giovedì 1 dicembre 2016

Muti e Pappano: l'orchestra come metafora della società e il direttore di chi governa

In due diverse occasioni e circostanze - per Muti, il concerto a Bergamo, nel Teatro Donizetti, 50 anni dopo il suo debutto nella cittadina lombarda; Pappano che annuncia  lo sbarco a New York per il prossimo anno, alla Carnegie Hall - due notissimi direttori italiani tornano a parlare anche di politica e della situazione italiana.
 Ad ambedue la metafora dell'orchestra viene in aiuto per analizzare i mali della nostra società e proporne i  rimedi. In  orchestra, dicono i due direttori, ci sono molte persone, differenti per carattere, personalità, impegno professionale ed anche bravura- perchè non dirlo? - ma tutti quanti per produrre un qualche risultato devono collaborare, nessuno è più importante dell'altro, tutti lo sono in egual misura, ciascuno con il  suo ruolo che deve assolvere a dovere,  un ruolo che talora può essere di preminenza sugli altri, che però dura l'esecuzione di un passaggio; e tutti agli ordini di un direttore, il quale deve tener presenti tutti ugualmente, ma riconoscere  a ciascuno, a seconda del progetto che si è fatto in testa, il particolare ruolo in ciascun momento.
 Tale diverso peso, nota dopo nota, non premia né punisce i singoli ma gratifica tutti, se ciascuno svolgerà alla perfezione il suo compito,  e verrà fuori la musica. Se tutti vogliono fare i protagonisti,  disattendendo le indicazioni del direttore,  viene fuori una situazione assai simile a quella,  con grande efficacia disegnata da Federico Fellini nel suo 'Prova 'Orchestra, con catastrofe finale.
 Muti aggiunge che non è necessario che il direttore sia amato dagli orchestrali, anche se sarebbe il massimo, basta che sia stimato e seguito; e Pappano, conoscendo ormai bene  le orchestra in Italia- lui stesso ha sangue italiano - ammette la difficoltà a lavorare con esse; perchè anche in quelle non  di un prima fascia, ciascuno vorrebbe essere considerato e trattato come il primo della classe.
 E poi. Quale che sia la caratura di una orchestra, in Italia si ubbidisce al podio solo se c'è uno come Carlos Kleiber, altrimenti l'ubbidienza al direttore di turno viene considerata un optional. Ed è la ragione per cui i giovani direttori italiani, anche dotati, non possono far carriera in Italia. Le orchestre se li mangiano. In pratica, dice Pappano,  la carriera ai giovani direttori non gliela fanno fare le orchestre. Ma, d'altro canto, occorre che chi la carriera l'ha già fatta, prima che sia troppo tardi, abbandoni il podio o il palcoscenico (il discorso vale per tutti coloro la cui professione li fa stare costantemente in vetrina), altrimenti i giovani non vi potranno mai salire.
 E così dalla lezione al mondo politico i due direttori sono passati a dare lezione anche al mondo della musica, con la speranza che proprio loro per primi ne traggano un qualche insegnamento.

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