sabato 31 dicembre 2016
Musica per Roma:"il 2016 l'anno peggiore". No, a luglio ci siamo sbagliati, " il 2016 è stato l'anno migliore".
Leggete quello che scrivevamo a luglio, stando al comunicato conclusivo dell'estate di Musica per Roma.
Siamo alle solite. Mentre imperversa ancora la battaglia dei biglietti venduti, si canta vittoria. Abbiamo avuto parecchi 'esauriti' - loro dicono sold out, una parolaccia - ma poi a conti fatti, alla fine della fiera, i termini di quella vittoria vengono dimezzati. Appena un paio di giorni fa, proprio nella serata conclusiva l'ultimo proclama di vittoria di Musica per Roma: siamo arrivati a 82.000 presenze, Oggi, proprio un giornale amico, fa i conti al botteghino di Musica per Roma - l'edizione 2016 di 'Luglio suona bene' è iniziata ingloriosamente con il celebre svociato ex tenore, Carreras, amico del nuovo amministratore dell'Auditorium, spagnolo come l'ex tenore.
'Luglio suona bene' 2016 è iniziata il 14 giugno ed è appena terminata per un totale di 36 concerti, compresi quelli organizzati dall'Accademia di santa Cecilia ed ospitati, come gli altri, nella capiente cavea ( 3000 posti) all'aperto del complesso di Renzo Piano.
Per avere il tutto esaurito i biglietti venduti sarebbero dovuti essere 108.000 circa, ed invece sono di poco superiori agli 80.000.
Gli organizzatori gridano al successo - certo sono sempre un bel numero - ma ammettono che una edizione come quella del 2015, quella dell'addio del miracolante Fuortes, che ebbe 30.000 biglietti in più non si raggiungerà mai (naturalmente andrebbe considerato il fatto che l'anno scorso i concerti furono 4 in più e cioè 40).
Ma anche l'anno scorso, per registrare il 'tutto esaurito' quasi ogni sera , i biglietti avrebbero dovuto raggiungere quasi quota 120.000.
Le cause del parziale insucecsso di quest'anno- secondo gli organizzatori- vanno cercati nel perdurare della crisi economica e nella paura sempre più diffusa del terrorismo, quello che chiamano 'effetto Bataclan'. Ed anche, ma loro non lo dicono, nella partenza di Fuortes, che di miracoli di cartelloni perfetti e biglietti venduti era capace di farne ogni anno, senza sosta e sempre di più.
Noi potremmo apparire contenti di questi insuccessi. Errore. Non lo siamo affatto. Saremmo felici che ogni sera la cavea fosse letteralmente gremita di pubblico - nonostante che lo 'stile auditorium' che per molti versi è stato premiato nè ci piaccia nè ci convinca.
Ma comunque, successi od insuccessi - meglio i primi dei secondi- vogliamo cifre e bilanci chiari.
Dopo il bilancio in rosso del 2015 - con 2,1 milioni di Euro di buco, il 2016 si annunciava male per Musica per Roma. Malissimo. I dati diffusi da Musica per Roma lo facevano temere. E invece no. Il 2016 è stato l'anno che ha registrato il maggior successo di pubblico e di botteghino, da quando Musica per Roma esiste. E allora?
Musica per Roma dopo che Fuortes s'era portato all'Opera una batteria di cannoni per spararle grosse , ha pensato di acquistarne una nuova di zecca e di cominciare a spararle. Dunque il 2016 non l'anno più nero - come ci avevano detto a luglio - ma l'anno migliore!!!!
Daniele Gatti come Riccardo Muti. La storia infinita
Stando a quel che scriveva il Corriere, cioè Valerio Cappelli, informato dall'Opera di Roma di Fuortes, Daniele Gatti , dopo aver diretto il Tristano inaugurale, avrebbe sicuramente accettato di firmare un contratto di collaborazione di una certa stabilità. Anzi, nei giorni immediatamente precedenti la 'prima', sempre il Corriere, se ricordiamo bene, annunciava che Gatti stava ad un passo dalla firma del contratto come 'direttore musicale', addirittura. E, invece, nulla di fatto.
Storia già vista, fotocopia di ciò che avvenne alcuni anni fa con Muti. Il quale, dopo la visita che gli fecero a Salisburgo Vespa e Alemanno, aveva detto - forse fatto pensare o sperare - che avrebbe assunto la carica di direttore musicale all'Opera di Roma, per riportare il teatro ai fasti di una volta, facendolo tornare ad essere il diretto antagonista della Scala dalla quale era uscito sbattendo la porta, ed anche in qualche maniera invitato - stupidamente- ad andarsene.
Poi si sa come sono andate le cose. Muti non ha mai accettato nessun incarico che comportasse una qualche responsabilità, nonostante avesse subito messo suoi fedelissimi, a cominciare da Alessio Vlad, il direttore artistico che tutto il mondo invidia a Roma - perché lui le cose le fa con impegno, e con tutto quello che c'ha da fare in giro per il mondo non se la sentiva, questa la sua giustificazione. Allora dall'ipotesi dell'incarico di direttore musicale si passò a nessun incarico ma con l'impegno di dirigere due titoli per anno, aticipando la medesima motivazione che oggi Gatti confessa al Messaggero, a Simona Antonucci.
Le prossime tre inaugurazioni di stagione le farà ancora lui. E il film già visto proseguirà così. Prima della terza inaugurazione si comincerà a dire che Gatti non se la sente ancora, e nel medesimo tempo Fuortes lo nominerà 'direttore onorario a vita', secondo in tale ruolo che non vuol dire nulla, dopo Muti, visto che non vuol accettare l'incarico di 'direttore musicale' a tempo.
Nulla di nuovo come si vede, nonostante che Fuortes si sbracci ogni giorno per convincerci che all'Opera di Roma dopo il suo arrivo è tutta un'altra storia, mentre c'è appena un cambio di regie.
Storia già vista, fotocopia di ciò che avvenne alcuni anni fa con Muti. Il quale, dopo la visita che gli fecero a Salisburgo Vespa e Alemanno, aveva detto - forse fatto pensare o sperare - che avrebbe assunto la carica di direttore musicale all'Opera di Roma, per riportare il teatro ai fasti di una volta, facendolo tornare ad essere il diretto antagonista della Scala dalla quale era uscito sbattendo la porta, ed anche in qualche maniera invitato - stupidamente- ad andarsene.
Poi si sa come sono andate le cose. Muti non ha mai accettato nessun incarico che comportasse una qualche responsabilità, nonostante avesse subito messo suoi fedelissimi, a cominciare da Alessio Vlad, il direttore artistico che tutto il mondo invidia a Roma - perché lui le cose le fa con impegno, e con tutto quello che c'ha da fare in giro per il mondo non se la sentiva, questa la sua giustificazione. Allora dall'ipotesi dell'incarico di direttore musicale si passò a nessun incarico ma con l'impegno di dirigere due titoli per anno, aticipando la medesima motivazione che oggi Gatti confessa al Messaggero, a Simona Antonucci.
Le prossime tre inaugurazioni di stagione le farà ancora lui. E il film già visto proseguirà così. Prima della terza inaugurazione si comincerà a dire che Gatti non se la sente ancora, e nel medesimo tempo Fuortes lo nominerà 'direttore onorario a vita', secondo in tale ruolo che non vuol dire nulla, dopo Muti, visto che non vuol accettare l'incarico di 'direttore musicale' a tempo.
Nulla di nuovo come si vede, nonostante che Fuortes si sbracci ogni giorno per convincerci che all'Opera di Roma dopo il suo arrivo è tutta un'altra storia, mentre c'è appena un cambio di regie.
Babbo Natale non esiste: la meschina vendetta di un poveretto - Giacomo Loprieno - che dirige la sua orchestrina
L'uscita di un tale, che di nome fa Giacomo Loprieno, a capo di un'orchesra raccogliticcia scritturata per insonorizzare dal vivo il cartone Frozen per la gioia dei bimbi, in questo Natale a Roma, presso l'Auditorium Parco della Musica, non poteva essere più infelice ed anche meschina. Perchè egli ha voluto vendicarsi del rumoreggiare che gli oltre duemila bambini accompagnati, facevano nella Sala Santa Cecilia, dopo aver pagato un biglietto dai 30 ai 40 Euro, alla fine del cosiddetto 'cineconcerto'.
Niente di tanto particolare - un film con la musica eseguita dal vivo - ma quanto basta per spillare soldi ai poveri genitori costretti a portarci i figli a rivedere per l'ennesima volta l'amato cartone, ma questa volta con la musica eseguita sotto lo schermo sul quale veniva proiettato il film d'animazione. Resta inteso che della musica soprattutto ai più piccoli importava proprio nulla, e neppure dello spettacolo aggiunto dei musicisti schierati sul palco, in semioscurità. Loro guardavano estasiati il cartone e basta.
Verso la fine i bambini hanno cominciato a dare segni di impazienza e interessati - i genitori più dei piccoli - a guadagnare subito l'uscita, per non trovarsi imbottigliati nella folla, già da quelle scalinate anguste ed inadatte, devono aver disturbato il manovratore il quale ha reagito meschinamente, avventandosi come un mostro sui bambini: 'comunque Babbo Natale non esiste. Bello str...
A scanso di equivoci, non chiamate direttore d'orchestra uno che ogni tanto si mette davanti ad un orchestra e gesticola. Il direttore d'orchestra è quello che di mestiere fa il direttore. Fate caso, anche al prossimo festival di Sanremo, a tutti coloro che il bravo presentatore invoca chiamandoli per nome. dirige l'orchestra tizio e caio. Gente sconosciuta, in tutta evidenza incapace in molti casi, che se uno li guarda si mette le mani nei capelli.
Il Loprieno che certamente non ha ancora mai avuto un momento di celebrità e forse mai lo avrà, il momento di celebrità se lo è preso da solo, sparando all'indirizzo dei poveri innocenti e sfruttati all'occasione, bambini quella idiozia. Prontamente sostituito. Ma forse non avrebbe dovuto neanche essere scritturato, ma per un orchestrina basta un cosiddetto direttore, uno qualunque.
Che la direzione d'orchestra sia un mestiere difficile, che non si può improvvisare prendendo una bacchetta in mano e mettendosi davanti ad un complesso strumentale lo ha dimostrato anche un servizio andato in onda ieri su Rai News 24, dedicato al musicista italiano 'amato da Obama'. Si tratta di un romano, giovane, capelli lunghi, di una celebre dinastia di 'pianofortai' romani , i Ciampi, lui di nome fa Gabriele - come gli Alfonsi ed i Castrianni noti ed aristocratici artigiani del pianoforte - il quale, alla viglia di un concerto natalizio a Roma è stato ripreso mentre dirige musica 'sua' con una 'sua' orchestra. La solita storia. Tralasciamo il panegirico, quasi fosse la reincarnazione di Beethoven, ma questo giovane - a dispetto della passione di Obama per lui - non sa dirigere. Se vi capita di navigare in rete, cercatene qualche video, vi confermerete nella nostra medesima opinione. La sua musica, poi, può andar bene per accompagnare un film - ma anche in questo campo esistono fuoriclasse - o per fare un omaggio a Papa Bergoglio, che come si sa in fatto di musica non fa distinzione fra la Nona di Beethoven e Fin che la barca va ;ma in ogni caso manca di peso specifico, ed è assolutamente dozzinale.
Niente di tanto particolare - un film con la musica eseguita dal vivo - ma quanto basta per spillare soldi ai poveri genitori costretti a portarci i figli a rivedere per l'ennesima volta l'amato cartone, ma questa volta con la musica eseguita sotto lo schermo sul quale veniva proiettato il film d'animazione. Resta inteso che della musica soprattutto ai più piccoli importava proprio nulla, e neppure dello spettacolo aggiunto dei musicisti schierati sul palco, in semioscurità. Loro guardavano estasiati il cartone e basta.
Verso la fine i bambini hanno cominciato a dare segni di impazienza e interessati - i genitori più dei piccoli - a guadagnare subito l'uscita, per non trovarsi imbottigliati nella folla, già da quelle scalinate anguste ed inadatte, devono aver disturbato il manovratore il quale ha reagito meschinamente, avventandosi come un mostro sui bambini: 'comunque Babbo Natale non esiste. Bello str...
A scanso di equivoci, non chiamate direttore d'orchestra uno che ogni tanto si mette davanti ad un orchestra e gesticola. Il direttore d'orchestra è quello che di mestiere fa il direttore. Fate caso, anche al prossimo festival di Sanremo, a tutti coloro che il bravo presentatore invoca chiamandoli per nome. dirige l'orchestra tizio e caio. Gente sconosciuta, in tutta evidenza incapace in molti casi, che se uno li guarda si mette le mani nei capelli.
Il Loprieno che certamente non ha ancora mai avuto un momento di celebrità e forse mai lo avrà, il momento di celebrità se lo è preso da solo, sparando all'indirizzo dei poveri innocenti e sfruttati all'occasione, bambini quella idiozia. Prontamente sostituito. Ma forse non avrebbe dovuto neanche essere scritturato, ma per un orchestrina basta un cosiddetto direttore, uno qualunque.
Che la direzione d'orchestra sia un mestiere difficile, che non si può improvvisare prendendo una bacchetta in mano e mettendosi davanti ad un complesso strumentale lo ha dimostrato anche un servizio andato in onda ieri su Rai News 24, dedicato al musicista italiano 'amato da Obama'. Si tratta di un romano, giovane, capelli lunghi, di una celebre dinastia di 'pianofortai' romani , i Ciampi, lui di nome fa Gabriele - come gli Alfonsi ed i Castrianni noti ed aristocratici artigiani del pianoforte - il quale, alla viglia di un concerto natalizio a Roma è stato ripreso mentre dirige musica 'sua' con una 'sua' orchestra. La solita storia. Tralasciamo il panegirico, quasi fosse la reincarnazione di Beethoven, ma questo giovane - a dispetto della passione di Obama per lui - non sa dirigere. Se vi capita di navigare in rete, cercatene qualche video, vi confermerete nella nostra medesima opinione. La sua musica, poi, può andar bene per accompagnare un film - ma anche in questo campo esistono fuoriclasse - o per fare un omaggio a Papa Bergoglio, che come si sa in fatto di musica non fa distinzione fra la Nona di Beethoven e Fin che la barca va ;ma in ogni caso manca di peso specifico, ed è assolutamente dozzinale.
venerdì 30 dicembre 2016
Ciò che Gustavo Dudamel non dice e, invece, dovrebbe dire - denunciare - del suo Venezuela
Già all'apice del successo mondiale, nonostante la giovane età, chiedemmo una volta a Lang Lang, nel corso di una intervista pubblica, perché non protestava neppure timidamente per il non rispetto dei diritti fondamentali della persona nel suo paese, la Cina. Ci rispose che non gli sembrava che la libertà fosse calpestata in Cina. Bontà sua.
La stessa domanda, al tempo di Chavez, rivolgemmo a Diego Matheuz e lui glissò nella risposta, ma nel caso di Matheuz era più comprensibile. Lui giovane direttore, non certo all'apice del successo, seppure la sua fulminea carriera sul podio fosse stata benedetta e voluta nientemeno che da Claudio Abbado, non poteva esporsi più di tanto, né avrebbe avuto l'autorevolezza e l'incidenza di Lang Lang o di Gustavo Dudamel. Di cui andiamo ora a dirvi.
Gustavo Dudamel, intervistato per 'La repubblica', alla vigilia del suo 'primo' Concerto di Capodanno da Vienna, la sua consacrazione planetaria, non una parola di condanna ha detto, esplicitamente richiesto, nei confronti di Maduro, il dittatore succeduto a Chavez, che sta riducendo nella miseria e disperazione tutto il popolo venezuelano che resta sempre ed ancora anche il paese di Dudamel, sebbene i suoi successi lo abbiamo portato da alcuni anni - e ora ne ha trentasei appena - all'apice del successo, incoronandolo direttore di una delle compagini sinfoniche più note d'America, a Los Angeles.
Parole di condanna per le condizioni in cui Maduro ha ridotto il Venezuela, dove mancano generi di prima necessità ma anche medicinali e le file davanti alle banche sono sempre più numerose e lunghe per ritirare quattro soldi o per cambiare la moneta, a seguito dell'inflazione galoppante, le abbiamo letto solo nelle dichiarazione di Pierferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del nostro Parlamento, in visita ufficiale alle comunità italiane del Venezuela, evidentemente allarmato per le drammatiche notizie che ogni giorno giungono da quella nazione un tempo ricca e florida, tanto da attrarre tanti nostri emigranti; ma non una sola da Gustavo Dudamel che dovrebbe parlare ed, invece, ha scelto di tacere. Ma non ha scuse!
La stessa domanda, al tempo di Chavez, rivolgemmo a Diego Matheuz e lui glissò nella risposta, ma nel caso di Matheuz era più comprensibile. Lui giovane direttore, non certo all'apice del successo, seppure la sua fulminea carriera sul podio fosse stata benedetta e voluta nientemeno che da Claudio Abbado, non poteva esporsi più di tanto, né avrebbe avuto l'autorevolezza e l'incidenza di Lang Lang o di Gustavo Dudamel. Di cui andiamo ora a dirvi.
Gustavo Dudamel, intervistato per 'La repubblica', alla vigilia del suo 'primo' Concerto di Capodanno da Vienna, la sua consacrazione planetaria, non una parola di condanna ha detto, esplicitamente richiesto, nei confronti di Maduro, il dittatore succeduto a Chavez, che sta riducendo nella miseria e disperazione tutto il popolo venezuelano che resta sempre ed ancora anche il paese di Dudamel, sebbene i suoi successi lo abbiamo portato da alcuni anni - e ora ne ha trentasei appena - all'apice del successo, incoronandolo direttore di una delle compagini sinfoniche più note d'America, a Los Angeles.
Parole di condanna per le condizioni in cui Maduro ha ridotto il Venezuela, dove mancano generi di prima necessità ma anche medicinali e le file davanti alle banche sono sempre più numerose e lunghe per ritirare quattro soldi o per cambiare la moneta, a seguito dell'inflazione galoppante, le abbiamo letto solo nelle dichiarazione di Pierferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del nostro Parlamento, in visita ufficiale alle comunità italiane del Venezuela, evidentemente allarmato per le drammatiche notizie che ogni giorno giungono da quella nazione un tempo ricca e florida, tanto da attrarre tanti nostri emigranti; ma non una sola da Gustavo Dudamel che dovrebbe parlare ed, invece, ha scelto di tacere. Ma non ha scuse!
Francesco Merlo non ha orecchio se accosta il premier Gentiloni all'Adagio di Albinoni
Tolta la rima dei cognomi, rima peraltro molto diffusa fra politici e non, Gentiloni-Albinoni, nulla unisce il musicista del Sei-settecento - meglio il 'suo' (?) celebre 'adagio' al nostro attuale premier - come invece vorrebbe Francesco Merlo che oggi ha tracciato sulle pagine di Repubblica un ritratto di Paolo Gentiloni, e del nuovo stile impresso dal suo governo.
Merlo, cadendo in un equivoco che rivela oltre che scarsa conoscenza della musica - in questo, in buona compagnia del suo storico direttore, Scalfari, che un giorno scrisse dei 'quartetti' di Chopin, inesistenti - anche totale mancanza di sensibilità musicale, ha paragonato lo stile di Paolo Gentiloni che "non va mai in crescendo, ma è costante e timido" all 'adagio' di Albinoni.
Costante, timido, che non va mai in crescendo... sono categorie che chi ha un minimo di sensibilità musicale non accosterebbe mai a quell'Adagio che, al semplice ascolto, non può che indurre a disconoscere la paternità di Albinoni. Perchè in quell'Adagio, di Albinoni non c'è nulla, o forse solo il 'basso', che potrebbe sostenere infinite altre melodie con caratteristiche tutte differenti, perchè sgorgò dalla fantasia di Remo Giazotto, il celebre musicologo, scomparso alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, che per questo ha pagato un prezzo altissimo: snobbato dalla musicologia, pur avendo egli firmato studi di grande interesse (come quello su Alessandro Stradella).
Giazotto, che negli anni Cinquanta studiava la musica del Barocco, disse di essersi imbattuto, nel fondo 'Albinoni' della Biblioteca di Stato di Dresda, in alcuni frammenti musicali autografi di Albinoni, da lui ricomposti, senza che però avesse mai fornito le indicazioni per risalire a quei frammenti - che non esistevano. La musicologia, anche oggi, è piena di simili falsari. Per sostenere tale paternità infondata, quell'Adagio risulta essere di Albinoni-Giazotto, in realtà del solo Remo Giazotto che di diritti d'autore dalla fine degli anni Cinquanta, quando lo depositò, a tutt'oggi ne ha guadagnati tanti, essendo quel breve brano eseguitissimo, anche per le migliaia di trascrizioni cui il successo l'ha condannato.
Ma l'insensibilità di Merlo risiede nel fatto che definisca un brano dalla melodia piena di fuoco e passione, con un crescendo coinvolgente, sulla quale Violetta potrebbe anche trasferire l'appassionato 'Amami Alfredo, amami quanto io t'amo' senza farle perdere forza, "timida, costante, mai in crescendo", come appare nel carattere Paolo Gentiloni.
Tanto timido ma costante e mai in crescendo che in qualche redazione giornalistica, come quella del Tg3 (tg delle 14,20 di oggi), non sanno ancora che Gentiloni è premier e non ministro, come l'ha definito l'autore del servizio sulla sua visita ai genitori di Fabrizia, uccisa a Berlino.
A meno che proprio per il suo stile dimesso, Gentiloni, non abbia chiesto ai giornalisti di togliere quel 'primo' che precede 'ministro' e il giornalista del Tg3 ha prontamente ubbidito.
Merlo, cadendo in un equivoco che rivela oltre che scarsa conoscenza della musica - in questo, in buona compagnia del suo storico direttore, Scalfari, che un giorno scrisse dei 'quartetti' di Chopin, inesistenti - anche totale mancanza di sensibilità musicale, ha paragonato lo stile di Paolo Gentiloni che "non va mai in crescendo, ma è costante e timido" all 'adagio' di Albinoni.
Costante, timido, che non va mai in crescendo... sono categorie che chi ha un minimo di sensibilità musicale non accosterebbe mai a quell'Adagio che, al semplice ascolto, non può che indurre a disconoscere la paternità di Albinoni. Perchè in quell'Adagio, di Albinoni non c'è nulla, o forse solo il 'basso', che potrebbe sostenere infinite altre melodie con caratteristiche tutte differenti, perchè sgorgò dalla fantasia di Remo Giazotto, il celebre musicologo, scomparso alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, che per questo ha pagato un prezzo altissimo: snobbato dalla musicologia, pur avendo egli firmato studi di grande interesse (come quello su Alessandro Stradella).
Giazotto, che negli anni Cinquanta studiava la musica del Barocco, disse di essersi imbattuto, nel fondo 'Albinoni' della Biblioteca di Stato di Dresda, in alcuni frammenti musicali autografi di Albinoni, da lui ricomposti, senza che però avesse mai fornito le indicazioni per risalire a quei frammenti - che non esistevano. La musicologia, anche oggi, è piena di simili falsari. Per sostenere tale paternità infondata, quell'Adagio risulta essere di Albinoni-Giazotto, in realtà del solo Remo Giazotto che di diritti d'autore dalla fine degli anni Cinquanta, quando lo depositò, a tutt'oggi ne ha guadagnati tanti, essendo quel breve brano eseguitissimo, anche per le migliaia di trascrizioni cui il successo l'ha condannato.
Ma l'insensibilità di Merlo risiede nel fatto che definisca un brano dalla melodia piena di fuoco e passione, con un crescendo coinvolgente, sulla quale Violetta potrebbe anche trasferire l'appassionato 'Amami Alfredo, amami quanto io t'amo' senza farle perdere forza, "timida, costante, mai in crescendo", come appare nel carattere Paolo Gentiloni.
Tanto timido ma costante e mai in crescendo che in qualche redazione giornalistica, come quella del Tg3 (tg delle 14,20 di oggi), non sanno ancora che Gentiloni è premier e non ministro, come l'ha definito l'autore del servizio sulla sua visita ai genitori di Fabrizia, uccisa a Berlino.
A meno che proprio per il suo stile dimesso, Gentiloni, non abbia chiesto ai giornalisti di togliere quel 'primo' che precede 'ministro' e il giornalista del Tg3 ha prontamente ubbidito.
giovedì 29 dicembre 2016
La Scala commissiona una indagine alla Makno, l'Opera di Roma alla Doxa. In ambedue i casi: bollettini di vittoria. Fossero veri!
Dell'indagine Makno della quale abbiamo letto su molti giornali, i risultati sarebbero questi: il pubblico giovane è cresciuto negli ultimi dieci anni (ma non sarà forse per il fatto che la Scala fa spettacoli per ragazzi, ed apre le sue porte, nelle grandi occasioni, al pubblico di studenti, mentre il pubblico 'normale' è cambiato assai poco?) ; è cresciuto anche il pubblico che viene da fuori Milano ed anche da fuori Italia; la Scala è considerata come il monte Everest che tutti vorrebbero scalare anche quelli che non ci hanno mai pensato; che la Scala è vista soprattutto come il teatro della grande tradizione operistica italiana ed anche qualche altra cosetta.
L'indagine non dice che in questi giorni è entrato come socio fondatore Del Vecchio, il patron di Luxottica e che Squinzi, l'uomo Mapei, già a capo della Confindustria, è entrato nel CdA della Scala; questo lo fa sapere la Scala, negli stessi giorni in cui diffonde i meravigliosi risultati dell'indagine Makno.
Qualche giornale ha fatto notare che lo svecchiamento del pubblico non viaggia di pari passo con l'interesse per il nuovo, perché la Scala resta pur sempre, nella considerazione generale, lo scrigno della tradizione italiana. E questo ha scocciato parecchio al giornalista che lo annotava, perché il pubblico giovane avrebbe dovuto voler dire anche opere nuove.
A poca distanza dall'esito dell'indagine Makno, un altro giornale aveva fatto la sua indagine 'casereccia', titolando 'Stregati dalla musica classica', fornendo dati strampalati, frutto di sciatteria, e cantando vittoria prima che l'esercito nemico, l'esercito dell'indifferenza e della cattiva amministrazione, sia stato sconfitto.
A sostegno del forzato bollettino della vittoria, che serviva anche per dare ad intendere che anche gli altri teatri non sono da meno, le solite dichiarazioni del sovrintendente romano, Fuortes, che canta vittoria perché nel suo teatro - teatro d'opera!!! - arrivano Bellocchio, Barberio Corsetti e la Fura dels Baus ( ma che si sono messi a cantare pure loro?) - e l'operazione 'Opera camion' che ha rivoluzionato il modo di ascoltare l'opera - non più in teatro, ma a due passi da casa e all'aperto, ma solo con la buona stagione - e con un contenimento del costo dei biglietti.
Indagini più che di fatti di buone intenzioni come quella emersa dall'indagine Makno, relativa a coloro che alla Scala non sono mai stati, ma che andarci è in cima ai loro desideri (che aspettano?) e che servono semmai a mettere sull'avviso il governo che minaccia sfracelli legislativi per i teatri d'opera.
Ieri, Fuortes, ha chiamato i giornalisti e gli ha spiattellato i risultati di una inchiesta Doxa commissionata dallo stesso teatro. I dati sono pressochè questi: pubblico in aumento, entrate da botteghino in aumento, crescita del pubblico giovane... Insomma il nuovo corso che pone il teatro dell'Opera di Roma come il 'migliore' fra i teatri lirici italiani. Magari dopo la Scala? scherziamo, non siamo secondi a nessuno - ripeteva Muti e qualche critico suo amico ai tempi della sua permanenza a Roma. E la causa del nuovo corso? I registi dello star system, italiano ed internazionale; ma non dimentichiamo che il titolo che l'Opera di Roma manda in giro con tutto l'allestimento è quello di Traviata con la 'non regia' (o con la regia tradizionalissima), ma molto glamour ( che vuol dire?)di Sofia Coppola. Bisognerebbe domandare a Fuortes i risultati del botteghino degli altri titoli in cartellone come anche di caracalla che non ha avuto tutto il successo di pubblico strombazzato, tanto da indurlo a tornare ai titoli popolari per la prossima stagione.
La differenza fra il caso Scala con l'indagine Makno, e quello dell'Opera di Roma con l'indagine Doxa, è che nel primo caso molti giornali si fecero qualche domanda sui risultati dell'inchiesta riguardante il teatro milanese che l'aveva commissionato; mentre per l'Opera di Roma, retta da Fuortes, fautore di miracoli, nessuno si fa venire il benché minimo dubbio.
Volete sapere la nostra opinione? vi può interessare? Noi crediamo poco sia all'indagine Makno per la Scala che all'indagine Doxa per l'Opera di Roma. Ma si tratta di una nostra personale opinione.
Nei giorni scorsi abbiamo visto più volte una pubblicità del Teatro Regio di Parma, altro bollettino di vittoria. A noi viene il dubbio che i teatri in questione siano in cerca di soldi e perciò sparano risultati stratosferici, alcuni dei quali al momento non sono che aspirazioni. Sacrosante, legittime ma semplici aspirazioni.
L'indagine non dice che in questi giorni è entrato come socio fondatore Del Vecchio, il patron di Luxottica e che Squinzi, l'uomo Mapei, già a capo della Confindustria, è entrato nel CdA della Scala; questo lo fa sapere la Scala, negli stessi giorni in cui diffonde i meravigliosi risultati dell'indagine Makno.
Qualche giornale ha fatto notare che lo svecchiamento del pubblico non viaggia di pari passo con l'interesse per il nuovo, perché la Scala resta pur sempre, nella considerazione generale, lo scrigno della tradizione italiana. E questo ha scocciato parecchio al giornalista che lo annotava, perché il pubblico giovane avrebbe dovuto voler dire anche opere nuove.
A poca distanza dall'esito dell'indagine Makno, un altro giornale aveva fatto la sua indagine 'casereccia', titolando 'Stregati dalla musica classica', fornendo dati strampalati, frutto di sciatteria, e cantando vittoria prima che l'esercito nemico, l'esercito dell'indifferenza e della cattiva amministrazione, sia stato sconfitto.
A sostegno del forzato bollettino della vittoria, che serviva anche per dare ad intendere che anche gli altri teatri non sono da meno, le solite dichiarazioni del sovrintendente romano, Fuortes, che canta vittoria perché nel suo teatro - teatro d'opera!!! - arrivano Bellocchio, Barberio Corsetti e la Fura dels Baus ( ma che si sono messi a cantare pure loro?) - e l'operazione 'Opera camion' che ha rivoluzionato il modo di ascoltare l'opera - non più in teatro, ma a due passi da casa e all'aperto, ma solo con la buona stagione - e con un contenimento del costo dei biglietti.
Indagini più che di fatti di buone intenzioni come quella emersa dall'indagine Makno, relativa a coloro che alla Scala non sono mai stati, ma che andarci è in cima ai loro desideri (che aspettano?) e che servono semmai a mettere sull'avviso il governo che minaccia sfracelli legislativi per i teatri d'opera.
Ieri, Fuortes, ha chiamato i giornalisti e gli ha spiattellato i risultati di una inchiesta Doxa commissionata dallo stesso teatro. I dati sono pressochè questi: pubblico in aumento, entrate da botteghino in aumento, crescita del pubblico giovane... Insomma il nuovo corso che pone il teatro dell'Opera di Roma come il 'migliore' fra i teatri lirici italiani. Magari dopo la Scala? scherziamo, non siamo secondi a nessuno - ripeteva Muti e qualche critico suo amico ai tempi della sua permanenza a Roma. E la causa del nuovo corso? I registi dello star system, italiano ed internazionale; ma non dimentichiamo che il titolo che l'Opera di Roma manda in giro con tutto l'allestimento è quello di Traviata con la 'non regia' (o con la regia tradizionalissima), ma molto glamour ( che vuol dire?)di Sofia Coppola. Bisognerebbe domandare a Fuortes i risultati del botteghino degli altri titoli in cartellone come anche di caracalla che non ha avuto tutto il successo di pubblico strombazzato, tanto da indurlo a tornare ai titoli popolari per la prossima stagione.
La differenza fra il caso Scala con l'indagine Makno, e quello dell'Opera di Roma con l'indagine Doxa, è che nel primo caso molti giornali si fecero qualche domanda sui risultati dell'inchiesta riguardante il teatro milanese che l'aveva commissionato; mentre per l'Opera di Roma, retta da Fuortes, fautore di miracoli, nessuno si fa venire il benché minimo dubbio.
Volete sapere la nostra opinione? vi può interessare? Noi crediamo poco sia all'indagine Makno per la Scala che all'indagine Doxa per l'Opera di Roma. Ma si tratta di una nostra personale opinione.
Nei giorni scorsi abbiamo visto più volte una pubblicità del Teatro Regio di Parma, altro bollettino di vittoria. A noi viene il dubbio che i teatri in questione siano in cerca di soldi e perciò sparano risultati stratosferici, alcuni dei quali al momento non sono che aspirazioni. Sacrosante, legittime ma semplici aspirazioni.
Frozen, con la musica dal vivo all'Auditorium, non è un furto come lo è stato Harry Potter alla Conciliazione
Vi ricordarte? Solo poche settimane fa, denunciammo a più riprese l'esosità del costo dei biglietti per assistere al 'cineconcerto' nell'Auditorium 'Conciliazione', retto da quel Valerio Toniolo che tutti i ministri della cultura vogliono al loro fianco perchè s'è fatto il nome di difensore e propagatore di cultura, ed intanto fotte soldi ai cittadini con biglietti il cui costo è un vero furto.
Per quel cineconcerto - spieghiamo: proiezione di un film della famosa saga con la musica eseguita dal vivo - i biglietti andavano da 43 Euro a 188. E i bambini pagavano biglietto intero come gli adulti. Una sola riduzione era prevista, per famiglie, ma con un minimo di quattro persone. Insomma per andarsi a vedere un film stranoto ci si doveva impegnare il 'quinto' dello stipendio o far scivolare direttamente nelle casse 'sante' dell'Auditorium vaticano (gestito da una società di proprietà della famiglia Cesa - vi dice qualcosa questo cognome?) parte della tredicesima, di là da riscuotere.
In quell'occasione, a dimostrare come i prezzi dei biglietti fossero fuori mercato, ricordammo che anche Santa Cecilia aveva fatto analoghe operazioni, ma come per tutti gli altri concerti i biglietti più cari costavano intorno ai 50 Euro, e quelli più economici 15 Euro circa.
Ma forse Toniolo contava sul fatto che gli analoghi cineconcerti di Santa Cecilia, s'erano svolti molti mesi prima e i più se ne erano dimenticati.
Ora, a mettere nuovamente sul banco degli imputati Toniolo e il suo cineconcerto dedicato a Harry Potter, viene l'analoga iniziativa di Musica per Roma, prevista per oggi e domani, con Frozen e le musiche eseguite dal vivo da un'orchestra né meglio né peggio di quella che suonò alla Conciliazione, perché ambedue orchestre raccogliticce. Ma, guarda caso i biglietti all'Auditorium Parco della Musica costano da 34 a 45 Euro. Una bella differenza.
Capito Toniolo? allora a lei, tanto furbo e tanto bravo, hanno rifilato una bufala pure con la cresta; se dobbiamo - ma non possiamo! - credere alla sua giustificazione: l'alto il costo dell'operazione. Perchè con quei biglietti si va ad ascoltare un concerto dei Wiener a Vienna o dei Berliner a Berlino, e avanza anche qualche soldo per la cena, dopo il concerto.
Per quel cineconcerto - spieghiamo: proiezione di un film della famosa saga con la musica eseguita dal vivo - i biglietti andavano da 43 Euro a 188. E i bambini pagavano biglietto intero come gli adulti. Una sola riduzione era prevista, per famiglie, ma con un minimo di quattro persone. Insomma per andarsi a vedere un film stranoto ci si doveva impegnare il 'quinto' dello stipendio o far scivolare direttamente nelle casse 'sante' dell'Auditorium vaticano (gestito da una società di proprietà della famiglia Cesa - vi dice qualcosa questo cognome?) parte della tredicesima, di là da riscuotere.
In quell'occasione, a dimostrare come i prezzi dei biglietti fossero fuori mercato, ricordammo che anche Santa Cecilia aveva fatto analoghe operazioni, ma come per tutti gli altri concerti i biglietti più cari costavano intorno ai 50 Euro, e quelli più economici 15 Euro circa.
Ma forse Toniolo contava sul fatto che gli analoghi cineconcerti di Santa Cecilia, s'erano svolti molti mesi prima e i più se ne erano dimenticati.
Ora, a mettere nuovamente sul banco degli imputati Toniolo e il suo cineconcerto dedicato a Harry Potter, viene l'analoga iniziativa di Musica per Roma, prevista per oggi e domani, con Frozen e le musiche eseguite dal vivo da un'orchestra né meglio né peggio di quella che suonò alla Conciliazione, perché ambedue orchestre raccogliticce. Ma, guarda caso i biglietti all'Auditorium Parco della Musica costano da 34 a 45 Euro. Una bella differenza.
Capito Toniolo? allora a lei, tanto furbo e tanto bravo, hanno rifilato una bufala pure con la cresta; se dobbiamo - ma non possiamo! - credere alla sua giustificazione: l'alto il costo dell'operazione. Perchè con quei biglietti si va ad ascoltare un concerto dei Wiener a Vienna o dei Berliner a Berlino, e avanza anche qualche soldo per la cena, dopo il concerto.
mercoledì 28 dicembre 2016
Concerto di Capodanno da Vienna.Il più giovane e il più vecchio direttore: Dudamel e Pretre
Non facciamone comunque una questione di età, perché l'età non conta, sebbene essere chiamati a dirigere quel concerto significhi la consacrazione mondiale. L'età diventa un fattore non più irrilevante quando a dirigere il Concerto viennese - da più di dieci anni scalzato e superato, in fatto di ascolti, da quello di Venezia che ha preso il posto dell'altro su Rai 1, il 1° di gennaio - viene chiamato un giovanissimo direttore di appena trentasei anni, Gustavo Dudamel, mentre anche il fondatore di quel concerto cominciò che di anni ne aveva quarantacinque, Boskowsky.
Da allora, a dirigere il Concerto di Capodanno di Vienna sono passati tutti i grandi nomi della direzione mondiale, ma tutti in età più che adulta (fra cui Abbado, Mehta, Baremboim, Muti e altri...) compreso Karajan che di anni, al suo debutto a Vienna, ne aveva più di ottanta, ottantuno per la precisione.
L'arrivo di Dudamel fa notizia perché è il più giovane di sempre. Meno notizia forse farà all'indomani, perché non è che in certi repertori il direttore venezuelano abbia fatto faville negli ultimi anni, se pensiamo alle sue presenze scaligere con l'opera poco apprezzate.
Per il pubblico andrà bene comunque, perché la gioventù ed i primati nei vari campi contano molto, più del dovuto. Per la storia assai meno.
Se Dudamel sarà il più giovane direttore a salire sul podio dei Wiener per il Capodanno 2017, il più vecchio è stato Georges Pretre che, per la prima volta, ha diretto il Concerto da Vienna nel 2008, alla veneranda età di 84 anni; ed una seconda, appena due anni dopo, quando di anni ne aveva 86. E dire che Vienna, dopo Parigi, è stata per Pretre direttore, una seconda patria.
Vi raccontiamo come è andata la storia, per conoscenza diretta. Fin dalla prima edizione (2004) ci siamo occupati del Concerto di Capodanno da Venezia, come consulente artistico, relativamente al programma, curando che la sua conformazione avesse determinate caratteristiche adatte a quel concerto 'televisivo': brani conosciuti, per orchestra, corali e con solisti, brani di breve durata e di caratteristiche musicali sempre diverse, continuamente alternati e prevalentemente attinti dal repertorio del nostro melodramma con due pezzi d'obbligo finali: va pensiero e brindisi dalla Traviata. Un format che avremmo potuto depositare alla SIAE, ma non l'abbiamo fatto)). Pochi elementi che ne hanno segnato il grande successo che tuttora dura, anche se un pò ridimensionato, dopo il nostro abbandono.
Quegli stessi anni collaboravamo, in qualità di critico musicale al quotidiano 'Il Giornale', per il quale facemmo al direttore francese, in occasione della sua venuta a Venezia, una lunga intervista.
Durante la quale raccogliemmo il suo disappunto per quel che lui definì una specie di 'tradimento' da parte dei Viennesi che gli avevano sempre dimostrato affetto e stima. Lo avrebbero tradito, a suo dire, perché mai lo avevano invitato a dirigere il Concerto di capodanno. Quel grido di dolore fu subito raccolto da Vienna che per l'anno successivo (2008) lo invitò. Nel 2009, Pretre tornò nuovamente a Venezia e quando gli facemmo notare che lui doveva al Concerto veneziano ( e appena appena anche a noi) se aveva diretto, a 84 anni, la prima volta a Vienna, lui non raccolse, fece finta di dimenticare quanto aveva dichiarato l'anno precedente a noi. Senonchè per ripagarlo di quella lunghissima assenza, una seconda volta Vienna lo invitò a dirigere il Concerto di Capodanno, nel 2010.
Ora dopo Pretre, il più vecchio a dirigere il Capodanno viennese, arriva Dudamel , il più giovane, ma non è detto che sarà il migliore, perchè il più giovane.
Da allora, a dirigere il Concerto di Capodanno di Vienna sono passati tutti i grandi nomi della direzione mondiale, ma tutti in età più che adulta (fra cui Abbado, Mehta, Baremboim, Muti e altri...) compreso Karajan che di anni, al suo debutto a Vienna, ne aveva più di ottanta, ottantuno per la precisione.
L'arrivo di Dudamel fa notizia perché è il più giovane di sempre. Meno notizia forse farà all'indomani, perché non è che in certi repertori il direttore venezuelano abbia fatto faville negli ultimi anni, se pensiamo alle sue presenze scaligere con l'opera poco apprezzate.
Per il pubblico andrà bene comunque, perché la gioventù ed i primati nei vari campi contano molto, più del dovuto. Per la storia assai meno.
Se Dudamel sarà il più giovane direttore a salire sul podio dei Wiener per il Capodanno 2017, il più vecchio è stato Georges Pretre che, per la prima volta, ha diretto il Concerto da Vienna nel 2008, alla veneranda età di 84 anni; ed una seconda, appena due anni dopo, quando di anni ne aveva 86. E dire che Vienna, dopo Parigi, è stata per Pretre direttore, una seconda patria.
Vi raccontiamo come è andata la storia, per conoscenza diretta. Fin dalla prima edizione (2004) ci siamo occupati del Concerto di Capodanno da Venezia, come consulente artistico, relativamente al programma, curando che la sua conformazione avesse determinate caratteristiche adatte a quel concerto 'televisivo': brani conosciuti, per orchestra, corali e con solisti, brani di breve durata e di caratteristiche musicali sempre diverse, continuamente alternati e prevalentemente attinti dal repertorio del nostro melodramma con due pezzi d'obbligo finali: va pensiero e brindisi dalla Traviata. Un format che avremmo potuto depositare alla SIAE, ma non l'abbiamo fatto)). Pochi elementi che ne hanno segnato il grande successo che tuttora dura, anche se un pò ridimensionato, dopo il nostro abbandono.
Quegli stessi anni collaboravamo, in qualità di critico musicale al quotidiano 'Il Giornale', per il quale facemmo al direttore francese, in occasione della sua venuta a Venezia, una lunga intervista.
Durante la quale raccogliemmo il suo disappunto per quel che lui definì una specie di 'tradimento' da parte dei Viennesi che gli avevano sempre dimostrato affetto e stima. Lo avrebbero tradito, a suo dire, perché mai lo avevano invitato a dirigere il Concerto di capodanno. Quel grido di dolore fu subito raccolto da Vienna che per l'anno successivo (2008) lo invitò. Nel 2009, Pretre tornò nuovamente a Venezia e quando gli facemmo notare che lui doveva al Concerto veneziano ( e appena appena anche a noi) se aveva diretto, a 84 anni, la prima volta a Vienna, lui non raccolse, fece finta di dimenticare quanto aveva dichiarato l'anno precedente a noi. Senonchè per ripagarlo di quella lunghissima assenza, una seconda volta Vienna lo invitò a dirigere il Concerto di Capodanno, nel 2010.
Ora dopo Pretre, il più vecchio a dirigere il Capodanno viennese, arriva Dudamel , il più giovane, ma non è detto che sarà il migliore, perchè il più giovane.
Brutte notizie dal mondo della comunicazione scritta
Nel mercato televisivo, Rai e Mediaset si confermano ai primi posti negli ascolti (rispettivamente al 34,4% e al 32,2%), anche se in flessione dal 2012, a vantaggio di Sky e soprattutto dei canali Discovery. E’ quanto emerge dai dati dell’Osservatorio sulle comunicazioni pubblicati oggi da Agcom. - - ROMA, 28 dicembre 2016. - Nel mercato televisivo, Rai e Mediaset si confermano ai primi posti negli ascolti (rispettivamente al 34,4% e al 32,2%), anche se in flessione dal 2012, a vantaggio di Sky e soprattutto dei canali Discovery. E’ quanto emerge dai dati dell’Osservatorio sulle comunicazioni pubblicati oggi da Agcom. Nel settore dell’editoria, nel mese di settembre 2016, la vendita di quotidiani è risultata di poco superiore a 2,6 milioni di copie, in flessione di circa il 9,5% rispetto a settembre 2015. Il quadro competitivo vede leggermente diminuire le vendite di RCS Mediagroup, mentre si rafforzano il Gruppo Editoriale l’Espresso e il gruppo Caltagirone. Nell’editoria quotidiana, tra il 2011 e il 2015 le copie cartacee vendute giornalmente sono passate da 4,8 a 3,1 milioni di unità. La flessione dei gruppi di maggiori dimensioni è risultata di poco inferiore al 30%, mentre per gli editori di minori dimensioni la riduzione è stimabile nell’ordine del 45%. Nell’editoria periodica, le copie vendute annualmente sono diminuite del 33% passando da 1,4 miliardi nel 2011 a circa 940 milioni di unità nel 2015. Nel solo 2015 si registra una flessione del 12,5%. I volumi delle copie digitali dei periodici editi in formato cartaceo anche se in crescita di oltre il 15% nel 2015, rimangono marginali rispetto alle copie cartacee (il 2,5% nel 2015). Circa il 50% delle imprese che hanno trasmesso i dati alla IES svolge la propria attività nell’editoria quotidiana e periodica. Le prime 20 imprese editoriali censite detengono oltre il 70% dei ricavi complessivi, come evidenziato dalle Bdichiarazioni trasmesse nel 2016. Nel settore postale, nei primi nove mesi dell’anno i ricavi complessivi sono aumentati mediamente del 2,5%, con i servizi di corriere espresso in crescita del 8,1% e quelli postali in flessione del 3,8%. I volumi dei servizi compresi nel servizio universale risultano in flessione del 15,2%, gli invii di pacchi risultano invece in crescita di oltre il 12,5%. (ITALPRESS).
martedì 27 dicembre 2016
Toh, chi si risente: la bella cantante italo-americana Carly Paoli
Prima della passata estate il suo nome era noto a pochissimi, e sconosciuto ai più. Poi suo marito (compagno?), ricchissimo industriale malese, Francis Yeoh - già noto alla cronache per aver donato al teatro dell'Opera di Roma 1 milione di Euro, impegnandosi a farlo per alcuni anni e per questo assicurandosi un posto del consiglio di amministrazione della fondazione guidata da Fuortes, alla quale aveva già pagato un concerto a Caracalla( dove aveva esibito sua moglie accanto ad un caso ormai tragico del canto, José Carreras, concerti dal quale Fuortes sembrò, ipocritamente, prendere le distanze, mentre non avrebbe dovuto presentarlo sotto l'egida del teatro) - aveva inscenato con i suoi soldi un 'Concerto per la misericordia', facendosi dare il Foro Romano - nientemeno che il Foro - mentre più che un concerto era una passerella per la cantante e moglie Carly Paoli, che cambiò dieci vestiti e cento gioielli ed interpretò brani del repertorio più comune, duettando anche con altri. Insomma della serie: io pago e faccio come mi pare. Si può definire una vergogna quello che era stato presentato come un concerto per il Giubileo della Misericordia - in prima fila anche Franceschini che naturalmente non poteva rendersi conto della grossolana operazione, troppo difficile per lui? Sì, una vergognosa messinscena in uno dei luoghi sacri della storia mondiale.
Ora la Paoli torna in pista e chissà che anche in questo caso suo marito non sarà munifico sponsor della manifestazione. Canterà nel celebre festival di Capri ideato da Pascal Vicedomini, ( per il Corriere, sempre esgeraoo:" passaggio obbligato per gli Oscar", calma ragazzi!) dove canterà- cosa? - naturalmente i temi dei film più popolari, come aveva fatto anche al Foro romano, e come ha fatto nei giorni scorsi con un altra orchestra (Roma sinfonietta) che lavora spesso in sala di registrazione per i film e che, basta pagarla, fa qualunque cosa.
Intendiamoci la Paoli canta anche bene i temi di film, forse non farebbe altrettanto con le opere. Resta comunque nella nostra testa un tarlo, anzi una convinzione, e cioè che il ricco thailandese miri a far scritturare sua moglie nei teatri o presso le istituzioni verso le quali si mostra munifico amante della musica. Disinteressato? Non proprio. E non riuscendoci finanzia in tutto per tutto concerti con lei protagonista.
Gli sponsor come dice Pereira ci sono e sono preziosi, ma non si deve calare la braghe di fronte ad essi. Allora che chiedano molto di più se devono svendere teatri e istituzioni.
Racconto un storia, certo piccola anzi minima, di fronte a quella che ho appena detto. del ricchissimo 'pirata' malese. Negli anni in cui dirigevo Piano Time, una signora venne a chiedermi la copertina della rivista, sulla quale voleva che un mese comparisse un bravo- veramente bravo - pianista del quale si professava vestale fedelissima. le dissi che non c'era nessuna ragione perché io lo mettessi in copertina, e che lo avrei fatto quando si fosse presentata una occasione adeguata.
Lei incalzò: e se te la pago? Allora sì. ma la copertina di Piano Time- che non è una rivista qualunque, anzi era la rivista musicale più importante dell'epoca- costa 20 milioni di lire.
La cifra scoraggio la propositrice, che non tornò più in seguito all'attacco con quella proposta indecente.
Insomma se uno si deve far pagare per qualcosa, deve farsi pagare bene, altrimenti non vale la pena.
Ora la Paoli torna in pista e chissà che anche in questo caso suo marito non sarà munifico sponsor della manifestazione. Canterà nel celebre festival di Capri ideato da Pascal Vicedomini, ( per il Corriere, sempre esgeraoo:" passaggio obbligato per gli Oscar", calma ragazzi!) dove canterà- cosa? - naturalmente i temi dei film più popolari, come aveva fatto anche al Foro romano, e come ha fatto nei giorni scorsi con un altra orchestra (Roma sinfonietta) che lavora spesso in sala di registrazione per i film e che, basta pagarla, fa qualunque cosa.
Intendiamoci la Paoli canta anche bene i temi di film, forse non farebbe altrettanto con le opere. Resta comunque nella nostra testa un tarlo, anzi una convinzione, e cioè che il ricco thailandese miri a far scritturare sua moglie nei teatri o presso le istituzioni verso le quali si mostra munifico amante della musica. Disinteressato? Non proprio. E non riuscendoci finanzia in tutto per tutto concerti con lei protagonista.
Gli sponsor come dice Pereira ci sono e sono preziosi, ma non si deve calare la braghe di fronte ad essi. Allora che chiedano molto di più se devono svendere teatri e istituzioni.
Racconto un storia, certo piccola anzi minima, di fronte a quella che ho appena detto. del ricchissimo 'pirata' malese. Negli anni in cui dirigevo Piano Time, una signora venne a chiedermi la copertina della rivista, sulla quale voleva che un mese comparisse un bravo- veramente bravo - pianista del quale si professava vestale fedelissima. le dissi che non c'era nessuna ragione perché io lo mettessi in copertina, e che lo avrei fatto quando si fosse presentata una occasione adeguata.
Lei incalzò: e se te la pago? Allora sì. ma la copertina di Piano Time- che non è una rivista qualunque, anzi era la rivista musicale più importante dell'epoca- costa 20 milioni di lire.
La cifra scoraggio la propositrice, che non tornò più in seguito all'attacco con quella proposta indecente.
Insomma se uno si deve far pagare per qualcosa, deve farsi pagare bene, altrimenti non vale la pena.
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Il governo della città di Roma affidato alla troppo fragile Virginia Raggi. Difficile possa durare ancora a lungo
Sergio Rizzo, approdato da qualche mese alla guida delle pagine romane del Corriere, proprio oggi annota che le due parole che la Raggi va pronunciando ogni giorno sono: stiamo lavorando. Le va ripetendo su tutti i fronti dove il Comune è impegnato, e sono ormai tanti. Solo che i frutti, in nessuno dei casi di 'lavoro' in cui la Raggi recita la giaculatoria di governo, si vede mai la fine e qualche pur piccolo frutto. E questo la rende ancora più vulnerabile, rinforzando in tutti la convinzione che Lei è persona incapace di governare per sua fragilità politica. Non personale.
Perciò quando abbiamo letto sui giornali, sempre oggi, del suo pianto, durante la messa natalizia nella sede della Caritas di Roma, la cosa ci ha lasciati indifferenti. L'avremmo capita apprezzata e sostenuta se quelle lacrime si fossero accompagnate ad una azione di governo costante e produttiva: anche la 'dura' Raggi ha un cuore. Ma... se un sindaco non riesce a concludere nulla di ciò per cui è stata eletta, cosa possono farci quelle lacrime? Sono semplicemente inutili.
Alla sua fragilità si accompagna l'incapacità di governare anche dei suoi collaboratori. La faccenda del Concertone di fine anno e l'alternativa proposta dall'assessore-vice sindaco Bergamo, pasticcione come la Raggi e forse ancor più pasticciato della Raggi, prima sui ponti del Tevere, dalle 3 del 1 gennaio in poi e , in parte, spostata al Circo Massimo fa semplicemente ancora una volta pensare che anche il suo gabinetto sia incapace di dar corso al mandato elettorale.
A questo punto con molte delle emergenze ancora irrisolte, nonostante lei ' stia lavorando', a vuoto, ciò che viene da augurare alla città di Roma, anche con tutto il prevedibile scombussolamento che potrebbe creare, è la rimessa del suo mandato e le sue dimissioni. Lei è troppo fragile ed incapace a reggere una città, e con Lei anche il suo movimento che, vien da ridere, attribuisce questa generale débacle, alla non corretta comunicazione - la Raggi sarebbe all'altezza del compito, solo che non riesce a farlo sapere, per la qual cosa il grande Di Maio, l'aspirante premier - Dio ce ne scampi!- ha regalato alla sindaca un esperto italo-greco.
Perciò quando abbiamo letto sui giornali, sempre oggi, del suo pianto, durante la messa natalizia nella sede della Caritas di Roma, la cosa ci ha lasciati indifferenti. L'avremmo capita apprezzata e sostenuta se quelle lacrime si fossero accompagnate ad una azione di governo costante e produttiva: anche la 'dura' Raggi ha un cuore. Ma... se un sindaco non riesce a concludere nulla di ciò per cui è stata eletta, cosa possono farci quelle lacrime? Sono semplicemente inutili.
Alla sua fragilità si accompagna l'incapacità di governare anche dei suoi collaboratori. La faccenda del Concertone di fine anno e l'alternativa proposta dall'assessore-vice sindaco Bergamo, pasticcione come la Raggi e forse ancor più pasticciato della Raggi, prima sui ponti del Tevere, dalle 3 del 1 gennaio in poi e , in parte, spostata al Circo Massimo fa semplicemente ancora una volta pensare che anche il suo gabinetto sia incapace di dar corso al mandato elettorale.
A questo punto con molte delle emergenze ancora irrisolte, nonostante lei ' stia lavorando', a vuoto, ciò che viene da augurare alla città di Roma, anche con tutto il prevedibile scombussolamento che potrebbe creare, è la rimessa del suo mandato e le sue dimissioni. Lei è troppo fragile ed incapace a reggere una città, e con Lei anche il suo movimento che, vien da ridere, attribuisce questa generale débacle, alla non corretta comunicazione - la Raggi sarebbe all'altezza del compito, solo che non riesce a farlo sapere, per la qual cosa il grande Di Maio, l'aspirante premier - Dio ce ne scampi!- ha regalato alla sindaca un esperto italo-greco.
I programmi dei Concerti natalizi vanno rivisti. Calo di pubblico per il Concerto di Natale da Assisi 2016 su Rai 1
Noi che per dieci anni e passa ci siamo battuti per mantenere nel Concerto di Capodanno dalla Fenice ( Rai 1) uno stile popolare ma di qualità, caratteristiche che ne hanno decretato il successo, dopo il distacco da Vienna, credendo fermamente che, al di là di normali oscillazioni verso l'alto o verso il basso, il programma conta e come, ci siamo ancora più convinti di essere nel giusto dopo aver assistito al Concerto di Natale da Assisi di quest'anno che ha avuto un notevole calo di telespettatori. Calo dovuto soprattutto al programma, i cui numeri erano in gran parte inadatti a quel concerto - ma di questo la direzione artistica del Concerto, che è quella della Orchestra sinfonica della Rai non si dà pena. Già. Mentre dovrebbe farlo, in considerazione del fatto che negli ultimi tre anni il Concerto ha perso quasi 800.000 telespettatori, con un calo considerevole anche dello share.
Quest'anno, cioè l'altro ieri, il Concerto da Assisi ha avuto uno share assai basso, e cioè il 17.66% con 1.920.000 telespettatori. L'anno scorso lo share era stato del 22,97% con 2.532.000 telespettatori: anche nel 2015 un calo rispetto all'edizione precedente, ma più ridotto rispetto a quello di quest'anno. Infatti nel 2014 lo share era stato del 23,22% e i telespettatori 2.700.000.
Altre ragioni che giustifichino tale calo progressivo ed eccessivo non ve ne sono oltre l'inadatto programma. Non conta, come si può desumere da altri concerti, la figura e notorietà del direttore o dei solisti, al grande pubblico non frega nulla, anche perché sono quasi tutti sconosciuti al grande pubblico; e poi è tradizione che ad Assisi non hanno mai diretto delle vere eccellenze ( noi che abbiamo seguito anche quel concerto per molti anni, scrivendo i testi di commento, possiamo testimoniarlo); la stessa direzione artistica e sovrintendenza dell'Orchestra sinfonica nazionale della Rai a tale concerto non ha mai attribuito un grande valore.
Un discorso analogo abbiamo sempre fatto riguardo al Concerto di Capodanno dalla Fenice che naturalmente ha ascolti eccellenti, sopra i 4.000.000, da sempre, ma che da quando noi per conto della Rai, non seguiamo più la confezione del programma, ha perso telespettatori anche in maniera rilevante - in due anni, oltre 300.000 - quando invece negli anni precedenti gli ascolti sono stati SEMPRE crescenti.
Anche per il Concerto di Capodanno dunque il programma conta moltissimo; e infatti da due anni a questa parte, avendo la direzione artistica del concerto, dopo di noi, mutate le caratteristiche, l'ascolto è calato. E' semplice, non vi sono altre ragioni.
Ad Assisi come alla Fenice possono sempre invertire la rotta. Lo faranno? Oppure sia loro che la Rai in fondo se ne fottono di mantenere luccicanti certi gioielli musicali?
Quest'anno, cioè l'altro ieri, il Concerto da Assisi ha avuto uno share assai basso, e cioè il 17.66% con 1.920.000 telespettatori. L'anno scorso lo share era stato del 22,97% con 2.532.000 telespettatori: anche nel 2015 un calo rispetto all'edizione precedente, ma più ridotto rispetto a quello di quest'anno. Infatti nel 2014 lo share era stato del 23,22% e i telespettatori 2.700.000.
Altre ragioni che giustifichino tale calo progressivo ed eccessivo non ve ne sono oltre l'inadatto programma. Non conta, come si può desumere da altri concerti, la figura e notorietà del direttore o dei solisti, al grande pubblico non frega nulla, anche perché sono quasi tutti sconosciuti al grande pubblico; e poi è tradizione che ad Assisi non hanno mai diretto delle vere eccellenze ( noi che abbiamo seguito anche quel concerto per molti anni, scrivendo i testi di commento, possiamo testimoniarlo); la stessa direzione artistica e sovrintendenza dell'Orchestra sinfonica nazionale della Rai a tale concerto non ha mai attribuito un grande valore.
Un discorso analogo abbiamo sempre fatto riguardo al Concerto di Capodanno dalla Fenice che naturalmente ha ascolti eccellenti, sopra i 4.000.000, da sempre, ma che da quando noi per conto della Rai, non seguiamo più la confezione del programma, ha perso telespettatori anche in maniera rilevante - in due anni, oltre 300.000 - quando invece negli anni precedenti gli ascolti sono stati SEMPRE crescenti.
Anche per il Concerto di Capodanno dunque il programma conta moltissimo; e infatti da due anni a questa parte, avendo la direzione artistica del concerto, dopo di noi, mutate le caratteristiche, l'ascolto è calato. E' semplice, non vi sono altre ragioni.
Ad Assisi come alla Fenice possono sempre invertire la rotta. Lo faranno? Oppure sia loro che la Rai in fondo se ne fottono di mantenere luccicanti certi gioielli musicali?
lunedì 26 dicembre 2016
Ancora Veltroni?
Nel post precedente abbiamo ripreso da 'Tv blog' un testo che illustra la nuova impresa televisiva del Veltroni, detto 'l'americano', che arriva dopo neppure un mese dallo scandaloso flop della sua precedente idea di programma , quel 'Dieci cose' che la Rai è stata costretta a mandare in onda per tutte le puntate, nonostante i costi altissimi - 1 milione a puntata - e gli indici di ascolto terra terra.
Un autore qualunque, a meno che non si chiami Veltroni, dopo quel disastroso esperimento, avrebbe dovuto girare, per i prossimi anni, alla larga da viale Mazzini; ma se si chiama Veltroni e propone una serie di trasmissioni costruite sul prezioso materiale delle teche Rai: sei puntate a partire da stasera, dopo le 23 su Rai 1, che raccontano attraverso lo sguardo intelligente di altri - grandi documentaristi e giornalisti della tv di Stato - l'Italia che cambia negli ultimi sessant'anni, allora lo si ascolta e accontenta. E Veltroni naturalmente ci rifà col suo solito stile, esattamente come aveva fatto nella grande 'sòla' di alcune settimane fa dove rifilava dieci cose; ora lo fa con sei verbi che devono aver abbindolato i dirigenti di Rai Cultura in combina con Rai Storia.
Cosa dovrebbe fare Veltroni? Farsi da parte, cambiare mestiere, non ingolfare la Rai, che ha già dato (ed anche ricevuto) alla sua famiglia. Faccia l'autore cinematografico al soldo di un produttore privato, scriva libri per qualunque editore, ma lasci stare le imprese pubbliche che, guarda caso, gli prestano un'attenzione del tutto particolare.
Vediamo, poi, se Rai Cultura, Rai Storia e tutte le reti Rai presteranno la stessa attenzione che hanno riservato a lui, ad un giovane dotato e preparato che bussa alla porta di un dirigente qualunque per proporre un suo progetto.
Questo dovrebbe fare uno che va a studiare il passato per immaginare il futuro, un futuro diverso da far governare dalle giovani generazioni, non ancora da Veltroni.
Un autore qualunque, a meno che non si chiami Veltroni, dopo quel disastroso esperimento, avrebbe dovuto girare, per i prossimi anni, alla larga da viale Mazzini; ma se si chiama Veltroni e propone una serie di trasmissioni costruite sul prezioso materiale delle teche Rai: sei puntate a partire da stasera, dopo le 23 su Rai 1, che raccontano attraverso lo sguardo intelligente di altri - grandi documentaristi e giornalisti della tv di Stato - l'Italia che cambia negli ultimi sessant'anni, allora lo si ascolta e accontenta. E Veltroni naturalmente ci rifà col suo solito stile, esattamente come aveva fatto nella grande 'sòla' di alcune settimane fa dove rifilava dieci cose; ora lo fa con sei verbi che devono aver abbindolato i dirigenti di Rai Cultura in combina con Rai Storia.
Cosa dovrebbe fare Veltroni? Farsi da parte, cambiare mestiere, non ingolfare la Rai, che ha già dato (ed anche ricevuto) alla sua famiglia. Faccia l'autore cinematografico al soldo di un produttore privato, scriva libri per qualunque editore, ma lasci stare le imprese pubbliche che, guarda caso, gli prestano un'attenzione del tutto particolare.
Vediamo, poi, se Rai Cultura, Rai Storia e tutte le reti Rai presteranno la stessa attenzione che hanno riservato a lui, ad un giovane dotato e preparato che bussa alla porta di un dirigente qualunque per proporre un suo progetto.
Questo dovrebbe fare uno che va a studiare il passato per immaginare il futuro, un futuro diverso da far governare dalle giovani generazioni, non ancora da Veltroni.
Ma Veltroni non avrebbe dovuto cambiare mestiere, dopo 'dieci cose', l'ultimo flop rifilato alla Rai?
Sapere,
ridere, amare, cantare, immaginare e tifare:
sei verbi per raccontare come la Rai abbia testimoniato, e allo
stesso tempo formato, alcuni sentimenti profondi degli italiani. Una
memoria che prende vita in Gli
occhi cambiano,
la serie di documentari scritta e diretta da Walter
Veltroni e prodotta da Rai Cultura,
in onda il 26,
27, 28 dicembre e il 2, 3, 4 gennaio alle 23.20 su Rai1.
Sei puntate per rivivere la storia, la satira, la cronaca sportiva e
le parole degli atleti, il mutamento dei costumi e le battaglie per
la libertà femminile, le creazioni dell’arte e lo sguardo sul
futuro, le prime esibizioni canore e il confronto tra le generazioni.
Grazie a un approfondito lavoro di ricerca e di recupero dei
materiali d’archivio delle Teche
Rai,
emerge così quanto sia stretto ed intenso l’intreccio tra storia e
racconto televisivo, tra il piccolo schermo e la memoria collettiva.
“La
storia della nostra vita collettiva –
dice Walter Veltroni – è
oggi raccolta in quella infinita e meravigliosa “Biblioteca di
Babele“ che è la memoria televisiva, forse la più potente forma
di condivisione delle vicende umane che abbiano conosciuto le
generazioni succedutesi dal dopoguerra del Novecento. Ho tentato,
navigando nel meraviglioso oceano delle teche, di estrarre ciò che
mi è sembrato meglio potesse raccontare i mutamenti del vivere e del
pensare, del costume e del consumo culturale, dell’amare e del
sorridere. Ho cercato di usare, in “Gli occhi cambiano”, una
chiave narrativa che – giocando sul pieno della memoria ritrovata e
sui vuoti di un tempo frenetico come il nostro – costruisse, per
gli spettatori, un originale sistema di emozioni, di dubbi, di
sollecitazioni a riflettere e a non incorrere nell’autodistruttivo
rischio collettivo della rimozione”.
Le
riprese originali, che si alternano ai materiali d’archivio,
suggeriscono materialmente come la storia della Rai sia innanzi tutto
una storia di persone, di competenze, di esperienze accumulate in
sessant’anni di vita. “Abbiamo
cercato di organizzare il viaggio nella memoria di sessant’anni di
programmi Rai –
conclude Veltroni – attraverso
altrettanti verbi: sapere, cantare, immaginare, tifare, amare,
ridere. Spero che, seguendo questi percorsi, si provino quelle
emozioni, quelle malinconie, quelle allegrie, quegli stimoli a
riflettere che tutti noi abbiamo vissuto insieme, nel tempo, davanti
a uno schermo televisivo. Ho voluto fare tutto all’interno della
Rai, dal montaggio alla grafica, per testimoniare la grandezza di
energie professionali, talenti, competenze che risiedono, ieri come
oggi, nel servizio pubblico. Sono grato a Rai Cultura, ai suoi
ricercatori, e all’azienda in generale per avermi consentito questa
esperienza che, tra l’altro, mi ha dato la possibilità di rivivere
in profondità una storia di cui mio padre fu, alle origini,
testimone e protagonista”.
domenica 25 dicembre 2016
Il segreto di Stradivari può distruggere i suoi preziosissimi strumenti
Ascoltando il Concerto di Natale da Assisi su Rai 1 - al quale partecipava un giovane ma aitante violinista cinese - nel presentare l'Adagio dal Concerto di Mozart ( K 216, in sol maggiore) lo speaker annunciava testualmente: 'il suono del meraviglioso Stradivari sulle note di Mozart'. Insomma il suono del meraviglioso strumento veniva prima della musica che stava per eseguire. Ma se a posto dei grandi compositori la musica dell'epoca di Stradivari fosse stata 'fin che la barca va' e via cantando, il celebre liutaio avrebbe sentito l'urgenza di perfezionare i suoi strumenti? Tanto strumento per nulla?
Forse no, e per questo la musica di Mozart andava preposta al pregio dello strumento impiegatovi per suonarla. Questo andrebbe detto all'autore di questi testi, al quale abbiamo già fatto notare che l'accenno alla teoria di Paul Klee era veramente fuori posto.
Tornando a Stradivari, è di pochi giorni fa la notizia che uno studioso dell'estremo oriente, che aveva già sottoposto gli strumenti del celebre liutaio ma anche quelli di altri di quella straordinaria stagione della liuteria italiana, ha trovato che il segreto del liutaio non era la vernice, bensì una particolare 'stagione' del legno, una sua particolare stagionatura ed anche alcuni elementi chimici che dovevano servire a preservare il legno da tutti i parassiti che ne avrebbero potuto minare la compattezza, la stabilità, l'elasticità che sono alla base della meravigliosa resa sonora.
Quello stesso studioso, pagato forse da qualche liutaio, altrettanto bravo ma non come Stradivari, ha detto che alcuni anni fa ha fatto suonare alcuni strumenti, fra cui anche Stradivari, a violinisti professionisti, e che fra tutti quei violinisti hanno attribuito la palma di migliore strumento, ad uno dell'Ottocento o giù di lì, a dimostrazione che anche dopo Stradivari si sono costruiti strumenti eccellenti. Dunque... il mito Stradivari va ridimensionato, e il suo segreto è come il segreto di Pulcinella, semplicemente perché non esiste?
Soltanto questo voleva dirci lo studioso giapponese? Non solo. Ci ha detto anche - ed è la prima volta che si accenna a questo che potrebbe essere un serio problema - che quegli agenti chimici, da lui scoperti ed individuati, che Stradivari usava sul legno per preservarlo e conservarlo, potrebbero essere, tragicamente, causa della loro rovina. Insomma quegli agenti, con gli anni, distruggerebbero il legno, facendo ciò che nel tempo non hanno fatto tarli e funghi, che Stradivari intendeva neutralizzare.
E adesso che facciamo? Siccome non siamo riusciti a scoprire quale è il segreto della 'vita'
(eccellenza) di questi strumenti, annunciamo il pericolo della loro possibile prossima distruzione? Non potrebbe lo studioso giapponese essere processato per 'turbativa del mercato'? Immaginiamo che tutti quelli che possiedono uno Stradivari, che hanno pagato profumatamente, sopra il milione di Euro, alla tragica prospettiva avanzata dallo studioso giapponese, si facciano prendere dal panico e tentino di vendere, rivendere, anzi svendere i loro strumenti. Che ne sarebbe del mercato internazionale della liuteria storica? Salirebbero le quotazioni di strumenti più recenti, magari anche pregevoli, e gli Stradivari finirebbero nei Musei, guardati a vista ma intangibili?
Sarebbe veramente una fine ingloriosa per strumenti che valgono più della musica che eseguono - secondo il pensiero recondito dell'autore dei testi del Concerto di Natale da Assisi.
Forse no, e per questo la musica di Mozart andava preposta al pregio dello strumento impiegatovi per suonarla. Questo andrebbe detto all'autore di questi testi, al quale abbiamo già fatto notare che l'accenno alla teoria di Paul Klee era veramente fuori posto.
Tornando a Stradivari, è di pochi giorni fa la notizia che uno studioso dell'estremo oriente, che aveva già sottoposto gli strumenti del celebre liutaio ma anche quelli di altri di quella straordinaria stagione della liuteria italiana, ha trovato che il segreto del liutaio non era la vernice, bensì una particolare 'stagione' del legno, una sua particolare stagionatura ed anche alcuni elementi chimici che dovevano servire a preservare il legno da tutti i parassiti che ne avrebbero potuto minare la compattezza, la stabilità, l'elasticità che sono alla base della meravigliosa resa sonora.
Quello stesso studioso, pagato forse da qualche liutaio, altrettanto bravo ma non come Stradivari, ha detto che alcuni anni fa ha fatto suonare alcuni strumenti, fra cui anche Stradivari, a violinisti professionisti, e che fra tutti quei violinisti hanno attribuito la palma di migliore strumento, ad uno dell'Ottocento o giù di lì, a dimostrazione che anche dopo Stradivari si sono costruiti strumenti eccellenti. Dunque... il mito Stradivari va ridimensionato, e il suo segreto è come il segreto di Pulcinella, semplicemente perché non esiste?
Soltanto questo voleva dirci lo studioso giapponese? Non solo. Ci ha detto anche - ed è la prima volta che si accenna a questo che potrebbe essere un serio problema - che quegli agenti chimici, da lui scoperti ed individuati, che Stradivari usava sul legno per preservarlo e conservarlo, potrebbero essere, tragicamente, causa della loro rovina. Insomma quegli agenti, con gli anni, distruggerebbero il legno, facendo ciò che nel tempo non hanno fatto tarli e funghi, che Stradivari intendeva neutralizzare.
E adesso che facciamo? Siccome non siamo riusciti a scoprire quale è il segreto della 'vita'
(eccellenza) di questi strumenti, annunciamo il pericolo della loro possibile prossima distruzione? Non potrebbe lo studioso giapponese essere processato per 'turbativa del mercato'? Immaginiamo che tutti quelli che possiedono uno Stradivari, che hanno pagato profumatamente, sopra il milione di Euro, alla tragica prospettiva avanzata dallo studioso giapponese, si facciano prendere dal panico e tentino di vendere, rivendere, anzi svendere i loro strumenti. Che ne sarebbe del mercato internazionale della liuteria storica? Salirebbero le quotazioni di strumenti più recenti, magari anche pregevoli, e gli Stradivari finirebbero nei Musei, guardati a vista ma intangibili?
Sarebbe veramente una fine ingloriosa per strumenti che valgono più della musica che eseguono - secondo il pensiero recondito dell'autore dei testi del Concerto di Natale da Assisi.
E' ripartita la giostra dei Concerti di Natale in tv
Come sempre, ogni anno, ancor prima che il Natale arrivi, partono in tv i Concerti di Natale. Si comincia una settimana prima, dal Senato, su Rai 1, con un concerto ibrido di cui abbiamo già scritto e che ha avuto anche buoni risultati: 14,2% di share e poco sopra i 2.000.000 i telespettatori.
La vigilia, il 'Concerto di Natale' dalla Scala, ripreso nel teatro milanese che del Natale se ne fotte, ma che viene spacciato per tale solo perché fatto in prossimità delle feste natalizie. Messo in onda, sempre su Rai 1, la viglia, alle 10,15 del mattino, non ha brillato particolarmente sul piano degli ascolti (il programma ha pure il suo peso, ma alla Scala non ne vogliono sapere). Dohnanyi, il vecchio direttore, 87 anni, tornato a Milano dopo molti anni, ha eseguito la Sinfonia n. 9 di Beethoven che certo la mattina della vigilia non è il massimo per telespettatori in tutt'altre faccende affaccendati. E infatti ha raggiunto uno share ridotto ( 9,2%) e 610.000 telespettatori.
Diversa sorte dovrebbe avere il Concerto di stamane, sempre su Rai 1, da Assisi, con l'Orchestra nazionale della Rai, nonostante il programma presenti alcune evidenti incongruenze ( la Danza cosacca da Mazeppa, il brano virtuosistico, per violino e orchestra, di Saint-Saens) ogni anno fa considerevoli ascolti. Su tutti va il Concerto di Capodanno della Fenice che, nonostante il calo di telespettatori degli ultimi due anni, si mantiene sopra i 4.000.000.
Del Concerto di Assisi ci ha colpiti la regia trasandata ed inesistente - ad un certo punto ci ha mostrato anche la campagna con un cavallo allo stato brado, e la solita passerella da destra a sinistra sul coro e da sinistra a destra. che palle! - e qualche chicca inutile e fuori luogo dei testi affidati , colme sempre lodevolmente alla voce di Roberto Chevalier. Il quale, ad un certo punto, è stato costretto a comunicarci che Paul Klee diceva che l'arte rivelava cose che altrimenti non consoceremmo.... che c'entrava ? Fra un brano e l'altro scivolano via una ventina di parole al massimo ma servono ad introdurre ciò che si sta per ascoltare, non riflessioni di altro tenore e adatte ad altre occasioni.
Per concludere, visto che ormai latv tiene ogni anno fede ai suoi numerosi appuntamenti musicali durante le feste, perché non manda uno dei suoi registi a studiare presso qualche rete televisiva europea per imparare il mestiere della regia di un concerto? Non sarebbe una cattiva idea. E soprattutto eviteremmo di vedere i cavalli, al di fuori delle corse o di ' Rai Agricoltura'?
La vigilia, il 'Concerto di Natale' dalla Scala, ripreso nel teatro milanese che del Natale se ne fotte, ma che viene spacciato per tale solo perché fatto in prossimità delle feste natalizie. Messo in onda, sempre su Rai 1, la viglia, alle 10,15 del mattino, non ha brillato particolarmente sul piano degli ascolti (il programma ha pure il suo peso, ma alla Scala non ne vogliono sapere). Dohnanyi, il vecchio direttore, 87 anni, tornato a Milano dopo molti anni, ha eseguito la Sinfonia n. 9 di Beethoven che certo la mattina della vigilia non è il massimo per telespettatori in tutt'altre faccende affaccendati. E infatti ha raggiunto uno share ridotto ( 9,2%) e 610.000 telespettatori.
Diversa sorte dovrebbe avere il Concerto di stamane, sempre su Rai 1, da Assisi, con l'Orchestra nazionale della Rai, nonostante il programma presenti alcune evidenti incongruenze ( la Danza cosacca da Mazeppa, il brano virtuosistico, per violino e orchestra, di Saint-Saens) ogni anno fa considerevoli ascolti. Su tutti va il Concerto di Capodanno della Fenice che, nonostante il calo di telespettatori degli ultimi due anni, si mantiene sopra i 4.000.000.
Del Concerto di Assisi ci ha colpiti la regia trasandata ed inesistente - ad un certo punto ci ha mostrato anche la campagna con un cavallo allo stato brado, e la solita passerella da destra a sinistra sul coro e da sinistra a destra. che palle! - e qualche chicca inutile e fuori luogo dei testi affidati , colme sempre lodevolmente alla voce di Roberto Chevalier. Il quale, ad un certo punto, è stato costretto a comunicarci che Paul Klee diceva che l'arte rivelava cose che altrimenti non consoceremmo.... che c'entrava ? Fra un brano e l'altro scivolano via una ventina di parole al massimo ma servono ad introdurre ciò che si sta per ascoltare, non riflessioni di altro tenore e adatte ad altre occasioni.
Per concludere, visto che ormai latv tiene ogni anno fede ai suoi numerosi appuntamenti musicali durante le feste, perché non manda uno dei suoi registi a studiare presso qualche rete televisiva europea per imparare il mestiere della regia di un concerto? Non sarebbe una cattiva idea. E soprattutto eviteremmo di vedere i cavalli, al di fuori delle corse o di ' Rai Agricoltura'?
sabato 24 dicembre 2016
Bergamo prenda esempio da Montino-Cirinnà
Avremmo dovuto scandalizzarci oggi a leggere che la povera RAGGI - povera per davvero - guadagna come un funzionario di banca di livello intermedio, mentre noi non ci siamo scandalizzati affatto, nonostante i suoi compagni, via web, le abbiano rimproverato di non aver versato nelle casse del partito - pardon: movimento - parte del suo compenso di sindaco, che comunque è del tutto inadeguato al suo impegno di governo ed alle migliaia di dipendenti del Campidoglio e consociate.
Non sappiamo se l'assessore alla (ri)ricrescita culturale, Bergamo, abbia il giusto compenso per quel che gli tocca fare. Ma sappiamo per certo che qualora non abbia idee nuove, dovrebbe andare a a farsi consigliare dal suo ex sodale di partito Esterino Montino, sposato Cirinnà- una coppia che vive negli stenti, avendo un reddito mensile che supera appena i 20.000 euro, ma non raggiunge i 30.000 - il quale promette per il Capodanno a Fiumicino nientemeno che Belli. Capito? Bergamo corra a Fiumicino da Montino e si faccia consigliare un pari grado!
Non sappiamo se l'assessore alla (ri)ricrescita culturale, Bergamo, abbia il giusto compenso per quel che gli tocca fare. Ma sappiamo per certo che qualora non abbia idee nuove, dovrebbe andare a a farsi consigliare dal suo ex sodale di partito Esterino Montino, sposato Cirinnà- una coppia che vive negli stenti, avendo un reddito mensile che supera appena i 20.000 euro, ma non raggiunge i 30.000 - il quale promette per il Capodanno a Fiumicino nientemeno che Belli. Capito? Bergamo corra a Fiumicino da Montino e si faccia consigliare un pari grado!
Ultimissime: stipendi, pensioni, divieto di allattare nel museo
Una notizia sugli stipendi nella UE ci ha sorpresi: un operaio tedesco ha il salario di ingresso di 37.000 Euro circa l'anno, e quello italiano poco più di 20.000 Euro. Ma la cosa più sorprendente, non contenuta in quella notizia, ve la diamo noi, e ci riguarda direttamente. Il nostro salario di uscita, a fine lavoro, dopo 40 anni di servizio, come professore prima di Liceo e poi di Conservatorio, era di 40.000 Euro circa l'anno.
Insomma noi, a fine carriera, dopo 40 anni di servizio, guadagnavamo quello che un operaio tedesco guadagna ad inizio di carriera. E fin qui - non era un mistero che i salari in Italia sono fra i più bassi d'Europa - tutto normale.
Il problema, però, investe anche le pensioni che, nonostante siano il frutto di accantonamenti fatti nel corso del lavoro, vengono tassati come fossero un reddito qualunque. La qual cosa spiega anche l'esodo di molti pensionati in altre nazioni, dove la tassazione sulle pensioni è nettamente inferiore a quella italiana e perciò più favorevole che in Italia al povero pensionato.
Quella stessa ricerca alla base della notizia, faceva sapere che chi ha la pensione vive meglio di chi non ce l'ha. Certamente.Vive!
Chi invece pensa in tempo alla sua pensione futura sono i sindacalisti che lavorano 'per i lavoratori', distaccati ( per 'incarico sindacale') dai rispettivi servizi di titolarità. Il caso di Bonanni ha fatto scuola: negli ultimi anni ha quintuplicato il suo stipendio, e, di conseguenza, la pensione, passando da 70.000 Euro circa l'anno ad oltre 330.000 Euro, e portando la sua pensione - lui che al principio faceva l'operaio - a quasi 6.000 Euro netti mensili.
Ora la Corte dei Conti ha detto basta. A cominciare dai sindacalisti, i superstipendi con il trucco devono essere ricalcolati e pure le pensioni.
E poi c'è il caso di quella signora che volendo allattare suo figlio in un Museo bolognese, si è vista messa alla porta perché in quei luoghi, da dove escono le opere d'arte per disattenzione dei custodi - non può entrare nessun alimento, sotto l'occhio vigile dei custodi. La signora evidentemente non allattava al seno ma con un biberon; perché forse il latte materno non sarebbe stato considerato un alimento introdotto furtivamente nel Museo. Possiamo sperare che nella rossa Bologna ci sia almeno uno che vada a dire in faccia a quel custode che è un idiota?
Insomma noi, a fine carriera, dopo 40 anni di servizio, guadagnavamo quello che un operaio tedesco guadagna ad inizio di carriera. E fin qui - non era un mistero che i salari in Italia sono fra i più bassi d'Europa - tutto normale.
Il problema, però, investe anche le pensioni che, nonostante siano il frutto di accantonamenti fatti nel corso del lavoro, vengono tassati come fossero un reddito qualunque. La qual cosa spiega anche l'esodo di molti pensionati in altre nazioni, dove la tassazione sulle pensioni è nettamente inferiore a quella italiana e perciò più favorevole che in Italia al povero pensionato.
Quella stessa ricerca alla base della notizia, faceva sapere che chi ha la pensione vive meglio di chi non ce l'ha. Certamente.Vive!
Chi invece pensa in tempo alla sua pensione futura sono i sindacalisti che lavorano 'per i lavoratori', distaccati ( per 'incarico sindacale') dai rispettivi servizi di titolarità. Il caso di Bonanni ha fatto scuola: negli ultimi anni ha quintuplicato il suo stipendio, e, di conseguenza, la pensione, passando da 70.000 Euro circa l'anno ad oltre 330.000 Euro, e portando la sua pensione - lui che al principio faceva l'operaio - a quasi 6.000 Euro netti mensili.
Ora la Corte dei Conti ha detto basta. A cominciare dai sindacalisti, i superstipendi con il trucco devono essere ricalcolati e pure le pensioni.
E poi c'è il caso di quella signora che volendo allattare suo figlio in un Museo bolognese, si è vista messa alla porta perché in quei luoghi, da dove escono le opere d'arte per disattenzione dei custodi - non può entrare nessun alimento, sotto l'occhio vigile dei custodi. La signora evidentemente non allattava al seno ma con un biberon; perché forse il latte materno non sarebbe stato considerato un alimento introdotto furtivamente nel Museo. Possiamo sperare che nella rossa Bologna ci sia almeno uno che vada a dire in faccia a quel custode che è un idiota?
Le rivoluzioni dei Cinquestelle a Roma: il Capodanno si festeggia il giorno dopo
Luca Bergamo e Filippo Del Corno, rispettivamente assessori alla cultura di Roma e Milano - a Roma, però si chiama ' (ri)crescita culturale' - l'uno fondatore del festival 'Enzimi', l'altro compositore prestato alla politica - l'altro ieri nella Sala Santa Cecilia dell'Auditorium, nel corso degli 'Stati generali della cultura' del 'Sole 24 Ore' (di cui abbiamo riferito), erano seduti sul palco l'uno accanto all'altro, si chiamavano per nome, e dichiaravamo di conoscersi da tempo e di stimarsi reciprocamente ( ha dichiarato Filippo) e di consultarsi regolarmente - ha precisato Luca.
A noi non è dato sapere la materia dell'ultimo consulto. Ma se Luca ha sentito Filippo sulla cancellazione del Concerto di Capodanno e sull'iniziativa rivoluzionaria - per 'rompere la tradizione', come ha dichiarato Luca - di festeggiare il 2017 ad anno iniziato, a partire dalle 3.30, sul Ponte della Musica 'Armando Trovajoli', 'per raccogliere tutti quelli che escono dai locali dove hanno festeggiato l'arrivo del nuovo anno' (parole di Luca) e sollazzarli ' fino alle 22.30 del 1 gennaio' (sempre Luca che parla), e Filippo non gli ha detto che sta andando fuori di testa, allora meglio che non si sentano più in futuro, perché a questo punto il 'virus' romano ha già migrato a Milano, e contagiato anche lui!
Basta con la tradizione del concerto di fine anno - e infatti a Roma gira già la barzelletta che dal Campidoglio è partito l'ordine di augurarsi, il 1 gennaio 2017, ' Buon ferragosto' ,tanto non cambia nulla - ha detto Luca, sempre Bergamo, ma non la cittadina lombarda, bensì l'assessore alla '(ri)crescita culturale' del sindaco Virginia Raggi, che l'ha voluto anche vicesindaco.
Per festeggiare l'arrivo del nuovo anno l'invito del Comune è di andare nei locali a festeggiarlo, per ritrovarsi poi alle 3.30 sul Ponte della Musica, con un dj che continuerà a farli ballare tutti, per un'oretta almeno, con grande gioia di tutti quelli che abitano sul lungotevere,e hanno fatto tardi e a quell'ora si sono messi a letto.
Ma non finisce con il dj, perchè un'ora dopo arrivano 100 violoncelli (e speriamo che li sfascino uno dopo l'altro sulla testa di Luca; sai che musica!) per il secondo appuntamento. E da Filippo neanche una parola a Luca, almeno per fargli capire che a quell'ora della notte, sul fiume - e magari piove pure - il violoncello non può suonare? Poi la farsa continua sugli altri ponti del fiume, fino a raggiungere, in serata, Ponte Sisto.
Verrebbe da chiedere a Luca se tutta questa farsa sia costata poco o nulla alle disastrate casse comunali. Luca ha già detto che costerà soltanto 500.000 Euro; bazzecole.
Resta comunque il mistero del Concerto al Circo Massimo saltato per l'avveduta lentezza del Campidoglio, salvato in extremis con l'appuntamento dato da Luca ai romani, sempre al Circo Massimo, ma alle 22.30, senza rivelare a fare cosa.
Intanto tutto il mondo, romani compresi, sono esterrefatti dalle rivoluzione continue del 'gabinetto Raggi.
Buon anno!
A noi non è dato sapere la materia dell'ultimo consulto. Ma se Luca ha sentito Filippo sulla cancellazione del Concerto di Capodanno e sull'iniziativa rivoluzionaria - per 'rompere la tradizione', come ha dichiarato Luca - di festeggiare il 2017 ad anno iniziato, a partire dalle 3.30, sul Ponte della Musica 'Armando Trovajoli', 'per raccogliere tutti quelli che escono dai locali dove hanno festeggiato l'arrivo del nuovo anno' (parole di Luca) e sollazzarli ' fino alle 22.30 del 1 gennaio' (sempre Luca che parla), e Filippo non gli ha detto che sta andando fuori di testa, allora meglio che non si sentano più in futuro, perché a questo punto il 'virus' romano ha già migrato a Milano, e contagiato anche lui!
Basta con la tradizione del concerto di fine anno - e infatti a Roma gira già la barzelletta che dal Campidoglio è partito l'ordine di augurarsi, il 1 gennaio 2017, ' Buon ferragosto' ,tanto non cambia nulla - ha detto Luca, sempre Bergamo, ma non la cittadina lombarda, bensì l'assessore alla '(ri)crescita culturale' del sindaco Virginia Raggi, che l'ha voluto anche vicesindaco.
Per festeggiare l'arrivo del nuovo anno l'invito del Comune è di andare nei locali a festeggiarlo, per ritrovarsi poi alle 3.30 sul Ponte della Musica, con un dj che continuerà a farli ballare tutti, per un'oretta almeno, con grande gioia di tutti quelli che abitano sul lungotevere,e hanno fatto tardi e a quell'ora si sono messi a letto.
Ma non finisce con il dj, perchè un'ora dopo arrivano 100 violoncelli (e speriamo che li sfascino uno dopo l'altro sulla testa di Luca; sai che musica!) per il secondo appuntamento. E da Filippo neanche una parola a Luca, almeno per fargli capire che a quell'ora della notte, sul fiume - e magari piove pure - il violoncello non può suonare? Poi la farsa continua sugli altri ponti del fiume, fino a raggiungere, in serata, Ponte Sisto.
Verrebbe da chiedere a Luca se tutta questa farsa sia costata poco o nulla alle disastrate casse comunali. Luca ha già detto che costerà soltanto 500.000 Euro; bazzecole.
Resta comunque il mistero del Concerto al Circo Massimo saltato per l'avveduta lentezza del Campidoglio, salvato in extremis con l'appuntamento dato da Luca ai romani, sempre al Circo Massimo, ma alle 22.30, senza rivelare a fare cosa.
Intanto tutto il mondo, romani compresi, sono esterrefatti dalle rivoluzione continue del 'gabinetto Raggi.
Buon anno!
mercoledì 21 dicembre 2016
La 'nuova' economia dell'arte e della musica. Roberto Napoletano, perchè non ci spiega la 'novità'? Non sarà quella del 'Sole'
Ieri mentre ascoltavamo Roberto Napoletano, direttore del Sole 24 Ore, interrogare, incalzandolo, il ministro Franceschini, più d'una volta abbiamo dovuto ricacciar indietro un cattivo pensiero che veniva sempre a tormentarci. Quale? Il seguente: può il direttore di una impresa di comunicazione come Napoletano, da anni alla guida del gruppo di Confindustria, accusato dai suoi giornalisti di aver portato sull'orlo del fallimento l'impresa e perciò sfiduciato quasi con un plebiscito dai suoi stessi redattori, può - dicevamo a noi stessi - parlare della 'economia - nuova o vecchia che sia, tanto più se nuova- dell'arte e della musica? Mentre l'impresa rovinava dove era l'esperto di economia? La pensano così anche i suoi stessi giornalisti che visto licenziato il direttore del personale hanno detto chiaramente che da licenziare era Napoletano.
E la risposta, l'unica che riuscivamo a darci per scacciare quel cattivo pensiero, era che non poteva, proprio lui che è stato ritenuto artefice del disastro economico del 'Sole' ergersi a giudice nel difficile equilibrio che occorre assolutamente trovare, fra 'economia e cultura'.
Fosse sostenibile la nostra tesi, dovremmo dirci anche che un economista, o giornalista che si occupa di economia, se fa fallire la sua impresa, dovrebbe tacere per sempre e cambiare mestiere. E, invece, così non è. Perchè Napoletano ha sì razzolato male, anzi malissimo - il buco del 'Sole' è grande quanto una voragine! - però come non riconoscergli che può, nonostante tutto, predicare ancora bene?
Qualche dubbio l'abbiamo ancora da lettore 'domenicale' del 'Sole'. Perché non riusciamo a capire come abbia fatto a mandare gambe all'aria il giornale, se:
-la domenica il 'Sole' costa come due quotidiani in uno, Euro 2,50 (nessun altro quotidiano costa altrettanto, ad eccezione di 'Repubblica' che però ti dà insieme un settimanale vero, 'L'Espresso' , nel tentativo di rilanciarlo. Neppure il Corriere che pure ha un inserto culturale ' La lettura', ma che costa appena 50 cent. più del prezzo del giornale, in tutto 2.00 Euro;
-la domenica per oltre un anno, il 'Sole' di Napoletano ci ha COSTRETTI ad acquistare il quotidiano con un racconto breve della grande letteratura. il cui acquisto non era facoltativo, al prezzo di Euro 2.50. La cosa ci infastidì al punto che gli scrivemmo una lettera ( mail, chiaro) per lamentarcene - ma non sappiamo se l'abbia mai ricevuta, perché in tutti i mesi lo leggevamo in continuo viaggio su e giù per l'Italia.
Ora, alle notizie sul deficit del 'Sole', ci siamo detti: non sarà che quei viaggi, costosissimi per l'azienda, sono stati una concausa del 'buco'? O che Napoletano, intento a girare per l'Italia per ficcare il naso nelle cose di tutti, ha distolto l'attenzione da 'casa' sua', mandandola gambe all'aria?
O che, infine, abbia sempre ben pagato i suoi superspecializzati giornalisti della settimana e domenicali, non pensando che forse la sua 'larghezza' di spesa avrebbe potuto portare un giorno a una 'restrizione' del personale, a licenziare quei suoi giornalisti?
Dobbiamo confessare che una risposta soddisfacente al nostro cattivo pensiero non siamo riusciti a trovarla. E allora, per distrarre la nostra attenzione, proviamo a fare una domanda a quel Franceschini 'mezzodisastro' che ieri a Roma, cantava vittoria su tutta la linea anche per l'accorpamneto delle sovrintendenze, e l'autonomia dei grandi complessi museali ed archeologici.
A proposito dei quali, Franceschini che ha cantato la raggiunta autonomia per questi monumenti, dovrebbe spiegare come mai nelle passate settimane sui giornali s'è letto dell'incomprensibile pretesa del Ministero - alla faccia dell'autonomia - di gestire i soldi dei biglietti del Colosseo (qualche milione di Euro!). Ma non era autonomo?
E la risposta, l'unica che riuscivamo a darci per scacciare quel cattivo pensiero, era che non poteva, proprio lui che è stato ritenuto artefice del disastro economico del 'Sole' ergersi a giudice nel difficile equilibrio che occorre assolutamente trovare, fra 'economia e cultura'.
Fosse sostenibile la nostra tesi, dovremmo dirci anche che un economista, o giornalista che si occupa di economia, se fa fallire la sua impresa, dovrebbe tacere per sempre e cambiare mestiere. E, invece, così non è. Perchè Napoletano ha sì razzolato male, anzi malissimo - il buco del 'Sole' è grande quanto una voragine! - però come non riconoscergli che può, nonostante tutto, predicare ancora bene?
Qualche dubbio l'abbiamo ancora da lettore 'domenicale' del 'Sole'. Perché non riusciamo a capire come abbia fatto a mandare gambe all'aria il giornale, se:
-la domenica il 'Sole' costa come due quotidiani in uno, Euro 2,50 (nessun altro quotidiano costa altrettanto, ad eccezione di 'Repubblica' che però ti dà insieme un settimanale vero, 'L'Espresso' , nel tentativo di rilanciarlo. Neppure il Corriere che pure ha un inserto culturale ' La lettura', ma che costa appena 50 cent. più del prezzo del giornale, in tutto 2.00 Euro;
-la domenica per oltre un anno, il 'Sole' di Napoletano ci ha COSTRETTI ad acquistare il quotidiano con un racconto breve della grande letteratura. il cui acquisto non era facoltativo, al prezzo di Euro 2.50. La cosa ci infastidì al punto che gli scrivemmo una lettera ( mail, chiaro) per lamentarcene - ma non sappiamo se l'abbia mai ricevuta, perché in tutti i mesi lo leggevamo in continuo viaggio su e giù per l'Italia.
Ora, alle notizie sul deficit del 'Sole', ci siamo detti: non sarà che quei viaggi, costosissimi per l'azienda, sono stati una concausa del 'buco'? O che Napoletano, intento a girare per l'Italia per ficcare il naso nelle cose di tutti, ha distolto l'attenzione da 'casa' sua', mandandola gambe all'aria?
O che, infine, abbia sempre ben pagato i suoi superspecializzati giornalisti della settimana e domenicali, non pensando che forse la sua 'larghezza' di spesa avrebbe potuto portare un giorno a una 'restrizione' del personale, a licenziare quei suoi giornalisti?
Dobbiamo confessare che una risposta soddisfacente al nostro cattivo pensiero non siamo riusciti a trovarla. E allora, per distrarre la nostra attenzione, proviamo a fare una domanda a quel Franceschini 'mezzodisastro' che ieri a Roma, cantava vittoria su tutta la linea anche per l'accorpamneto delle sovrintendenze, e l'autonomia dei grandi complessi museali ed archeologici.
A proposito dei quali, Franceschini che ha cantato la raggiunta autonomia per questi monumenti, dovrebbe spiegare come mai nelle passate settimane sui giornali s'è letto dell'incomprensibile pretesa del Ministero - alla faccia dell'autonomia - di gestire i soldi dei biglietti del Colosseo (qualche milione di Euro!). Ma non era autonomo?
martedì 20 dicembre 2016
Stati generali della cultura: Art Bonus al centro dell'attenzione. Gli assessori Bergamo e Del Corno le star della giornata. Chiusura con Franceschini
Con l'intervista al ministro Franceschini curata da Roberto Napoletano, il più sfiduciato fra i direttori di giornali italiani, imputato nel processo aziendale del disastro economico del suo giornale e delle attività parallele del gruppo ' Sole 24 Ore', organizzatore degli 'Stati generali della Cultura', dal 2012, giunti alla quinta edizione, si è chiusa la giornata di interventi che si era aperta con le due star della giornata e cioè i due assessori alla cultura dei Comuni di Roma e Milano, Bergamo e Del Corno, con i quali il conduttore, giornalista del gruppo (Radio 24) è stato particolarmente sollecito nel tempestarli di domande, soprattutto Bergamo, che ha pure tentato di mettere in difficoltà.
A cominciare dalla sua nomina - poche ore fa - a vicesindaco, che il suo collega milanese ha salutato come una grande cosa positiva, mentre noi- modestissimamente - oltremodo negativa per la cultura a Roma, sebbene il suo nuovo incarico gli dia più peso nella giunta, con la Raggi e con i Cinquestelle.
L'assessore Bergamo ha retto bene, anche se il suo discorso girava intorno al 'fare sistema' che deve superare l'attuale condizione della cultura a Roma, dove vi sono oltre una decina di soggetti, eccellenti, ma che agiscono ciascuno per proprio conto, e assorbono insieme oltre il 90% dei fondi destinati alla cultura.
Alla domanda, con i brusii della platea (fra tre e quattrocento gli intervenuti, non uno di più) sui criteri che guidano il suo assessorato, particolarmente nella scelta dei privati che chiedono di intervenire per la tutela e la conservazione dei beni artistici, dopo una velata accusa dell'intervistatore di giudicare con criteri ideologici e politici, Bergamo ha risposto che soldi da chi fabbrica cannoni lui non li vuole. Ma Il tema è tornato anche successivamente alla ribalta.
Se, ad esempio, Finmeccanica volesse intervenire, investendo in cultura a Roma, che si fa? Un altro dei partecipanti ha risposto che le istituzioni non possono ergersi a giudici anche del ministero dell'interno o della difesa che li ha già giudicati, e perciò l'intervento di 'Finmeccanica' a Milano è stato ben accetto.
La Todini a capo di Poste italiane ha rammnentato i suoi interventi che priviliegiano le fondazioni liriche ed i teatri su tutto il territorio, come su tutto il territorio si estende la presenza dell'azienda pubblica.
Secondo il sovrintendente della Scala, Pereira, l'intervento dei privati nella gestione delle fondazioni liriche, e dei beni culturali in generale, non è solo auspicabile, è semplicemente necessario ed indispensabile, senza di esso dovrebbero tutti chiudere, perchè il finanziamento pubblico non è sufficiente. Ma i privati - ha sottolineato Pereira, che come cercatore di soldi è molto più bravo che come sovrintendente, lui stesso se ne è sempre fatto vanto) - occorre andarseli a cercare; ne esistono, bisogna scovarli in ogni parte del mondo, ed i sovrintendenti non dovrebbero disdegnare di andare in giro a cercare privati disposti ad investire nelle istituzioni italiane.
Naturalmente il tema del ritorno per privati ed aziende è stato anche affrontato da chi ha invitato i presenti a non guardare con disprezzo chi investe - soprattutto le aziende - nel settore e vuole vedere i frutti di tale investimento. Perché non accettare che a fronte di un grande investimento ci sia la richiesta di accomunare un marchio ad un bene che si è contribuito a salvare?
Bergamo è intervenuto sulla polemica che lo contrappose in settembre a Paolo Bulgari che aveva finanziato il restauro della Scalinata di Trinità dei Monti e che chiedeva che la scalinata venisse chiusa di notte per evitare che nel giro di poco tempo venisse nuovamente deturpata. Bergamo si fece allora - e lo ha ribadito anche oggi - difensore del popolo e di quel bene pubblico, ma non ha detto se sta già cercando il finanziatore del restauro, che certamente non sarà così lontano.
Fuortes, che parlava sia come commissario dell'Arena che come sovrintendente dell'Opera di Roma ha detto che è dimostrato come l'appeal dell'Opera non sia diminuito nonostante viviamo nell'epoca del 'virtuale', e perciò va, oltre che sostenuto, soddisfatto.
Rosanna Purchia, sovrintendente del San Carlo di Napoli, ha manifestato le difficoltà che il sud, anche in questo campo, ha da superare rispetto al nord; e Chiarot nella sua duplice veste di sovrintendente della Fenice e presidente dell'ANFOLS , dopo aver assicurato che le Fondazioni lavorano ormai a pieno regime, anche più di quanto non dicano i dati degli 'eventi' - questa terribile schifosa parola è ormai usatisima! - ha detto che l'ANFOLS proprio in questi mesi si sta confrontando con il Ministro sulle ultime leggi che riguardano il settore. E il Ministro ha fatto pesare i 10 milioni di Euro, extra FUS. da destinare alle Fondazioni, in rapporto alla loro capacità di procurarsi soldi privati (da singoli o aziende, ma anche, immaginiamo, dal botteghino, già preso in considerazione dai criteri del finanziamento FUS). Ed, da non sottovalutare, i quasi 300 milioni di Euro del bonus per i diciottenni da spendere in 'cultura', per cinema teatro musica,musei, libri e dischi.
E' anche intervenuto Michele dall'Ongaro, sovrintendente dell'Accademia di Santa Cecilia, forte dell'esibizione accolta calorosamente, ad inizio di manifestazione, di una delle Orchestre giovanili dell'Accademia, diretta dal bravo Simone Genuini, che conosciamo dai banchi del Conservatorio dove ha studiato anche con noi, all'Aquila.
L'Accademia è l'unica istituzione sinfonica fra le 14 fondazioni liriche, dunque i suoi compiti non avendo opere da rappresentare, sono rispetto alle altre ridotti. Come più ridotto è il suo bilancio, nel quale forte è la presenza delle entrate proprie e degli sponsor o soci fondatori forti.
Notevole è la attività dell'Accademia rivolta ai ragazzi che si accostano alla musica per 'farla' sia nelle orchestre che nei cori. Ottimo. Ma ciò che Dall'Ongaro non ha detto è che per questa complessa ed ampia attività, l'Accademia, attraverso le quote versate dai ragazzi, ricava benefici anche economici - senza dire poi che questa attività ha anche sponsor e benefattori dedicati. Come pure ha dimenticato di dire che il suo compenso annuo è il massimo del consentito, e cioè di 240.000 Euro, uguale forse a quello di Pereira che ha molti più impegni di lui; e di ben 80.000 Euro superiore a quello, per esempio, del sovrintendente della Fenice o del Regio di Torino (60.000 Euro in più) che sono teatri con i bilanci in ordine. Perchè questa magnanimità nei confronti di dell'Ongaro? Semplicemente perché è lui stesso a darseli (certo attraverso il CdA che presiede), anche se ha fatto uno sconto. Perchè Cagli (ed anche Berio, prima di Cagli) che lo ha preceduto nell'incarico, aveva un compenso di 330.000 Euro circa, che sono tantissimi in rapporto al bilancio dell'Accademia, e molti più ancora se raffrontati al compenso di Pereira, in rapporto con l'ammontare del bilancio della Scala. E Pereira ha molto più da fare di Dall'Ongaro, sia chiaro. Inutile allora piangere sempre miseria; comincino a tagliarsi gli stipendi che sono sinceramente troppo alti ed anche ingiustificati.
A cominciare dalla sua nomina - poche ore fa - a vicesindaco, che il suo collega milanese ha salutato come una grande cosa positiva, mentre noi- modestissimamente - oltremodo negativa per la cultura a Roma, sebbene il suo nuovo incarico gli dia più peso nella giunta, con la Raggi e con i Cinquestelle.
L'assessore Bergamo ha retto bene, anche se il suo discorso girava intorno al 'fare sistema' che deve superare l'attuale condizione della cultura a Roma, dove vi sono oltre una decina di soggetti, eccellenti, ma che agiscono ciascuno per proprio conto, e assorbono insieme oltre il 90% dei fondi destinati alla cultura.
Alla domanda, con i brusii della platea (fra tre e quattrocento gli intervenuti, non uno di più) sui criteri che guidano il suo assessorato, particolarmente nella scelta dei privati che chiedono di intervenire per la tutela e la conservazione dei beni artistici, dopo una velata accusa dell'intervistatore di giudicare con criteri ideologici e politici, Bergamo ha risposto che soldi da chi fabbrica cannoni lui non li vuole. Ma Il tema è tornato anche successivamente alla ribalta.
Se, ad esempio, Finmeccanica volesse intervenire, investendo in cultura a Roma, che si fa? Un altro dei partecipanti ha risposto che le istituzioni non possono ergersi a giudici anche del ministero dell'interno o della difesa che li ha già giudicati, e perciò l'intervento di 'Finmeccanica' a Milano è stato ben accetto.
La Todini a capo di Poste italiane ha rammnentato i suoi interventi che priviliegiano le fondazioni liriche ed i teatri su tutto il territorio, come su tutto il territorio si estende la presenza dell'azienda pubblica.
Secondo il sovrintendente della Scala, Pereira, l'intervento dei privati nella gestione delle fondazioni liriche, e dei beni culturali in generale, non è solo auspicabile, è semplicemente necessario ed indispensabile, senza di esso dovrebbero tutti chiudere, perchè il finanziamento pubblico non è sufficiente. Ma i privati - ha sottolineato Pereira, che come cercatore di soldi è molto più bravo che come sovrintendente, lui stesso se ne è sempre fatto vanto) - occorre andarseli a cercare; ne esistono, bisogna scovarli in ogni parte del mondo, ed i sovrintendenti non dovrebbero disdegnare di andare in giro a cercare privati disposti ad investire nelle istituzioni italiane.
Naturalmente il tema del ritorno per privati ed aziende è stato anche affrontato da chi ha invitato i presenti a non guardare con disprezzo chi investe - soprattutto le aziende - nel settore e vuole vedere i frutti di tale investimento. Perché non accettare che a fronte di un grande investimento ci sia la richiesta di accomunare un marchio ad un bene che si è contribuito a salvare?
Bergamo è intervenuto sulla polemica che lo contrappose in settembre a Paolo Bulgari che aveva finanziato il restauro della Scalinata di Trinità dei Monti e che chiedeva che la scalinata venisse chiusa di notte per evitare che nel giro di poco tempo venisse nuovamente deturpata. Bergamo si fece allora - e lo ha ribadito anche oggi - difensore del popolo e di quel bene pubblico, ma non ha detto se sta già cercando il finanziatore del restauro, che certamente non sarà così lontano.
Fuortes, che parlava sia come commissario dell'Arena che come sovrintendente dell'Opera di Roma ha detto che è dimostrato come l'appeal dell'Opera non sia diminuito nonostante viviamo nell'epoca del 'virtuale', e perciò va, oltre che sostenuto, soddisfatto.
Rosanna Purchia, sovrintendente del San Carlo di Napoli, ha manifestato le difficoltà che il sud, anche in questo campo, ha da superare rispetto al nord; e Chiarot nella sua duplice veste di sovrintendente della Fenice e presidente dell'ANFOLS , dopo aver assicurato che le Fondazioni lavorano ormai a pieno regime, anche più di quanto non dicano i dati degli 'eventi' - questa terribile schifosa parola è ormai usatisima! - ha detto che l'ANFOLS proprio in questi mesi si sta confrontando con il Ministro sulle ultime leggi che riguardano il settore. E il Ministro ha fatto pesare i 10 milioni di Euro, extra FUS. da destinare alle Fondazioni, in rapporto alla loro capacità di procurarsi soldi privati (da singoli o aziende, ma anche, immaginiamo, dal botteghino, già preso in considerazione dai criteri del finanziamento FUS). Ed, da non sottovalutare, i quasi 300 milioni di Euro del bonus per i diciottenni da spendere in 'cultura', per cinema teatro musica,musei, libri e dischi.
E' anche intervenuto Michele dall'Ongaro, sovrintendente dell'Accademia di Santa Cecilia, forte dell'esibizione accolta calorosamente, ad inizio di manifestazione, di una delle Orchestre giovanili dell'Accademia, diretta dal bravo Simone Genuini, che conosciamo dai banchi del Conservatorio dove ha studiato anche con noi, all'Aquila.
L'Accademia è l'unica istituzione sinfonica fra le 14 fondazioni liriche, dunque i suoi compiti non avendo opere da rappresentare, sono rispetto alle altre ridotti. Come più ridotto è il suo bilancio, nel quale forte è la presenza delle entrate proprie e degli sponsor o soci fondatori forti.
Notevole è la attività dell'Accademia rivolta ai ragazzi che si accostano alla musica per 'farla' sia nelle orchestre che nei cori. Ottimo. Ma ciò che Dall'Ongaro non ha detto è che per questa complessa ed ampia attività, l'Accademia, attraverso le quote versate dai ragazzi, ricava benefici anche economici - senza dire poi che questa attività ha anche sponsor e benefattori dedicati. Come pure ha dimenticato di dire che il suo compenso annuo è il massimo del consentito, e cioè di 240.000 Euro, uguale forse a quello di Pereira che ha molti più impegni di lui; e di ben 80.000 Euro superiore a quello, per esempio, del sovrintendente della Fenice o del Regio di Torino (60.000 Euro in più) che sono teatri con i bilanci in ordine. Perchè questa magnanimità nei confronti di dell'Ongaro? Semplicemente perché è lui stesso a darseli (certo attraverso il CdA che presiede), anche se ha fatto uno sconto. Perchè Cagli (ed anche Berio, prima di Cagli) che lo ha preceduto nell'incarico, aveva un compenso di 330.000 Euro circa, che sono tantissimi in rapporto al bilancio dell'Accademia, e molti più ancora se raffrontati al compenso di Pereira, in rapporto con l'ammontare del bilancio della Scala. E Pereira ha molto più da fare di Dall'Ongaro, sia chiaro. Inutile allora piangere sempre miseria; comincino a tagliarsi gli stipendi che sono sinceramente troppo alti ed anche ingiustificati.
lunedì 19 dicembre 2016
Con Luca Bergamo, vicesindaco, la Raggi si incarta sempre di più
Anche questa nomina - quella di Luca Bergamo assessore alla cultura a vicensindaco - dimostra ancora una volta la impreparazione e l'inadeguatezza della Raggi, e del suo movimento assieme a Lei, ad assumere un incarico di governo.
A sette mesi dalla sua elezione a sindaco, la sua cosiddetta squadra non è ancora al completo, ed anzi ogni giorno perde qualche pezzo - di alcuni , va da sè la perdita è una manna dal cielo - ed ogni giorno Virginia Raggi, manifesta la sua tragica inadeguatezza e la necessità, mai terminata, di cercare o inventarsi sostituti.
Per il ruolo di vicesindaco , i Cinquestelle, che la tengono ormai sotto tutela, avevano fatto il nome di Colomban, industriale inviato a Roma dalla Casaleggio & Associati, col compito di assessore, ruolo che egli svolge per tre giorni a settimana- dovendo gli altri giorni essere nella sua fabbrica a mandare avanti le cose. Colomban ha subito detto di no - la Raggi non convince nessuno quando dice che Lei non accetta diktat dai Cinquestelle, compreso quello di Colomban - e i giornali hanno spiegato questa sua rinuncia , con il delicatissimo ruolo del vicesindaco che agisce come una sorta di rotonda stradale dalla quale sono costretti a passare tutti in Campidoglio; ed anche da filtro per il sindaco; nel contempo, muove e dirige tutto e tutti, dando la precedenza a chi ritiene necessario l'abbia sugli altri.
E la Raggi che ti fa? Nomina per quel delicatissimo incarico Luca Bergamo, assessore alla (ri)crescita culturale - come ha chiamato quell'importante assessorato - che ancora non ha dato un segno tangibile della sua presenza a Piazza Campitelli, dove hanno sede i suoi uffici.
Ora proprio l'assessore del quale tutti a Roma reclamano una presenza attiva, viene cooptato anche per un altro incarico che lo distoglierà dal primo. Sicuro al cento per cento. E ciò ad ulteriore dimostrazione che che alla cultura, in qualunque forma e declinazione, la Raggi ed i Cinquestelle non tengono affatto. E Roma, un tempo faro nel mondo, affossa anche in questo settore. I Cinquestelle sono assolutamente estranei al discorso sulla cultura; mai una sola parola sulla cultura e sulla sua evidente influenza nell'economia del paese, in nessuno dei loro proclami e delle loro chiacchiere in rete.
Che altro deve succedere per spezzare il feeling fra i Cinquestelle e la popolazione che l'ha eletta? Continueranno i suoi 700.000 elettori romani a perdonarle qualunque cosa, compresa l'incapacità oltre gli errori? Va bene che è in Campidoglio da soli sette mesi, ma qualche segno del suo passaggio avrebbe dovuto già darlo. Finora solo dimissioni e rimpiazzi. Come intende governare Roma? Ce lo dica.
A sette mesi dalla sua elezione a sindaco, la sua cosiddetta squadra non è ancora al completo, ed anzi ogni giorno perde qualche pezzo - di alcuni , va da sè la perdita è una manna dal cielo - ed ogni giorno Virginia Raggi, manifesta la sua tragica inadeguatezza e la necessità, mai terminata, di cercare o inventarsi sostituti.
Per il ruolo di vicesindaco , i Cinquestelle, che la tengono ormai sotto tutela, avevano fatto il nome di Colomban, industriale inviato a Roma dalla Casaleggio & Associati, col compito di assessore, ruolo che egli svolge per tre giorni a settimana- dovendo gli altri giorni essere nella sua fabbrica a mandare avanti le cose. Colomban ha subito detto di no - la Raggi non convince nessuno quando dice che Lei non accetta diktat dai Cinquestelle, compreso quello di Colomban - e i giornali hanno spiegato questa sua rinuncia , con il delicatissimo ruolo del vicesindaco che agisce come una sorta di rotonda stradale dalla quale sono costretti a passare tutti in Campidoglio; ed anche da filtro per il sindaco; nel contempo, muove e dirige tutto e tutti, dando la precedenza a chi ritiene necessario l'abbia sugli altri.
E la Raggi che ti fa? Nomina per quel delicatissimo incarico Luca Bergamo, assessore alla (ri)crescita culturale - come ha chiamato quell'importante assessorato - che ancora non ha dato un segno tangibile della sua presenza a Piazza Campitelli, dove hanno sede i suoi uffici.
Ora proprio l'assessore del quale tutti a Roma reclamano una presenza attiva, viene cooptato anche per un altro incarico che lo distoglierà dal primo. Sicuro al cento per cento. E ciò ad ulteriore dimostrazione che che alla cultura, in qualunque forma e declinazione, la Raggi ed i Cinquestelle non tengono affatto. E Roma, un tempo faro nel mondo, affossa anche in questo settore. I Cinquestelle sono assolutamente estranei al discorso sulla cultura; mai una sola parola sulla cultura e sulla sua evidente influenza nell'economia del paese, in nessuno dei loro proclami e delle loro chiacchiere in rete.
Che altro deve succedere per spezzare il feeling fra i Cinquestelle e la popolazione che l'ha eletta? Continueranno i suoi 700.000 elettori romani a perdonarle qualunque cosa, compresa l'incapacità oltre gli errori? Va bene che è in Campidoglio da soli sette mesi, ma qualche segno del suo passaggio avrebbe dovuto già darlo. Finora solo dimissioni e rimpiazzi. Come intende governare Roma? Ce lo dica.
Domani a Roma la nuova edizione degli Stati generali della cultura, dedicati alla 'nuova economia dell'arte e della musica'
Domani a Roma, presso l'Auditorium, si terrà un nuova edizione degli 'Stati generali dell cultura' lanciati nel 2012 da Sole 24 Ore', attraverso un manifesto che oieri Pier Luigi Sacco, proprio dalle pagine del disastrato giornale di Confindustria, prova a rinfrescare, sintetizzando i cinque punti in cui si articolava. All'epoca noi pubblicammo sulla nostra Music@ il discorso di Napolitano che lanciò pesantissime accuse contro lo Stato, accuse di colpevole disattenzione verso la cultura.
Non pubblicammo su Music@ anche il manifesto perché avrebbe richiesto molto spazio e grande impegno per la semplice lettura, figuriamoci per la sua comprensione, giacchè era scritto nel più inutile 'politichese' da imbroglio.
Ci siamo tornati sopra , leggendo la rinfrescata di Pier Luigi Sacco, ieri sull'inserto domenicale del quotidiano economico.
Due solo dei punti, fra i cinque in cui si articolava il Manifesto, vogliamo riproporvi, perchè chi legge capisca quanto anche il giornalismo abbia bisogno di 'semplificazione' e 'chiarezza'.
1. necessità di dare vita ad una costituente per la cultura che raccogliesse le migliori energie su scala nazionale per creare le condizioni per un salto di qualità nelle strategie di sviluppo a base culturale;
2. l'importanza di pensare allo sviluppo culturale in un'ottica di lungo periodo che privilegiasse gli impatti sistemici rispetto agli effetti transitori, invitando implicitamente tutti gli operatori, comprese le pubbliche amministrazioni, ad un cambio decisivo di mentalità;
E basta, perché ci è già venuto il mal di testa, essendo gli altri tre punti un crescendo di vuoto incomprensibile di parole.
Domani, per venire al concreto, l'intera mattinata vedrà sfilare i rappresentanti dell' arte e della musica ( per questa seconda sezione parleranno i sovrintendenti di alcuni fra i più noti teatri italiani) che racconteranno conquiste, progressi e problemi, criticità.
Si parlerà anche dell'Art Bonus, dei suoi benefici, per il quale forse verrà chiesto di allargare l'ambito di applicazione.
Verso fine mattinata la conclusione affidata al Roberto Napoletano, contestatissimo e sfiduciato direttore del Sole 24 Ore, che intervisterà il ministro Franceschini, noto a tutti come 'mezzodisastro' - così almeno lo aveva indicato Renzi che ora lo teme - perché anche lui è a capo di una corrente del PD. Già perchè in Italia - ma forse non solo in Italia - accade che uno come Franceschini faccia il ministro e sia il temutissimo capo di una corrente del suo partito, tanto temuto e tanto capo che anche il suo nome s'era fatto come possibile successore del premier che gli aveva affidato la Cultura, per non avere contro la sua popolosa corrente (della quale faceva parte anche Mattarella).
Non pubblicammo su Music@ anche il manifesto perché avrebbe richiesto molto spazio e grande impegno per la semplice lettura, figuriamoci per la sua comprensione, giacchè era scritto nel più inutile 'politichese' da imbroglio.
Ci siamo tornati sopra , leggendo la rinfrescata di Pier Luigi Sacco, ieri sull'inserto domenicale del quotidiano economico.
Due solo dei punti, fra i cinque in cui si articolava il Manifesto, vogliamo riproporvi, perchè chi legge capisca quanto anche il giornalismo abbia bisogno di 'semplificazione' e 'chiarezza'.
1. necessità di dare vita ad una costituente per la cultura che raccogliesse le migliori energie su scala nazionale per creare le condizioni per un salto di qualità nelle strategie di sviluppo a base culturale;
2. l'importanza di pensare allo sviluppo culturale in un'ottica di lungo periodo che privilegiasse gli impatti sistemici rispetto agli effetti transitori, invitando implicitamente tutti gli operatori, comprese le pubbliche amministrazioni, ad un cambio decisivo di mentalità;
E basta, perché ci è già venuto il mal di testa, essendo gli altri tre punti un crescendo di vuoto incomprensibile di parole.
Domani, per venire al concreto, l'intera mattinata vedrà sfilare i rappresentanti dell' arte e della musica ( per questa seconda sezione parleranno i sovrintendenti di alcuni fra i più noti teatri italiani) che racconteranno conquiste, progressi e problemi, criticità.
Si parlerà anche dell'Art Bonus, dei suoi benefici, per il quale forse verrà chiesto di allargare l'ambito di applicazione.
Verso fine mattinata la conclusione affidata al Roberto Napoletano, contestatissimo e sfiduciato direttore del Sole 24 Ore, che intervisterà il ministro Franceschini, noto a tutti come 'mezzodisastro' - così almeno lo aveva indicato Renzi che ora lo teme - perché anche lui è a capo di una corrente del PD. Già perchè in Italia - ma forse non solo in Italia - accade che uno come Franceschini faccia il ministro e sia il temutissimo capo di una corrente del suo partito, tanto temuto e tanto capo che anche il suo nome s'era fatto come possibile successore del premier che gli aveva affidato la Cultura, per non avere contro la sua popolosa corrente (della quale faceva parte anche Mattarella).
domenica 18 dicembre 2016
La musica delle feste. Si è cominciato,questa mattina, dal Senato con il Concerto di Natale su Rai 1. Tutto bene?
Ascoltando oggi il 'Concerto di Natale' dal Senato, su Rai 1, noi dovremmo gioire e basta. Gioire perchè il programma di quel concerto - pur con qualche licenza - altro non è che la riproduzione del format 'Capodanno dalla Fenice' che noi, per incarico Rai, abbiamo inventato nel lontano 2004, all'indomani dell'inaugurazione della Fenice restaurata, e che nei dieci anni e passa in cui ce ne siamo occupati abbiamo preservato, difendendolo a denti stretti anche dai nemici che si annidano nelle stesse istituzioni musicali. Della nostra lunghissima consulenza'artistica' a quel concerto siamo orgogliosi, anche perché fino al 2014, capodanno ultimo della nostra collaborazione, gli spettatori sono sempre aumentati, fino a superare la quota di 4.400.000. Poi le cose sono andate diversamente, anche in fatto di ascolti, da quando le regole di quel nostro format sono state in parte modificate. E forse anche per questa ragione gli spettatori di oggi ( edizione 2016) hanno superato di poco i 4.050.000: sempre tanti, ma calati rispetto a due anni prima, in misura sensibile.
E qui il nostro discorso potrebbe concludersi, sia sul Concerto di Capodanno dalla Fenice, che su quello di Natale dal Senato. Senonché l'ascolto di oggi a qualche riflessione aggiuntiva ci spinge.
Promossa a pieni voti la scelta - che andrebbe mantenuta anche negli anni a venire - di affidare il concerto ad una orchestra di ragazzi (e ad un coro multiplo, uno dei quali era quello, insostituibile, commovente delle 'mani bianche'), intitolata a Giuseppe Sinopoli, e formata dai frequentatori del cosiddetto 'Sistema' italiano delle orchestre e cori giovanili e infantili (fondato da Claudio Abbado e animato da Roberto Grossi,) nato su imitazione dell'originale venezuelano, inventato da Abreu. L'intitolazione a Sinopoli nasce dal ricordo che fu proprio il nostro direttore, scomparso prematuramente, a far ascoltare la prima volta a Roma un'orchestra del 'Sistema' venezuelano. Noi, però, vorremmo chiedere alle istituzioni di non dimenticarsi della grave situazione in cui versa la musica in Italia, passate le feste. Perchè non sono quattro concerti in tv a poterci far dire che l'Italia è un paese che rispetta la musica.
Il programma del concerto in Senato è costruito sulla falsariga di quello veneziano (anche per il ricorso a più d'un brano dal repertorio del melodramma, terreno privilegiato per quello di Capodanno, ma qui senza una vera, per ottenere varietà e mantenere alta l'attenzione del pubblico televisivo. ragione): pezzi di breve durata, di diversa provenienza ma tutti popolari, alcuni per sola orchestra, altri con coro, altri ancora con orchestra e solisti, alternandoli continuamente. Quello veneziano conserva sempre due pezzi d'obbligo finali (che noi decidemmo di fissare e che, da allora, sono mantenuti con immutato successo: 'Va pensiero' da Nabucco e 'Brindisi' da Traviata); a quello dal Senato non servono forse pezzi d'obbligo, anche se due brani celebri del Natale di ogni tempo e cultura, come in parte è stato fatto anche oggi, potrebbero diventare una sua cifra distintiva.
Ciò che però non ci piace - che è poi lo stesso difetto che abbiamo riscontrato ogni anno nel concerto del giorno di Natale da Assisi (negli anni in cui per quel concerto abbiamo scritti brevi testi di commento e presentazione) è l'eccessivo ricorso ad arrangiamenti ( per il concerto di Assisi affidato all'Orchestra Rai di Torino, sempre con il solito arrangiatore) e a manipolazioni spesso davvero indigesti, musicalmente. Come ci è parso l'inutile inopportuno intreccio di 'Jingle bells', un successo mondiale natalizio, con la Marcia di Radetzky.
Non ci è piaciuta neanche la scelta della direttrice, Giovanna Fratta, perchè dettata dall'imperativo modaiolo della musica di genere (femminile); come non ci è piaciuta la sua mise 'eccessiva', con quel fascione rosso in vita - sembrava dovesse esibirsi in Arena con il toro - e quel filo d'argento infilato nella lunga treccia. Avrebbe fatto meglio, ad esempio, a tenere più a bada (a tempo) i suoi pur bravi orchestrali, ed a scegliere, per il settore 'leggero', un brano più agevole per i giovani coristi, costretti a forzare, nel ritornello.
Come non abbiamo condiviso del tutto anche la presenza di Paolo Fresu, musicista ottimo, ma prezzemolino buono per ogni occasione. E neppure la scelta di far cantare a Paola Turci una canzone notissima, Halleluja, di Cohen, accompagnandosi con la sua chitarra e dalla tromba di Fresu, e facendo l'imitazione del celebre musicista canadese, anche nella pronuncia. La tv vive già di troppi imitatori, e di altri ancora non si sente davvero il bisogno. Lei è un'inteprete che non ha bisogno di fare il verso a nessuno, neppure a Cohen.
Per tutte queste ragioni la Rai fece bene ad affidarsi alla nostra competenza per la formulazione del programma del 'Concerto di Capodanno' dalla Fenice'; come farebbe oggi altrettanto bene Rai Cultura a scegliersi un consulente competente ed intransigente - non noi che siamo ormai fuori e non abbiamo nessuna intenzione di rientrare - anche per i Concerti della feste, che sono tanti e che non possono essere lasciati all'iniziativa di coloro che vengono chiamati ad eseguirli.
E qui il nostro discorso potrebbe concludersi, sia sul Concerto di Capodanno dalla Fenice, che su quello di Natale dal Senato. Senonché l'ascolto di oggi a qualche riflessione aggiuntiva ci spinge.
Promossa a pieni voti la scelta - che andrebbe mantenuta anche negli anni a venire - di affidare il concerto ad una orchestra di ragazzi (e ad un coro multiplo, uno dei quali era quello, insostituibile, commovente delle 'mani bianche'), intitolata a Giuseppe Sinopoli, e formata dai frequentatori del cosiddetto 'Sistema' italiano delle orchestre e cori giovanili e infantili (fondato da Claudio Abbado e animato da Roberto Grossi,) nato su imitazione dell'originale venezuelano, inventato da Abreu. L'intitolazione a Sinopoli nasce dal ricordo che fu proprio il nostro direttore, scomparso prematuramente, a far ascoltare la prima volta a Roma un'orchestra del 'Sistema' venezuelano. Noi, però, vorremmo chiedere alle istituzioni di non dimenticarsi della grave situazione in cui versa la musica in Italia, passate le feste. Perchè non sono quattro concerti in tv a poterci far dire che l'Italia è un paese che rispetta la musica.
Il programma del concerto in Senato è costruito sulla falsariga di quello veneziano (anche per il ricorso a più d'un brano dal repertorio del melodramma, terreno privilegiato per quello di Capodanno, ma qui senza una vera, per ottenere varietà e mantenere alta l'attenzione del pubblico televisivo. ragione): pezzi di breve durata, di diversa provenienza ma tutti popolari, alcuni per sola orchestra, altri con coro, altri ancora con orchestra e solisti, alternandoli continuamente. Quello veneziano conserva sempre due pezzi d'obbligo finali (che noi decidemmo di fissare e che, da allora, sono mantenuti con immutato successo: 'Va pensiero' da Nabucco e 'Brindisi' da Traviata); a quello dal Senato non servono forse pezzi d'obbligo, anche se due brani celebri del Natale di ogni tempo e cultura, come in parte è stato fatto anche oggi, potrebbero diventare una sua cifra distintiva.
Ciò che però non ci piace - che è poi lo stesso difetto che abbiamo riscontrato ogni anno nel concerto del giorno di Natale da Assisi (negli anni in cui per quel concerto abbiamo scritti brevi testi di commento e presentazione) è l'eccessivo ricorso ad arrangiamenti ( per il concerto di Assisi affidato all'Orchestra Rai di Torino, sempre con il solito arrangiatore) e a manipolazioni spesso davvero indigesti, musicalmente. Come ci è parso l'inutile inopportuno intreccio di 'Jingle bells', un successo mondiale natalizio, con la Marcia di Radetzky.
Non ci è piaciuta neanche la scelta della direttrice, Giovanna Fratta, perchè dettata dall'imperativo modaiolo della musica di genere (femminile); come non ci è piaciuta la sua mise 'eccessiva', con quel fascione rosso in vita - sembrava dovesse esibirsi in Arena con il toro - e quel filo d'argento infilato nella lunga treccia. Avrebbe fatto meglio, ad esempio, a tenere più a bada (a tempo) i suoi pur bravi orchestrali, ed a scegliere, per il settore 'leggero', un brano più agevole per i giovani coristi, costretti a forzare, nel ritornello.
Come non abbiamo condiviso del tutto anche la presenza di Paolo Fresu, musicista ottimo, ma prezzemolino buono per ogni occasione. E neppure la scelta di far cantare a Paola Turci una canzone notissima, Halleluja, di Cohen, accompagnandosi con la sua chitarra e dalla tromba di Fresu, e facendo l'imitazione del celebre musicista canadese, anche nella pronuncia. La tv vive già di troppi imitatori, e di altri ancora non si sente davvero il bisogno. Lei è un'inteprete che non ha bisogno di fare il verso a nessuno, neppure a Cohen.
Per tutte queste ragioni la Rai fece bene ad affidarsi alla nostra competenza per la formulazione del programma del 'Concerto di Capodanno' dalla Fenice'; come farebbe oggi altrettanto bene Rai Cultura a scegliersi un consulente competente ed intransigente - non noi che siamo ormai fuori e non abbiamo nessuna intenzione di rientrare - anche per i Concerti della feste, che sono tanti e che non possono essere lasciati all'iniziativa di coloro che vengono chiamati ad eseguirli.
Nuovi librettisti: il seguito
Non molti giorni fa ci siamo occupati dei nuovi librettisti, riscontrando che fanno spesso coppia fissa con alcuni musicisti - figli e nipoti di Da Ponte-Mozart o Boito-Verdi ed altri - e che hanno scelto ( sono stati scelti) alcune istituzioni come luoghi privilegiati cui destinare il battesimo delle loro opere. Ed abbiamo anche sottolineato che oggi vanno per la maggiore più che le opere, le pseudo opere, o i melologhi, con un lungo testo-libretto, recitato magari da un grand'attore con la voce impostata (o dallo stesso librettista, penoso) ed accompagnamento musicale.
Alcuni anni fa scrivemmo per 'Il Giornale' di un analogo argomento e cioè degli scrittori librettisti; quell'articolo che abbiamo ripubblicato nel post precedente, fu di fatto il coronamento della nostra decennale collaborazione al quotidiano milanese. Allora ci fermammo a riflettere, a seguito del debutto italiano ( Teatro dell'Opera di Roma) di ' Uno sguardo dal ponte' di Miller, con la musica di William Bolcom, sui grandi 'scrittori all'opera', senza soffermarci sui generi in voga, come quello cinematografico, o cronachistico, o politico o catastrofale (ognuno di questi generi sembra aver trovato il suo cantore librettista) oggetto, alcuni giorni fa, di un post su questo steso blog; e per questa ragione abbiamo creduto utile riprenderlo.
Alcuni anni fa scrivemmo per 'Il Giornale' di un analogo argomento e cioè degli scrittori librettisti; quell'articolo che abbiamo ripubblicato nel post precedente, fu di fatto il coronamento della nostra decennale collaborazione al quotidiano milanese. Allora ci fermammo a riflettere, a seguito del debutto italiano ( Teatro dell'Opera di Roma) di ' Uno sguardo dal ponte' di Miller, con la musica di William Bolcom, sui grandi 'scrittori all'opera', senza soffermarci sui generi in voga, come quello cinematografico, o cronachistico, o politico o catastrofale (ognuno di questi generi sembra aver trovato il suo cantore librettista) oggetto, alcuni giorni fa, di un post su questo steso blog; e per questa ragione abbiamo creduto utile riprenderlo.
Quando un libro diventa libretto di Pietro Acquafredda ( Il Giornale)
Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller in versione melodramma con musica di William Bolcom vede, caso raro, il celebre autore della pièce teatrale anche nelle vesti di librettista, coadiuvato da Arnold Weinstein. Anche quando racconta fatti di cronaca o attinge alla narrativa contemporanea - come per i recenti Il caso Klinghoffer, Nixon in Cina, Un tram chiamato desiderio - il melodramma si rivolge a librettisti di professione; quasi mai a scrittori noti al grande pubblico per le vendite in libreria, esosi anche come librettisti. Principalmente perché la grande letteratura reputa marginale e ininfluente, sia socialmente sia economicamente, il melodramma di oggi e a esso si mostra estranea, indifferente; e poi perché il lavoro del librettista è altra cosa da quello dello scrittore.
Il melodramma Uno sguardo dal ponte - dal 18 al 25 allOpera di Roma - andò in scena per la prima volta alla Lyric Opera di Chicago nel 1999, per volere di Bruno Bartoletti, allora direttore artistico del celebre teatro dopera americano e oggi direttore della ripresa italiana, il quale ricorda: «Incontrammo Miller a New York, io, il compositore e laiutante librettista, Weinstein. Miller si mostrò contento della commissione; lavorò con Weinstein al libretto; venne a Chicago per le prove; poi, alla prima, fu molto festeggiato e trovò che la musica di Bolcom si sposava molto bene con il suo dramma». Ma Uno sguardo dal ponte in versione melodramma vanta un illustre precedente (secondo Bartoletti, Miller non se lo ricordava; forse non lo conosceva neppure; non ne fece mai parola): la prima versione fu realizzata da Renzo Rossellini, e andò in scena, sempre a Roma, l11 marzo 1961, con la regia di Roberto Rossellini, fratello del musicista, previa autorizzazione dello scrittore, che la concesse condizionandola alluso della versione italiana curata da Gerardo Guerrieri.
Ancora Roma è teatro del recente debutto come librettista dello scrittore inglese Jan McEwan, in For You del musicista Michael Berkeley. McEwan ha così commentato il suo primo libretto dopera: «Berkeley mi ha tormentato 25 anni per questa collaborazione. Ma non mi sarei fidato di nessun altro allinfuori di Michael. Mentre scrivo romanzi mi sento un dio perché scrivo ciò che mi pare; come librettista mi sento solo un angelo del dio compositore, in quanto lopera è di sua proprietà».
Ma ci sono altri esempi significativi. A cominciare da Alberto Moravia, il quale nel 1954 trasformò il suo racconto Andare verso il popolo, ripreso quasi integralmente con la sola aggiunta di un coro finale, in libretto dopera per La gita in campagna di Mario Peragallo. Lopera in un atto andò in scena alla Scala, fra rumorose proteste, più che per la musica, per lassai più banale circostanza che in scena comparve una «Topolino» su cui due giovani compiono una gita nella campagna laziale. Il fiasco milanese fu attribuito al «pubblico borghese» del teatro. Moravia non ci riprovò una seconda volta con il melodramma, mentre si cimentò numerose volte con il teatro.
Quanto a Edoardo Sanguineti, con il melodramma ha avuto frequentazione convinta e duratura (con Luciano Berio, Fausto Razzi). Pochi giorni prima della sua scomparsa, Sanguineti, in un pubblico dibattito precedente la rappresentazione di Incastro di Fausto Razzi, su testi propri, dichiarava in proposito: «Ho sempre pensato che il compito di chi collabora con un musicista - e propone parole - sia un compito di efficace subalternità: penso che il musicista, assumendo un testo e facendomi lonore di utilizzarlo, tra i miei, ha tutti i diritti. Io ho sempre considerato i musicisti molto liberi nel loro lavoro».
Anche il premio Nobel Josè Saramago ha avuto una fruttuosa collaborazione, durata una quindicina danni, con Azio Corghi, dalla quale sono nati tre melodrammi (Blimunda, Divara, Il dissoluto assolto) su libretti scritti a quattro mani da scrittore e musicista. «La vita, se il paragone mi è concesso, è come un arazzo - scrisse a proposito della collaborazione con Corghi -. Noi siamo lordito, cui non si chiede altro se non di mantenersi sempre dritto e teso; gli altri sono la trama, il filo che passa e intesse, perché è proprio dallincontro con gli altri che via via si precisa limmagine, i colori che, in ogni momento, ci identificano. Larte, lamicizia, la generosità di Azio Corghi hanno apportato al disegno della mia esistenza una ricchezza cui, da solo, io non sarei mai giunto. Grazie a Corghi, lordito di parole che ho creato è divenuto musica, è diventato canto».
Al contrario, ci sono musicisti che preferiscono scrivere da soli i libretti delle proprie opere, come Salvatore Sciarrino, autore di numerosi titoli più volte rappresentati (fra i più recenti: Macbeth, La porta della legge da Kafka, Luci mie traditrici) e in procinto di debuttare a Mannheim con una nuova opera: Superflumina. «Allinizio ho fatto anchio ricorso a scrittori - ci dice - perché non avrei mai saputo fare da me; poi ho cominciato a scrivere da me i libretti. Non mi interessa la notorietà di uno scrittore, bensì la sua capacità di saper far centro; temendo una forte discrasia fra notorietà e capacità specifica, continuo a scrivere io stesso i miei libretti; magari ricorrendo a Shakespeare o ai tragici greci».
E non dimentichiamo scrittori come Aldo Busi che mai, fino a oggi, hanno ceduto ai richiami del melodramma, pur apprezzando il grande repertorio storico. «Molti anni fa - ricorda Busi - ricevetti una proposta dallOpera di Vienna. Rifiutai perché io faccio solo ciò che so fare e perché non so fare lavori di gruppo. E poi soldi zero... Mi fecero notare che anche Calvino aveva scritto un libretto (per Luciano Berio). Risposi che a me non interessano le operazioni di nicchia, come è oggi il melodramma. Avrei scritto per Giuseppe Verdi. Scriverei forse un musical».
Da registrare, infine, il caso, forse unico, di un noto scrittore come Massimo Bontempelli il quale, nel 1922, scrisse il libretto di Siepe a Nord-Ovest, una farsa rappresentata nel glorioso «Teatro degli Indipendenti» di Anton Giulio Bragaglia, con le scene di Giorgio De Chirico. Bontempelli scrisse pure le musiche, anche se non si trattava melodramma, bensì di rappresentazione per attori, marionette, burattini con accompagnamento di musica.
Il melodramma Uno sguardo dal ponte - dal 18 al 25 allOpera di Roma - andò in scena per la prima volta alla Lyric Opera di Chicago nel 1999, per volere di Bruno Bartoletti, allora direttore artistico del celebre teatro dopera americano e oggi direttore della ripresa italiana, il quale ricorda: «Incontrammo Miller a New York, io, il compositore e laiutante librettista, Weinstein. Miller si mostrò contento della commissione; lavorò con Weinstein al libretto; venne a Chicago per le prove; poi, alla prima, fu molto festeggiato e trovò che la musica di Bolcom si sposava molto bene con il suo dramma». Ma Uno sguardo dal ponte in versione melodramma vanta un illustre precedente (secondo Bartoletti, Miller non se lo ricordava; forse non lo conosceva neppure; non ne fece mai parola): la prima versione fu realizzata da Renzo Rossellini, e andò in scena, sempre a Roma, l11 marzo 1961, con la regia di Roberto Rossellini, fratello del musicista, previa autorizzazione dello scrittore, che la concesse condizionandola alluso della versione italiana curata da Gerardo Guerrieri.
Ancora Roma è teatro del recente debutto come librettista dello scrittore inglese Jan McEwan, in For You del musicista Michael Berkeley. McEwan ha così commentato il suo primo libretto dopera: «Berkeley mi ha tormentato 25 anni per questa collaborazione. Ma non mi sarei fidato di nessun altro allinfuori di Michael. Mentre scrivo romanzi mi sento un dio perché scrivo ciò che mi pare; come librettista mi sento solo un angelo del dio compositore, in quanto lopera è di sua proprietà».
Ma ci sono altri esempi significativi. A cominciare da Alberto Moravia, il quale nel 1954 trasformò il suo racconto Andare verso il popolo, ripreso quasi integralmente con la sola aggiunta di un coro finale, in libretto dopera per La gita in campagna di Mario Peragallo. Lopera in un atto andò in scena alla Scala, fra rumorose proteste, più che per la musica, per lassai più banale circostanza che in scena comparve una «Topolino» su cui due giovani compiono una gita nella campagna laziale. Il fiasco milanese fu attribuito al «pubblico borghese» del teatro. Moravia non ci riprovò una seconda volta con il melodramma, mentre si cimentò numerose volte con il teatro.
Quanto a Edoardo Sanguineti, con il melodramma ha avuto frequentazione convinta e duratura (con Luciano Berio, Fausto Razzi). Pochi giorni prima della sua scomparsa, Sanguineti, in un pubblico dibattito precedente la rappresentazione di Incastro di Fausto Razzi, su testi propri, dichiarava in proposito: «Ho sempre pensato che il compito di chi collabora con un musicista - e propone parole - sia un compito di efficace subalternità: penso che il musicista, assumendo un testo e facendomi lonore di utilizzarlo, tra i miei, ha tutti i diritti. Io ho sempre considerato i musicisti molto liberi nel loro lavoro».
Anche il premio Nobel Josè Saramago ha avuto una fruttuosa collaborazione, durata una quindicina danni, con Azio Corghi, dalla quale sono nati tre melodrammi (Blimunda, Divara, Il dissoluto assolto) su libretti scritti a quattro mani da scrittore e musicista. «La vita, se il paragone mi è concesso, è come un arazzo - scrisse a proposito della collaborazione con Corghi -. Noi siamo lordito, cui non si chiede altro se non di mantenersi sempre dritto e teso; gli altri sono la trama, il filo che passa e intesse, perché è proprio dallincontro con gli altri che via via si precisa limmagine, i colori che, in ogni momento, ci identificano. Larte, lamicizia, la generosità di Azio Corghi hanno apportato al disegno della mia esistenza una ricchezza cui, da solo, io non sarei mai giunto. Grazie a Corghi, lordito di parole che ho creato è divenuto musica, è diventato canto».
Al contrario, ci sono musicisti che preferiscono scrivere da soli i libretti delle proprie opere, come Salvatore Sciarrino, autore di numerosi titoli più volte rappresentati (fra i più recenti: Macbeth, La porta della legge da Kafka, Luci mie traditrici) e in procinto di debuttare a Mannheim con una nuova opera: Superflumina. «Allinizio ho fatto anchio ricorso a scrittori - ci dice - perché non avrei mai saputo fare da me; poi ho cominciato a scrivere da me i libretti. Non mi interessa la notorietà di uno scrittore, bensì la sua capacità di saper far centro; temendo una forte discrasia fra notorietà e capacità specifica, continuo a scrivere io stesso i miei libretti; magari ricorrendo a Shakespeare o ai tragici greci».
E non dimentichiamo scrittori come Aldo Busi che mai, fino a oggi, hanno ceduto ai richiami del melodramma, pur apprezzando il grande repertorio storico. «Molti anni fa - ricorda Busi - ricevetti una proposta dallOpera di Vienna. Rifiutai perché io faccio solo ciò che so fare e perché non so fare lavori di gruppo. E poi soldi zero... Mi fecero notare che anche Calvino aveva scritto un libretto (per Luciano Berio). Risposi che a me non interessano le operazioni di nicchia, come è oggi il melodramma. Avrei scritto per Giuseppe Verdi. Scriverei forse un musical».
Da registrare, infine, il caso, forse unico, di un noto scrittore come Massimo Bontempelli il quale, nel 1922, scrisse il libretto di Siepe a Nord-Ovest, una farsa rappresentata nel glorioso «Teatro degli Indipendenti» di Anton Giulio Bragaglia, con le scene di Giorgio De Chirico. Bontempelli scrisse pure le musiche, anche se non si trattava melodramma, bensì di rappresentazione per attori, marionette, burattini con accompagnamento di musica.
sabato 17 dicembre 2016
La lunga agonia di Virginia Raggi in Campidoglio quando finirà?
Governare Roma è impresa quasi impossibile. Possible che solo chi si candidava alla poltrona di sindaco non lo sapesse? Roma è dominata da Mafia capitale. La lasciamo continuare a fare affari?
Chiunque arriva in Campidoglio avrà contro i poteri forti e distorti. Chi governa e sa di avere nemici da tenere a bada se non da abbattere, che fa vive nella palude e chiude tutti e due gli occhi per non vedere? Roma è in un totale abbandono. Chi governa può continuare a stare alla finestra, a non scendere in strada?
A tutte queste naturali domande ed imputazioni che la cittadinanza rivolge al sindaco Virginia Raggi, in Campidoglio da sei mesi, il Movimento 'Cinque stelle' della ditta 'Grillo& Casaleggio', che l'ha in custodia, risponde o con l' espulsione dal Movimento, o col toglierle il simbolo 'Cinquestelle', che si sta rivelando come una medaglia distruttrice, sul petto della Raggi.
E allora, allora arriva la decisione del sinedrio pentastellato sul sindaco: ci sta rovinando la reputazione, farebbe bene a dimettersi. Il sindaco risponde picche, essendo stata eletta da oltre 700.000 romani - sebbene con il Movimento grillino . Fa 'mea culpa' e dice che ora si volta pagina. Dopo l'arresto di Marra si dimettono Romeo e Frongia, fedelissimi della Raggi, e da sempre contestati dal Movimento e si va avanti - come ha assicurato il comico genovese in persona dopo una seduta fiume con lo stato maggiore del suo movimento, all'interno del quale alcuni colonnelli - soprattutto donne, Lombardi in testa - gli fanno capire che le accuse che esse rivolgevano alla Raggi, avevano un qualche fondamento.
Interrogato sulla faccenda anche Pizzarotti, il contestato ed espulso sindaco di Parma, risponde che la Raggi deve decidere: se ha una squadra di sua fiducia con la quale pensa di poter lavorare vada avanti, se invece, anche dopo il 'commissariamento' del suo movimento - ieri è apparso in tv anche l'ectoplasma di Marino per difendere la Raggi, eletta dai cittadini che il suo stesso movimento vorrebbe abbattere, come fece Renzi con lui ( ma fece bene per non proseguire nell'agonia di una città che non amministrava!), per dirle di andare avanti e di non accettare ordini dal 'comico genovese'- non riesce a governare, vada via. Alla Capitale non serve una lenta inesorabile agonia amministrativa alla quale la Raggi l'ha condannata; ha bisogno di un governo che sappia governarla.
Certo chiamarsi fuori - come ha fatto il Movimento - e la scuse troppo facili della Raggi- non rappresentano una vera svolta. In una città, la Capitale, che fa acqua anche letteralmente, da tutte le parti.
L'ectoplasma di Marino ha fatto anche una profezia. La Raggi non può durare per tutta la legislatura, ancora lunga; cade prima. E siamo d'accordo.
Richiesti poi, sia lui che Marco Damilano a La 7, sul riflesso di tale disastrosa amministrazione sui prossimi risultati elettorali, hanno risposto che non avranno il peso e l'influenza negativa che tutti immaginano, senza spiegare ,perchè. Crediamo si possa spiegare con la tendenza a dimenticare di noi italiani e con l'assenza di alternative forti al movimento grillino.
Mentre Roma - ma anche l'Italia, nel suo piccolo - brucia! Ad eccezione, sembra , di Torino dove la Appendino, che ha ricevuto la città non in condizioni simili a Roma, continua con il 'buongovermo', al punto che il comico genovese vuole candidarla anche a papessa, oltre che a premier e presidente della repubblica
Chiunque arriva in Campidoglio avrà contro i poteri forti e distorti. Chi governa e sa di avere nemici da tenere a bada se non da abbattere, che fa vive nella palude e chiude tutti e due gli occhi per non vedere? Roma è in un totale abbandono. Chi governa può continuare a stare alla finestra, a non scendere in strada?
A tutte queste naturali domande ed imputazioni che la cittadinanza rivolge al sindaco Virginia Raggi, in Campidoglio da sei mesi, il Movimento 'Cinque stelle' della ditta 'Grillo& Casaleggio', che l'ha in custodia, risponde o con l' espulsione dal Movimento, o col toglierle il simbolo 'Cinquestelle', che si sta rivelando come una medaglia distruttrice, sul petto della Raggi.
E allora, allora arriva la decisione del sinedrio pentastellato sul sindaco: ci sta rovinando la reputazione, farebbe bene a dimettersi. Il sindaco risponde picche, essendo stata eletta da oltre 700.000 romani - sebbene con il Movimento grillino . Fa 'mea culpa' e dice che ora si volta pagina. Dopo l'arresto di Marra si dimettono Romeo e Frongia, fedelissimi della Raggi, e da sempre contestati dal Movimento e si va avanti - come ha assicurato il comico genovese in persona dopo una seduta fiume con lo stato maggiore del suo movimento, all'interno del quale alcuni colonnelli - soprattutto donne, Lombardi in testa - gli fanno capire che le accuse che esse rivolgevano alla Raggi, avevano un qualche fondamento.
Interrogato sulla faccenda anche Pizzarotti, il contestato ed espulso sindaco di Parma, risponde che la Raggi deve decidere: se ha una squadra di sua fiducia con la quale pensa di poter lavorare vada avanti, se invece, anche dopo il 'commissariamento' del suo movimento - ieri è apparso in tv anche l'ectoplasma di Marino per difendere la Raggi, eletta dai cittadini che il suo stesso movimento vorrebbe abbattere, come fece Renzi con lui ( ma fece bene per non proseguire nell'agonia di una città che non amministrava!), per dirle di andare avanti e di non accettare ordini dal 'comico genovese'- non riesce a governare, vada via. Alla Capitale non serve una lenta inesorabile agonia amministrativa alla quale la Raggi l'ha condannata; ha bisogno di un governo che sappia governarla.
Certo chiamarsi fuori - come ha fatto il Movimento - e la scuse troppo facili della Raggi- non rappresentano una vera svolta. In una città, la Capitale, che fa acqua anche letteralmente, da tutte le parti.
L'ectoplasma di Marino ha fatto anche una profezia. La Raggi non può durare per tutta la legislatura, ancora lunga; cade prima. E siamo d'accordo.
Richiesti poi, sia lui che Marco Damilano a La 7, sul riflesso di tale disastrosa amministrazione sui prossimi risultati elettorali, hanno risposto che non avranno il peso e l'influenza negativa che tutti immaginano, senza spiegare ,perchè. Crediamo si possa spiegare con la tendenza a dimenticare di noi italiani e con l'assenza di alternative forti al movimento grillino.
Mentre Roma - ma anche l'Italia, nel suo piccolo - brucia! Ad eccezione, sembra , di Torino dove la Appendino, che ha ricevuto la città non in condizioni simili a Roma, continua con il 'buongovermo', al punto che il comico genovese vuole candidarla anche a papessa, oltre che a premier e presidente della repubblica
venerdì 16 dicembre 2016
Basta con gli zoo degli scrittori che non aiutano a vendere libri e non invogliano a leggerli. Su Radio 3 se ne è parlato
Ieri, alla solita Radio 3, una lunga interessante discussione su libri e scrittori, a seguito di una intervista a Parazzoli apparsa proprio ieri sulle pagine del 'Venerdì' di Repubblica, nella quale si parlava degli anni felici, ormai lontani, nei quali l'uscita di un nuovo libro animava una accesa discussione nel paese.
Perchè non si legge, non si vendono libri e perchè anche l'uscita di libri importanti non frega niente a nessuno e non c'è critico credibile che possa suscitare una dibattito?
Pechè la lettura - rispondevano gli ospiti della trasmissione ( Gelli, De Michelis, Parazzoli) - è attività solitaria, personale che ha bisogno di tempo e silenzio e volontà, nulla a vedere con i numerosi festival di letteratura o fiere del libro, cui partecipano, come in uno zoo, gli scrittori, ma che non fanno né vendere ed ancor meno leggere un libro in più. Servono solo per mostrare al pubblico la faccia che hanno coloro che scrivono libri - troppi scrittori, lamentavano in coro! - sottolineando che compito di un editore dev'essere quello di 'vendere i libri che pubblica' e non ' pubblicare libri che vendono'. Ed aggiungendo che, solitamente, gli scrittori sono decisamente più brutti del loro miglior libro, dunque non c'è nulla da vedere di tanto interessante in uno scrittore che si incontra in queste fiere del libro.
Poi il discorso è caduto anche sulla critica, e Piero Gelli che a noi non è mai piaciuto quando Rai 3 lo ha assoldato come presentatore di concerti ed opere - ma tant'è; per la stessa ragione non ci piace Corrado Augias, come Gelli, divulgatore musicale 'della domenica' - il quale ha raccontato che oggi i critici non se li fila nessuno, e che lui stesso anni fa ha dovuto smettere con una rubrica di recensioni in rete perché subissato da critiche feroci ed insulti impronunciabili.
La Lipperini chiedeva, allora, conto del disprezzo che la società riserva a tutti coloro che lavorano 'con le parole', come fa anche Radio 3. Le veniva spiegato che tale disprezzo è conseguenza della constatazione che mai coloro che lavorano con le parole, alle parole fanno seguire i fatti, come accadeva a scrittori di trenta o quarant'anni fa, Pasolini ad esempio.
Il discorso sui 'parolai' per mestiere può facilmente estendersi anche alla 'critica' in tutti i settori, compreso quello musicale, segnato più di tanti altri da improvvisazione e incompetenza e, in ogni caso , da mode e bollato per scarsa attendibilità; in una parola: inutilità.
Proprio ieri leggevamo su quasi tutti i giornali la lunga presentazione di un concerto che in questi giorni - ancora oggi - Pappano dirige a Santa Cecilia, con la partecipazione di una violinista molto nota, Jansen, la quale ci faceva sapere che le piace il nostro paese e Roma - ma forse lei non gira per le strade - le piace il clima il cibo. Chissenefregaaaaa
Perchè a noi piacerebbe sentir parlare di altro, di qualcosa che abbia un contenuto ed un senso, e non delle solite stupidaggini che tanti colleghi e direttori di giornali pensano possano interessare i lettori... che giorno dopo giorno sono sempre di meno - come attestano inesorabilmente i dati di diffusione e vendita della stampa in Italia.
Perchè non si legge, non si vendono libri e perchè anche l'uscita di libri importanti non frega niente a nessuno e non c'è critico credibile che possa suscitare una dibattito?
Pechè la lettura - rispondevano gli ospiti della trasmissione ( Gelli, De Michelis, Parazzoli) - è attività solitaria, personale che ha bisogno di tempo e silenzio e volontà, nulla a vedere con i numerosi festival di letteratura o fiere del libro, cui partecipano, come in uno zoo, gli scrittori, ma che non fanno né vendere ed ancor meno leggere un libro in più. Servono solo per mostrare al pubblico la faccia che hanno coloro che scrivono libri - troppi scrittori, lamentavano in coro! - sottolineando che compito di un editore dev'essere quello di 'vendere i libri che pubblica' e non ' pubblicare libri che vendono'. Ed aggiungendo che, solitamente, gli scrittori sono decisamente più brutti del loro miglior libro, dunque non c'è nulla da vedere di tanto interessante in uno scrittore che si incontra in queste fiere del libro.
Poi il discorso è caduto anche sulla critica, e Piero Gelli che a noi non è mai piaciuto quando Rai 3 lo ha assoldato come presentatore di concerti ed opere - ma tant'è; per la stessa ragione non ci piace Corrado Augias, come Gelli, divulgatore musicale 'della domenica' - il quale ha raccontato che oggi i critici non se li fila nessuno, e che lui stesso anni fa ha dovuto smettere con una rubrica di recensioni in rete perché subissato da critiche feroci ed insulti impronunciabili.
La Lipperini chiedeva, allora, conto del disprezzo che la società riserva a tutti coloro che lavorano 'con le parole', come fa anche Radio 3. Le veniva spiegato che tale disprezzo è conseguenza della constatazione che mai coloro che lavorano con le parole, alle parole fanno seguire i fatti, come accadeva a scrittori di trenta o quarant'anni fa, Pasolini ad esempio.
Il discorso sui 'parolai' per mestiere può facilmente estendersi anche alla 'critica' in tutti i settori, compreso quello musicale, segnato più di tanti altri da improvvisazione e incompetenza e, in ogni caso , da mode e bollato per scarsa attendibilità; in una parola: inutilità.
Proprio ieri leggevamo su quasi tutti i giornali la lunga presentazione di un concerto che in questi giorni - ancora oggi - Pappano dirige a Santa Cecilia, con la partecipazione di una violinista molto nota, Jansen, la quale ci faceva sapere che le piace il nostro paese e Roma - ma forse lei non gira per le strade - le piace il clima il cibo. Chissenefregaaaaa
Perchè a noi piacerebbe sentir parlare di altro, di qualcosa che abbia un contenuto ed un senso, e non delle solite stupidaggini che tanti colleghi e direttori di giornali pensano possano interessare i lettori... che giorno dopo giorno sono sempre di meno - come attestano inesorabilmente i dati di diffusione e vendita della stampa in Italia.
giovedì 15 dicembre 2016
L'Archivio storico Ricordi digitalizzato e in rete. Intanto figurini: bozzetti di scena e costumi.13.000 pezzi
Sono trascorsi oltre vent'anni (1994) da quando Casa Ricordi fu acquistata da Bertelsmann, un acquisto che non suscitò, AD ECCEZIONE DEGLI ADDETTI AI LAVORI, la benché minima protesta per un pezzo della storia italiana svenduto ai tedeschi (la lezione di oggi riguardo a Vivendi che intende scalare Mediaset fa capire che l'interesse per l'azienda di comunicazione italiana è molto superiore a quella per l'industria musicale).
Dopo vent'anni Bertelsmann fa sapere che la prima tappa per la digitalizzazione dell'immenso preziosissimo patrimonio di Ricordi è stato digitalizzato ed è accessibile attraverso il portale: www.archivioricordi.com
Si tratta solo del primo passo che include bozzetti di scene e costumi ed anche le disposizioni di scena, preziosissime anche queste, che rappresentano un abbozzo di quella scienza, così definita, a ragione o a torto, regia, e che troppe volte non aiuta, ma reca danno alle opere stesse ed alle volontà degli autori, sorpassando nel peso la stessa musica e la direzione musicale.
Il secondo passo, forse tra vent'anni, includerà anche le partiture, la corrispondenza e tutta la documentazione inerente la storia dell'opera, così come l'ha fatta Casa Ricordi in oltre due secoli di attività editoriale ( a significare tale peso, nei giorni scorsi in Piazza della Scala, è stata inaugurata una statua di Giulio Ricordi).
Se si guarda ad analoghi archivi, naturalmente meno ricchi, di alcuni teatri del nostro paese, si constata che da molti anni i rispettivi depositi sono stati digitalizzati. Pensiamo all'Opera di Roma, per conoscenza diretta. Ma non è l'unico caso.
Perchè allora Bertelsmann per la Ricordi ci ha messo tanto per iniziare? Perchè Bertelsmann ragiona da industriale e non da conservatore e depositario di un prezioso tesoro. A differenza dei teatri, Bertelsmann, in ogni operazione, guarda innanzitutto ai benefici economici che gli possono derivare da una certa operazione che ha, naturalmente, dei costi. E forse la scelta di cominciare con i figurini è frutto di tale logica: il loro utilizzo, anche se non sappiamo in che quantità, recherà profitti alla Bertelsmann.
C'è qualcosa che emerge da tale messe di figurini messi a disposizione per la consultazione in rete. E cioè che in ogni epoca l'ambientazione delle singole opere risente di ciò che nei vari campi si andava sviluppando, e ciò vale sia per le scene ( influenzate dalle varie correnti artistiche) che per i costumi, per effetto della moda.
E questo serve a dire che nel tempo l'opera come la voleva, ad esempio Verdi, non è stata sempre la stessa. E di questo dobbiamo farcene tutti una ragione.
Dopo vent'anni Bertelsmann fa sapere che la prima tappa per la digitalizzazione dell'immenso preziosissimo patrimonio di Ricordi è stato digitalizzato ed è accessibile attraverso il portale: www.archivioricordi.com
Si tratta solo del primo passo che include bozzetti di scene e costumi ed anche le disposizioni di scena, preziosissime anche queste, che rappresentano un abbozzo di quella scienza, così definita, a ragione o a torto, regia, e che troppe volte non aiuta, ma reca danno alle opere stesse ed alle volontà degli autori, sorpassando nel peso la stessa musica e la direzione musicale.
Il secondo passo, forse tra vent'anni, includerà anche le partiture, la corrispondenza e tutta la documentazione inerente la storia dell'opera, così come l'ha fatta Casa Ricordi in oltre due secoli di attività editoriale ( a significare tale peso, nei giorni scorsi in Piazza della Scala, è stata inaugurata una statua di Giulio Ricordi).
Se si guarda ad analoghi archivi, naturalmente meno ricchi, di alcuni teatri del nostro paese, si constata che da molti anni i rispettivi depositi sono stati digitalizzati. Pensiamo all'Opera di Roma, per conoscenza diretta. Ma non è l'unico caso.
Perchè allora Bertelsmann per la Ricordi ci ha messo tanto per iniziare? Perchè Bertelsmann ragiona da industriale e non da conservatore e depositario di un prezioso tesoro. A differenza dei teatri, Bertelsmann, in ogni operazione, guarda innanzitutto ai benefici economici che gli possono derivare da una certa operazione che ha, naturalmente, dei costi. E forse la scelta di cominciare con i figurini è frutto di tale logica: il loro utilizzo, anche se non sappiamo in che quantità, recherà profitti alla Bertelsmann.
C'è qualcosa che emerge da tale messe di figurini messi a disposizione per la consultazione in rete. E cioè che in ogni epoca l'ambientazione delle singole opere risente di ciò che nei vari campi si andava sviluppando, e ciò vale sia per le scene ( influenzate dalle varie correnti artistiche) che per i costumi, per effetto della moda.
E questo serve a dire che nel tempo l'opera come la voleva, ad esempio Verdi, non è stata sempre la stessa. E di questo dobbiamo farcene tutti una ragione.
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