martedì 29 giugno 2021

Cinquestelle. Addio 'svolta' Conte? Grillo abbatte l'avvocato e ricorre di nuovo a Rousseau, piattaforma

 "Non possiamo lasciare che un movimento nato per diffondere la democrazia diretta e partecipata si trasformi in un partito unipersonale governato da uno statuto seicentesco. Vanno affrontate le cause per risolvere l’effetto ossia i problemi politici (idee, progetti, visione) e i problemi organizzativi (merito, competenza, valori e rimanere movimento decentralizzato, ma efficiente). E Conte, mi dispiace, non potrà risolverli perché non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione.” Lo scrive Beppe Grillo sul blog.

 

“Indìco la consultazione in rete degli iscritti al MoVimento 5 Stelle per l’elezione del Comitato Direttivo, che si terrà sulla Piattaforma Rousseau. Ho, pertanto chiesto a Davide Casaleggio di consentire lo svolgimento di detta votazione sulla Piattaforma Rousseau e lui ha accettato. Chiederò, poi, al neo eletto Comitato direttivo di elaborare un piano di azione da qui al 2023” prosegue Grillo.

Elogio del latino e sua importanza nella formazione dei giovani

  Sponsorizzato dal quotidiano La Repubblica, Nicola Gardini, autore degli acclamati “Viva il latino” e “Le 10 parole latine che raccontano il nostro mondo” consegna a Claudia Arletti una suggestiva dichiarazione d’amore per il latino, raccontandoci i segreti di una lingua fondamentale per comprendere la nostra cultura e il nostro pensiero moderno: " Elogio del latino".

 Negli stessi giorni dell'uscita del volume di Gardini, in una intervista al Corriere della Sera, molto gradita dai lettori del quotidiano, Riccardo Muti racconta anche lui del latino e della importanza di quella lingua nella sua formazione. Importanza che non è certo venuta meno neanche nell'epoca del linguaggio semplificato, per colpa dei cellulari. Aver sbagliato un'caso' in una interrogazione gli costò una tirata d'orecchi vera con tanto di dolore.

E ancora, sempre a proposito delle lingue classiche, latino e greco, giunge la notizia che in tre università americane, famose per gli studi classici, non si studierà il latino perchè quella lingua ricorda culture e civiltà schiaviste, discriminatorie, di occupatori.

Ora, le università americane facciano come meglio credono, nessuno può impedirgli alcunchè, ma l'importanza dello studio del latino per la formazione mentale e per l'espressione logica dei giovani, non ha pari. E nessuna traduzione può compensare quella mancanza. Lo studio della lingua, il modo in cui si costruiscono le frasi e quello in cui si collegano fra loro attiene alla formazione di una forma mentis che avrà peso e influsso per sempre sull'individuo. A questo non sono ancora arrivati i rettori  delle celebri università americane. Peggio per loro, anzi per i loro studenti.

Noi che lo abbiamo studiato per anni e che abbiamo ancora una mente semilucida per giudicare il parlare e l'argomentare altrui, constatiamo ogni giorno la differenza che corre fra una persona  che ha studiato il latino ed uno che non l'ha studiato, naturalmente sempre che siano ambedue persone intelligenti.  Perchè se sono sceme - e sono tante - non c'è latino che possa compiere il miracolo.

Coronavirus. Bollettino dal fronte dei contagi aggiornato a martedì 29 giugno 2021. Notizie in netto miglioramento, ma la Variante 'Delta' è fra noi

 Sono 679 i nuovi casi di Covid nelle ultime 24 ore, secondo il bollettino del ministero della Salute, su un totale di 190.635 tamponi effettuati. Il tasso di positività scende quindi dallo 0,5% allo 0,3%. Si contano inoltre altri 42 morti dopo i 28 di lunedì, ma tra le vittime 22 sono dovute al ricalcolo della Regione Campania. Meno ricoveri sia nelle terapie intensive (-19) sia nei reparti ordinari (-47).

 Attualmente sono positive in Italia 52.824 persone (-1.858 rispetto a lunedì). Sale di 2.493 unità il numero dei guariti, che portano il totale da inizio pandemia a 4.078.767, mentre la Regione con il più alto numero di nuovi casi è la Campania con 117. 

Visita obbligatoria per Katia Ziantoni e Danilo Toninelli

 Si ascolta e legge di tutto. E chi parla, se riportato fedelmente, come  immaginiamo, è fuori di testa. 

Nella passate settimane, quando l'emergenza rifiuti a Roma era divenuta nuovamente drammatica - e non solo per motivi di puro 'decoro', perchè l'aspetto 'sanitario' non va dimenticato, - come accaduto ciclicamente in questi cinque anni di consiliatura Raggi, i sostenitori della sindaca e del suo operato hanno tirato fuori le armi per combattere al suo fianco.

 Il primo è stato l'ex ministro-burla Danilo Toninelli, il quale ha dichiarato, senza mascherina, per farsi riconoscere - mettere la faccia, come dicono tutti, compresi quelli che la faccia ce l'hanno di c... -  che Roma 'è pulita, più pulita'. Alla sua dichiarazione ha fatto eco un parlamentare di cui non ricordiamo il nome: 'quello lo denuncio per falso'.

Oggi i giornali, a continuazione della commedia nella tragedia dell'emergenza rifiuti, riportano la dichiarazione dell'attuale assessore 'ai rifiuti' del Comune di Roma, Katia Ziantoni. Senza accusare apertamente l'AMA,   l'assessora dichiara che ' i rifiuti vengono lasciati in strada per danneggiare la sindaca Raggi che viene data per vincitrice alle prossime elezioni'.

 Insomma i cittadini che voterebbero in massa Virginia Raggi, riconfermandola, tenterebbero di danneggiarla in qualche modo? O, al contrario, ben sapendo che  la riconferma di Raggi è solo nella testa dell'interessata, le vorrebbero far capire, gettando i rifiuti a terra per le strade, che non è cosa che si ripresenti?

La Ziantoni, assessora ai rifiuti, che se non stanno per strada di cos'altro si occuperebbe, da un lato è contenta perchè si parla della sua materia di governo, dall'altro grida al complotto di tutti contro la sindaca.

Urge visita medica specialistica per menti confuse come Toninelli e Ziantoni! 

COMMISSARIATE la Sindaca Raggi. Roma è ormai un immondezzaio a cielo aperto

Siamo tornati ai periodi più neri della raccolta rifiuti. Non c'è srtada che non sia invasa dai rifiuti non  raccolti  per giorni e che, in queste giornate di caldo torrido, diventano una vera e propria cloaca 'solida'. Tanto per fare un esempio. ieri quando è passato il camion che svuota i cassonetti dell'umido' per un quarto d'ora e passa la zona è stata invasa da una puzza insopportabile.

 E accade anche che essendoci attorno ai cassonetti una montagna di rifiuti a terra, il camion della raccolta nel rimettere a terra il cassonetto lo rovesci per mancanza di terreno pianeggiante sul quale appoggiarlo.

 Ambedue gli episodi sono accaduti ieri in VIA NOMENTANA, al civico 905, nel cui condominio  ha sede anche un asilo nido, con le conseguenze che non è difficile immaginare sulla salute di bambini molto piccoli.

 E mentre  è in atto questo disastro, la sindaca che fa? Va la sera al Circo Massimo a godersi l'opera, mentre non dovrebbe farsi vedere in giro, da nessuna parte, e semmai in una macchina di servizio che controlla la raccolta rifiuti e il loro smaltimento.

E siccome si è visto più volte che non è capace di risolvere questo problema, ricorrente a Roma, e molti altri ancora, è arrivato il tempo di commissariarla.  E, ancor prima, di affidare la soluzione  del problema rifiuti al un commissario del Governo.


  

domenica 27 giugno 2021

Riccardo Muti si confessa ad Aldo Cazzullo ( da Corriere della Sera)

 Maestro Muti, qual è il suo primo ricordo?

«La guerra: mio padre in divisa da ufficiale medico. Poi, nel 1946, una gita in carrozza a Castel del Monte. Partimmo da Molfetta, viaggiammo tutta la notte. All’alba il cocchiere Nicola aprì la tendina, e apparve quella corona di pietra. Rimasi stupefatto. Da allora sono ossessionato da Federico II, ho la casa piena di libri su di lui. Ho anche comprato un pezzetto di terra lì vicino, con qualche piccolo trullo, che chiamano casedde, dove a maggio tra gli ulivi fioriscono le orchidee selvatiche. Spero di passare in contemplazione del castello questi ultimi anni che mi restano». 

Lei ne compie ottanta tra un mese

 «E mi sono stancato della vita». 

Perché dice questo?  

«Perché è un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo. Come nel Falstaff: “Tutto declina”». 

Insisto: perché dice questo?  

«Perché ho avuto la fortuna di crescere negli anni 50, di frequentare il liceo di Molfetta dove aveva studiato Salvemini, con professori non severi; severissimi. Ricordo un’interrogazione di latino alle medie. L’insegnante mi chiese: “Pluit aqua”; che caso è aqua? Anziché ablativo, risposi: nominativo. Mi afferrò per le orecchie e mi scosse come la corda di una campana. Grazie a quel professore, non ho più sbagliato una citazione in latino. Oggi lo arresterebbero». 

Rimpiange le punizioni corporali?  

«Certo che no. Rimpiango la serietà. Lo spirito con cui Federico II fece scolpire sulla porta di Capua, sotto il busto di Pier delle Vigne e di Taddeo da Sessa, il motto: “Intrent securi qui quaerunt vivere puri”; entrino sicuri coloro che intendono vivere onestamente. Questa è la politica dell’immigrazione e dell’integrazione che servirebbe». 

Non riconosce più neanche il suo mestiere? 

 «Purtroppo no. La direzione d’orchestra è spesso diventata una professione di comodo. Sovente i giovani arrivano a dirigere senza studi lunghi e seri. Affrontano opere monumentali all’inizio dell’attività, basandosi sull’efficienza del gesto, talora della gesticolazione». 

Gesticolazione? 

«Toscanini diceva che le braccia sono l’estensione della mente. Oggi molti direttori d’orchestra usano il podio per gesticolazioni eccessive, da show, cercando di colpire un pubblico più incline a ciò che vede e meno a ciò che sente».

Chi? Faccia i nomi. 

 «No». I nomi.  «Non voglio polemiche personali: farei il gioco dei promotori di se stessi. Il mio maestro, Antonino Votto, diceva che il direttore doveva aver respirato la polvere del palcoscenico. Invece le orchestre, i cori, i cantanti lamentano una mancanza sempre più evidente di informazioni musicali e drammaturgiche da parte dei direttori. Non si fanno neppure più prove serie». 

Neanche le prove?  

«Le prove di sala, con il direttore al pianoforte che prepara la compagnia di canto, diminuiscono sempre più, in favore di settimane e settimane di prove date spesso a registi ignari di musica, che non soltanto non sanno leggere una partitura, ma sempre più sovente inventano storie che vanno contro il discorso musicale. Nel carteggio con Kandinsky, Schoenberg sottolinea che, se la regia e la scenografia disturbano la musica, sono sbagliate. E certo Schoenberg non era un reazionario». 

Forse lei sì.  

«Non credo. Sono il direttore che ha fatto più produzioni, nove dagli anni 70, insieme con Ronconi, che certo non era un reazionario, soprattutto a quell’epoca. Sono ancora sotto l’influenza di Strehler, che non soltanto conosceva la musica ed era in grado di leggere una partitura, ma perseguiva il Bello: non come fatto estetico, come necessità della vera arte. Le mie produzioni con Strehler — Le Nozze di Figaro, il Don Giovanni, il Falstaff— mi hanno accompagnato e mi accompagneranno per tutta la vita e mi hanno insegnato molto. Ecco perché talvolta, forse esagerando, dico che sono stanco della vita. Penso di non appartenere più a un mondo che sta capovolgendo del tutto quei principi di cultura, di etica nell’arte con cui sono cresciuto e che i miei insegnanti al liceo e al conservatorio mi hanno comunicato». 

Ha qualche rimpianto?  

«Sì. Proprio adesso che ho finito di dirigere Aida in forma di concerto all’Arena, il mio rimpianto è non aver potuto fare Aida con Strehler, com’era nei nostri piani». 

Come sarebbe stata?

  «Senza elefanti. Giorgio credeva in un’Aida dove il trionfo fosse solo nella musica, non in quel faraonismo che ha caratterizzato le produzioni di Aida dovunque nel mondo, fino a diventare il simbolo stesso di Aida, nuocendo alla vera essenza dell’opera. Che è costruita su una delle partiture più raffinate e delicate di Verdi. E questo non vale solo per Aida». 

Cosa intende dire?  

«Non vorrei essere l’uccello del malaugurio; ma il costo esorbitante di scenografie e costumi, accanto alla scarsa competenza e autorevolezza dei direttori d’orchestra che — con le dovute eccezioni — lasciano i cantanti senza guida, mi preoccupano sul futuro dell’opera. L’Italia è piena di teatri del ’700 e dell’800 ancora chiusi. L’ho detto a Franceschini: riapriteli, dateli ai giovani. Formate nuove orchestre: ci sono Regioni che non ne hanno. Aiutate le centinaia di bande che languiscono, ridotte al silenzio da un anno e mezzo, con il disastro economico delle famiglie. Dobbiamo fare molte cose, se vogliamo che il nostro patrimonio operistico, il più eseguito al mondo, non sia considerato occasione di piacevole intrattenimento ma fonte di educazione e cultura, come le opere di Mozart, Wagner, Strauss. Verdi non è zum-pa-pa!». 

Com’erano davvero i suoi rapporti con Abbado?  

«Tra noi c’è stata sempre ammirazione reciproca. Hanno voluto montare una rivalità tipo Callas-Tebaldi o Coppi-Bartali: tutto falso. Quando sono andato al conservatorio di Milano, Abbado era già in carriera: abbiamo avuto rare occasioni di incontrarci, ma sempre cordiali». 

E con Pavarotti? 

 «Ho cominciato a lavorare con lui nel 1969, con i Puritani alla Rai di Roma. Poi abbiamo avuto momenti di frizione...». 

Per quale motivo? 

 «Fatti tecnici. Incomprensioni musicali. Tramutate in una grande amicizia. Devo a Pavarotti una delle più belle, se non la più bella voce della seconda metà del Novecento. Lui mi ha regalato cose meravigliose: un Pagliacci registrato in disco a Filadelfia, un Requiem di Verdi alla Scala, e soprattutto il Don Carlo scaligero, dove Pavarotti in particolare nel finale dà una lezione di tecnica vocale, di fraseggio perfetto, davvero di grande ispirazione. Sulle parole “ma lassù ci vedremo in un mondo migliore” riconosco la sua generosità. Diversi anni prima che morisse, mia moglie e io lo invitammo a Forlì a un concerto di beneficienza per una comunità di tossicodipendenti. Pavarotti venne apposta dall’America. Non volle una lira, si pagò lui il biglietto aereo. Lo accompagnai per tutta la serata al pianoforte, di fronte a settemila persone. Un gesto che non potrò mai dimenticare». 

Qual è l’ultimo ricordo che ha di lui?  

«La salma nel Duomo di Modena, la piazza che risuona del famoso “Vincerò...”. Io avrei preferito che fosse messo il finale del Don Carlo. Non solo per il significato delle parole, ma anche per la lezione di canto, per la sottolineatura di un aspetto della vocalità di Pavarotti non trionfalistica ma intima e delicata». 

Lei pensa che davvero ci vedremo in un mondo migliore? 

«Non lo so. Certo non nei Campi Elisi. Spero ci sia tanta luce; mi basta che non ci sia la metempsicosi. Non ho voglia di rinascere, tanto meno ragno o topo, ma neanche leone. Una vita è più che sufficiente». 

Crede in Dio?  

«Ho avuto una formazione cattolica. Ho ammirato molto papa Ratzinger, anche come magnifico musicista. Non credo nei santini di Gesù biondo. Dentro di noi c’è un’energia cosmica che ci sopravvive, perché è divina. Ricordo la morte di mia madre Gilda: ebbi netta la sensazione che il suo corpo diventasse pesante come marmo, mentre si liberava un flusso, l’energia vitale. Sento che l’universo è attraversato da raggi sonori che arrivano fino a noi; ed è la ragione per cui abbiamo la musica. I raggi sonori che hanno attraversato Mozart sono infiniti». 

Chi ha dato la migliore definizione della musica? 

 «Dante. Paradiso, canto XIV: “E come giga e arpa, in tempra tesa/ di molte corde, fa dolce tintinno/ a tal da cui la nota non è intesa,/ così da’ lumi che lì m’apparinno/ s’accogliea per la croce una melode/ che mi rapiva, sanza intender l’inno”. La musica è rapimento, non comprensione. Critici musicali, tutti a casa! Non c’è niente da comprendere. Come diceva Mozart, la musica più profonda è quella che è tra le note o dietro le note». 

Come ha passato il lockdown?  

«A studiare. La Missa Solemnis di Beethoven. La mia prima partitura è del 1970. Ci lavoro da più di mezzo secolo, ma non ho mai osato dirigerla. Lo farò ad agosto a Salisburgo. È la Cappella Sistina della musica: la sola idea di accostarla mi ha sempre dato grande timore. Ci sono dettagli di importanza enorme. Al Miserere nobis Beethoven premette un “O”, che presuppone un interlocutore. Beethoven ha sentito che l’invocazione era rivolta a Qualcuno. Pare un dettaglio, ma apre un mondo. Significa che un Essere superiore esiste». 

Quindi non è stato un brutto lockdown

 «A parte lo studio, è stato orribile. La disumanizzazione si è fatta ancora più profonda. La mancanza di rapporti umani è terrificante. Entri al ristorante e vedi al tavolo cinque persone tutte chine sul loro smartphone... Io non lo posseggo e non lo voglio. Me ne hanno dovuto dare uno, per entrare in Giappone, ma non sono riuscito ad accenderlo. La tv avrebbe dovuto approfittare del lockdown per fare trasmissioni educative. Invece, a parte qualche bel documentario, siamo stati invasi da virologi, da sedicenti “scienziati”. Per me scienziato era Guglielmo Marconi!». 

Non ama i talk-show?  

«Riesco a seguire un contrappunto in otto parti musicali che si intersecano una con l’altra, ma non riesco a capire due persone che si parlano una sull’altra. Creano disarmonia, cacofonia; mentre otto linee musicali una diversa dall’altra devono concorrere al raggiungimento dell’armonia. La banalità della tv e della Rete, questo divertimento superficiale, la mancanza di colloquio mi preoccupano molto per la formazione dei giovani». 

Lei è di destra o di sinistra? 

«Né l’uno né l’altro. Sono tra quelli che tentano di dare indicazioni utili. A Firenze negli anni 70 ero amico di molti comunisti, tra cui Paolo Barile, il costituzionalista; ma siccome usavo spesso parole come “patria” e mi piaceva eseguire l’inno di Mameli, qualcuno sentì odore di idee di destra. Io sono nato uomo libero e tale rimango. Sono cresciuto con dettami salveminiani, socialista non bolscevico. Non mi sono mai affiliato a una congrega».

 C’è un eccesso di politicamente corretto anche nella musica?  

«Con il Metoo, Da Ponte e Mozart finirebbero in galera. Definiscono Bach, Beethoven, Schubert “musica colonialista”: come si fa? Schubert poi era una persona dolcissima... C’è un movimento secondo cui, nel preparare una stagione musicale, dovrebbe esserci un equilibrio tra uomini, donne, colori di pelle diversi, transgender, in modo che tutte le questioni sociali, etniche, genetiche siano rappresentate. Lo trovo molto strano. La scelta va fatta in base al valore e al talento. Senza discriminazioni, in un senso o nell’altro. Posso parlare perché la maggior parte dei “Composers-in-Residence” che abbiamo ospitato in questi dieci anni a Chicago sono donne».

 È vero che da bambino pensavano che lei non avesse talento?  

«Papà mi regalò a Natale un violino. Piansi; volevo un fucile con il tappo. Dopo due mesi di vani tentativi di leggere i solfeggi, papà disse: “Il piccolo Riccardo non è portato per la musica”. Mamma concluse: “Proviamo ancora un mese”. D’un tratto imparai a solfeggiare. Ma l’incontro decisivo fu con Nino Rota».

 Il compositore dei film di Fellini.  

«Diedi con lui a Bari l’esame del quinto (anno del, ndr) corso di pianoforte da privatista: mi diede 10 e lode in tutte le prove. Così decisi di iscrivermi al conservatorio. La mattina andavo al liceo, il pomeriggio prendevo la corriera per Bari». 

Per essere stanco della vita, lei è sempre in giro. 

 «Credo nei viaggi dell’amicizia e della pace. Non lavori per il successo, la quantità di applausi e articoli; lo fai perché capisci che la nostra professione è una missione. Ho diretto il primo concerto a Sarajevo dopo i bombardamenti, il Va’ pensiero a New York nel buco lasciato dalle Torri Gemelle abbattute. Una sera ho diretto a Erevan, in Armenia, e la sera dopo a Istanbul. Ricordo a Nairobi un coro di bambini meraviglioso: avevano studiato il Va’ pensiero con una pronuncia assolutamente perfetta, mi commuovo ancora se ci penso. Ma a volte mi sembra di parlare ai sordi. Muti che parla ai sordi... Avvilente. Non è mancanza di volontà; è ignoranza atavica. E dire che le radici della musica mondiale sono in Italia: Palestrina, Monteverdi, Frescobaldi, Luca Marenzio, Scarlatti...». 

Ha paura della morte?  

«No. Da ragazzo andavamo la sera al cimitero a vedere i fuochi fatui. Ho conosciuto l’ultima prefica, Giustina: raccontava i pregi del morto, disteso sul letto nell’unica stanza della casa, la porta aperta sulla strada, alle pareti la foto del fratello bersagliere e dello zio ardito… Un mondo semplice e fantastico, che mi manca moltissimo. Per questo le dico che appartengo a un’altra epoca. Oggi il mondo va così veloce, travolge tutto, anche queste cose semplici, che sono di una profonda umanità...». 

Quindi non teme la fine?  

«Non in sé. Mi dispiace lasciare gli affetti. Mia moglie, i miei figli Francesco, Chiara e Domenico, i nipoti. E gli animali». 

Quali animali?  

«Il cane Cooper, un maltese. In campagna abbiamo colombe, conigli, galline, galli, e due asini sardi, Gaetano e Lampo: intelligentissimi. Si affezionano, ti guardano interrogativi con i loro occhi rosa... E noi diamo del cane e dell’asino come se fossero insulti». 

Come vorrebbe i suoi funerali?  

«Scherzosamente dico che lascerò l’indicazione di brani musicali da eseguire in chiesa attraverso incisioni, rigorosamente dirette da me». Perché?  «Non perché le ritenga le migliori; voglio che si ricordino come dirigevo Mozart, Schubert, Brahms. Se non sono io, me ne accorgo subito, e c’è la probabilità che si apra la bara... (Muti sorride). C’è una cosa però su cui sono serissimo». 

Quale? 

 «Ai miei funerali non voglio applausi. Sono cresciuto in un mondo in cui ai funerali c’era un silenzio terrificante. Ognuno era chiuso nel suo vero o falso dolore. Per i più abbienti c’era la banda che eseguiva lo Stabat Mater di Rossini o marce funebri molfettesi, famose in Puglia. I primi applausi li ricordo ai funerali di Totò e della Magnani, ma erano riconoscimenti alla loro capacità di interpretare l’anima di Napoli, di Roma, della nazione. Quando sarà il mio turno, vorrei che ci fosse il silenzio assoluto. Se qualcuno applaude, giuro che torno a disturbarlo di notte, nei momenti più intimi». 

Casa Menotti, della Fondazione Monini, resterà aperta per tutto il tempo del festival

 Il Centro di Documentazione del Festival dei Due Mondi di Spoleto, ospitato negli spazi di “Casa Menotti”, si pone come segno di continuità tra passato e presente, e dona forma e contesto al materiale audio, video e fotografico relativo alle edizioni del Festival dal 1958, anno della sua fondazione ad oggi. Questo materiale è stato raccolto, negli anni, dal Comune di Spoleto, dalla Fondazione Festival dei Due Mondi e dalla Fondazione Monini, che lo ha digitalizzato e reso fruibile.

La Fondazione Monini nasce con l’intento di fare di Casa Menotti uno scrigno della memoria.
La nascita del Centro di Documentazione del Festival dei Due Mondi sancisce una stretta collaborazione tra la Fondazione Monini, la Fondazione Festival dei Due Mondi e il Comune di Spoleto, che ha inserito il Centro – aperto al pubblico gratuitamente – nel prestigioso Circuito Museale della città di Spoleto.
È un luogo fruibile tutto l’anno, adatto a diversi livelli di visita e di approfondimento. Vi trovano spazio la storia del Festival, la figura del Maestro Gian Carlo Menotti e il legame del Festival tra la città di Spoleto e il contesto culturale internazionale. Attraverso un allestimento multimediale ed interattivo, vengono presentate le principali tematiche legate al Festival dei Due Mondi e al suo fondatore.
Il visitatore ha la possibilità di fruire di contenuti e materiale documentale dall’alto valore storico, culturale e artistico, e può interagire con essi seguendo un percorso che si sviluppa tra i vari piani della casa. Il visitatore potrà rivivere, attraverso l’uso di scenografie teatrali rivisitate in chiave high tech e multimediale, le atmosfere del Festival: musica, danza, teatro, sceneggiature, internazionalità a confronto, volti noti, scatti di emozioni senza tempo selezionati e raccolti in un percorso interattivo.

Premio Monini
Una finestra sui Due Mondi

Appuntamento di tradizione per il Festival, il Premio Monini “Una Finestra sui Due Mondi” giunge alla sua undicesima edizione. Istituito dalla famiglia Monini nel 2010, il riconoscimento viene consegnato da Maria Flora e Zefferino Monini ad artisti di fama nazionale e mondiale, insieme ad un “premio speciale” dedicato ai giovani talenti emergenti presenti al Festival.

L’evento è ospitato nel cartellone del Festival ed è organizzato in autonomia artistica ed economica.

Cremona. Nasce un Centro per gli archi, nell'Accademia Stauffer

 Con la nascita dello Stauffer Center for Strings - primo centro musicale internazionale interamente dedicato agli strumenti ad arco e nuova sede dell’Accademia Stauffer, di prossima inaugurazione il 1° di ottobre - arriva a Cremona il meglio della comunità musicale globale: artisti ed ensemble di fama mondiale, università e istituzioni musicali tra le più prestigiose a livello internazionale, organizzazioni partner d’eccezione, assieme per la prima volta in un’unica piattaforma di cooperazione artistica, concepita da Paolo Petrocelli, Direttore Generale dello Stauffer Center, per sostenere i migliori talenti delle future generazioni di musicisti.

Al centro di questo ambizioso progetto un programma accademico senza precedenti, che vede protagonisti oltre 40 artisti di fama internazionale come docenti d’eccezione – in continuità con la straordinaria storia di eccellenza dell’Accademia Stauffer, con uno sguardo aperto al mondo e proiettato al futuro - e la nascita degli Stauffer Labs, nuovi dipartimenti creativi per la ricerca musicologica, la composizione, la liuteria, la produzione musicale, il management artistico e l’innovazione e i media. Agli storici Maestri dell’Accademia Stauffer - Salvatore AccardoBruno GiurannaAntonio MenesesFranco Petracchi e il Quartetto di Cremona - si affiancano i nomi più prestigiosi della comunità artistica internazionale, fra cui Lisa Batiashvili, Daniel Hope, Viktoria Mullova, Julian Rachlin, Lawrence Power, Antoine Tamestit, Sol Gabetta, Steven Isserlis, Mischa Maisky, Alisa Weilerstein, Uxía Martínez Botana, Ödön Rácz, Caroline Shaw.

Lo Stauffer Center si posiziona così tra le istituzioni artistiche più avanzate ed innovative a livello globale, rilanciando la missione originale dell’Accademia Stauffer rivolta a favorire, supportare ed accompagnare la crescita artistica e professionale delle nuove generazioni di musicisti, attraverso programmi innovativi di altissimo profilo artistico, erogati in formula interamente gratuita per un numero selezionato di allievi, grazie a borse di studio a copertura totale sostenute dalla Fondazione Stauffer. Le iscrizioni ai corsi potranno essere effettuate a partire dal 28 giugno attraverso il nuovo sito dello Stauffer, progettato e realizzato da Oracle, società leader nelle tecnologie software e cloud.

Tra le principali novità del programma accademico 2021/2022: il primo corso di alto perfezionamento al mondo per concertmaster tenuto dai primi violini, alla guida delle dieci principali orchestre europee; un esclusivo programma di masterclass con alcuni tra gli artisti più apprezzati ed influenti della scena musicale internazionale; “Creative Associates Program”, una serie di corsi di formazione per esplorare linguaggi e culture musicali del mondo promuovendo una visione artistica sempre più inclusiva; le residenze artistiche realizzate in partnership con alcune tra le più prestigiose organizzazioni accademiche internazionali - tra le quali la School of Music dell’Università di Yale e il Royal College of Music di Londra – ensemble specializzati tra i più autorevoli della scena musicale internazionale e con le principali orchestre giovanili americane ed europee.

 L’Accademia Stauffer diventa inoltre la prima ed unica All-Steinway School d’Italia e lo Stauffer Center for Strings ospiterà la prima Biblioteca Digitale Universal Edition al mondo.

 L’inaugurazione del nuovo anno accademico e l’apertura della nuova sede di Palazzo Stauffer si terranno venerdì 1° ottobre 2021 in occasione dell’International Music Day, la Giornata Internazionale della Musica, con un evento di Open Day, in presenza e streaming. 

Iscrizioni online a partire dal 28 giugno 2021, tutte le informazioni alla pagina stauffer.org/

Concorso lirico Tullio Serafin all'Olimpico di Vicenza. Vincitori

 I sedici finalisti concorrevano per l’assegnazione di uno dei ruoli presenti nell’opera Mitridate, Re di Ponto di Mozart, che verrà eseguita il 9 e 12 settembre al Teatro Olimpico durante il festival “Vicenza in Lirica”. Vincitrice per il ruolo di Aspasia è stata Nina Solodovnikova, per il ruolo di Sifare Darija Auguštan, per il ruolo di Arbate Gloria Giurgola, per il ruolo di Farnace Franko Klisović e infine, per il ruolo di Ismene Martina Licari. Non è stato aggiudicato il ruolo di Marzio. Non avendo ricevuto alcuna iscrizione per il ruolo di Mitridate, la direzione artistica ha affidato la parte a Shanul Sharma. Sono stati assegnati anche due premi speciali, l’uno messo a disposizione dalla Fondazione Renata Tebaldi rappresentata da Barbara Andreini ed un secondo dal Concorso lirico Internazionale Ottavio Ziino rappresentato da Wally Santarcangelo. La Fondazione Renata Tebaldi ha scelto di premiare Darija Auguštan e Martina Licari con un concerto durante le celebrazioni a San Marino 2022 dedicate a Renata Tebaldi, ugualmente il Concorso Ziino ha premiato Veronica Marini con un concerto inserito nella loro programmazione.

Il compito di scegliere i protagonisti dell’opera è stato affidato ad una giuria composta da Dominique Meyer, Sovrintendente del Teatro alla Scala e presidente del Concorso, Pierangelo Conte (direttore artistico del Teatro Carlo Felice), Marco Tutino (compositore), Barbara Frittoli (soprano), Marco Angius (Orchestra di Padova e del Veneto), Sherman Lowe (maestro di canto), Barbara Andreini (Fondazione Renata Tebaldi), Cecilia Gobbi (Fondazione Tito e tilde Gobbi), Eleonora Pacetti (Teatro dell’Opera di Roma), Wally Santarcangelo (Concorso lirico internazionale Ottavio Ziino), Andrea Castello (presidente dell’Archivio storico Tullio Serafin e direttore artistico del Festival Vicenza in Lirica).

sabato 26 giugno 2021

Teatro Galli di Rimini. Riapre, in agosto, con la stessa opera verdiana, AROLDO, che lo inaugurò nel 1857 ( da GdM, di Alessandro Rigolli)

 

Rimini si prepara al ritorno dell’opera verdiana Aroldo sul palcoscenico del Teatro Galli, vale a dire il luogo in cui avvenne la prima rappresentazione nell’agosto del 1857, in occasione dell’inaugurazione del teatro stesso. L’opera sarà allestita il 27 e 29 agosto 2021 (ore 21) in una coproduzione che vede il teatro di Rimini capofila, in collaborazione con i teatri Alighieri di Ravenna, Luciano Pavarotti di Modena e Municipale di Piacenza.

Il Teatro Galli, tornato al suo originario splendore nell’ottobre 2018, prosegue in questo modo il suo percorso verso il riconoscimento come settimo teatro di tradizione in Emilia-Romagna, dove già appartengono a questa categoria il Teatro Comunale di Ferrara, il Comunale di Modena, il Dante Alighieri di Ravenna, il Municipale di Piacenza, il Municipale di Reggio Emilia e il Regio di Parma.


Si tratta un Aroldo inedito, con una rilettura in chiave attuale, quello che si presenterà al pubblico nel nuovo allestimento.

A caratterizzare questa nuova produzione è il significativo coinvolgimento di artisti originari del territorio, a cominciare dal direttore Manlio Benzi sul podio dell’Orchestra Luigi Cherubini e del Coro del Teatro Municipale di Piacenza e dallo scenografo Edoardo Sanchi, che firma con Emilio Sala la regia e la drammaturgia di uno spettacolo che nella sua concezione intende riflettere anche la storia del teatro di Rimini.



Nella squadra coinvolta nell’allestimento troviamo Isa Traversi alla cura dei movimenti scenici, Giulia Bruschi (scene), Elisa Serpilli (costumi), Nevio Cavina (luci), Matteo Castiglioni (video e proiezioni). In scena i cantanti Antonio Corianò (Aroldo) Lidia Fridman (Mina) Michele Govi (Egberto) Adriano Gramigni (Briano), Cristiano Olivieri (Govino),

L’opera – presentata in videoconferenza dalla sede della Regione Emilia-Romagna alla presenza dell’assessore regionale alla Cultura e Paesaggio Mauro Felicori, del sindaco di Rimini Andrea Gnassi, dell'assessore alla Cultura del Comune Giampiero Piscaglia e del direttore d’orchestra Manlio Benzi – sarà anche trasmessa in diretta il 27 agosto sulla piattaforma Opera Streaming, progetto della Regione Emilia-Romagna, coordinato del Teatro Comunale di Modena. Sarà visibile gratuitamente sul canale YouTube di OperaStreaming e accessibile dal sito internet www.operastreaming.com. Lo spettacolo resterà disponibile in differita per i sei mesi successivi.

Informazioni: www.teatrogalli.it

Opera di Liegi. Stagione 2021-22, presentata da Speranza Scappucci. Arriva il nuovo sovrintendente, Stefano Pace, da Trieste ( da GdM, di Alma Torretta)

 Una successione nel segno della continuità. Il Consiglio d’amministrazione dell’Opéra Royal de Wallonie-Liège ha nominato suo direttore generale a artistico un altro italiano, Stefano Pace, attualmente sovrintendente del Teatro Verdi di Trieste. Pace è stato scelto tra una rosa di 47 candidature di 17 differenti nazionalità con un’esperienza dirigenziale minima di 10 anni nel mondo della musica.  Una scelta che si vuole di continuità con l’operato di Stefano Mazzonis di Pralafera, scomparso prematuramente lo scorso febbraio ed il cui mandato sarebbe scaduto l’anno prossimo, dopo 14 anni di direzione da tutti giudicata particolarmente felice. Stefano Pace, nato a Roma architetto e poliglotta, si è formato innanzitutto nel laboratorio di scenografia del padre Walter e ha firmato la sua prima scenografia a 19 anni, collaborando in seguito con nomi quali Jonathan Kent, Maurice Béjart, John Dexter ou Krisztof Zanussi, ma dal 1994 ha occupato anche posti di direzione tecnica e artistica a l'Opéra National de Paris, al Palau de les Arts Reina Sofia de Valencia, al Teatro Massimo Bellini di Catania e al Covent Garden di Londra sino ad arrivare nel 2015 al vertice del Teatro Verdi di Trieste.

Pace entrerà nel ruolo a Liegi dal prossimo ottobre, nel corso dell’ultima stagione programmata da Mazzonis e presentata nei giorni scorsi dal suo direttore musicale, il maestro Speranza Scappucci,  che in questi mesi, tra pandemia e decesso di Mazzonis, è stato del teatro il punto di riferimento nell’emergenza. Una stagione come piaceva a Mazzonis, ricca di grandi voci e mix sapiente di opere di grande richiamo e chicche poco rappresentate, come la rarissima “Mese Mariano” di Umberto Giordano che sarà abbinata a “Suor Angelica” di Puccini affidate a maggio alla bacchetta dell’ucraniana Oksana Lyniv e regia di Lara Sansone; poi ad aprile altra chicca, “Mignon” di Ambroise Thomas, e prima a dicembre anche “Otello” di Rossini, quest’ultimo diretto da Gianluigi Gelmetti.  La stagione si aprirà il 16 settembre con “La Forza del destino” di Verdi, protagonisti Marcelo Alvarez e Maria José Siri; per proseguire a fine ottobre con “Eugène Onegin” di Tchaikovsky diretto dalla Scappucci e con un cast tra cui spicca il basso Ildar Abdrazakov nella parte del principe Gremin;  la Scappucci dirigerà anche a novembre la ripresa dell’allestimento del 2015 di Mazzonis di “Lucia di Lammermoor” con protagonista Zuzana Markova. In primavera un nuovo allestimento di “Rigoletto” per la regia di John Turturro e direzione musicale di Daniel Oren, coproduzione con il Teatro Massimo di Palermo e il Teatro Regio di Torino, con protagonista il baritono Carlos Alvarez e il debutto nel ruolo di Gilda del soprano star belga Jodie Devos; ci sarà infine anche  “Simon Boccanegra”, sul podio di nuovo la Scappucci, con protagonisti George Petean e Federica Lombardi, nuova produzione che avrebbe dovuto portare la firma di Mazzonis e che sarà realizzata invece da Laurence Dale.

Previsto anche un ricco programma di concerti, che vedrà protagonisti solisti come Juan Diego Flórez, Nadine Sierra e la coppia Aleksandra Kurzak e Roberto Alagna, quest’ultima con un programma incentrato su Puccini. Da segnalare anche una serata “Amour&Mort” diretta dalla Scappucci con musiche di Richard Wagner e Richard Strauss e l’orchestra dell’Opera di Liegi sarà protagonista pure del famoso balletto di Michèle Anne De Mey sulla “Sinfonia Eroica” di Beethoven, con un piccolo contributo di Mozart, che per la prima volta sarà danzato con accompagnamento dal vivo. Se l’inizio della stagione 2021-22 sarà anticipata, a fine agosto, dal Requiem di Mozart diretto da Speranza Scappucci e dedicato a tutte le vittime della crisi sanitaria, il 30 giugno 2022, a chiusura della programmazione, ci sarà invece un grande omaggio a Stefano Mazzonis che ripercorrerà i suoi 14 anni di direzione e vita a Liegi con invitate tutte le star che in questi anni hanno lavorato con lui in Belgio.

GRANDE, aggettivo usato a sproposito per la musica

 Grande, aggettivo in costante inflazione d'suo,  non conosce, in ambito musicale,  nè soste nè rallentamenti. Ed è assai curioso che il suo uso eccesivo riguardi soprattutto la musica , molto meno alcune altre forme  d'arte - perchè non lo si usa quasi affatto, ad esempio, per la pittura e anche per il teatro, forse appena un pò per il cinema.

 Il fatto è che tale aggettivo, usato a sproposito, come etichetta che dà garanzie, nasconde quasi sempre  una truffa.

 Prendiamo ad esempio il nostro caso, quello cioè delle tre trasmissioni che, fra luglio e agosto, trasmetterà Rai Tre, con Pippo Baudo e Antonio Di Bella che dall'Arena, e nell'Arena, di Verona racconteranno tre capolavori del nostro melodramma. Sarebbe a dire la 'Grande' opera.

 Di grazia. Ci sarebbe e quale sarebbe, eventualmente, la 'piccola' opera? E' evidente che non ce ne è, e che quell'aggettivo va letto solo come richiamo per allodole distratte e stonate. Un pò come i proclami che si leggono, anche in questi giorni, nelle vetrine dei negozi, a proposito degli sconti sulla merce,  che vengono definiti appunto 'grandi' e che qualche volt nascondono una 'sola', come si dice a Roma, ovvero una 'truffa'.

 Poi c'è il capitolo dei narratori. Baudo e Di Bella, una strana coppia messa insieme da un certo Mazza che a Verona imperversa - a fianco, e talvolta anche contro l'Arena - ma che il pubblico televisivo conosce bene per la sua presenza al vertice organizzativo del Festival di Sanremo.

 All' origine, è dall'ambito della musica leggera, cosiddetta, che quell'aggettivo è rimbalzato nella musica  'pesante', cosiddetta. 

 Basta che ci siano tre o quattro cantanti o cantautori, e che vi sia un' orchestra che li accompagni, e si legge, di consueto . la 'grande' musica, dove di grande c'è forse solo il numero dei componenti nel caso dell'orchestra, mentre tutto il resto è piccolo piccolo.

 A 'grande' si è voluto accompagnare, in questo caso, anche una precisazione ancora più enfatica: per la prima volta si tenta un simile esperimento.

Ora non sappiamo di Di bella, ma di Baudo sappiamo per certo che  ha visto quelle  belle edizioni di 'All'Opera! ' con Lubrano, seguitissime e  per questo cancellate dopo sei cicli, che avevano un doppio vantaggio: il racconto dell'opera fatto da quell'istrione della tv che è Antonio Lubrano e, soprattutto, l'ascolto e la visione dei punti salienti dell'opera in questione.

 Non sappiamo cosa intendono fare  i due ora prestati al melodramma, ma temiamo che prenderanno il sopravvento sull'ascolto dell'opera,  che è poi ciò che la televisione dovrebbe fare per risvegliare la memoria del nostro passato musicale, in via di dimenticanza.  E questo All'Opera! lo faceva in modo superlativo.

In questi giorni si è svolto a Milano il Prix Italia, dove sono state presentate due realizzazioni operistiche effettuate all'Opera di Roma, ad opera del regista Martone - l'aspetto singolare stava proprio nella regia che usufruiva dell'intero teatro senza pubblico - con la direzione musicale di Daniele Gatti, in partenza dal teatro della Capitale. Per nessuna delle due neanche una 'menzione' dalla giuria.

 E ci è venuto in mente che una quindicina di anni fa o poco più, in un'altra edizione del Prix Italia, che ebbe luogo e Reggio Emilia, noi , proprio noi presentammo alla stampa internazionale alcune puntate di All'Opera!, che suscitarono molto interesse, perchè  assoluta novità nell'intento di diffondere nuovamente nel pubblico televisivo, quello di Rai Uno, la conoscenza ed anche l'amore per l'opera.

 Dunque l'attuale esperimento che vedremo fra luglio e agosto su Rai Tre, novità assoluta non lo è affatto. Della sua efficacia nell'avvicinamento del pubblico al melodramma non siamo sicuri, mentre sulla preponderante presenza del 'principe' dei presentatori  possiamo scommettere fin d'ora.

La GRANDE opera dall'Arena di Verona su Rai Tre a luglio. Con Baudo e Di Bella (da L'Arena quotidiano)

 Dal 27 luglio, per tre martedì, andrà in onda in prima serata su Rai 3 «La grande opera all’Arena di Verona raccontata da Pippo Baudo e Antonio Di Bella», un ciclo di appuntamenti speciali per portare idealmente il pubblico televisivo dentro l’Arena di Verona a vivere con passione la grande opera.

 

Nella prima serata, martedì 27 luglio, andrà in onda «Cavalleria rusticana», il secondo appuntamento, martedì 3 agosto, sarà dedicato a «Pagliacci» e martedì 10 agosto sarà la volta dell’«Aida» di Giuseppe Verdi, proprio nel giorno dell’anniversario del suo debutto in Arena, il 10 agosto del 1913.

 

«Questa iniziativa - ha detto Baudo - è soprattutto coraggiosa, perchè in questo momento tutti quanti tendono ad evitare l’esposizione, a fare poco, perché si ha paura. Invece qui gli organizzatori con in testa Gianmarco Mazzi e il sindaco Federico Sboarina, e la Fondazione Arena con la sovrintendente Cecilia Gasdia, hanno puntato ad alzare il tiro, a mirare alto, a tentare di riportare tutto com’era una volta». Certo non è facile - ha osservato -, ci sono molte difficoltà, le presenza contingentate. Però se si vuole, se si ha il coraggio di osare, si può fare».

 

Questo progetto, mai realizzato prima, nasce appunto da un’idea di Gianmarco Mazzi per Arena di Verona Srl., su impulso del Presidente della Fondazione Arena di Verona, e sindaco ella città scaligera, Federico Sboarina. «Arena di Verona srl - ha spiegato Mazzi -, che all’Arena rappresenta il "live" e gli eventi tv, ha lavorato a fianco della sovrintendente Cecilia Gasdia per valorizzare il mondo dell’opera di Fondazione Arena di Verona, con l’obiettivo di divulgare in Italia e all’estero la grandezza delle produzioni areniane e l’importanza di  "Verona capitale mondiale dell’opera"».

 

Così Rai 3, la rete «generalista» della cultura, a dare spazio a questa iniziativa, in cui per la prima volta, i telespettatori potranno vivere l’esperienza dell’opera come se fossero immersi nell’Arena di Verona. «Tantissimi tanti film americani - ha sottolineato Di Bella - usano arie d’opera e hanno l’opera nella loro pancia, cito la sigla iniziale di "Toro scatenato" di Martin Scorsese, che usa proprio l’intermezzo di Cavalleria rusticana, ma ci sono tanti esempi. Il morso nell’orecchio di Compare Turiddu viene inserito nel Padrino parte III».

 

«Quindi l’opera è presente a Hollywood e a Broadway, e noi non ce ne rendiamo conto da italiani. Vivendo in America si capisce ancora di più, per questo è imperante farla vedere ai giovani e a tutto il mondo, perchè è anche occasione di attrazione turistica» ha concluso Di Bella.

 

Pippo Baudo e Antonio Di Bella, stando insieme al pubblico all’interno dell’Arena di Verona, racconteranno le opere, i loro retroscena e anche le curiosità sul prestigioso Anfiteatro che le ospita, il più grande teatro a cielo aperto del mondo«. Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni e Pagliacci di Ruggero Leoncavallo verranno registrate questa sera, nel giorno della loro prima al Festival areniano. Aida di Giuseppe Verdi verrà invece registrata nella serata di domani, sabato 26 giugno.

Omaggio a Sol Le Witt e Anna Mahler a Spoleto, dalla Fondazione 'Carla Fendi'

 Il progetto della Fondazione Carla Fendi per il 64/o Festival dei Due Mondi vuole essere un omaggio a Spoleto e a due grandi artisti che hanno vissuto e lavorato nel territorio dalla fine degli anni Sessanta agli anni Ottanta: Sol LeWitt, uno dei massimi esponenti del concettualismo e Anna Mahler, scultrice figlia di Gustav Mahler e di Alma Mahler Schindler.

In questo contesto nasce "Art & Science into Spoleto Sol Lewitt/Anna Mahler". Per tutto il periodo del Festival, si potrà ammirare sulla facciata del teatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi il grande murale con la riproduzione di un particolare dell'opera Wall Drawing #1119 di Sol LeWitt. Una delle sculture di Anna Mahler sarà esposta nel foyer del teatro. Il progetto si svilupperà poi in diversi momenti con documentari, letture, percorsi di visita ai Mahler & LeWitt Studios, residenze destinate ad ospitare artisti provenienti da tutto il mondo che la Fondazione Carla Fendi apre per la prima volta al pubblico, proiezioni, esposizioni. Domenica 11 luglio alle ore 20.30, momento conclusivo con il Premio Carla Fendi, attribuito a Carol LeWitt e a Marina Mahler, eredi degli artisti, promotrici di cultura e creatrici delle residenze d'artista Mahler & LeWitt Studios a Spoleto. (ANSA).

Cena di Emmaus ad Arrone (Terni). E' di Caravaggio?

 Potrebbe essere di Caravaggio la "Cena on Hemmaus" custodita nella Chiesa di Santa Maria Assunta ad Arrone, in provincia di Terni. Lunedì 28 giugno alle 11,30 ad Amelia (Terni) nella sala dello Zodiaco di palazzo Petrignani, in occasione della inaugurazione e riapertura al pubblico del palazzo dopo i lavori di restauro, si terrà una conferenza stampa alla presenza del sindaco di Amelia, del sindaco di Arrone e dello storico e critico d'arte Vittorio Sgarbi. "In tempi di febbre caravaggesca - spiega Sgarbi in una sua nota - è importante far conoscere un dipinto che il Vescovo di Spoleto, Carlo Giacinto Lascaris, alla fine del Seicento riteneva di Caravaggio. È un'opera intensa, potente, certamente caravaggesca". L'opera sarà esposta al pubblico nel museo civico di Amelia nel corso di una cerimonia d'inaugurazione in programma il prossimo 22 agosto. (ANSA).

Trump vuole 'salvare' la democrazia americana. Si accomodi!

 Non voglio distruggere la democrazia americana, sto cercando di salvarla". E' quanto afferma l'ex presidente Donald Trump, accusando i democratici statunitensi di aver usato la pandemia di Covid-19 per "rubare il voto" delle elezioni presidenziali. "Con un Congresso repubblicano il prossimo anno ci batteremo per i lavoratori, porteremo avanti la politica dell'America First, fronteggeremo la Cina, metteremo fine all'immigrazione illegale",

Il PD difende la Veaute. I primi passi falsi dovuti all'inesperienza - scrive il PD di Spoleto. Ma che c'entra il PD? La Veaute è una sua espressione diretta ed anche indiretta, per via del marito?

 "La vicenda delle scelte artistiche e di collaborazione annunciate dalla Direttrice artistica del Festival dei Due Mondi Monique Veaute, portata alla ribalta dalla stampa locale e nazionale ci ha spiazzati. Avevamo infatti salutato con soddisfazione le affermazioni di madame Veaute sull’intenzione di ricalcare le orme del Maestro Gian Carlo Menotti che sulle scelte artistiche ha sempre agito in totale autonomia riservando ai propri amici - e di amici ne ha avuti tanti specialmente nei primi anni del Festival - il ruolo di mecenati finanziatori, lasciando i rapporti interpersonali nell’ambito della sua vita privata.

Vogliamo quindi considerare l’annunciata consulenza artistica della senatrice Urbani una questione che rientra nella sfera privata anche alla luce del fatto che sul portale ufficiale del Festival non compare più il suo nome tra i consulenti. Vogliamo quindi valutarlo come un errore di inesperienza da parte della Veaute che, non ci fa meraviglia, sarà sicuramente tirata da tutte le parti. Sulla stessa linea, a parere del Pd di Spoleto, si colloca quindi il caso del figlio della Presidente del senato Casellati, Alvise che già nel 2016 avrebbe voluto esibirsi come direttore d’orchestra in piazza Duomo ricevendo un cordiale, ma deciso 'no'.

Per lui sarà l’occasione di dimostrare se vale come musicista, nel caso sarà per lui l’inizio di una carriera di successo, visto che il Festival è stato un trampolino per tanti talenti. Ma se non sarà all’altezza dell’ambiziosa performance di sicuro il pubblico, anche quello spoletino che è abituato e molto preparato all’ascolto e alla partecipazione agli spettacoli di musica classica grazie al Festival e Teatro Lirico Sperimentale, non sarà clemente con lui. Perché essere riconosciuto artista è un traguardo che si conquista. Nessuno può regalarlo.

Auspichiamo piuttosto che proprio nel solco del Maestro Menotti, torni a Spoleto dal prossimo anno, l’opera lirica e con essa i laboratori di scenotecnica, la sartoria e le prove d’orchestra. Questo sì che sarebbe un contributo alla città che con amore, discrezione e rispetto accoglie gli artisti da sempre".

                                                           *****

Ma la Veaute ha 70 anni e di esperienza nel mondo dello spettacolo e cultura ne ha fatta fin troppa. E' su piazza dagli anni Ottanta , da quando arrivò a Villa Medici, a lavorare con il direttore Drot. Da allora, pur stabile a Roma, dove ha trovato casa ed ha preso marito, esponente PD, ha fatto anche ritorno in patria e poi si è trasferita per un periodo a Venezia alla corte di Pinault, da dove è venuta via anzitempo per dissidi con il padrone.

  Poi ha messo radici solide - 'a vita' - nella Fondazione RomaEuropa, con il suo sodale Grifasi. Dunque dov'è l'inesperienza, cui il PD accorso  in sua difesa, si appella? Semmai un errore  compiuto con lucidità, nella speranza che nessuno se ne accorgesse.

 E c'è anche la storia di Alvise Casellati che con la polemica innescata rischia di diventare più famoso di quanto ancora non sia riuscito a fare con la sua attività di direttore.

 La storia del suo mancato arrivo a Spoleto per la seconda volta nel 2016, per il veto di Giorgio Ferrara, è una sciocchezza. Ferrara, se gli fosse stato chiesto dalla Casellati e dagli altri che lo avevano messo a Spoleto - della parrocchia del suo fratellone Giuliano, tanto per intenderci - avrebbe detto picche? Poveri illusi!

 Comunque, la difesa non richiesta -  excusatio non petita, accusatio manifesta,  dicevano i latini - del PD, già altre volte usata per difendere il parlamentare PD Causi, sposato Veaute - e perciò detto il 'signor Veaute - fa ancora una volta capire come un partito che ha altre origini e più importanti finalità si perda dietro interessi privati, nel nostro caso INDIFENDIBILI ( P.A.)



venerdì 25 giugno 2021

Glenn Watkins. Scomparso il primo grande studioso di Gesualdo (da GDM di Dinko Fabris)

 È scomparso il 19 giugno scorso, all’età di 94 anni, Glenn  Watkins, il massimo studioso della musica di Carlo Gesualdo. Era nato il 30 maggio 1927 in una cittadina del Kansas, ma per la maggior parte della sua carriera il suo aplomb e perfino la pronuncia rendevano in tutto credibile una sua origine British. Dopo aver completato i suoi studi negli Stati Uniti con un dottorato alla Eastmann School di Rochester, dal 1953 aveva trascorso due anni di ricerche a Londra e Oxford e poi a Parigi dove si era perfezionato in organo ed analisi con Nadia Boulanger. I suoi due grandi interessi di studio, Gesualdo e Stravinsky, si presentarono uno legato all’altro con incontri casuali quanto decisivi. Nel 1953, mentre era borsista dell’Università di Oxford, aveva cominciato le sue ricerche sul principe di Venosa, Carlo Gesualdo, di cui non esistevano ancora edizioni complete né biografie attendibili: il suo Gesualdo. The Man and his Music con la prefazione ammirata di Igor Stravinsky, uscirà per Oxford University Press nel 1974 e la seconda edizione del 1991 è ancora il testo di riferimento nel mondo. Tra il 1959 e il 1962 uscirono i volumi da lui curati per la prima edizione completa delle opere di Gesualdo (Ugrino Verlag), con l’intera produzione sacra del principe. E nel 1960 avvenne il suo primo incontro con Stravinsky a New York: fu Watkins a proporre al compositore di completare le parti mancanti delle Sacrae Cantiones del principe del 1603, ritoccandole lui stesso per l’edizione Ugrino. Dopo mezzo secolo, Watkins pubblicò nel 2010 il suo nuovo e ultimo libro sul principe, The Gesualdo Hex, questa volta con la prefazione di Claudio Abbado, che lo aveva voluto incontrare a Venosa, nel 2004, con la speranza di essere illuminato sulla musica di Gesualdo che appariva al grande direttore un totale mistero. Nel frattempo Watkins aveva dedicato a Stravinsky e al Novecento un libro che lui giudicava il suo più bello, pur se difficile e frammentario (Pyramids at the Louvre. Music, Culture, and Collage from Stravinsky to th Postmodernists, 1994), era tornato al Seicento per un’ edizione di musiche di Sigismondo d’India, e poi aveva pubblicato un originale libro dedicato alla musica nella prima guerra mondiale (Proof through the night, 2003), lui che aveva partecipato attivamente alla seconda guerra mondiale, probabilmente nei servizi segreti. Nel 2013 il suo ultimo lungo viaggio in Italia per il quarto centenario della morte di Carlo Gesualdo, partecipando a tutti i convegni di quell’anno intenso, da cui nacque la New Gesualdo Edition (Bärenreiter), prima edizione davvero critica delle opere di Gesualdo, voluta fortemente da Abbado, in cui Watkins presiedeva il comitato scientifico. Al 2015 risale il nostro ultimo incontro di persona, all’Università del Michigan dove aveva compiuto i primi studi e poi era stato amatissimo docente di musicologia fino al 1996. Aveva  stabilito infatti che dovessi tenere la conferenza inaugurale - su Gesualdo ovviamente - del ciclo intitolato “Watkins Lectures” nella nuova sala costruita con un fondo da lui donato e che ne porta oggi il nome. A Glenn Watkins sarà dedicata la “Summerschool Gesualdo” organizzata dal 25 al 29 agosto prossimi nel castello del Comune di Gesualdo dall’Istituto di Studi Gesualdiani e dall’Università di Salerno. Nella Hall of Fame gesualdiana il nome di Watkins resterà per sempre legato alle personalità di Stravinsky e Abbado, circostanza eccezionale per un musicologo.

Teatro Sperimentale di Spoleto. Si cambia ( da GDM, di Mauro Mariani)

 Il programma del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto per il 2021 spazia da titoli poco noti del Settecento all’opera moderna e contemporanea, passando per uno dei più popolari melodrammi italiani, per offrire un ventaglio di proposte molto variegato al pubblico e soprattutto garantire una preparazione il più possibile completa ai giovani cantanti vincitori dell’annuale concorso di canto spoletino, che saranno i protagonisti di tutti gli spettacoli.

Come preludio alla stagione vera e proprio, il 6 e il 7 agosto si svolgerà uno spettacolo aperto da Prologo, con musiche e testi di Gino Negri, cui seguirà Giovanni Sebastiano, sempre di Negri, opera vincitrice del Prix Italia  nel 1967. “Negri - ha commentato Enrico Girardi, che da quest’anno affianca Michelangelo Zurletti alla direzione artistica - apparteneva alla stessa generazione della cosiddetta avanguardia, con cui condivideva molti aspetti sia poetici che estetici, ma dedicò uno sguardo anche a forme “più leggere” e meno impegnate di musica, come la musica per la pubblicità, il cinema e il teatro di prosa. Questa curiosa e brillante composizione teatrale, in cui viene innestata con molta sapienza e ironia l’antica pratica barocca della parodia, ne è uno splendido esempio”. La direzione musicale è di Lorenzo Masoni e la regia è di Giorgio Bongiovanni, che lascia prevedere delle sorprese.

L’inaugurazione ufficiale sarà con The Rape of Lucretia, opera da camera scritta nel 1946 da Benjamin Britten, che affronta il tema della violenza sulle donne, che rischia di essere perennemente attuale. Dirige Salvatore Percacciolo, un giovane che già si è fatto apprezzare allo Sperimentale nel Barbiere di Siviglia , mentre la regia, l’allestimento scenico e i costumi saranno curati dall’eclettica Giorgina Pi (3, 4 e 5 settembre).

Segue l'ormai tradizionale e attesissimo appuntamento con gli intermezzi comici del ‘700: quest’anno si avrà la prima rappresentazione in tempi moderni de L'ammalato immaginario  di Leonardo Vinci, figura chiave e di grande fascino della scuola napoletana. Insieme ad un altro intermezzo, la famosissima Serva Padrona  di Pergolesi, l’operina di Vinci forma un dittico sarà rappresentato Spoleto dal 10 al 12 settembre e poi  a Foligno, Città di Castello, Todi e Terni, in occasione della Stagione Lirica Regionale 2021. Sul podio Pierfrancesco Borrelli, immancabile ospite della rassegna spoletina, mentre Andrea Stanisci curerà la regia e l’allestimento scenico.

Il 15 settembre ci sarà un altro appuntamento atteso con interesse ogni anno: è Operalieder, ovvero la teatralizzazione di un programma liederistico, questa volta incentrata sul tema de L’amore da lontano, con due magnifiche raccolte di lieder  di  Beethoven e Schumann.

A concludere la 75ma stagione lirica dello Sperimentale sarà il nuovo allestimento della Madama Butterfly  diPuccini, in scena a Spoleto il 17, 18 e 19 settembre (con tre anteprime per studenti, anziani e associazioni nei giorni 14, 15 e 16) e poi a Perugia il 20 e 21 per la Stagione Lirica Regionale. La direzione è di Carlo Palleschi, particolarmente legato all’istituzione spoletina da diversi anni, e la regia di Stefano Monti.

Gli interpreti dei singoli ruoli non sono stati ancora annunciati ma, come sempre, i protagonisti dei vari spettacoli saranno i cantanti risultati vincitori o comunque idonei ai due più recenti concorsi di canto indetti dallo Sperimentale, oltre ad alcuni cantanti vincitori delle precedenti edizioni e a quelli selezionati dalla direzione artistica tra i giovani che si sono presentati alle audizioni. I loro nomi sono Chiara Boccabella, Dyana Bovolo, Luca Bruno, Roberto Calamo, Sara Cortolezzis, Nicola Di Filippo, Oronzo D’Urso, Elena Finelli, Candida Guida, Maria Stella Maurizi, Alberto Petricca, Giacomo Pieracci, Matteo Lorenzo Pietrapiana, Tosca Rousseau, Elena Salvatori, Luca Simonetti, Giorgia Teodoro, Magdalena Urbanowicz, Andrea Vincenti, Federico Vita.