Non sarà che porta sfiga a quello viennese?
 Ma altri colleghi andrebbero censurati. Due per tutti. In vecchiaia vogliamo fare il moralista.
Guido Barbieri, innanzitutto, di Repubblica, che storce il naso sul concerto veneziano, però poi prende soldi dal Teatro La Fenice per scrivere le note del programma del medesimo concerto;  e forse per questo il naso fa finta di storcerlo ancora di più. Per mostrare indipendenza.
Come anche Sandro Cappelletto, che invece scrive bene, piuttosto bene, del concerto veneziano, ma poi il prossimo 14 presenterà nel teatro veneziano, l'opera 'La scala di seta', naturalmente a pagamento.
 E vogliamo volutamente tralasciare di ricordare che ambedue questi campioni della critica musicale, svolgono contemporaneamente anche  il mestiere di direttore artistico: ,insomma, per dirla con una metafora, fanno i medici ed i becchini. Chi gli può prestare fede?
Questi intrecci che gettano ombre sui nostri stimatissimi colleghi, andrebbero recisi con un colpo netto.
 Fine della morale.

giovedì 2 gennaio 2014

Valerio Cappelli, cronista d'assalto.Per finta

Dell'articolo comparso oggi sul declino del 'teatro musicale italiano' assai circostanziato, nel sito www.luigiboschi.it, non condivido alcune valutazioni, e prima di ogni altra cosa  il panegirico al 'cronista d'assalto' del Corriere, che farebbe giornalismo d'inchiesta. Semmai Valerio Cappelli è semplicemente  uno dei pochissimi che si occupa di certi problemi, ma non sempre come dovrebbe.
Come nel caso dell'Opera di Roma, per la quale lui ha fatto, in tutti gli anni della gestione De Martino, il fiancheggiatore e cantore.  La gestione De Martino-Vlad-Muti era la migliore al mondo, questo ci ha raccontato. Anzi l'anno scorso ci ha anche informato che il grande sovrintendente De Martino era a Vienna per il Concerto di Capodanno. Provinciale! Quest'anno dove è andato, Cappelli? 
Mai  una volta che  si sia dato pena di andare ad informarsi sull'effettivo stato delle cose? Ed il suo carissimo amico Vlad non gli ha mai detto delle difficoltà economiche? Non ne sapeva nulla? Sveglia caro Cappelli. 
Poi, quando Marino ha fatto sapere in giro che voleva cambiare timoniere ed equipaggio, mantenendo soltanto l'ammiraglio MUTI, ha scoperto la verità. Povero cronista scrupoloso.  Da allora non ha mai neanche nominato, per una volta sola, il decaduto De Martino, per Cappelli unico responsabile del disastro, con la complicità- anche questa scoperta solo ora dal Cappelli segugio - dell'intero consiglio di amministrazione e del suo capo, il vice di Alemanno, Vespa.
 Che la storia potesse finire in questa maniera tragica era evidente da tempo, specie a chi si occupa di vicende operistiche in Italia come Cappelli. Nel periodo in cui gli amministratori dei teatri sono scelti dai sindaci in carica, tutto fila liscio: il Comune  per far bella figura dà al teatro tutto quello che vuole, anche troppo ( All'Opera di Roma 20 milioni di Euro circa l'anno: ma vi sembra una cosa possibile e decente?). Quando cambia il colore dell'amministrazione comunale, e i dirigenti delle istituzioni culturali non vogliono lasciare la poltrona con le buone, si ricorre ai metodi bruschi: "20 milioni non te li dò più, e quest'anno, nonostante le promesse, te ne dò di meno". A Roma è accaduto questo all'epoca di Ernani, e puntualmente si ripete ora con De Martino. Solo che  contemporaneamente si scopre anche l'altarino della voragine del bilancio, superiore a quella immaginabile e quantificabile  nel taglio che il Comune aveva minacciato.
Di tutto questo Cappelli viene a sapere solo quando De Martino è praticamente affondato da Marino sindaco. Ma, in tempo, per stendere tappeti rossi  per l'arrivo di Carlo Fuortes; ancora non dice nulla dei nuovi consiglieri di amministrazione, sui quali pure si potrebbe dire più che qualcosa. Ora lui inizia il peana preventivo dell'intera giunta Fuortes( che resta  a Musica per Roma, al Petruzzelli ( che ha appena lasciato, dopo aver assunto l'incarico a Roma), e continua a fare il presidente di IZI spa - tutto questo è poco interessante per il cornista d'assalto Cappelli)
Qualche maligno ipotizza che Cappelli qualcosa  sapesse, prima ancora che scoppiasse -  anche per suo merito - il bubbone 'rosso di bilancio', ma che non gli convenisse parlare. Come poteva, se l'Opera di Roma con il Festival di Spoleto - collegati fra loro dal grande Vlad, amicissimo di Cappelli -  gli aveva  commissionato una pièce su Carlos Kleiber? Commissionata? Veramente no. Cappelli l'ha proposta e il teatro l'ha messa in cartellone. Mai e poi mai sarebbe venuto in mente ai dirigenti dell'Opera e del festival spoletino di commissionargli  quel lavoro, presentato con la regia di Pizzi ( Capito?) . Poteva fare altrimenti con un  giornalista sempre  ossequiente verso il teatro?  Addirittura più solerte del capo ufficio stampa del teatro, Filippo, che, a dispetto del suo cognome - ARRIVA - è arrivato sempre dopo Cappelli? 
Ma Cappelli poteva ignorare che  quelle due marchette a Caracalla una in favore di Giorgio Battistelli, e l'altra per Chiara Muti, regista di Purcell, erano giocattoli troppo costosi, allestimenti  costosissimi, per un totale di complessivi cinque o seicento spettatori,  con lo scopo di trasformare Caracalla in un festival, secondo il lungimirante progetto dell' Alessio Vlad, intellettuale sopraffino al quale la stagione popolare di Caracalla sta stretta? Cappelli anche in questi casi sapeva di dover far finta di non sapere. Fino a quando , per non farsi travolgere dallo scandalo che stava emergendo, ne ha anticipato alcuni dati.