Ascoltando oggi il 'Concerto di Natale' dal Senato, su Rai 1, noi dovremmo gioire e basta. Gioire perchè il programma di quel concerto - pur con qualche licenza - altro non è che la riproduzione del format 'Capodanno dalla Fenice' che noi, per incarico Rai, abbiamo inventato nel lontano 2004, all'indomani dell'inaugurazione della Fenice restaurata, e che nei dieci anni e passa in cui ce ne siamo occupati abbiamo preservato, difendendolo a denti stretti anche dai nemici che si annidano nelle stesse istituzioni musicali. Della nostra lunghissima consulenza'artistica' a quel concerto siamo orgogliosi, anche perché fino al 2014, capodanno ultimo della nostra collaborazione, gli spettatori sono sempre aumentati, fino a superare la quota di 4.400.000. Poi le cose sono andate diversamente, anche in fatto di ascolti, da quando le regole di quel nostro format sono state in parte modificate. E forse anche per questa ragione gli spettatori di oggi ( edizione 2016) hanno superato di poco i 4.050.000: sempre tanti, ma calati rispetto a due anni prima, in misura sensibile.
E qui il nostro discorso potrebbe concludersi, sia sul Concerto di Capodanno dalla Fenice, che su quello di Natale dal Senato. Senonché l'ascolto di oggi a qualche riflessione aggiuntiva ci spinge.
Promossa a pieni voti la scelta - che andrebbe mantenuta anche negli anni a venire - di affidare il concerto ad una orchestra di ragazzi (e ad un coro multiplo, uno dei quali era quello, insostituibile, commovente delle 'mani bianche'), intitolata a Giuseppe Sinopoli, e formata dai frequentatori del cosiddetto 'Sistema' italiano delle orchestre e cori giovanili e infantili (fondato da Claudio Abbado e animato da Roberto Grossi,) nato su imitazione dell'originale venezuelano, inventato da Abreu. L'intitolazione a Sinopoli nasce dal ricordo che fu proprio il nostro direttore, scomparso prematuramente, a far ascoltare la prima volta a Roma un'orchestra del 'Sistema' venezuelano. Noi, però, vorremmo chiedere alle istituzioni di non dimenticarsi della grave situazione in cui versa la musica in Italia, passate le feste. Perchè non sono quattro concerti in tv a poterci far dire che l'Italia è un paese che rispetta la musica.
Il programma del concerto in Senato è costruito sulla falsariga di quello veneziano (anche per il ricorso a più d'un brano dal repertorio del melodramma, terreno privilegiato per quello di Capodanno, ma qui senza una vera, per ottenere varietà e mantenere alta l'attenzione del pubblico televisivo. ragione): pezzi di breve durata, di diversa provenienza ma tutti popolari, alcuni per sola orchestra, altri con coro, altri ancora con orchestra e solisti, alternandoli continuamente. Quello veneziano conserva sempre due pezzi d'obbligo finali (che noi decidemmo di fissare e che, da allora, sono mantenuti con immutato successo: 'Va pensiero' da Nabucco e 'Brindisi' da Traviata); a quello dal Senato non servono forse pezzi d'obbligo, anche se due brani celebri del Natale di ogni tempo e cultura, come in parte è stato fatto anche oggi, potrebbero diventare una sua cifra distintiva.
Ciò che però non ci piace - che è poi lo stesso difetto che abbiamo riscontrato ogni anno nel concerto del giorno di Natale da Assisi (negli anni in cui per quel concerto abbiamo scritti brevi testi di commento e presentazione) è l'eccessivo ricorso ad arrangiamenti ( per il concerto di Assisi affidato all'Orchestra Rai di Torino, sempre con il solito arrangiatore) e a manipolazioni spesso davvero indigesti, musicalmente. Come ci è parso l'inutile inopportuno intreccio di 'Jingle bells', un successo mondiale natalizio, con la Marcia di Radetzky.
Non ci è piaciuta neanche la scelta della direttrice, Giovanna Fratta, perchè dettata dall'imperativo modaiolo della musica di genere (femminile); come non ci è piaciuta la sua mise 'eccessiva', con quel fascione rosso in vita - sembrava dovesse esibirsi in Arena con il toro - e quel filo d'argento infilato nella lunga treccia. Avrebbe fatto meglio, ad esempio, a tenere più a bada (a tempo) i suoi pur bravi orchestrali, ed a scegliere, per il settore 'leggero', un brano più agevole per i giovani coristi, costretti a forzare, nel ritornello.
Come non abbiamo condiviso del tutto anche la presenza di Paolo Fresu, musicista ottimo, ma prezzemolino buono per ogni occasione. E neppure la scelta di far cantare a Paola Turci una canzone notissima, Halleluja, di Cohen, accompagnandosi con la sua chitarra e dalla tromba di Fresu, e facendo l'imitazione del celebre musicista canadese, anche nella pronuncia. La tv vive già di troppi imitatori, e di altri ancora non si sente davvero il bisogno. Lei è un'inteprete che non ha bisogno di fare il verso a nessuno, neppure a Cohen.
Per tutte queste ragioni la Rai fece bene ad affidarsi alla nostra competenza per la formulazione del programma del 'Concerto di Capodanno' dalla Fenice'; come farebbe oggi altrettanto bene Rai Cultura a scegliersi un consulente competente ed intransigente - non noi che siamo ormai fuori e non abbiamo nessuna intenzione di rientrare - anche per i Concerti della feste, che sono tanti e che non possono essere lasciati all'iniziativa di coloro che vengono chiamati ad eseguirli.
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