Leggevamo, nei giorni scorsi, l'editoriale di una rivista che porta nel mondo dell'informazione la 'Voce del Classico'. E ci sorprendeva l'acume con cui il suo direttore ragionava sulle stagioni del melodramma in Italia. Che si deve fare per avere pubblico e mantenere viva l'affezione del pubblico per il nostro grande repertorio? Diversamente da quanto possiamo noi immaginare, non era questa la domanda che l'acuto direttore si poneva, evidentemente non interessato a numeri e resoconti finanziari e, neppure, supponiamo, alla qualità di ciò che si offre al pubblico. Veramente alla qualità pochissimi sembrano interessati, se dobbiamo leggere quasi ogni giorno che nella nostra penisola, all'interno dei teatri, si verificano miracoli a getto continuo, come a Cagliari, dove nel panegirico del nuovo timoniere cagliaritano, presente sulla medesima rivista, si leggeva che ha messo su una stagione in ventiquattr'ore e che al debutto della medesima, l'acqua di quel teatro sì è tramutata in vino! Importa di più che la confezione della stagione interessi ai critici, che come è noto a tutti, non pagano il biglietto nei teatri, salvo quando si mettono contro la dirigenza di uno degli elefanti melodrammatici italiani, come insegnano casi passati e recentissimi.
Fra quelle acute osservazioni abbiamo letto che il grande repertorio su quale si basa, come seconda 'direttrice di marcia', la programmazione di un noto virtuoso teatro italiano, che fa pubblico ed incassi e produce tanto, è una specie di 'supermercato coop', nel quale per nessuna ragione al direttore della nota rivista interessa andare a fare la spesa.
Mentre, scendendo in corsa dal carro-Lissner e volendo con un triplo salto appollaiarsi sul carro-Pereira, lo stesso direttore elogia gli interventi del prossimo sovrintendente milanese, elencando due 'colpi da maestro' inferti alla placida programmazione di Lissner: il 'Giulio Cesare' di Haendel , e la 'Finale di partita' di Kurtag. Magistrali, come non dargli ragione?
C'è solo qualche piccola cosa che fugge al direttore della nota rivista. E, cioè, che i teatri restano aperti solo se hanno pubblico, se mantengono viva la tradizione del nostro melodramma che solo ai critici non piace tanto, e se amministrano bene le risorse che hanno, e se ne procacciano altre proprie; se pensano a come ampliare il pubblico e a crearsene di nuovo. Il che non si fa con le regie che stravolgono e dissacrano, ma con una produzione intensa, qualitativamente non al di sotto degli standard consolidati di decenza, o con titoli sconosciuti che fanno la gioia solo dei critici sprovveduti, ma anche, a quanto pare, dell'acuto direttore della ben nota rivista che porta fra noi la 'Voce del Classico'.
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