Tira e tira, la corda anche la più solida alla fine si spezza. Ieri ennesimo incontro senza nulla di fatto, domani la Bohème andrà in scena a Caracalla per la terza volta senza orchestra, con l'accompagnamento del solo pianoforte, tra la protesta generale del pubblico. Martedì, se i rivoltosi ed anche facinorosi - chiamiamoli con il loro nome - non recederanno dai loro proposti sfascisti, il teatro dell'Opera darà via libera, con il consiglio di amministrazione convocato per quel giorno, al fallimento coatto. E...buonanotte ai suonatori.
Si chiude per ricominciare, naturalmente tutti fuori anche quegli oltre trecento che non sono d'accordo con gli scioperanti.
Riccardo Muti tace, non prende posizione quando forse una sua parola potrebbe avere peso per la soluzione che tutti auspicano. Ma forse lui lascia che si scornino fra di loro!
Fuortes, che dopo appena un semestre ha capito quanto sia difficile reggere un (quel) teatro - il suo la voro all'Auditorium o al Petruzzelli sono al confronto una passeggiata di salute - ha già messo le mani avanti. Se fallimento ci sarà, con l'affido del teatro ad un commissario, lui non vuole essere il commissario che deve liquidare e rifondare una nuova struttura. Ha dichiarato che non vuole farlo anche perché è un lavoro che non a fare. Mani alzate di Fuortes di fronte alle difficoltà.
La ragione per cui non ha lasciato l'Auditorium - come avrebbe dovuto fare - è proprio l'aver immediatamente intuito che la sfida all'Opera era grandissima e rischiava di travolgere lui e la sua fama di bravo amministratore. Come sta per accadere.
L'Auditorium è una casa d'appuntamenti offerta ogni volta al miglior offerente, chiavi in mano, a cifre non tanto modiche - una sala costa più dell'intero Circo Massimo! Naturalmente l'Auditorium ha una sua programmazione, ma la cosa non cambia, perchè, comunque, non ha una struttura produttiva con personale artistico e tecnico proprio, come un teatro d'opera. Ciò non toglie che nel decennio ormai trascorso la sua gestione abbia prodotto buoni risultati.
Oggi il Corriere ha battuto tutti. Richiamo in prima pagina; articolone in cronaca, intervento nelle 'opinioni', e terzo articolone nella 'romana', con il solito pastone sulla recente storia del teatro. Che si dà gloriosa a partire dal dopoguerra. Sbagliato. Si veda la storia da prima della guerra ed anche durante la guerra stessa, e si resterà stupefatti per il livello di produttività e la qualità stessa delle produzioni. Un esempio per tutti il 'Wozzeck' di Berg, in piena occupazione nazista, nel 1942.
Poi si tira in ballo, nel suddetto pastone, anche lo spettro di Sinopoli che ebbe una sua esperienza all'Opera, nella quale trascinò Sergio Sablich che poi, non ottenuto il risultato sperato, abbandonò a se stesso. (A proposito di Sablich, abbiamo notato, sfogliando il libriccino 'il mio Wagner' che nell'introduzione alle conversazioni di Sinopoli, Cappelletto, all'epoca assunto come 'drammaturgo' all'Opera - A FARE CHE? - non nomina neppure una volta Sablich, che pure era il Sovrintendente e di conseguenza gli aveva fatto il contratto ben compensato, naturalmente su richiesta di Sinopoli, suo amico).
Sinopoli paragonò Roma, a causa dell'Opera, a Tunisi. Durante quell'esperienza, Sinopoli di danni ne combinò - ampliò il personale tirando dentro tanti suoi amici, una vergogna! - e forse il più grosso gli fu impedito di compierlo: formare un'orchestra 'internazionale' che si sarebbe aperta e chiusa, all'occorrenza, con la quale che fare? Non l'ha mai spiegato bene. Un direttore che si assume la responsabilità di un teatro lavora con l'orchestra stabile e la porta ai livelli che egli desidera - Sinopoli poteva farlo. Perchè non lo fece? Allora evitiamo di santificarlo per miracoli che non ha fatto. Non dimentichiamo che lui le sue cose se le aggiustava come voleva. Ricordate quell'altra sparata sull'Auditorium di via della Conciliazione? Quello non è un auditorium, e fino a quando Roma non avrà un auditorium non tornerò a dirigervi. E infatti ebbe un incarico a Londra, certamente più interessante e per il quale fece quella sparata contro Roma. poi però a Roma tornò a dirigere, prima ancora che fosse pronto l'Auditorium - morì prima, ma avrebbe avuto senz'altro da ridire, magari, a ragione, per i problemi acustici, specie della sala grande - ma al Teatro Olimpico, un cinema, diciamo la verità un grande garage la cui acustica lasciava a desiderare alle orecchie di tutti, ma non del sofisticato Sinopoli. Formò a Roma un'orchestra da camera, con la quale prese a fare il repertorio sinfonico, Schubert, se ricordiamo bene all'Olimpico, il cui palcoscenico per l'orchestra aveva dimensioni ridotte. Un' Orchestra troppo piccola anche per Schubert, ma lui acutissimo trovò la scappatoia ideologica. Schubert è un autore cameristico, dunque con una formazione ridotta le linee delle sue composizioni emergono con maggiore evidenza. E tutti i giornalisti suoi amici lo seguirono. E, infine, le sue operazioni wagneriane senza rappresentazione: la musica da sola è sufficiente. Non sappiamo cosa avrebbe opposto Wagner.
Infine, torniamo a Carlo Fuortes che continua a sparare cifre di biglietti venduti e incassi; ma forse lo fa per incoraggiare i soldati alla lotta, come qualunque generale. Perchè dal 'Messaggero' apprendiamo che al 'Barbiere' di Caracalla andato in scena con orchestra ( la stessa che sciopera in 'Bohème') c'era 'molta gente'. Non era tutto esaurito,?allora come ha fatto l'incasso sbandierato? E poi ci volete dire una volta per tutte quanti posti ha Caracalla? anche per capire dove poggia quella astrusa pretesa degli scioperanti ( sfascisti!!!, che c'entrano loro con i posti?) che avrebbero voluto 5000 posti a Caracalla contro gli attuali 4000 agibili.
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