domenica 18 dicembre 2016

Quando un libro diventa libretto di Pietro Acquafredda ( Il Giornale)


Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller in versione melodramma con musica di William Bolcom vede, caso raro, il celebre autore della pièce teatrale anche nelle vesti di librettista, coadiuvato da Arnold Weinstein. Anche quando racconta fatti di cronaca o attinge alla narrativa contemporanea - come per i recenti Il caso Klinghoffer, Nixon in Cina, Un tram chiamato desiderio - il melodramma si rivolge a librettisti di professione; quasi mai a scrittori noti al grande pubblico per le vendite in libreria, esosi anche come librettisti. Principalmente perché la grande letteratura reputa marginale e ininfluente, sia socialmente sia economicamente, il melodramma di oggi e a esso si mostra estranea, indifferente; e poi perché il lavoro del librettista è altra cosa da quello dello scrittore.
Il melodramma Uno sguardo dal ponte - dal 18 al 25 all’Opera di Roma - andò in scena per la prima volta alla Lyric Opera di Chicago nel 1999, per volere di Bruno Bartoletti, allora direttore artistico del celebre teatro d’opera americano e oggi direttore della ripresa italiana, il quale ricorda: «Incontrammo Miller a New York, io, il compositore e l’aiutante librettista, Weinstein. Miller si mostrò contento della commissione; lavorò con Weinstein al libretto; venne a Chicago per le prove; poi, alla prima, fu molto festeggiato e trovò che la musica di Bolcom si sposava molto bene con il suo dramma». Ma Uno sguardo dal ponte in versione melodramma vanta un illustre precedente (secondo Bartoletti, Miller non se lo ricordava; forse non lo conosceva neppure; non ne fece mai parola): la prima versione fu realizzata da Renzo Rossellini, e andò in scena, sempre a Roma, l’11 marzo 1961, con la regia di Roberto Rossellini, fratello del musicista, previa autorizzazione dello scrittore, che la concesse condizionandola all’uso della versione italiana curata da Gerardo Guerrieri.
Ancora Roma è teatro del recente debutto come librettista dello scrittore inglese Jan McEwan, in For You del musicista Michael Berkeley. McEwan ha così commentato il suo primo libretto d’opera: «Berkeley mi ha tormentato 25 anni per questa collaborazione. Ma non mi sarei fidato di nessun altro all’infuori di Michael. Mentre scrivo romanzi mi sento un dio perché scrivo ciò che mi pare; come librettista mi sento solo un angelo del dio compositore, in quanto l’opera è di sua proprietà».
Ma ci sono altri esempi significativi. A cominciare da Alberto Moravia, il quale nel 1954 trasformò il suo racconto Andare verso il popolo, ripreso quasi integralmente con la sola aggiunta di un coro finale, in libretto d’opera per La gita in campagna di Mario Peragallo. L’opera in un atto andò in scena alla Scala, fra rumorose proteste, più che per la musica, per l’assai più banale circostanza che in scena comparve una «Topolino» su cui due giovani compiono una gita nella campagna laziale. Il fiasco milanese fu attribuito al «pubblico borghese» del teatro. Moravia non ci riprovò una seconda volta con il melodramma, mentre si cimentò numerose volte con il teatro.
Quanto a Edoardo Sanguineti, con il melodramma ha avuto frequentazione convinta e duratura (con Luciano Berio, Fausto Razzi). Pochi giorni prima della sua scomparsa, Sanguineti, in un pubblico dibattito precedente la rappresentazione di Incastro di Fausto Razzi, su testi propri, dichiarava in proposito: «Ho sempre pensato che il compito di chi collabora con un musicista - e propone parole - sia un compito di efficace subalternità: penso che il musicista, assumendo un testo e facendomi l’onore di utilizzarlo, tra i miei, ha tutti i diritti. Io ho sempre considerato i musicisti molto liberi nel loro lavoro».
Anche il premio Nobel Josè Saramago ha avuto una fruttuosa collaborazione, durata una quindicina d’anni, con Azio Corghi, dalla quale sono nati tre melodrammi (Blimunda, Divara, Il dissoluto assolto) su libretti scritti a quattro mani da scrittore e musicista. «La vita, se il paragone mi è concesso, è come un arazzo - scrisse a proposito della collaborazione con Corghi -. Noi siamo l’ordito, cui non si chiede altro se non di mantenersi sempre dritto e teso; gli altri sono la trama, il filo che passa e intesse, perché è proprio dall’incontro con gli altri che via via si precisa l’immagine, i colori che, in ogni momento, ci identificano. L’arte, l’amicizia, la generosità di Azio Corghi hanno apportato al disegno della mia esistenza una ricchezza cui, da solo, io non sarei mai giunto. Grazie a Corghi, l’ordito di parole che ho creato è divenuto musica, è diventato canto».
Al contrario, ci sono musicisti che preferiscono scrivere da soli i libretti delle proprie opere, come Salvatore Sciarrino, autore di numerosi titoli più volte rappresentati (fra i più recenti: Macbeth, La porta della legge da Kafka, Luci mie traditrici) e in procinto di debuttare a Mannheim con una nuova opera: Superflumina. «All’inizio ho fatto anch’io ricorso a scrittori - ci dice - perché non avrei mai saputo fare da me; poi ho cominciato a scrivere da me i libretti. Non mi interessa la notorietà di uno scrittore, bensì la sua capacità di saper far centro; temendo una forte discrasia fra notorietà e capacità specifica, continuo a scrivere io stesso i miei libretti; magari ricorrendo a Shakespeare o ai tragici greci».
E non dimentichiamo scrittori come Aldo Busi che mai, fino a oggi, hanno ceduto ai richiami del melodramma, pur apprezzando il grande repertorio storico. «Molti anni fa - ricorda Busi - ricevetti una proposta dall’Opera di Vienna. Rifiutai perché io faccio solo ciò che so fare e perché non so fare lavori “di gruppo”. E poi soldi zero... Mi fecero notare che anche Calvino aveva scritto un libretto (per Luciano Berio). Risposi che a me non interessano le operazioni “di nicchia”, come è oggi il melodramma. Avrei scritto per Giuseppe Verdi. Scriverei forse un musical».
Da registrare, infine, il caso, forse unico, di un noto scrittore come Massimo Bontempelli il quale, nel 1922, scrisse il libretto di Siepe a Nord-Ovest, una farsa rappresentata nel glorioso «Teatro degli Indipendenti» di Anton Giulio Bragaglia, con le scene di Giorgio De Chirico. Bontempelli scrisse pure le musiche, anche se non si trattava melodramma, bensì di rappresentazione per attori, marionette, burattini con accompagnamento di musica.

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