Nei giorni scorsi s'erano diffuse voci, talune evidentemente false, sulla fuga del grande direttore dalla Capitale. S'era detto che con la nuova gestione del teatro, che doveva risanare i conti, il grande Maestro non avrebbe più trovato i cordoni della borsa sempre allargati ad ogni sua richiesta, perché così si sarebbe rischiato non il semplice (semplice, tanto per dire ) licenziamento degli orchestrali e coristi, ma la chiusura totale, per fallimento, del teatro. E queste voci s'erano fatte insistenti quando, alla prima di Rusalka, costata di allestimento appena 50.000 Euro, erano venute fuori che il costo dell'Aida cancellata, causa 'diserzione' del noto direttore, sarebbe stato di1.500.000 Euro che, uniti forse ad una cifra pari o di poco inferiore al costo delle future 'Nozze di Figaro' avrebbe reso ancor più drammatico il deficit del teatro. Ora con la cancellazione dei due titoli 'mutiani', gli allestimenti fatti in casa (che non è detto siano sempre e comunque peggiori di quelli faraonici come si usano nei nostri teatri abituati a spendere e spandere, anche inutilmente ) e le più miti pretese di orchestra e coro rientrati in teatro, il sovrintendente - quello attuale o chi gli dovesse succedere, come noi speriamo per la figuraccia di Fuortes di fronte al mondo musicale - potrà riprendere la navigazione, sempre che i sindacati non producano nuovi scossoni ( con scioperi od altre azioni dimostrative), con maggiore tranquillità.
Dunque le ristrettezze del bilancio potrebbero aver costretto Muti a tagliare la corda ? Non è detto che sia stata la vera ragione, perché poi il Maestro, al di là degli allestimenti, quel che sa fare bene è far suonare l'orchestra e cantare i cantanti, solisti e coro. E questo lo sanno bene i suoi nemici, perfino quelli che mettono l'accento sul suo cattivo carattere.
E Milano, A Milano era successo qualcosa di analogo, Muti aveva lasciato la capitale del nord, perché non si sentiva più bene in quel teatro, dopo una ventina d'anni di permanenza stabile, e perchè non andava più d'accordo con il 'coniuge' amministrativo della Scala, cioè Fontana. Queste ragioni possono aver influito sulla decisione traumatica anche lì di Muti di abbandonare il teatro, nel quale sarà difficile che egli faccia ritorno, la qual cosa vale anche per Roma. E vale ancora di più, dopo che è divenuta chiarissima la ragione principale del duplice abbandono, dove i problemi con Roma e Milano c'entrano poco.
Muti e famiglia non vogliono più passare lunghi periodi in città nelle quali la qualità della vita non è buona. Da ciò la decisione di ritirarsi, in Italia, a Ravenna, risultata la città in cima alla classifica delle città italiane in cui si vive meglio.
L'avevamo sospettato.
domenica 30 novembre 2014
Giuliano Amato al Quirinale? no!
Le voci sul prossimo inquilino del Quirinale e le trattative di rito si fanno sempre più insistenti e frequenti, perché dopo il messaggio di fine anno, Napolitano ha davvero intenzione di sloggiare. Non ce la fa più. Chi lo ha visto di recente lo ha trovato molto molto affaticato, e gli anni pesano pure.
Chi gli succederà? Sembra che il candidato accetto a tutti, Berlusconi compreso, ma proprio a tutti sembra Giuliano Amato ( davvero strano che Berlusconi possa votare e far votare Amato che, come tante volte lui stesso ha accusato, mise le mani nelle tasche degli italiani, con il prelievo forzoso dai conti correnti di tutti!) da poco membro della Consulta, già primo ministro, già ministro del tesoro, già parlamentare, già professore di università, e forse anche segretario ( o vice? ) del suo partito. Insomma un candidato per il Quirinale che è stato già tutto ed al quale mancherebbe solo di andare ad abitare sul colle più alto di Roma. No, Amato no. Amato più volte è stato tirato in ballo, negli ultimi tempi, per le sue pensioni che messe insieme, senza contare gli emolumenti da giudice della Consulta, fanno alcune decina di migliaia di Euro MENSILI, ai quali il candidato privilegiato del Quirinale non intende rinunciare e per i quali ha dato le sue giustificazioni: diritti acquisiti, nulla mi è stato regalato.
No, un personaggio così insensibile ai problemi del paese che galleggia su un salvagente che lo Stato gli ha gonfiato a suon di bigliettoni, non può pretendere di andare al Quirinale.
Chi gli succederà? Sembra che il candidato accetto a tutti, Berlusconi compreso, ma proprio a tutti sembra Giuliano Amato ( davvero strano che Berlusconi possa votare e far votare Amato che, come tante volte lui stesso ha accusato, mise le mani nelle tasche degli italiani, con il prelievo forzoso dai conti correnti di tutti!) da poco membro della Consulta, già primo ministro, già ministro del tesoro, già parlamentare, già professore di università, e forse anche segretario ( o vice? ) del suo partito. Insomma un candidato per il Quirinale che è stato già tutto ed al quale mancherebbe solo di andare ad abitare sul colle più alto di Roma. No, Amato no. Amato più volte è stato tirato in ballo, negli ultimi tempi, per le sue pensioni che messe insieme, senza contare gli emolumenti da giudice della Consulta, fanno alcune decina di migliaia di Euro MENSILI, ai quali il candidato privilegiato del Quirinale non intende rinunciare e per i quali ha dato le sue giustificazioni: diritti acquisiti, nulla mi è stato regalato.
No, un personaggio così insensibile ai problemi del paese che galleggia su un salvagente che lo Stato gli ha gonfiato a suon di bigliettoni, non può pretendere di andare al Quirinale.
Muti a Roma non ci torna, e Machiavelli prende le misure al cervello del principe (Renzi)
Un amico di lunga data del maestro Muti, Paolo Isotta, recensendo ieri la Rusalka che ha inaugurato la stagione dell'Opera di Roma - naturalmente ottima per effetto delle scelte del massimo direttore artistico al mondo, Alessio Vlad - accenna alla crisi appena conclusa ed ai dissidi apparentemente ricomposti fra personale artistico e dirigenza dell'Opera di Roma; ma trova lo spazio, allo stesso tempo, e in poche e scandite righe di dire che Muti non tornerà all'Opera. La ragione - detta da Isotta che di Muti può essere considerato l'esegeta ufficiale - è che nessuno di quelli che avrebbero dovuto invitarlo a tornare, pregandolo in tutti i modi, l'ha fatto. L'affermazione è abbastanza grave ed ha il senso di una accusa aperta di Muti, sebbene fatta per interposta persona.
Avrebbero dovuto pregare Muti perchè ritornasse sicuramente Fuortes, che non l'ha fatto; Marino che non l'ha fatto, Franceschini, che non l'ha fatto, e forse anche l'orchestra che non l'ha fatto.
Sì, a parole l'hanno fatto taluni, ma senza crederci e senza esserne convinti, sperando in fondo che non torni, e che anzi sparisca nelle nebbie del giro internazionale che, come era naturale, si potrebbe contendere Muti anche a suon di milioni di Euro, come sicuramente sta facendo.
Sul programma di sala della Rusalka, ci diceva un nostro amico, il suo nome è in testa alla fondazione del teatro con il titolo onorifico , a questo punto anche ironico - di 'direttore onorario a vita'.
Il rapporto fra Muti e l'Opera di Roma, sembra uno di quei casi di innamorati che si regalano le mezze lune per significare quale rapporto si augurano fra loro: metà a lui e metà all'altra, sulle quali c'è scritto 'Uniti ma divisi'; da leggersi, nel caso di Muti: egli resta sempre direttore a vita, seppure onorario, ma meglio se sta alla larga dal teatro dell'Opera. Il quale alla serata inaugurale sì è beccato uno schiaffo istituzionale, a causa dell'assenza delle autorità cittadine e nazionali dal teatro.
Tornando da un viaggio, questa mattina, ascoltavamo in macchina Radio tre. Si parlava della evoluzione della lingua italiana, e si citava Machiavelli ed il suo 'Principe'. Di una cosa scritta dal grande fiorentino vogliamo porgere notizia al presidente del Consiglio, Renzi, suo incolpevole concittadino. Diceva Machiavelli che il 'cervello' del principe si misura dalla scelta dei suoi ministri. Non serve commento.
Come non serve neppure commentare l'episodio di quel mascalzone di Di Stefano, deputato PD, che avrebbe intascato una bella stecca di quasi due milioni di Euro, ma, più grave ancora, avrebbe 'comprato' la laurea presso una università telematica (tutti gli esami di quattro anni in una sola sessione!),il cui rettore era stato compensato 'del disturbo' con una consulenza. Fra lui e il 'trota' nazionale che differenza c'è?
Avrebbero dovuto pregare Muti perchè ritornasse sicuramente Fuortes, che non l'ha fatto; Marino che non l'ha fatto, Franceschini, che non l'ha fatto, e forse anche l'orchestra che non l'ha fatto.
Sì, a parole l'hanno fatto taluni, ma senza crederci e senza esserne convinti, sperando in fondo che non torni, e che anzi sparisca nelle nebbie del giro internazionale che, come era naturale, si potrebbe contendere Muti anche a suon di milioni di Euro, come sicuramente sta facendo.
Sul programma di sala della Rusalka, ci diceva un nostro amico, il suo nome è in testa alla fondazione del teatro con il titolo onorifico , a questo punto anche ironico - di 'direttore onorario a vita'.
Il rapporto fra Muti e l'Opera di Roma, sembra uno di quei casi di innamorati che si regalano le mezze lune per significare quale rapporto si augurano fra loro: metà a lui e metà all'altra, sulle quali c'è scritto 'Uniti ma divisi'; da leggersi, nel caso di Muti: egli resta sempre direttore a vita, seppure onorario, ma meglio se sta alla larga dal teatro dell'Opera. Il quale alla serata inaugurale sì è beccato uno schiaffo istituzionale, a causa dell'assenza delle autorità cittadine e nazionali dal teatro.
Tornando da un viaggio, questa mattina, ascoltavamo in macchina Radio tre. Si parlava della evoluzione della lingua italiana, e si citava Machiavelli ed il suo 'Principe'. Di una cosa scritta dal grande fiorentino vogliamo porgere notizia al presidente del Consiglio, Renzi, suo incolpevole concittadino. Diceva Machiavelli che il 'cervello' del principe si misura dalla scelta dei suoi ministri. Non serve commento.
Come non serve neppure commentare l'episodio di quel mascalzone di Di Stefano, deputato PD, che avrebbe intascato una bella stecca di quasi due milioni di Euro, ma, più grave ancora, avrebbe 'comprato' la laurea presso una università telematica (tutti gli esami di quattro anni in una sola sessione!),il cui rettore era stato compensato 'del disturbo' con una consulenza. Fra lui e il 'trota' nazionale che differenza c'è?
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sabato 29 novembre 2014
Rusalka ha fatto boom!
Come sia andata l'altra sera, all'Opera di Roma, con la serata inaugurale di stagione, non ci è dato di sapere, nonostante che abbiamo letto la maggior parte dei quotidiani.
Di certo si dava Rusalka, approdata all'Opera prima d'ora già otto anni fa (Roma è forse l'unico teatro dove in meno di 10 anni abbiano rappresentato due volte l'opera di Dvorak), il direttore, al suo debutto a Roma, è stato strattonato dalla critica sia di destra che di sinistra ( è importante segnalarlo perché la critica di destra e quella di sinistra si spartiscono i compiti) il regista era Krief che ha avuto a disposizione appena 50.000 Euro per l'allestimento (forse ne ha presi di più per la regia, dovendosi egli spremere le meningi per pescare nei magazzini del teatro tutto quello che poteva essere utile per il nuovo /vecchio allestimento) ha inscheletrito il mondo favolistico; e le voci, la principale delle quali, femminile, è stata sostituita per indisposizione negli ultimi giorni, non sappiamo di che pasta fossero fatte. Chi dice che erano assolutamente inadatte, chi ne salva la metà chi le promuove in toto, a seconda che fossero di destra o sinistra - i critici s'intende. Fra i quali c'erano i vedovi o le vedove di Muti , che lo rimpiangeranno in eterno (dimenticando di annotare che l'allestimento e il cast dell' Aida andata in fumo costava all'incirca 1.500.000 Euro) e che, inconsolate, vagano per le sabbie egizie; coloro i quali, anzi uno, che raccontava per l'ennesima volta la storia di Rusalka - che palle! - per non sporcarsi le mani, e, nel frattempo, prendeva tempo e spiava le mosse degli altri ( era un pezzo, bello corposo, da pubblicare alla vigilia e che, per mancanza di spazio, è finito all'indomani della prima); e poi c'era il cantore/poeta con il pensiero sempre verso Muti e famiglia ( altrimenti non gli avrebbero fatto presentare al festival ravennate, una sua opera: beccato, diavoletto di un critico!) ma che ora vuole salvare capra e cavoli, dove i cavoli sono i suoi rapporti anche lavorativi con Fuortes, da Roma a Bari e ritorno.
L'univo forse che dava conto, in breve, con un pezzo tozzo, era un critico 'da destra': poche annotazioni anche sull'esito della serata. Abbiamo anche letto di applausi di cortesia, ed anche di nove minuti di applausi. Vi meravigliate? Nove minuti di applausi possono essere di sola cortesia. Zitti!
Alla serata inaugrale, per non offendere il compaesano Riccardo, il presidente Napolitano non aveva partecipato, perchè - secondo il comunicato ufficiale del Quirinale, non richiesto - stava già preparando le valigie per il prossimo autosfratto; e neppure Franceschini il quale aveva prenotato un lungo fine settimana in Marocco con la sua bella, con la quale da quando s'è sposato non gli era riuscito ancora di portarla fuori; Marino era assente perchè ci aveva da fare (gli si era bucata la ruota della bicicletta sul Raccordo e stava attendendo il 113), e Zingaretti era impicciato con la sagra dell'olio ai Castelli, e perciò ha girato alla larga da Piazza Beniamino Gigli.
In compenso però c'era, al gran completo, il solito generone romano agghindato come la madonna di Pompei; c'era il ministro Padoan, unico caso di forte presenza istituzionale (per mantenere la promessa fatta alla sua signora: domani ti porto all'Opera!) - e c'era l'assessore Marinelli, altro sponsor di Fuortes.
Poi, scendendo giù giù (non si sono letti i nomi dei consiglieri di amministrazione né del direttore artistico che erano tutti impegnati o in altri teatri o a preparare l'albero di Natale) c'era Piovani e c'era anche Cagli. Non starà mica pensando di accasarsi per l'ennesima volta, al Teatro dell'Opera, ora che ha deciso di lasciare, dopo una ventina d'anni, Santa Cecilia? La santa della musica ci protegga!
Di certo si dava Rusalka, approdata all'Opera prima d'ora già otto anni fa (Roma è forse l'unico teatro dove in meno di 10 anni abbiano rappresentato due volte l'opera di Dvorak), il direttore, al suo debutto a Roma, è stato strattonato dalla critica sia di destra che di sinistra ( è importante segnalarlo perché la critica di destra e quella di sinistra si spartiscono i compiti) il regista era Krief che ha avuto a disposizione appena 50.000 Euro per l'allestimento (forse ne ha presi di più per la regia, dovendosi egli spremere le meningi per pescare nei magazzini del teatro tutto quello che poteva essere utile per il nuovo /vecchio allestimento) ha inscheletrito il mondo favolistico; e le voci, la principale delle quali, femminile, è stata sostituita per indisposizione negli ultimi giorni, non sappiamo di che pasta fossero fatte. Chi dice che erano assolutamente inadatte, chi ne salva la metà chi le promuove in toto, a seconda che fossero di destra o sinistra - i critici s'intende. Fra i quali c'erano i vedovi o le vedove di Muti , che lo rimpiangeranno in eterno (dimenticando di annotare che l'allestimento e il cast dell' Aida andata in fumo costava all'incirca 1.500.000 Euro) e che, inconsolate, vagano per le sabbie egizie; coloro i quali, anzi uno, che raccontava per l'ennesima volta la storia di Rusalka - che palle! - per non sporcarsi le mani, e, nel frattempo, prendeva tempo e spiava le mosse degli altri ( era un pezzo, bello corposo, da pubblicare alla vigilia e che, per mancanza di spazio, è finito all'indomani della prima); e poi c'era il cantore/poeta con il pensiero sempre verso Muti e famiglia ( altrimenti non gli avrebbero fatto presentare al festival ravennate, una sua opera: beccato, diavoletto di un critico!) ma che ora vuole salvare capra e cavoli, dove i cavoli sono i suoi rapporti anche lavorativi con Fuortes, da Roma a Bari e ritorno.
L'univo forse che dava conto, in breve, con un pezzo tozzo, era un critico 'da destra': poche annotazioni anche sull'esito della serata. Abbiamo anche letto di applausi di cortesia, ed anche di nove minuti di applausi. Vi meravigliate? Nove minuti di applausi possono essere di sola cortesia. Zitti!
Alla serata inaugrale, per non offendere il compaesano Riccardo, il presidente Napolitano non aveva partecipato, perchè - secondo il comunicato ufficiale del Quirinale, non richiesto - stava già preparando le valigie per il prossimo autosfratto; e neppure Franceschini il quale aveva prenotato un lungo fine settimana in Marocco con la sua bella, con la quale da quando s'è sposato non gli era riuscito ancora di portarla fuori; Marino era assente perchè ci aveva da fare (gli si era bucata la ruota della bicicletta sul Raccordo e stava attendendo il 113), e Zingaretti era impicciato con la sagra dell'olio ai Castelli, e perciò ha girato alla larga da Piazza Beniamino Gigli.
In compenso però c'era, al gran completo, il solito generone romano agghindato come la madonna di Pompei; c'era il ministro Padoan, unico caso di forte presenza istituzionale (per mantenere la promessa fatta alla sua signora: domani ti porto all'Opera!) - e c'era l'assessore Marinelli, altro sponsor di Fuortes.
Poi, scendendo giù giù (non si sono letti i nomi dei consiglieri di amministrazione né del direttore artistico che erano tutti impegnati o in altri teatri o a preparare l'albero di Natale) c'era Piovani e c'era anche Cagli. Non starà mica pensando di accasarsi per l'ennesima volta, al Teatro dell'Opera, ora che ha deciso di lasciare, dopo una ventina d'anni, Santa Cecilia? La santa della musica ci protegga!
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venerdì 28 novembre 2014
Dio c'è: i giornali non pubblicano le pagine 'Eventi' ( a pagamento) sulla 'grande opera' di Roma
Immaginiamo due scenari possibili, ambedue ci confermano nell'idea che alla fine esiste un limite per l'indecenza. Dunque Dio c'è.
Primo scenario. Il Teatro dell'Opera di Roma Capitale, per la sua 'grande opera', domanda ai giornali di riservargli due pagine per la solita inserzione - a pagamento - che anticipi ed illustri la stagione, la nuova stagione che ieri ha preso l'avvio con la Rusalka di Dvorak; e i giornali rispondono che questa volta devono, malvolentieri, fare a meno dei soldi del Teatro dell'Opera perchè quelle due pagine sarebbero più vergognose della vergognosa situazione nella quale il Teatro si dibatte da molti mesi in qua. Insomma i giornali, ben sapendo che quelle pagine, sotto comando dei soldi, servono a magnificare l'istituzione che le prenota - a pagamento - hanno fatto sapere all'Opera di Roma che non avrebbero trovato parole per passare sopra le disavventure del teatro, facendo finta di niente, e lodandone il nuovo corso di rilancio nazionale ed internazionale, come va dicendo quell'altro poveretto di Marino.
Secondo scenario. Il Teatro dell'Opera di Roma Capitale, vista la vergogna che si è abbattuta sul teatro, anche per colpa dei dirigenti medesimi, e il primo colpevole della vergognosa situazione è il sovrintendente ( alle prime armi nella conduzione di un grande teatro con personale fisso , cosa molto diversa dal 'condominio' di 'Musica per Roma' che non ha personale artistico fisso proprio!), che non ha immediatamente, dal primo momento, cercato ed avviato un colloquio con gli scioperanti, specie i più facinorosi ed irriducibili, ha pensato bene di non prenotare - a pagamento - sui giornali quelle famigerate pagine sulle quali da anni leggiamo delle autentiche barzellette. E di barzellette, ne abbiamo lette in quantità eccessiva, negli anni passati, anche sul Teatro dell'Opera di Roma Capitale, mentre affondava.
Adesso la dirigenza del teatro, cogliendo a volo la giustificazione della mancanza di pecunia, ha approfittato per non chiedere ai giornali di compiere l'ennesimo sfregio alla decenza. e , per questo, solo per questo, ci siamo confermati nell'idea che Dio c'è.
Abbiamo sottolineato che quelle pagine che appaiono regolarmente su Repubblica, Corriere e Sole 24 Ore (la domenica) sono pagine che le istituzioni, non solo musicali, in particolari occasioni, pagano, rivelandosi nel complesso una bella entrata pubblicitaria per i giornali. I quali contraccambiano tanta sensibilità fregandosene di riparlare delle istituzioni medesime.
Primo scenario. Il Teatro dell'Opera di Roma Capitale, per la sua 'grande opera', domanda ai giornali di riservargli due pagine per la solita inserzione - a pagamento - che anticipi ed illustri la stagione, la nuova stagione che ieri ha preso l'avvio con la Rusalka di Dvorak; e i giornali rispondono che questa volta devono, malvolentieri, fare a meno dei soldi del Teatro dell'Opera perchè quelle due pagine sarebbero più vergognose della vergognosa situazione nella quale il Teatro si dibatte da molti mesi in qua. Insomma i giornali, ben sapendo che quelle pagine, sotto comando dei soldi, servono a magnificare l'istituzione che le prenota - a pagamento - hanno fatto sapere all'Opera di Roma che non avrebbero trovato parole per passare sopra le disavventure del teatro, facendo finta di niente, e lodandone il nuovo corso di rilancio nazionale ed internazionale, come va dicendo quell'altro poveretto di Marino.
Secondo scenario. Il Teatro dell'Opera di Roma Capitale, vista la vergogna che si è abbattuta sul teatro, anche per colpa dei dirigenti medesimi, e il primo colpevole della vergognosa situazione è il sovrintendente ( alle prime armi nella conduzione di un grande teatro con personale fisso , cosa molto diversa dal 'condominio' di 'Musica per Roma' che non ha personale artistico fisso proprio!), che non ha immediatamente, dal primo momento, cercato ed avviato un colloquio con gli scioperanti, specie i più facinorosi ed irriducibili, ha pensato bene di non prenotare - a pagamento - sui giornali quelle famigerate pagine sulle quali da anni leggiamo delle autentiche barzellette. E di barzellette, ne abbiamo lette in quantità eccessiva, negli anni passati, anche sul Teatro dell'Opera di Roma Capitale, mentre affondava.
Adesso la dirigenza del teatro, cogliendo a volo la giustificazione della mancanza di pecunia, ha approfittato per non chiedere ai giornali di compiere l'ennesimo sfregio alla decenza. e , per questo, solo per questo, ci siamo confermati nell'idea che Dio c'è.
Abbiamo sottolineato che quelle pagine che appaiono regolarmente su Repubblica, Corriere e Sole 24 Ore (la domenica) sono pagine che le istituzioni, non solo musicali, in particolari occasioni, pagano, rivelandosi nel complesso una bella entrata pubblicitaria per i giornali. I quali contraccambiano tanta sensibilità fregandosene di riparlare delle istituzioni medesime.
mercoledì 26 novembre 2014
Contemporanea. PIzzo era a Roma o è rimasto a Palermo?
Il sito di Roma Capitale, riferendo della presentazione della nuova stagione di Musica per Roma, in collaborazione con Santa Cecilia, 'Contemporanea' - rassegna/stagione dedicata alla musica del nostro tempo - non scioglie definitivamente il dubbio sulla presenza di Oscar Pizzo, come curatore della rassegna, dubbio che aveva sollevato l'invito a tale presentazione - dove il suo nome mancava - ed il secondo invito, con il nome di Pizzo, che veniva a confermare il sospetto di rapporti non più idilliaci fra il Pizzo e il Fuortes. E forse il Pizzo (Oscar), incazzato nero con Fuortes, alla fine, quando ha letto il suo nome nell'invito corretto, a seguito di giuste proteste, aveva , per dispetto, deciso di starsene a Palermo. Ma Palermo è presente comunque a Roma in 'Contemporanea'.
L'apre infatti domani Giovanni Sollima, con un suo pezzo proprio sulla sua città natale; e , fra qualche giorno, è prevista in calendario addirittura una 'giornata/evento' (le sole serate non bastano più) per combattere una strenua lotta a tutte le mafie dalla Calabria ai narcotrafficanti, con Grasso, presidente del senato, che suonerà la tromba.
E poi, più avanti, una seconda giornata/evento dedicata all'Olocausto, con musiche attinenti. Per dirla brevemente, 'Contemporanea' è ad una svolta, e rivela il suo più profondo dna, quello politico, l'impegno civile; della musica poco gli importa.
Un tempo i filoni di una rassegna musicale contemporanea erano Darmstadt, spettralismo, minimalismo,costruttivismo ed altro; oggi una rassegna anche di musica 'contemporanea' si fa con Palermo, mafie, olocausto. Mai e poi mai, almeno in 'Contemporanea', vi entreranno anche sollazzevoli tematiche come Moulin rouge o Pigalle.
E del resto su questo filone Contemporanea s'era già avventurata, con spettacoli sugli emigranti, sulla questione israelo-palestinese, sui primi disastri atomici ed altro. E il Pizzo s'era impegnato negli ultimi tempi, in sede come in trasferta, anche in veste di autore in tale settore, seguendo le orme del suo antico partner Guido Barbieri che a tanti disastri, ha offerto la sua 'drammaturgia', non perdendosi, nelle more della sua direzione artistica della 'Barattelli' aquilana, tanto per restare in casa nostra, neanche il terremoto aquilano.
Contemporanea, insomma , ha sposato la quaresima penitenziale. Come se di penitenze non fossimo già sazi, ogni giorno e per ogni circostanza.
P.S. Dai giornali non abbiamo capito chi c'era e chi no alla conferenza stampa di presentazione. Dagli stessi giornali abbiamo solo desunto che Franco Oppo, insigne musicista sardo, è diventato uno studioso, e non un musicista, innanzitutto. Declassato!
Le foto invece ci hanno mostrato Regina, Sollima, Pizzo; di Fuortes neanche l'ombra. I giornali infine riferivano solo le parole di Regina; e Sollima era fotograftao davanti ad un microfono dunque ha parlato; e Pizzo? E Fuortes, che se c'era era, sedeva alla estremità opposta a quella in cui si vedeva Pizzo?
L'apre infatti domani Giovanni Sollima, con un suo pezzo proprio sulla sua città natale; e , fra qualche giorno, è prevista in calendario addirittura una 'giornata/evento' (le sole serate non bastano più) per combattere una strenua lotta a tutte le mafie dalla Calabria ai narcotrafficanti, con Grasso, presidente del senato, che suonerà la tromba.
E poi, più avanti, una seconda giornata/evento dedicata all'Olocausto, con musiche attinenti. Per dirla brevemente, 'Contemporanea' è ad una svolta, e rivela il suo più profondo dna, quello politico, l'impegno civile; della musica poco gli importa.
Un tempo i filoni di una rassegna musicale contemporanea erano Darmstadt, spettralismo, minimalismo,costruttivismo ed altro; oggi una rassegna anche di musica 'contemporanea' si fa con Palermo, mafie, olocausto. Mai e poi mai, almeno in 'Contemporanea', vi entreranno anche sollazzevoli tematiche come Moulin rouge o Pigalle.
E del resto su questo filone Contemporanea s'era già avventurata, con spettacoli sugli emigranti, sulla questione israelo-palestinese, sui primi disastri atomici ed altro. E il Pizzo s'era impegnato negli ultimi tempi, in sede come in trasferta, anche in veste di autore in tale settore, seguendo le orme del suo antico partner Guido Barbieri che a tanti disastri, ha offerto la sua 'drammaturgia', non perdendosi, nelle more della sua direzione artistica della 'Barattelli' aquilana, tanto per restare in casa nostra, neanche il terremoto aquilano.
Contemporanea, insomma , ha sposato la quaresima penitenziale. Come se di penitenze non fossimo già sazi, ogni giorno e per ogni circostanza.
P.S. Dai giornali non abbiamo capito chi c'era e chi no alla conferenza stampa di presentazione. Dagli stessi giornali abbiamo solo desunto che Franco Oppo, insigne musicista sardo, è diventato uno studioso, e non un musicista, innanzitutto. Declassato!
Le foto invece ci hanno mostrato Regina, Sollima, Pizzo; di Fuortes neanche l'ombra. I giornali infine riferivano solo le parole di Regina; e Sollima era fotograftao davanti ad un microfono dunque ha parlato; e Pizzo? E Fuortes, che se c'era era, sedeva alla estremità opposta a quella in cui si vedeva Pizzo?
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In 'CONTEMPORANEA' Pizzo a Palermo e Roma
L'altro ieri avevamo scritto della prossima stagione 'Contemporanea' di 'Musica per Roma' che oggi è stata presentata, come recita l'invito che abbiamo ricevuto, all'Auditorium, dal solito nobile parterre presieduto da Fuortes (che, naturalmente, non decide ancora se stare da un parte o dall'altra: Opera di Roma o Musica per Roma); nel quale invito, però, per la prima volta mancava il nome di Oscar Pizzo, curatore, ab origine, della rassegna, ma volato ad ottobre al Massimo di Palermo; mentre, invece, sempre nello stesso invito, per conto dell'Accademia di Santa Cecilia, non figurava Cagli bensì dall'Ongaro. Se due più due fa quattro, il dubbio che ormai la rassegna fosse passata nelle mani accademiche di dall'Ongaro, sovrintendente dell'Accademia 'in pectore', almeno in quello di Cagli, era perfino superfluo. E dall'Ogaro ha le carte in regola per curare una simile rassegna. Lo sappiamo e lo abbiamo anche scritto l'altro ieri.
Oggi ci viene spedito un nuovo, secondo invito, riveduto e corretto, che abbiamo ricevuto soltanto alle 12.49 (per la conferenza che aveva avuto già luogo, alle ore 12. C'è bisogno di fare qualche commento?), nel quale si scrive che alla presentazione della rassegna ci sarà anche Oscar Pizzo, 'curatore' della medesima, poco importa che si sia trasferito a Palermo ( per vendicarsi di Fuortes gli ha giocato un brutto tiro, non chiamandolo in sostituzione di Alessio Vlad, a Roma, perchè non lo ritiene all'altezza per tale ruolo? Strano, perchè l'ha chiamato anche a Bari, come suo consulente musicale al Petruzzelli. Già solo 'consulente musicale', non per l'Opera perché per quella, nuovamente, non lo riteneva abbastanza preparato, al contrario di Giambrone che lo ha chiamato a Palermo. Fuortes e Giambrone a parte, Pizzo nel melodramma è un neofita, e dunque sempre impreparato resta. Non sarebbe stato meglio che avesse fatto un pò di gavetta in qualche piccolo teatro? L'apprendistato non è più di moda, mentre vanno le carriere fulminanti.).
Il nostro post, potrebbe aver creato qualche problema - anche se ci viene da dire che i problemi, qualora ve ne siano - li ha creati l'invito n.1 di Musica per Roma. Oppure Pizzo, che certamente deve aver preparato la stagione prima di volarsene a Palermo, s'è risentito ed ha chiesto di essere presente.
Ambedue le ragioni. Ma come si fa a scordarsi di un direttore artistico che lavora per Musica per Roma, per l'Ambasciata di Francia e, nientemeno, che per il Teatro Massimo di Palermo, dunque richiestissimo per competenza ed anche inventiva?
Il nuovo invito ha posto rimedio alla ingiuriosa dimenticanza. Oggi non abbiamo potuto esser presenti alla conferenza. e ci è dispiaciuto, soprattutto perchè c'è mancato di vedere qualche evidente giustificato imbarazzo su alcune facce.
Oggi ci viene spedito un nuovo, secondo invito, riveduto e corretto, che abbiamo ricevuto soltanto alle 12.49 (per la conferenza che aveva avuto già luogo, alle ore 12. C'è bisogno di fare qualche commento?), nel quale si scrive che alla presentazione della rassegna ci sarà anche Oscar Pizzo, 'curatore' della medesima, poco importa che si sia trasferito a Palermo ( per vendicarsi di Fuortes gli ha giocato un brutto tiro, non chiamandolo in sostituzione di Alessio Vlad, a Roma, perchè non lo ritiene all'altezza per tale ruolo? Strano, perchè l'ha chiamato anche a Bari, come suo consulente musicale al Petruzzelli. Già solo 'consulente musicale', non per l'Opera perché per quella, nuovamente, non lo riteneva abbastanza preparato, al contrario di Giambrone che lo ha chiamato a Palermo. Fuortes e Giambrone a parte, Pizzo nel melodramma è un neofita, e dunque sempre impreparato resta. Non sarebbe stato meglio che avesse fatto un pò di gavetta in qualche piccolo teatro? L'apprendistato non è più di moda, mentre vanno le carriere fulminanti.).
Il nostro post, potrebbe aver creato qualche problema - anche se ci viene da dire che i problemi, qualora ve ne siano - li ha creati l'invito n.1 di Musica per Roma. Oppure Pizzo, che certamente deve aver preparato la stagione prima di volarsene a Palermo, s'è risentito ed ha chiesto di essere presente.
Ambedue le ragioni. Ma come si fa a scordarsi di un direttore artistico che lavora per Musica per Roma, per l'Ambasciata di Francia e, nientemeno, che per il Teatro Massimo di Palermo, dunque richiestissimo per competenza ed anche inventiva?
Il nuovo invito ha posto rimedio alla ingiuriosa dimenticanza. Oggi non abbiamo potuto esser presenti alla conferenza. e ci è dispiaciuto, soprattutto perchè c'è mancato di vedere qualche evidente giustificato imbarazzo su alcune facce.
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martedì 25 novembre 2014
Sempre sull'Opera di Roma e sui licenziamenti ritirati, finalmente.Esiste chi la dà a bere perchè esiste chi la beve
Non l'amaro calice - come chiedeva il birbante avventore all'ignaro oste - ma le affermazioni avventate, quelle senza fondamento, quelle notoriamente false, buttate lì per disorientare ecc...
Ieri è stato messo un punto fermo nella tormentata vicenda dei licenziamenti all'Opera di Roma di orchestra e coro: il CDA avrebbe dato mandato al sovrintendente di sottoporre i punti dell'accordo ai dipendenti, vincolando il ritiro dei licenziamenti all'accettazione generale di quei punti( perdita di ancronistici privilegi economici, aumento della produzione. si dirà un capestro.; sì, ma necessario)
Oggi la risposta, che si presume positiva, per non mandare a carte quarantotto il teatro. E proprio oggi i giornali tornano a rivangare l'intera avventura dei licenziamenti, i quali alla fine avrebbero costretto anche le sigle sindacali più recalcitranti a scender a patti per non creare nuovi più gravi e definitivi disastri.
Alcuni giornali sottolineano che l'accordo raggiunto è più penalizzante di quello prospettato, prima dei licenziamenti, dal sovrintendente, sulla base della cosiddetta legge Bray, che permetteva l'accesso al fondo straordinario, a certe condizioni, allo scopo di risanare il bilancio in rosso del teatro. E facevano capire ai sindacati che la prossima volta sarà meglio riflettere prima per non andare incontro al peggio. Inutile insistere, a questo punto, anzi infierire, forse per aizzare.
Perchè è vero che i sindacati hanno tirato troppo la corda pensando che l'andazzo di un tempo potesse valere anche oggi. Non è più così, ed anche i teatri - come del resto innumerevoli altri settori che si ritengono intangibili dalla crisi, a spesse della comunità - devono capirlo. tutti devono capirlo, senza eccezione.
Ed è anche vero che forse - diciamo: forse - la minaccia senza precedenti del licenziamento in massa, ha portato all'accordo che oggi si spera venga sottoscritto definitivamente dalle parti.
Ciò che, invece, non riusciamo a capire, mentre vediamo che la maggior parte dei commentatori vi insiste, è proporre la ricetta dell'esternalizzazione di orchestra e coro come l'eldorado delle fondazioni liriche e forse anche delle grandi istituzioni musicali. In questo equivoco cade anche Oscar Giannino che dice essersi persa una occasione preziosa per modernizzare il sistema dei teatri in Italia.
Con tutto il rispetto per Oscar Giannino, dobbiamo credere che di teatri ne sappia quanto ne sa di economia, e che ne sappia addirittura più dei Berliner - il cui rappresentante ha stigmatizzato come 'folle' il progetto dell'Opera di Roma - che egli cita a dimostrazione della sua tesi, dimenticando che anche i Berliner hanno dato del matto a Fuortes? Come hanno fatto i tre Teatri di Berlino, coralmente e all'unisono, ed anche il sovrintendente dell'Opera di Vienna? E non sono gli unici? Tutti questi esponenti del mondo teatrale europeo avrebbero protestato contro il cosiddetto 'modello Roma' per timore di perdere privilegi, rendite di posizione, e non perchè avendo diretta esperienza della vita di un teatro sanno che l'esternalizzazione è una vera pazzia? E perchè, temono, che in Italia sarebbe soltanto l'anticamera dello sfacelo generale, che qualcuno - che non è certamente Giannino - persegue da tempo?
Gli esempi citati da chi la da a bere, assunti ciecamente da chi la beve senza pensarci, sono improponibili ed imparagonabili. Ci riferiamo ad un teatro viennese ( an der Wien) ad uno parigino ( Champs-Elysées) ed all'Opera olandese. Se si vede la loro programmazione, sui rispettivi siti, si capirà in quale maniera e per quale ragione di volta in volta si avvalgono di orchestre esterne ed in che misura. Ma è inutile ritornarci sopra. il sovrintendente dell'Opera di Vienna lo abbiamo capito vale molto meno del cronista di un qualunque giornale, insomma è più fesso del più fesso cronista.Inutile far tesoro del suo parere.
Infine la questione sovrintendenza, in scadenza come il CDA il 31 dicembre. Sovrintendente - gli hanno chiesto - resterà?
Risposta: dovranno essere rinnovati gli organi di governo del teatro ( il prossimo Consiglio di Indirizzo da nominare ex novo sarà composto da cinque contro gli otto membri attuali, dovrà segnalare un nome al ministro e questi lo nominerà, con poteri e responsabilità maggiori di quelli di oggi. Fuortes: non è prevista l'autocandidatura. Ma perchè lui si autocandiderebbe, nonostante la figuraccia che ha fatto di fronte a tutti, fuorchè a Marino, Franceschini, Marinelli e Nastasi?
Ieri è stato messo un punto fermo nella tormentata vicenda dei licenziamenti all'Opera di Roma di orchestra e coro: il CDA avrebbe dato mandato al sovrintendente di sottoporre i punti dell'accordo ai dipendenti, vincolando il ritiro dei licenziamenti all'accettazione generale di quei punti( perdita di ancronistici privilegi economici, aumento della produzione. si dirà un capestro.; sì, ma necessario)
Oggi la risposta, che si presume positiva, per non mandare a carte quarantotto il teatro. E proprio oggi i giornali tornano a rivangare l'intera avventura dei licenziamenti, i quali alla fine avrebbero costretto anche le sigle sindacali più recalcitranti a scender a patti per non creare nuovi più gravi e definitivi disastri.
Alcuni giornali sottolineano che l'accordo raggiunto è più penalizzante di quello prospettato, prima dei licenziamenti, dal sovrintendente, sulla base della cosiddetta legge Bray, che permetteva l'accesso al fondo straordinario, a certe condizioni, allo scopo di risanare il bilancio in rosso del teatro. E facevano capire ai sindacati che la prossima volta sarà meglio riflettere prima per non andare incontro al peggio. Inutile insistere, a questo punto, anzi infierire, forse per aizzare.
Perchè è vero che i sindacati hanno tirato troppo la corda pensando che l'andazzo di un tempo potesse valere anche oggi. Non è più così, ed anche i teatri - come del resto innumerevoli altri settori che si ritengono intangibili dalla crisi, a spesse della comunità - devono capirlo. tutti devono capirlo, senza eccezione.
Ed è anche vero che forse - diciamo: forse - la minaccia senza precedenti del licenziamento in massa, ha portato all'accordo che oggi si spera venga sottoscritto definitivamente dalle parti.
Ciò che, invece, non riusciamo a capire, mentre vediamo che la maggior parte dei commentatori vi insiste, è proporre la ricetta dell'esternalizzazione di orchestra e coro come l'eldorado delle fondazioni liriche e forse anche delle grandi istituzioni musicali. In questo equivoco cade anche Oscar Giannino che dice essersi persa una occasione preziosa per modernizzare il sistema dei teatri in Italia.
Con tutto il rispetto per Oscar Giannino, dobbiamo credere che di teatri ne sappia quanto ne sa di economia, e che ne sappia addirittura più dei Berliner - il cui rappresentante ha stigmatizzato come 'folle' il progetto dell'Opera di Roma - che egli cita a dimostrazione della sua tesi, dimenticando che anche i Berliner hanno dato del matto a Fuortes? Come hanno fatto i tre Teatri di Berlino, coralmente e all'unisono, ed anche il sovrintendente dell'Opera di Vienna? E non sono gli unici? Tutti questi esponenti del mondo teatrale europeo avrebbero protestato contro il cosiddetto 'modello Roma' per timore di perdere privilegi, rendite di posizione, e non perchè avendo diretta esperienza della vita di un teatro sanno che l'esternalizzazione è una vera pazzia? E perchè, temono, che in Italia sarebbe soltanto l'anticamera dello sfacelo generale, che qualcuno - che non è certamente Giannino - persegue da tempo?
Gli esempi citati da chi la da a bere, assunti ciecamente da chi la beve senza pensarci, sono improponibili ed imparagonabili. Ci riferiamo ad un teatro viennese ( an der Wien) ad uno parigino ( Champs-Elysées) ed all'Opera olandese. Se si vede la loro programmazione, sui rispettivi siti, si capirà in quale maniera e per quale ragione di volta in volta si avvalgono di orchestre esterne ed in che misura. Ma è inutile ritornarci sopra. il sovrintendente dell'Opera di Vienna lo abbiamo capito vale molto meno del cronista di un qualunque giornale, insomma è più fesso del più fesso cronista.Inutile far tesoro del suo parere.
Infine la questione sovrintendenza, in scadenza come il CDA il 31 dicembre. Sovrintendente - gli hanno chiesto - resterà?
Risposta: dovranno essere rinnovati gli organi di governo del teatro ( il prossimo Consiglio di Indirizzo da nominare ex novo sarà composto da cinque contro gli otto membri attuali, dovrà segnalare un nome al ministro e questi lo nominerà, con poteri e responsabilità maggiori di quelli di oggi. Fuortes: non è prevista l'autocandidatura. Ma perchè lui si autocandiderebbe, nonostante la figuraccia che ha fatto di fronte a tutti, fuorchè a Marino, Franceschini, Marinelli e Nastasi?
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lunedì 24 novembre 2014
La sveglia per RAI News 24 non è ancora suonata
La testata giornalistica RAI più grande non è al passo con i tempi e non è soprattutto al passo con le notizie.
Prendiamo il caso dell'Opera di Roma, di cui ieri leggevamo appunto sul suo sito che
il CDA aveva ritirato i licenziamenti ed oggi l'accordo dovrebbe ricevere, presumibilmente, salvo sconquassi dell'ultimo momento che nessuno si augura, la convalida dei dipendenti e divenire operativa.
Ma l'acuto estensore della nota non si contentava di riferire l'aggiornamento atteso e sperato. No, tornava sulla storia della esternalizzazione dell'orchestra e del coro del teatro. Voleva insomma dimostrare che lui la storia la conosceva bene e l'aveva seguita con attenzione. Ed aggiungeva che l'esternalizzazione era applicata con grande soddisfazione e con risultati artistici ragguardevoli da grandi istituzioni musicali estere , come i Berliner, ed anche in Italia, riferendosi al caso del Teatro Regio di Parma.
E' chiaro che l'acuto ed attento estensore era rimasto qualche mese indietro rispetto all'evolversi della situazione, non avendo preso nota delle dichiarazioni ufficiali venute da grandi istituzioni musicali straniere, Berliner compresi, ma anche dai tre teatri di Berlino, dal sovrintendente dell'Opera di Vienna e da singoli notissimi musicisti, come Barenboim, addentro alla questione.
Cosa avevano detto questi attenti e competenti osservatori stranieri? Che Fuortes, e Marino e Franceschini che l'appoggiavano, s'erano fatti qualche canna, perchè non capivano l'assurdità della soluzione proposta.
E tanto per citare almeno uno degli accusatori della folle proposta di Fuortes, il sovrintendente dell'Opera di Vienna, spiegava - come un maestro ad uno scolaretto ignorante - che un teatro che ha almeno un centinaio di alzate di sipario all'anno, non può fare a meno di una orchestra interna, non potrebbe tenere il ritmo. Barenboim alzava i toni dando dall'ignorante ed incapace a Fuortes. E la stessa cosa diceva, ma più velatamente, anche Pappano, trattenuto dalla sua condizione di inquilino di Fuortes, all'Auditorium.
Tutto questo all'acuto estensore di RAI News 24, oberato di lavoro, era sfuggito, tornando egli a riproporre, per il futuro, di nuovo il sistema dell'esternalizzazione, per ora solo accantonato ma che potrebbe tornare comodo prossimamente, giacché si tratta di un modello che in Italia dovrebbe essere messo in atto e non solo all'Opera di Roma. Questo egli ribadiva.
Il giornalista di RAI News 24 aveva ricevuto suggerimenti oltre che da Fuortes, Marino e Franceschini, anche dall'assessore Marinelli - tutte persone che di teatro d'opera non capiscono un tubo - ed anche dal 'grande grosso' direttore generale del ministero, Nastasi, inamovibile anche per la mole, che da tempo persegue, passo dopo passo, il progetto di smantellare il sistema della musica in Italia, come ha avuto modo di dichiarare pubblicamente in più d'una occasione, convincendo anche il suo ministro ignorante, Franceschini, il quale di recente ha dichiarato che 14 fondazioni liriche in Italia sono troppe, e perciò la gran parte andrebbe chiusa.
Prendiamo il caso dell'Opera di Roma, di cui ieri leggevamo appunto sul suo sito che
il CDA aveva ritirato i licenziamenti ed oggi l'accordo dovrebbe ricevere, presumibilmente, salvo sconquassi dell'ultimo momento che nessuno si augura, la convalida dei dipendenti e divenire operativa.
Ma l'acuto estensore della nota non si contentava di riferire l'aggiornamento atteso e sperato. No, tornava sulla storia della esternalizzazione dell'orchestra e del coro del teatro. Voleva insomma dimostrare che lui la storia la conosceva bene e l'aveva seguita con attenzione. Ed aggiungeva che l'esternalizzazione era applicata con grande soddisfazione e con risultati artistici ragguardevoli da grandi istituzioni musicali estere , come i Berliner, ed anche in Italia, riferendosi al caso del Teatro Regio di Parma.
E' chiaro che l'acuto ed attento estensore era rimasto qualche mese indietro rispetto all'evolversi della situazione, non avendo preso nota delle dichiarazioni ufficiali venute da grandi istituzioni musicali straniere, Berliner compresi, ma anche dai tre teatri di Berlino, dal sovrintendente dell'Opera di Vienna e da singoli notissimi musicisti, come Barenboim, addentro alla questione.
Cosa avevano detto questi attenti e competenti osservatori stranieri? Che Fuortes, e Marino e Franceschini che l'appoggiavano, s'erano fatti qualche canna, perchè non capivano l'assurdità della soluzione proposta.
E tanto per citare almeno uno degli accusatori della folle proposta di Fuortes, il sovrintendente dell'Opera di Vienna, spiegava - come un maestro ad uno scolaretto ignorante - che un teatro che ha almeno un centinaio di alzate di sipario all'anno, non può fare a meno di una orchestra interna, non potrebbe tenere il ritmo. Barenboim alzava i toni dando dall'ignorante ed incapace a Fuortes. E la stessa cosa diceva, ma più velatamente, anche Pappano, trattenuto dalla sua condizione di inquilino di Fuortes, all'Auditorium.
Tutto questo all'acuto estensore di RAI News 24, oberato di lavoro, era sfuggito, tornando egli a riproporre, per il futuro, di nuovo il sistema dell'esternalizzazione, per ora solo accantonato ma che potrebbe tornare comodo prossimamente, giacché si tratta di un modello che in Italia dovrebbe essere messo in atto e non solo all'Opera di Roma. Questo egli ribadiva.
Il giornalista di RAI News 24 aveva ricevuto suggerimenti oltre che da Fuortes, Marino e Franceschini, anche dall'assessore Marinelli - tutte persone che di teatro d'opera non capiscono un tubo - ed anche dal 'grande grosso' direttore generale del ministero, Nastasi, inamovibile anche per la mole, che da tempo persegue, passo dopo passo, il progetto di smantellare il sistema della musica in Italia, come ha avuto modo di dichiarare pubblicamente in più d'una occasione, convincendo anche il suo ministro ignorante, Franceschini, il quale di recente ha dichiarato che 14 fondazioni liriche in Italia sono troppe, e perciò la gran parte andrebbe chiusa.
Contemporanea, si cambia. La rassegna di Musica per Roma sarà curata, per l'Accademia di Santa Cecilia, da Michele dall'Ongaro. Mercoledì la presentazione
La rassegna ' Contemporanea' di Musica per Roma, ospitata nell'Auditorium di Renzo Piano, e curata fin dalla prima edizione da Oscar Pizzo ( per qualche stagione in coppia con Guido Barbieri che, poi, per volontà di Giorgio Battistelli è approdato sull'altra sponda italiana: Abruzzo, con un'appendice nelle Marche), in collaborazione con l'Accademia di Santa Cecilia, da quest'anno cambia gestione, come si dirà dopo domani alla conferenza di presentazione: viene assunta in prima persona dall'Accademia di Santa Cecilia che la produce con Musica per Roma.
La rassegna, che si ricorda soprattutto per alcuni appuntamenti destinati a far scalpore (che era poi l'intento principale, se non unico di tale rassegna che altri non ne aveva) come la maratona pianistica di 24 ore dedicata a Satie, il 'Quartetto degli elicotteri' di Stockhausen o il 'Poema sinfonico per 100 metronomi' di Ligeti, ha perso il suo curatore, Pizzo che, dopo una breve trasferta a Bari al seguito di Fuortes, è volato a Palermo - chiamatovi da Giambrone, come direttore artistico del Teatro Massimo, incarico che sino alla fine di quest'anno esercita gratuitamente, perché anche i suoi soldi servono a pagare lo stipendio del sovrintendente che l'ha graziato chiamandolo a Palermo: appena 170.000 Euro l'anno! - e tale incarico è stato assunto dall'Accademia di Santa Cecilia che, nella diffusione della musica contemporanea non ha mai brillato, ad eccezione delle rare presenze di questi ultimi tempi, semel in anno, con Pappano divulgatore. Non sarà sfuggito a nessuno, ad esempio, che Boulez non vi è stato mai invitato e che la prima commissione di un'opera ad Henze è giunta quando il musicista, ottantenne, era già con un piede nella fossa, come ha commentato divertito e con amarezza il compositore medesimo.Ma ora le cose sembrano andare diversamente.
A presentare la stagione, assieme all'onnipresente Fuortes, ci sarà Michele dall'Ongaro e non Bruno Cagli. E una ragione c'è, anzi più d'una. Non chiedete perchè. Attualmente, dall'Ongaro è vice Presidente dell'Accademia, per volontà di Cagli che lo vorrebbeì - se corrisponde ancora a verità quanto ha dichiarato appena qualche mese fa a Valerio Cappelli del Corriere della Sera - suo successore come presidente/ sovrintendente/ direttore artistico; preferendolo senza ombra di dubbio a Giorgio Battistelli che di Cagli è stato antagonista nella passata tornata di votazioni. Nella prossima, fissata per il 13 dicembre, potrebbe essere eletto, perciò, successore di Cagli, se, confermando la sua volontà di ritirarsi finalmente, facesse confluire i voti dei suoi fedelissimi su di lui che vedrebbe finalmente realizzato il suo sogno, per il quale ha lavorato da quando ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo della musica.
Ma perchè dall'Ongaro cura una rassegna di musica contemporanea? Semplice. Perché lui di mestiere fa il compositore. Non un compositore qualunque, ma uno dei più grandi compositori viventi, come lo aditava qualche anno fa Mario Bortolotto, in una storica corrispondenza dalla Biennale Musica di Venezia per 'Il foglio'. E Bortolotto è critico d'onore.
La musica contemporanea ha rappresentato il terreno di coltura del suo potere sulle onde radio prima e attraverso le immagini televisive poi, giacché è riuscito ad invadere anche la giovane RAI 5.
Dall'Ongaro è da almeno una decina d'anni, forse più, il responsabile per la musica di Radio Tre, successivamente è diventato Sovrintendente dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI di Torino, Accademico della Filarmonica romana, responsabile dei Concerti del Quirinale, e, poi, aveva altri incarichi (fra tutti il Festival Pontino) che nel tempo ha smesso, perché forse non più importanti come lo erano all'inizio della sua carriera in RAI. Alla quale deve, senza eccezione, ogni passo in avanti nella sua carriera di compositore che s'è allargata ed arricchita a dismisura esattamente da quando ha avuto quell'incarico di responsabilità a Radio Tre. Chi non è convinto vada sul sito del suo editore ( Suvini Zerboni) e legga tutte le esecuzione e commissioni giunte a dall' Ongaro dopo il suo incarico a Radio Tre, quando si impennarono, letteralmente. Ma forse fu pura coincidenza.
Che sia la RAI alla base della sua vorticosa ascesa lo ha detto apertamente Cagli quando ha sostenuto la candidatura di dall'Ongaro in Accademia a vice presidente. Testualmente ha detto - come ripresero le numerose lettere inviate agli Accademici nelle quali tale ascesa di dall'Ongaro per volere di Cagli era duramente criticata - che dall'Ongaro aveva in RAI incarichi che potevano giovare all'Accademia, anche economicamente, passando in secondo piano perfino la sua parentela con gli Abbado.
Si tratta di fatti noti, e già oggetto di un documentatissimo articolo di Elisabetta Ambrosi su 'Il fatto quotidiano', dell'ottobre scorso, quando tali lettere aperte di protesta, alcune firmate da notissimi accademici ( il card. Bartolucci, il pianista Campanella) giunsero in Accademia. Dunque noi non aggiungiamo neanche una virgola.
Che dall'Ongaro abbia la responsabilità diretta di quella rassegna è perfino ovvio, la materia dei compositori d'oggi la conosce a memoria, perché oggetto privilegiato del suo lavoro a Radio Tre, dove ha fatto scelte seguendo criteri chiarissimi, in base ai quali decidere chi trasmettere regolarmente e chi mai. C'è da augurarsi che non lo faccia anche in Accademia; e, secondo il nostro modesto parere, non avrebbe dovuto farlo neanche in RAI.
Se alle elezioni per la successione a Cagli l'avrà vinta su Battistelli, avremo un ragione, alemno una per gioirne: dovrà lasciare tutti i suoi incarichi, con la conseguenza che il mercato del lavoro musicale di colpo si allargherà, offrendo a chi aspira ad incarichi di prestigio nuove opportunità, ed a noi la possibilità di respirare finalmente aria nuova.
La rassegna, che si ricorda soprattutto per alcuni appuntamenti destinati a far scalpore (che era poi l'intento principale, se non unico di tale rassegna che altri non ne aveva) come la maratona pianistica di 24 ore dedicata a Satie, il 'Quartetto degli elicotteri' di Stockhausen o il 'Poema sinfonico per 100 metronomi' di Ligeti, ha perso il suo curatore, Pizzo che, dopo una breve trasferta a Bari al seguito di Fuortes, è volato a Palermo - chiamatovi da Giambrone, come direttore artistico del Teatro Massimo, incarico che sino alla fine di quest'anno esercita gratuitamente, perché anche i suoi soldi servono a pagare lo stipendio del sovrintendente che l'ha graziato chiamandolo a Palermo: appena 170.000 Euro l'anno! - e tale incarico è stato assunto dall'Accademia di Santa Cecilia che, nella diffusione della musica contemporanea non ha mai brillato, ad eccezione delle rare presenze di questi ultimi tempi, semel in anno, con Pappano divulgatore. Non sarà sfuggito a nessuno, ad esempio, che Boulez non vi è stato mai invitato e che la prima commissione di un'opera ad Henze è giunta quando il musicista, ottantenne, era già con un piede nella fossa, come ha commentato divertito e con amarezza il compositore medesimo.Ma ora le cose sembrano andare diversamente.
A presentare la stagione, assieme all'onnipresente Fuortes, ci sarà Michele dall'Ongaro e non Bruno Cagli. E una ragione c'è, anzi più d'una. Non chiedete perchè. Attualmente, dall'Ongaro è vice Presidente dell'Accademia, per volontà di Cagli che lo vorrebbeì - se corrisponde ancora a verità quanto ha dichiarato appena qualche mese fa a Valerio Cappelli del Corriere della Sera - suo successore come presidente/ sovrintendente/ direttore artistico; preferendolo senza ombra di dubbio a Giorgio Battistelli che di Cagli è stato antagonista nella passata tornata di votazioni. Nella prossima, fissata per il 13 dicembre, potrebbe essere eletto, perciò, successore di Cagli, se, confermando la sua volontà di ritirarsi finalmente, facesse confluire i voti dei suoi fedelissimi su di lui che vedrebbe finalmente realizzato il suo sogno, per il quale ha lavorato da quando ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo della musica.
Ma perchè dall'Ongaro cura una rassegna di musica contemporanea? Semplice. Perché lui di mestiere fa il compositore. Non un compositore qualunque, ma uno dei più grandi compositori viventi, come lo aditava qualche anno fa Mario Bortolotto, in una storica corrispondenza dalla Biennale Musica di Venezia per 'Il foglio'. E Bortolotto è critico d'onore.
La musica contemporanea ha rappresentato il terreno di coltura del suo potere sulle onde radio prima e attraverso le immagini televisive poi, giacché è riuscito ad invadere anche la giovane RAI 5.
Dall'Ongaro è da almeno una decina d'anni, forse più, il responsabile per la musica di Radio Tre, successivamente è diventato Sovrintendente dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI di Torino, Accademico della Filarmonica romana, responsabile dei Concerti del Quirinale, e, poi, aveva altri incarichi (fra tutti il Festival Pontino) che nel tempo ha smesso, perché forse non più importanti come lo erano all'inizio della sua carriera in RAI. Alla quale deve, senza eccezione, ogni passo in avanti nella sua carriera di compositore che s'è allargata ed arricchita a dismisura esattamente da quando ha avuto quell'incarico di responsabilità a Radio Tre. Chi non è convinto vada sul sito del suo editore ( Suvini Zerboni) e legga tutte le esecuzione e commissioni giunte a dall' Ongaro dopo il suo incarico a Radio Tre, quando si impennarono, letteralmente. Ma forse fu pura coincidenza.
Che sia la RAI alla base della sua vorticosa ascesa lo ha detto apertamente Cagli quando ha sostenuto la candidatura di dall'Ongaro in Accademia a vice presidente. Testualmente ha detto - come ripresero le numerose lettere inviate agli Accademici nelle quali tale ascesa di dall'Ongaro per volere di Cagli era duramente criticata - che dall'Ongaro aveva in RAI incarichi che potevano giovare all'Accademia, anche economicamente, passando in secondo piano perfino la sua parentela con gli Abbado.
Si tratta di fatti noti, e già oggetto di un documentatissimo articolo di Elisabetta Ambrosi su 'Il fatto quotidiano', dell'ottobre scorso, quando tali lettere aperte di protesta, alcune firmate da notissimi accademici ( il card. Bartolucci, il pianista Campanella) giunsero in Accademia. Dunque noi non aggiungiamo neanche una virgola.
Che dall'Ongaro abbia la responsabilità diretta di quella rassegna è perfino ovvio, la materia dei compositori d'oggi la conosce a memoria, perché oggetto privilegiato del suo lavoro a Radio Tre, dove ha fatto scelte seguendo criteri chiarissimi, in base ai quali decidere chi trasmettere regolarmente e chi mai. C'è da augurarsi che non lo faccia anche in Accademia; e, secondo il nostro modesto parere, non avrebbe dovuto farlo neanche in RAI.
Se alle elezioni per la successione a Cagli l'avrà vinta su Battistelli, avremo un ragione, alemno una per gioirne: dovrà lasciare tutti i suoi incarichi, con la conseguenza che il mercato del lavoro musicale di colpo si allargherà, offrendo a chi aspira ad incarichi di prestigio nuove opportunità, ed a noi la possibilità di respirare finalmente aria nuova.
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Letto sulla stampa. Odifreddi elogia il numero zero, i tecnici dell'Opera di Roma in rivolta contro i musicisti
Piergiorgio Odifreddi traccia sulle pagine centrali di Repubblica di oggi un elogio del numero zero, o del vuoto nella materia, e di alcuni numeri 'zero' presenti in ogni ambito attraverso le rispettive incarnazioni, citandone anche due musicali, di grande rilievo, dove lo zero sta per il silenzio prima della musica, il vuoto prima del suono. E cita la celebre 'Quinta sinfonia' di Beethoven con il tema del 'destino' preceduto da una pausa ( silenzio, vuoto, 'zero' musica), ed il celeberrimo provocatorio brano di John Cage, che reca come titolo un numero ( 4'33") che sta ad indicare quanto tempo il pianista debba restare, fra la meraviglia di tutti - che è poi ciò che interessava soprattutto al provocatore musicista americano - davanti al pianoforte senza toccare, e neppure sfiora, nessun tasto.
Ad Odifreddi ( che con la musica ha già intrattenuto diversi rapporti, fra i quali si ricorda la partecipazione al chiuso dell'Auditorium di Roma come commentatore scientifico, dell'inutile performance dei quattro elicotteri, per eseguire l'omonimo quartetto di Stockhausen) vorremmo solo suggerire, per la prossima ristampa del suo libro, un'aggiunta. Esiste in Italia un gruppo musicale che si dedica alla musica contemporanea, nella quale ancora non si può parlare di 'repertorio', giacchè non v'è brano che sia entrato definitivamente nel numero di quelli regolarmente eseguiti. L'Ensemble ha voluto perciò chiamarsi 'Repertorio zero'. Odifreddi se ne ricordi e lo citi prossimamente nel suo libro o anche altrove.
All'Opera di Roma, dove il CDA oggi dovrebbe ufficialmente ritirare i licenziamenti e dar corso all'accordo presentato dagli orchestrali e coristi per il loro rientro definitivo nella pianta stabile del teatro, i tecnici hanno addossato ai musicisti - loro li chiamano artisti - la colpa del deficit di bilancio. Insomma se il teatro è in rosso, la colpa è degli orchestrali e coristi, sostengono i tecnici del teatro, e magari con loro anche gli amministrativi che affollano gli uffici, messi lì ad ondate regolari, ogni volta che cambiava il governo della città od anche il ministro della cultura che, sussurrandone il nome, aveva sempre qualcuno da infilarci in teatro - non solo in quello di Roma - forte del fatto che senza i soldi statali, a dispetto della 'riforma Veltroni' ( un pateracchio!), i teatri chiuderebbero tutti nel giro di 24 ore.
Per restare all'Opera di Roma, tolti orchestra e coro, resterebbero fra tecnici ed amministrativi altri 300 e passa dipendenti, essendo orchestra e coro pari a 180, e la pianta stabile del teatro intorno alle 500 unità. Dunque 180 musicisti costerebbero più dei 300 e passa impiegati, tecnici ed amministrativi. Bugie!
E' stato dimostrato che il costo delle cosiddette 'masse artistiche' -volgarmente inserite nella voce 'costi fissi' - è il 12% del bilancio complessivo del teatro romano, nel quale ovviamente vanno messe anche le spese degli allestimenti e degli artisti scritturati per i vari titoli d'opera. Oltre naturalmente la pletora di collaboratori che rientrano nella voce 'raccomandati', perchè 'inutili'.
Ai tecnici , andrebbe fatto capire che senza musicisti, che teatro sarebbe? che farebbero tecnici ed amministrativi senza di loro? E' perfino superfluo, ma a questo punto necessario, far loro capire che un teatro è innanzitutto e soprattutto musica e dunque le cosiddette masse artistiche sono 'conditio sine qua non' dell'esistenza e dell'attività di un teatro. Potremmo anche aggiungere: costino quel che costino. Con giudizio, naturalmente.
Ad Odifreddi ( che con la musica ha già intrattenuto diversi rapporti, fra i quali si ricorda la partecipazione al chiuso dell'Auditorium di Roma come commentatore scientifico, dell'inutile performance dei quattro elicotteri, per eseguire l'omonimo quartetto di Stockhausen) vorremmo solo suggerire, per la prossima ristampa del suo libro, un'aggiunta. Esiste in Italia un gruppo musicale che si dedica alla musica contemporanea, nella quale ancora non si può parlare di 'repertorio', giacchè non v'è brano che sia entrato definitivamente nel numero di quelli regolarmente eseguiti. L'Ensemble ha voluto perciò chiamarsi 'Repertorio zero'. Odifreddi se ne ricordi e lo citi prossimamente nel suo libro o anche altrove.
All'Opera di Roma, dove il CDA oggi dovrebbe ufficialmente ritirare i licenziamenti e dar corso all'accordo presentato dagli orchestrali e coristi per il loro rientro definitivo nella pianta stabile del teatro, i tecnici hanno addossato ai musicisti - loro li chiamano artisti - la colpa del deficit di bilancio. Insomma se il teatro è in rosso, la colpa è degli orchestrali e coristi, sostengono i tecnici del teatro, e magari con loro anche gli amministrativi che affollano gli uffici, messi lì ad ondate regolari, ogni volta che cambiava il governo della città od anche il ministro della cultura che, sussurrandone il nome, aveva sempre qualcuno da infilarci in teatro - non solo in quello di Roma - forte del fatto che senza i soldi statali, a dispetto della 'riforma Veltroni' ( un pateracchio!), i teatri chiuderebbero tutti nel giro di 24 ore.
Per restare all'Opera di Roma, tolti orchestra e coro, resterebbero fra tecnici ed amministrativi altri 300 e passa dipendenti, essendo orchestra e coro pari a 180, e la pianta stabile del teatro intorno alle 500 unità. Dunque 180 musicisti costerebbero più dei 300 e passa impiegati, tecnici ed amministrativi. Bugie!
E' stato dimostrato che il costo delle cosiddette 'masse artistiche' -volgarmente inserite nella voce 'costi fissi' - è il 12% del bilancio complessivo del teatro romano, nel quale ovviamente vanno messe anche le spese degli allestimenti e degli artisti scritturati per i vari titoli d'opera. Oltre naturalmente la pletora di collaboratori che rientrano nella voce 'raccomandati', perchè 'inutili'.
Ai tecnici , andrebbe fatto capire che senza musicisti, che teatro sarebbe? che farebbero tecnici ed amministrativi senza di loro? E' perfino superfluo, ma a questo punto necessario, far loro capire che un teatro è innanzitutto e soprattutto musica e dunque le cosiddette masse artistiche sono 'conditio sine qua non' dell'esistenza e dell'attività di un teatro. Potremmo anche aggiungere: costino quel che costino. Con giudizio, naturalmente.
domenica 23 novembre 2014
Lang Lang come Pogorelich. Con qualche eccezione
Cominciamo dalle eccezioni. Pogorelich era di una bellezza irresistibile, faccia da angelo/demonio, fisico atletico, indossatore perfetto - che ha sfruttato, agli inizi della sua carriera (anche per Missoni). La mancata vittoria al Concorso Chopin alimentò la leggenda attorno alla sua figura. Leggenda che, stranamente, non si era attivata quando, due anni prima, aveva vinto il Casagrande di Terni, facendo dire al giurato Giorgio Vidusso, che prima di lui non aveva mai visto mani così prodigiose. Cachet stellari, scostante( per timidezza?) antipatia da vendere.
Lang Lang non ha certo il fisico di Pogorelich nè mai potrà averlo; per lui gli stilisti (ora Armani) - che ora faranno a gara per accaparrarsi un testimone planetario - devono studiare come non far apparire 'infagottato' il suo fisico, come hanno già fatto con quel 'doppio petto' che, abbottonato, copre quel suo corpo tozzo e squadrato. Per i cachet, stellari anche quelli di Lang - le cose in fatto di soldi - vanno sempre alla stessa maniera di un tempo; ma lui, a differenza di Pogorelich è un mostro di simpatia, non sappiamo se autentica o costruita.
Mani bellissime, ed anche curate - come ha mostrato la tv nel recente concerto a Roma - le ha anche Lang Lang; ma lui non ha vinto nessun concorso che si rispetti e neanche ha preso parte ad alcuno di una qualche importanza, ricordandosi il suo esordio per una sostituzione in un festival ( Ravinia) in America. E non è il primo caso, nel mondo della musica.
Ambedue hanno anche una tecnica prodigiosa, forse Lang Lang, a prima vista, anche superiore a quella di Pogorelich; ambedue l'hanno sfruttata oltre che per rendere i propri servizi alla causa della musica, per stravolgere la tradizionale lettura di tanto repertorio classico, attirandosi, anche per questo, un'aggiunta di attenzione. Mozart dell'uno e dell'altro ne è un esempio; e per Lang Lang l'esecuzione del movimento conclusivo di una sonata mozartiana 'alla turca', come la si è ascoltata a Roma, grida vendetta.
Pogorelich stupiva, dividendo o accomunando pubblico di ogni età e formazione, andando controcorrente, spiazzando tutti con dichiarazioni o atteggiamenti; Lang Lang stupisce assecondando l'opinione mondiale, secondo quanto gli detta chi cura la sua immagine. Lang Lang è insomma l'ovvietà, la sicurezza laddove Pogorelich incarnava la contraddizione, la provocazione, il dubbio.
Poi le vite di ambedue sembrano aver preso strade diverse. Pogorelich dopo la mai completamente compresa unione con la sua maestra, molto più grande lui, e la morte della stessa, ha compiuto una profonda riflessione su se stesso e sul senso della vita, oltre che sul ruolo del musicista, impegnandosi da tempo in operazioni umanitarie e formative di grande pregio.
Lang Lang gira il mondo controllato a vista da esperti di marketing e dai suoi genitori, nonostante i suoi attuali trent'anni; della sua vita sentimentale, per quel che ne sappiamo noi che non ce ne interessiamo, nulla sembra essere trapelato; anch'egli ha una sua fondazione - tale e quale Pogorelich - attraverso la quale recare aiuto in ogni senso ai giovani musicisti; si sta impegnando - o viene fatto impegnare (?) - in azioni di rappresentanza da organismi internazionali ecc... una carriera quasi fotocopia di quella di Pogorelich.
Per buona parte, due vite parallele, di una delle quali non conosciamo ancora l'esito finale, e neppure, se possibile, il congiungimento con l'altra. Che, invece, noi siamo qui ad augurarcelo per Lang Lang. E cioè che, passata l'euforia della giovinezza, anch'egli, come Pogorelich, smetta i panni dell'inutile funambolo della tastiera, per vestire quelli del musicista.
Lang Lang non ha certo il fisico di Pogorelich nè mai potrà averlo; per lui gli stilisti (ora Armani) - che ora faranno a gara per accaparrarsi un testimone planetario - devono studiare come non far apparire 'infagottato' il suo fisico, come hanno già fatto con quel 'doppio petto' che, abbottonato, copre quel suo corpo tozzo e squadrato. Per i cachet, stellari anche quelli di Lang - le cose in fatto di soldi - vanno sempre alla stessa maniera di un tempo; ma lui, a differenza di Pogorelich è un mostro di simpatia, non sappiamo se autentica o costruita.
Mani bellissime, ed anche curate - come ha mostrato la tv nel recente concerto a Roma - le ha anche Lang Lang; ma lui non ha vinto nessun concorso che si rispetti e neanche ha preso parte ad alcuno di una qualche importanza, ricordandosi il suo esordio per una sostituzione in un festival ( Ravinia) in America. E non è il primo caso, nel mondo della musica.
Ambedue hanno anche una tecnica prodigiosa, forse Lang Lang, a prima vista, anche superiore a quella di Pogorelich; ambedue l'hanno sfruttata oltre che per rendere i propri servizi alla causa della musica, per stravolgere la tradizionale lettura di tanto repertorio classico, attirandosi, anche per questo, un'aggiunta di attenzione. Mozart dell'uno e dell'altro ne è un esempio; e per Lang Lang l'esecuzione del movimento conclusivo di una sonata mozartiana 'alla turca', come la si è ascoltata a Roma, grida vendetta.
Pogorelich stupiva, dividendo o accomunando pubblico di ogni età e formazione, andando controcorrente, spiazzando tutti con dichiarazioni o atteggiamenti; Lang Lang stupisce assecondando l'opinione mondiale, secondo quanto gli detta chi cura la sua immagine. Lang Lang è insomma l'ovvietà, la sicurezza laddove Pogorelich incarnava la contraddizione, la provocazione, il dubbio.
Poi le vite di ambedue sembrano aver preso strade diverse. Pogorelich dopo la mai completamente compresa unione con la sua maestra, molto più grande lui, e la morte della stessa, ha compiuto una profonda riflessione su se stesso e sul senso della vita, oltre che sul ruolo del musicista, impegnandosi da tempo in operazioni umanitarie e formative di grande pregio.
Lang Lang gira il mondo controllato a vista da esperti di marketing e dai suoi genitori, nonostante i suoi attuali trent'anni; della sua vita sentimentale, per quel che ne sappiamo noi che non ce ne interessiamo, nulla sembra essere trapelato; anch'egli ha una sua fondazione - tale e quale Pogorelich - attraverso la quale recare aiuto in ogni senso ai giovani musicisti; si sta impegnando - o viene fatto impegnare (?) - in azioni di rappresentanza da organismi internazionali ecc... una carriera quasi fotocopia di quella di Pogorelich.
Per buona parte, due vite parallele, di una delle quali non conosciamo ancora l'esito finale, e neppure, se possibile, il congiungimento con l'altra. Che, invece, noi siamo qui ad augurarcelo per Lang Lang. E cioè che, passata l'euforia della giovinezza, anch'egli, come Pogorelich, smetta i panni dell'inutile funambolo della tastiera, per vestire quelli del musicista.
All'Eliseo chiusa barbarescamente (?) la porta in faccia a Emma Dante
Stando alle apparenze, Emma Dante sarebbe la vittima e il Barbareschi, a dispetto del suo nome (?) il carnefice. Ma le cose non stanno così.
Intanto il passaggio di proprietà dai vecchi soci, uno dei quali il Monaci, padre dell'attuale direttore, al nuovo è stato traumatico, nel senso che è stato preceduto da due o tre tentativi di sfratto sempre rimandati, ma che non potevano essere rimandati all'infinito, specie in presenza di un nuovo proprietario che, sacrosantamente, reclamava i locali. Passaggio traumatico accompagnato da polemiche ed accuse ( il Monaci direttore è fuggito con i soldi della cassa abbonamenti, accusa Barbareschi), fino allo sfratto definitivo quando non lo si attendeva più, visti i reiterati rimandi.
Nelle settimane degli sfratti minacciati e poi rientrati, il festival Romaeuropa, nel cui calendario figurava lo spettacolo di Emma Dante, aveva annunciato che ritirava tutti gli spettacoli ospitati all'Eliseo, per evitare esattamente ciò che poi è accaduto.
Sta di fatto che la direzione di Romaeuropa, dopo averlo minacciato, il ritiro degli spettacoli dall'Eliseo, non lo ha fatto, pensando o sperando che poi le cose si sarebbero messe a posto. Come non si doveva successivamente dimostrare.
E dunque Romaeuropa non può chiamarsi fuori, dando la colpa interamente al barbaro Barbareschi. Il quale forse non avrebbe ospitato la Dante, o forse sì, ma avrebbe dovuto deciderlo lui, una volta insediatosi.
Nei giorni più infuocati, era stato offerto alla Dante o a Romaueropa - non l'abbiamo ben capito - di trasferire lo spettacolo al Quirinetta, ricevendone però risposta negativa.
A quel punto subentra nella proprietà del teatro Barbareschi, il quale chiede qualche giorno, solo qualche giorno, per mettere a posto tutto le questioni aperte dal passaggio - come ad esempio gli impiegati dei quali è forse bene non dimenticarsi - per poi riprendere regolarmente la programmazione. Nulla di più ragionevole. Certo c'è andata di mezzo Emma Dante, ma poteva andarci di mezzo chiunque si fosse trovato in calendario nei giorni del passaggio forzato.
Poi alla fine una soluzione, dilazionata , s'è trovata. Lo spettacolo della Dante riaprirà il Valle, una volta ultimati i lavori di restauro che, verosimilmente, dovrebbero concludersi verso maggio/giugno. L'offerta è venuta dal Teatro di Roma che ha la gestione dello storico teatro, occupato per alcuni anni.
Alla vigilia di tale annuncio - del quale non si s se la Dante sia soddisfatta - Monique Veaute di Romaeuropa aveva dichiarato che avendo avuto assicurazione di interesse alla soluzione del caso da parte di Giovanna Marinelli, l'assessore che in fatto di teatro sa come stanno le cose, Lei non si preoccupava più di tanto. Sì, giusto, perché ormai non serviva più, ma avrebbe dovuto preoccuparsi ed occuparsene prima dello sfratto dello spettacolo del suo festival dall'Eliseo. E non l'ha fatto.
Intanto il passaggio di proprietà dai vecchi soci, uno dei quali il Monaci, padre dell'attuale direttore, al nuovo è stato traumatico, nel senso che è stato preceduto da due o tre tentativi di sfratto sempre rimandati, ma che non potevano essere rimandati all'infinito, specie in presenza di un nuovo proprietario che, sacrosantamente, reclamava i locali. Passaggio traumatico accompagnato da polemiche ed accuse ( il Monaci direttore è fuggito con i soldi della cassa abbonamenti, accusa Barbareschi), fino allo sfratto definitivo quando non lo si attendeva più, visti i reiterati rimandi.
Nelle settimane degli sfratti minacciati e poi rientrati, il festival Romaeuropa, nel cui calendario figurava lo spettacolo di Emma Dante, aveva annunciato che ritirava tutti gli spettacoli ospitati all'Eliseo, per evitare esattamente ciò che poi è accaduto.
Sta di fatto che la direzione di Romaeuropa, dopo averlo minacciato, il ritiro degli spettacoli dall'Eliseo, non lo ha fatto, pensando o sperando che poi le cose si sarebbero messe a posto. Come non si doveva successivamente dimostrare.
E dunque Romaeuropa non può chiamarsi fuori, dando la colpa interamente al barbaro Barbareschi. Il quale forse non avrebbe ospitato la Dante, o forse sì, ma avrebbe dovuto deciderlo lui, una volta insediatosi.
Nei giorni più infuocati, era stato offerto alla Dante o a Romaueropa - non l'abbiamo ben capito - di trasferire lo spettacolo al Quirinetta, ricevendone però risposta negativa.
A quel punto subentra nella proprietà del teatro Barbareschi, il quale chiede qualche giorno, solo qualche giorno, per mettere a posto tutto le questioni aperte dal passaggio - come ad esempio gli impiegati dei quali è forse bene non dimenticarsi - per poi riprendere regolarmente la programmazione. Nulla di più ragionevole. Certo c'è andata di mezzo Emma Dante, ma poteva andarci di mezzo chiunque si fosse trovato in calendario nei giorni del passaggio forzato.
Poi alla fine una soluzione, dilazionata , s'è trovata. Lo spettacolo della Dante riaprirà il Valle, una volta ultimati i lavori di restauro che, verosimilmente, dovrebbero concludersi verso maggio/giugno. L'offerta è venuta dal Teatro di Roma che ha la gestione dello storico teatro, occupato per alcuni anni.
Alla vigilia di tale annuncio - del quale non si s se la Dante sia soddisfatta - Monique Veaute di Romaeuropa aveva dichiarato che avendo avuto assicurazione di interesse alla soluzione del caso da parte di Giovanna Marinelli, l'assessore che in fatto di teatro sa come stanno le cose, Lei non si preoccupava più di tanto. Sì, giusto, perché ormai non serviva più, ma avrebbe dovuto preoccuparsi ed occuparsene prima dello sfratto dello spettacolo del suo festival dall'Eliseo. E non l'ha fatto.
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sabato 22 novembre 2014
Vianello, direttore di Rai Tre non ne azzecca una
La nuova trasmissione, in prima serata di venerdì, affidata alla Lombardi, giornalista -volto notissimo al pubblico televisivo invitata a parlare di questioni familiari o giovanili su tutti i canali - dal titolo 'Questioni di famiglia' rappresenta il più grande flop della rete diretta da Vianello. Se si tolgono le trasmissioni che ha ereditato dalle direzioni precedenti, molte delle quali, nonostante i cambi di direzioni, ereditate direttamente dall'epoca di Angelo Gugliemi, la terza rete televisiva non fa che collezionare flop su flop, e quello di ieri sera in assoluto il più grande di tutti: share del 2,1% con poco più di 500.000 telespettatori.
Ma Vianello l'ha vista la trasmissione? Una conduttrice assolutamente inadatta, lenta, prevedibile in ogni sua espressione, apparentemente - ma solo apparentemente - sciolta; uno medico che parla come un libro scritto, ed un avvocato che figura meglio nei salotti bene che in tv, con quell'aria snob, distaccata e aristocratica. Vogliamo anche parlare degli occhiali, da finta intellettuale della conduttrice e di quel suo vestitino, finto Piazza Vittorio? Evitiamo.
Non c'era una sola cosa che potesse inchiodare il pubblico davanti al televisore. Noi ci siamo rimasti per tigna, e per molto tempo, anche se ci siamo persi la sorella di Cucchi, Ilaria, contro la quale si sono avventati tutti, mentre nulla dicono de direttore della rete, il sapientone che ha fatto sparire dal palinsesto anche quella trasmissione, storica, inventata da Lubrano, poi passata a Marrazzo e poi, a lui. A proposito, visto che hanno del tutto riabilitato il grande giornalista, e poi governatore Marrazzo, dandogli la pensione da governatore e riprendendolo in Rai, ma perchè non gliela ridanno a lui? Forse Vianello non vuole ammettere il suo fiasco e teme che Marrazzo alla fine non accetti titolo proposta dal suo direttore: ' Mi manda Vianello'.
Quando Lubrano, dopo l'esperienza negativa a Telemontecarlo, tornò in Rai, si doveva ridargli la 'sua' trasmissione; invece no, senza che poi, alla fin fine, nulla avesse fatto, se paragonato a Marrazzo. La differenza fra l'uno e l'altro è che il secondo è figlio della politica che salva sempre se stessa.
Ma Vianello l'ha vista la trasmissione? Una conduttrice assolutamente inadatta, lenta, prevedibile in ogni sua espressione, apparentemente - ma solo apparentemente - sciolta; uno medico che parla come un libro scritto, ed un avvocato che figura meglio nei salotti bene che in tv, con quell'aria snob, distaccata e aristocratica. Vogliamo anche parlare degli occhiali, da finta intellettuale della conduttrice e di quel suo vestitino, finto Piazza Vittorio? Evitiamo.
Non c'era una sola cosa che potesse inchiodare il pubblico davanti al televisore. Noi ci siamo rimasti per tigna, e per molto tempo, anche se ci siamo persi la sorella di Cucchi, Ilaria, contro la quale si sono avventati tutti, mentre nulla dicono de direttore della rete, il sapientone che ha fatto sparire dal palinsesto anche quella trasmissione, storica, inventata da Lubrano, poi passata a Marrazzo e poi, a lui. A proposito, visto che hanno del tutto riabilitato il grande giornalista, e poi governatore Marrazzo, dandogli la pensione da governatore e riprendendolo in Rai, ma perchè non gliela ridanno a lui? Forse Vianello non vuole ammettere il suo fiasco e teme che Marrazzo alla fine non accetti titolo proposta dal suo direttore: ' Mi manda Vianello'.
Quando Lubrano, dopo l'esperienza negativa a Telemontecarlo, tornò in Rai, si doveva ridargli la 'sua' trasmissione; invece no, senza che poi, alla fin fine, nulla avesse fatto, se paragonato a Marrazzo. La differenza fra l'uno e l'altro è che il secondo è figlio della politica che salva sempre se stessa.
Lang Lang & Giovanni Allevi. Sensazionali rivelazioni
Nello steso giorno, oggi, i giornali hanno intervistato due campioni della 'modernità musicale', diciamo così: Lang Lang e Giovanni Allevi. Cogliendo l'uno fra un pausa e l'altra del suo grand tour italiano, e l'altro mentre ascolta le canzoni per il prossimo Festival di Sanremo, chiamato da Carlo Conti a selezionarle.
Dalla bocca del primo, Lang, apprendiamo che lui è sempre attaccato a qualche aggeggio elettronico, non potrebbe farne a meno, in nessun momento del giorno e della notte - che per uno che gira attorno al mondo alla velocità di una trottola, spesso si confondono; dunque sempre. Mentre parla o risponde a telefono, magari aziona il tablet e dall'altro orecchio, lasciato libero, ascolta l'Iphone.
E non è solo, azzardando che se fosse vissuto ai nostri giorni, Mozart avrebbe composto sicuramente con il tablet - poi si corregge e diventa più cauto, ipotizzando tale possibilità, senza darla per certa. Insomma nessuno è più moderno e tecnologico di Lang Lang che naturalmente adora Youtube, con il quale ha fatto l'esperimento di una orchestra dislocata ai quattro angoli della terra per l'esecuzione della 'Youtube sinfonia', un'orchestra che suonava contemporaneamente mandando il suono in un punto comune, dove però non c'era nessuno, cioè sulla piattaforma che aveva dato il nome alla sinfonia, e che perciò arrivava agli ascoltatori occasionali dislocati anch'essi ai quattro angoli del pianeta. E già che alcuni giorni fa, proprio la rete mostrava un esilarante, assai simile esperimento. Un direttore sul podio, in carne ed ossa, davanti una spianata di leggii - la musica era volata via, perché i leggii ed il podio erano all'aperto, in un parco - e lui che li dirigeva, i leggii. Non c'era nessuno davanti ai leggi che suonasse, eppure, miracolosamente, si sentiva il suono di tanti strumenti, come fossero lì presenti, mentre invece erano ognuno a casa sua e tutti collegati via internet.
Un concerto come non si era mai visto ed udito, meraviglie della tecnologia. Esaltazione della idiozia moderna, alla quale anche Lang sembra essersi votato. Come, invece non sembra ancora essersi votato alla causa della libertà, alla difesa dei diritti civili nel suo paese, perché lui è convinto che in Cina vi sia libertà e che i diritti umani e civili siano rispettati. A questa imprevista conclusione l'ha condotto l'uso, quasi smodato, della tecnologia?
Alla fine delle chiacchiere l'unica cosa che ci è rimasta delle rivelazioni epocali di Lang Lang che, quando suona, non è fra i pianisti che preferiamo, è che la tecnologia oggi consente a chiunque di rendere partecipe immediatamente e contemporaneamente, una platea vastissima, quasi infinita, di un messaggio, anche inutile ed insulso.
E' questa la vera unica novità che poi, se guardiamo bene le cose, oggi è stata solo accelerata e potenziata; perchè le premesse esistevano già, da quando le comunicazioni hanno fatto passi da gigante, aiutati anche dai computer ecc... ma non è il caso di stare a spiegare tutto ciò a chi ne sa più di noi.
Dalla tecnologia, pallino di Lang Lang, al bilocale bohèmien di Giovanni Allevi, che non perde occasione per invitarci ad entrare nel suo esilarante mondo segreto dove prendono corpo le sue creazioni. Fra breve, gli ultimi prodotti, uno dei quali, ci spiega con ricchezza di particolari Allevi - che ancora non può permettersi, a Milano, una vera casa, ed è stato visto girare nei giorni delle rivolte delle periferie per le case popolari, mimetizzato, anzi truccato per non farsi riconoscere, nel tentativo di occuparne una - è stato concepito nel corso di una serata in cui si sentiva assediato da una riunione familiare in casa sua. Senza farsi notare s'è sfilato dalla confusione e s'è ritirato nell'altra stanza, dove all'improvviso s'è materializzata una bella melodia - ma allora il casino ispira?- che lui con carta e matita ha immediatamente intrappolato, nel timore che ne uscisse dalla finestra, dalla quale sembrava entrata. E' una bella melodia, ampia - assicura il riccioluto pianista - che ora ha detto definitivamente addio al minimalismo di un tempo.
Ogni giorno sogniamo di essere ammessi da Giovani Allevi nel suo laboratorio creativo segreto, che solo raramente, quando lo decide lui, apre al mondo desideroso di conoscere come nasca la musica. Se solo avessimo una trentina d'anni meno, ci metteremmo alle costole di Allevi e chissà che non riusciremmo a penetrare oltre che nella vit , nei segreti di un grande monumentale musicista che fa musica classica contemporanea.
Dalla bocca del primo, Lang, apprendiamo che lui è sempre attaccato a qualche aggeggio elettronico, non potrebbe farne a meno, in nessun momento del giorno e della notte - che per uno che gira attorno al mondo alla velocità di una trottola, spesso si confondono; dunque sempre. Mentre parla o risponde a telefono, magari aziona il tablet e dall'altro orecchio, lasciato libero, ascolta l'Iphone.
E non è solo, azzardando che se fosse vissuto ai nostri giorni, Mozart avrebbe composto sicuramente con il tablet - poi si corregge e diventa più cauto, ipotizzando tale possibilità, senza darla per certa. Insomma nessuno è più moderno e tecnologico di Lang Lang che naturalmente adora Youtube, con il quale ha fatto l'esperimento di una orchestra dislocata ai quattro angoli della terra per l'esecuzione della 'Youtube sinfonia', un'orchestra che suonava contemporaneamente mandando il suono in un punto comune, dove però non c'era nessuno, cioè sulla piattaforma che aveva dato il nome alla sinfonia, e che perciò arrivava agli ascoltatori occasionali dislocati anch'essi ai quattro angoli del pianeta. E già che alcuni giorni fa, proprio la rete mostrava un esilarante, assai simile esperimento. Un direttore sul podio, in carne ed ossa, davanti una spianata di leggii - la musica era volata via, perché i leggii ed il podio erano all'aperto, in un parco - e lui che li dirigeva, i leggii. Non c'era nessuno davanti ai leggi che suonasse, eppure, miracolosamente, si sentiva il suono di tanti strumenti, come fossero lì presenti, mentre invece erano ognuno a casa sua e tutti collegati via internet.
Un concerto come non si era mai visto ed udito, meraviglie della tecnologia. Esaltazione della idiozia moderna, alla quale anche Lang sembra essersi votato. Come, invece non sembra ancora essersi votato alla causa della libertà, alla difesa dei diritti civili nel suo paese, perché lui è convinto che in Cina vi sia libertà e che i diritti umani e civili siano rispettati. A questa imprevista conclusione l'ha condotto l'uso, quasi smodato, della tecnologia?
Alla fine delle chiacchiere l'unica cosa che ci è rimasta delle rivelazioni epocali di Lang Lang che, quando suona, non è fra i pianisti che preferiamo, è che la tecnologia oggi consente a chiunque di rendere partecipe immediatamente e contemporaneamente, una platea vastissima, quasi infinita, di un messaggio, anche inutile ed insulso.
E' questa la vera unica novità che poi, se guardiamo bene le cose, oggi è stata solo accelerata e potenziata; perchè le premesse esistevano già, da quando le comunicazioni hanno fatto passi da gigante, aiutati anche dai computer ecc... ma non è il caso di stare a spiegare tutto ciò a chi ne sa più di noi.
Dalla tecnologia, pallino di Lang Lang, al bilocale bohèmien di Giovanni Allevi, che non perde occasione per invitarci ad entrare nel suo esilarante mondo segreto dove prendono corpo le sue creazioni. Fra breve, gli ultimi prodotti, uno dei quali, ci spiega con ricchezza di particolari Allevi - che ancora non può permettersi, a Milano, una vera casa, ed è stato visto girare nei giorni delle rivolte delle periferie per le case popolari, mimetizzato, anzi truccato per non farsi riconoscere, nel tentativo di occuparne una - è stato concepito nel corso di una serata in cui si sentiva assediato da una riunione familiare in casa sua. Senza farsi notare s'è sfilato dalla confusione e s'è ritirato nell'altra stanza, dove all'improvviso s'è materializzata una bella melodia - ma allora il casino ispira?- che lui con carta e matita ha immediatamente intrappolato, nel timore che ne uscisse dalla finestra, dalla quale sembrava entrata. E' una bella melodia, ampia - assicura il riccioluto pianista - che ora ha detto definitivamente addio al minimalismo di un tempo.
Ogni giorno sogniamo di essere ammessi da Giovani Allevi nel suo laboratorio creativo segreto, che solo raramente, quando lo decide lui, apre al mondo desideroso di conoscere come nasca la musica. Se solo avessimo una trentina d'anni meno, ci metteremmo alle costole di Allevi e chissà che non riusciremmo a penetrare oltre che nella vit , nei segreti di un grande monumentale musicista che fa musica classica contemporanea.
giovedì 20 novembre 2014
Benedetta Tobagi, Gherardo Colombo, Riccardo Muti, CDA RAI, Fuortes conosce solo Bietti. Letto sui giornali
Ci chiediamo spesso con che altro potremo divertirci il giorno in cui decidessimo di non acquistare più giornali, come facciamo da oltre 35 anni tutti i giorni, senza saltarne uno, portandoci a casa una media di tre quotidiani al giorno, oltre naturalmente a settimanali e mensili italiani ed esteri. Gli spunti di divertimento che giornalmente ci offre la lettura dei giornali non è facile reperirli in altri settori; forse ve ne sono, magari anche meno costosi, ma noi ancora non li conosciamo.
Oggi ad esempio. Come non sbellicarsi dalle risate nel leggere della decisione di ieri del CDA della RAI, di proprietà del Tesoro, che ha deciso di impugnare la richiesta del governo dei 150 milioni di Euro , proprio nel giorno in cui l'ingresso in Borsa della Rai, per i suoi impianti di trasmissione, è stato accolto benissimo dagli investitori? Uno, subito, pensa che a favore di questa mozione abbiano votato i consiglieri 'in quota' della destra, invidiosi del successo dell'esordio in Borsa. No, la mozione l'ha proposta un ex maggiordomo di Berlusconi, è vero, ma a lui si sono uniti quasi tutti gli altri e perfino i due consiglierucci indicati, anzi graziati, dal PD, e cioè la Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo che se non avessero fatto il grande gesto, ci saremmo dimenticati persino della loro esistenza. Nessun altra traccia, e neppure sottotraccia, del loro passaggio esiste nei piani alti di Viale Mazzini, oltre la presenza dei loro nomi nei libri contabili RAI, per la paghetta come consiglieri di amministrazione. Sarebbe opportuno che almeno loro due spiegassero al popolo ignorante il senso di quel folle gesto. E poi dicono che Renzi non ha ragione quando ammonisce che presto va cambiata la governance della RAI. Come si fa a dargli torto, quando si viene a sapere che, in Australia, per seguire il G 20, sono arrivati 5 troupe RAI? Per quello che dicono e per la pochezza temporale dei servizi, non ne bastava una per tutte le testate giornalistiche RAI? Certo che sì, una bastava ed avanzava. Ed invece abbiamo mandato in Australia, a nostre spese - soldi veramente buttati - una quindicina di persone, invece di due o tre.
In rete si sono scatenati contro Riccardo Muti che sarebbe sì, a detta di molti navigatori, un grande direttore - non manca qualcuno che mette in dubbio finanche le sue capacità direttoriali - ma una pessima persona. E giù altre accuse: perchè ha taciuto sull'Opera di Roma in questi ultimi travagliati mesi? Perchè, appena ha visto acque increspate, prima di quelle agitate, s'è dato a nuoto alla fuga? Gli rimproverano anche questo, ed infine, il fatto di portarsi appresso, ogni volta che si muove, moglie figlia amici e servitori. Non gli hanno fatto nessuno sconto in nome della fama e della bravura, tanto che ci vien voglia di difenderlo, ad ogni costo, dimenticando i difetti, qualora ne avesse.
Fuortes, che unisce a grande capacità imprenditoriale nel mondo della cultura, una conoscenza fuori dell'ordinario dell'ambiente musicale - ragione per cui è stato chiamato a dare un'aggiustatina all'Opera di Roma, come ha poi fatto, un momento prima di rischiare di distruggerla del tutto - ha avviato con l'inaugurazione della nuova stagione della 'grande opera' a Roma, una serie di incontri o conferenze di presentazione delle opere in cartellone. E, come ha fatto all'Auditorium di cui resta ancora amministratore delegato, con le lezioni di musica e al Teatro Petruzzelli di Bari negli intensi mesi in cui è stato commissario, risanando i conti e lasciando un buco di un paio di milioni quando è andato via, ha chiamato ogni volta tutti più grandi musicologi al mondo che alla conoscenza della materia trattata uniscono anche capacità comunicativa eccelsa: Giovanni Bietti all'Auditorium, Giovanni Bietti al Petruzzelli, e Giovanni Bietti all'Opera di Roma.
Tutti gli auguriamo, prima che assuma la sacrosanta decisione di abbandonare il campo, che l'opera inaugurale veda il botteghino del teatro con file chilometriche, perchè se non ci saranno, anche di questo darà la colpa a qualcun altro, invece che a se stesso, che di gestione di una stagione non capisce un tubo, per cui sostituisce Aida con Rusalka - una donne con un altra - con la massima prosopopea possibile.
Oggi ad esempio. Come non sbellicarsi dalle risate nel leggere della decisione di ieri del CDA della RAI, di proprietà del Tesoro, che ha deciso di impugnare la richiesta del governo dei 150 milioni di Euro , proprio nel giorno in cui l'ingresso in Borsa della Rai, per i suoi impianti di trasmissione, è stato accolto benissimo dagli investitori? Uno, subito, pensa che a favore di questa mozione abbiano votato i consiglieri 'in quota' della destra, invidiosi del successo dell'esordio in Borsa. No, la mozione l'ha proposta un ex maggiordomo di Berlusconi, è vero, ma a lui si sono uniti quasi tutti gli altri e perfino i due consiglierucci indicati, anzi graziati, dal PD, e cioè la Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo che se non avessero fatto il grande gesto, ci saremmo dimenticati persino della loro esistenza. Nessun altra traccia, e neppure sottotraccia, del loro passaggio esiste nei piani alti di Viale Mazzini, oltre la presenza dei loro nomi nei libri contabili RAI, per la paghetta come consiglieri di amministrazione. Sarebbe opportuno che almeno loro due spiegassero al popolo ignorante il senso di quel folle gesto. E poi dicono che Renzi non ha ragione quando ammonisce che presto va cambiata la governance della RAI. Come si fa a dargli torto, quando si viene a sapere che, in Australia, per seguire il G 20, sono arrivati 5 troupe RAI? Per quello che dicono e per la pochezza temporale dei servizi, non ne bastava una per tutte le testate giornalistiche RAI? Certo che sì, una bastava ed avanzava. Ed invece abbiamo mandato in Australia, a nostre spese - soldi veramente buttati - una quindicina di persone, invece di due o tre.
In rete si sono scatenati contro Riccardo Muti che sarebbe sì, a detta di molti navigatori, un grande direttore - non manca qualcuno che mette in dubbio finanche le sue capacità direttoriali - ma una pessima persona. E giù altre accuse: perchè ha taciuto sull'Opera di Roma in questi ultimi travagliati mesi? Perchè, appena ha visto acque increspate, prima di quelle agitate, s'è dato a nuoto alla fuga? Gli rimproverano anche questo, ed infine, il fatto di portarsi appresso, ogni volta che si muove, moglie figlia amici e servitori. Non gli hanno fatto nessuno sconto in nome della fama e della bravura, tanto che ci vien voglia di difenderlo, ad ogni costo, dimenticando i difetti, qualora ne avesse.
Fuortes, che unisce a grande capacità imprenditoriale nel mondo della cultura, una conoscenza fuori dell'ordinario dell'ambiente musicale - ragione per cui è stato chiamato a dare un'aggiustatina all'Opera di Roma, come ha poi fatto, un momento prima di rischiare di distruggerla del tutto - ha avviato con l'inaugurazione della nuova stagione della 'grande opera' a Roma, una serie di incontri o conferenze di presentazione delle opere in cartellone. E, come ha fatto all'Auditorium di cui resta ancora amministratore delegato, con le lezioni di musica e al Teatro Petruzzelli di Bari negli intensi mesi in cui è stato commissario, risanando i conti e lasciando un buco di un paio di milioni quando è andato via, ha chiamato ogni volta tutti più grandi musicologi al mondo che alla conoscenza della materia trattata uniscono anche capacità comunicativa eccelsa: Giovanni Bietti all'Auditorium, Giovanni Bietti al Petruzzelli, e Giovanni Bietti all'Opera di Roma.
Tutti gli auguriamo, prima che assuma la sacrosanta decisione di abbandonare il campo, che l'opera inaugurale veda il botteghino del teatro con file chilometriche, perchè se non ci saranno, anche di questo darà la colpa a qualcun altro, invece che a se stesso, che di gestione di una stagione non capisce un tubo, per cui sostituisce Aida con Rusalka - una donne con un altra - con la massima prosopopea possibile.
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mercoledì 19 novembre 2014
Due ubriachi al timone dell'Opera di Roma, Fuortes e Marino, sono troppi
Gli ubriachi, due non uno, in senso figurato - perché potrebbero anche essere astemi, ma non astemi da incompetenza e stupidità come hanno dimostrato in questi ultimi mesi - sono il sovrintendente Fuortes e il sindaco Marino che, ora, si fanno vanto di aver tenuto duro, perché avendo tenuto duro, dicono nell'euforia dell'ubriacatura della pace ritrovata, hanno ottenuto che sul mare burrascoso nel quale si apprestava a navigare pericolosamente la loro nave, l'Opera di Roma, tornasse il sereno.
Finalmente si è arrivati al risultato che si poteva raggiungere molto prima se solo l'incompetente Fuortes ed il suo capitano in seconda Marino, gli 'schettino' romani, avessero tentato di raddrizzare tempestivamente il timone per non mandare la nave a sbattere sugli scogli, evitando gli scioperi ad oltranza, l'uscita di Muti e la minaccia idiota della cosiddetta 'esternalizzazione' per la quale si sono sentiti insultare da mezzo mondo musicale.
Oggi potrebbe essere tornato il sereno su quel mare burrascoso, e la nave riprendere la sua navigazione, tappate le falle sui fianchi, prodotte dall'impatto sui vari scogli.
I due 'schettino' però proseguono nel sostenere che la loro carta nautica era corretta, senza ammettere che forse, se era corretta - come sostengono - a maggior ragione a loro doveva essere tolta la responsabilità della navigazione, non avendola saputo neanche leggere.
Marino dice che la 'faccia feroce' era necessaria, perché ha prodotto il risultato desiderato; Fuortes aggiunge che lui la 'faccia feroce' non l'aveva mai del tutto sposata, e che il ritorno alla 'faccia fessa' era, fin dall'inizio, la seconda soluzione a portata di mano. Fuori di metafora: i licenziamenti erano stati minacciati, ma lui era certo che nessuno sarebbe stato licenziato, perché nel corso delle trattative successive - come previste ed indicate dalla legge - si sarebbe arrivati alla soluzione: il ritiro dei licenziamenti. Ma allora, verrebbe da chiedergli - anche se a questo punto non serve infierire su una persona che ha sbagliato su tutti i fronti - perché durante gli incontri di questi mesi lui s'è chiuso in cabina, uscendone soltanto quando ormai sindacati e teatro avevano trovato i punti di un possibile accordo? Era o non era lui il timoniere della nave?
E poi, dopo tutto ciò che gli è stato detto da quelli che ne capiscono in gestione di teatri, perché continua a dire che il modello di teatro con 'orchestra e coro esternalizzati' è una possibile soluzione? Non è una soluzione, 'schettino' Fuortes, sarebbe un secondo sicuro naufragio.
E del grand'ammiraglio Muti, che ne è? Fuortes dice di averlo sentito a telefono, dice pure che lui resta 'direttore onorario a vita' e, infine, che se vorrà tornare, le porte del teatro per lui sono sempre aperte. Gli tengono sempre prenotata la sua cabina/suite 'executive' sulla nave dell'Opera di Roma.
Muti, è fin troppo chiaro che non tornerà, e perciò gli 'schettino' romani, prima di lasciare definitivamente il timone della nave dell'Opera in mani più esperte ( loro non possono restare, tutto l'equipaggio, il personale ed anche i passeggeri, ogni momento potrebbero rivoltarglisi contro, memori delle inefficienze di questi mesi) devono necessariamente provvedere alla sostituzione del grand'ammiraglio - ma non con una soubrette, come era stato già ventilato, perché allora la sostituzione sarebbe disastrosa e ingiuriosa nei confronti del grand'ammiraglio, più ingiuriosa perfino dalla stessa sua fuga con scialuppa di salvataggio per non annegare)- come anche alla sostituzione del responsabile del corpo di ballo della nave - lo si scelga con oculatezza, badando alla competenza e non al sesso o alla beltà - e, infine, dell'impresario/ segretario artistico di Muti, Alessio Vlad. Poi abbandonino definitivamente la nave, i due 'schettino'.
In questo frangente di pace ritrovata, s'è rifatto vivo il manovratore, il grande e grosso direttore generale del ministero, Nastasi, il quale ha elogiato la felice conclusione, definendola un modello per tutti i teatri italiani. Ora, se si riferiva al fatto che orchestra e coro hanno abbassato le loro pretese, cancellando anche privilegi impossibili, possiamo essere d'accordo con lui, se invece - come temiamo - intendeva, in perfetto accordo con Fuortes, la cosiddetta 'esternalizzazione' di cui è il teorico, coltivando da tempo il progetto di smantellare il sistema musicale italiano, riducendo i teatri a luoghi non più di produzione, ma a semplici terminali di distribuzione, allora gli diciamo che vada a quel paese, sperando che qualcuno lo metta anche a tacere, cosa che neanche Franceschini riesce e sa fare.
Finalmente si è arrivati al risultato che si poteva raggiungere molto prima se solo l'incompetente Fuortes ed il suo capitano in seconda Marino, gli 'schettino' romani, avessero tentato di raddrizzare tempestivamente il timone per non mandare la nave a sbattere sugli scogli, evitando gli scioperi ad oltranza, l'uscita di Muti e la minaccia idiota della cosiddetta 'esternalizzazione' per la quale si sono sentiti insultare da mezzo mondo musicale.
Oggi potrebbe essere tornato il sereno su quel mare burrascoso, e la nave riprendere la sua navigazione, tappate le falle sui fianchi, prodotte dall'impatto sui vari scogli.
I due 'schettino' però proseguono nel sostenere che la loro carta nautica era corretta, senza ammettere che forse, se era corretta - come sostengono - a maggior ragione a loro doveva essere tolta la responsabilità della navigazione, non avendola saputo neanche leggere.
Marino dice che la 'faccia feroce' era necessaria, perché ha prodotto il risultato desiderato; Fuortes aggiunge che lui la 'faccia feroce' non l'aveva mai del tutto sposata, e che il ritorno alla 'faccia fessa' era, fin dall'inizio, la seconda soluzione a portata di mano. Fuori di metafora: i licenziamenti erano stati minacciati, ma lui era certo che nessuno sarebbe stato licenziato, perché nel corso delle trattative successive - come previste ed indicate dalla legge - si sarebbe arrivati alla soluzione: il ritiro dei licenziamenti. Ma allora, verrebbe da chiedergli - anche se a questo punto non serve infierire su una persona che ha sbagliato su tutti i fronti - perché durante gli incontri di questi mesi lui s'è chiuso in cabina, uscendone soltanto quando ormai sindacati e teatro avevano trovato i punti di un possibile accordo? Era o non era lui il timoniere della nave?
E poi, dopo tutto ciò che gli è stato detto da quelli che ne capiscono in gestione di teatri, perché continua a dire che il modello di teatro con 'orchestra e coro esternalizzati' è una possibile soluzione? Non è una soluzione, 'schettino' Fuortes, sarebbe un secondo sicuro naufragio.
E del grand'ammiraglio Muti, che ne è? Fuortes dice di averlo sentito a telefono, dice pure che lui resta 'direttore onorario a vita' e, infine, che se vorrà tornare, le porte del teatro per lui sono sempre aperte. Gli tengono sempre prenotata la sua cabina/suite 'executive' sulla nave dell'Opera di Roma.
Muti, è fin troppo chiaro che non tornerà, e perciò gli 'schettino' romani, prima di lasciare definitivamente il timone della nave dell'Opera in mani più esperte ( loro non possono restare, tutto l'equipaggio, il personale ed anche i passeggeri, ogni momento potrebbero rivoltarglisi contro, memori delle inefficienze di questi mesi) devono necessariamente provvedere alla sostituzione del grand'ammiraglio - ma non con una soubrette, come era stato già ventilato, perché allora la sostituzione sarebbe disastrosa e ingiuriosa nei confronti del grand'ammiraglio, più ingiuriosa perfino dalla stessa sua fuga con scialuppa di salvataggio per non annegare)- come anche alla sostituzione del responsabile del corpo di ballo della nave - lo si scelga con oculatezza, badando alla competenza e non al sesso o alla beltà - e, infine, dell'impresario/ segretario artistico di Muti, Alessio Vlad. Poi abbandonino definitivamente la nave, i due 'schettino'.
In questo frangente di pace ritrovata, s'è rifatto vivo il manovratore, il grande e grosso direttore generale del ministero, Nastasi, il quale ha elogiato la felice conclusione, definendola un modello per tutti i teatri italiani. Ora, se si riferiva al fatto che orchestra e coro hanno abbassato le loro pretese, cancellando anche privilegi impossibili, possiamo essere d'accordo con lui, se invece - come temiamo - intendeva, in perfetto accordo con Fuortes, la cosiddetta 'esternalizzazione' di cui è il teorico, coltivando da tempo il progetto di smantellare il sistema musicale italiano, riducendo i teatri a luoghi non più di produzione, ma a semplici terminali di distribuzione, allora gli diciamo che vada a quel paese, sperando che qualcuno lo metta anche a tacere, cosa che neanche Franceschini riesce e sa fare.
martedì 18 novembre 2014
Il Marino vittorioso allontana la sfiducia? All'opera di Roma torna la pace ( resa) sindacale.Ritirati i licenziamenti
Ignazio Marino fra breve entrerà nell'aula consigliare, trasformata per lui in aula di tribunale, dove le opposizioni e forse alcuni del suo stesso partito lo sfiduceranno, chiedendogli perciò non tanto e solo un rimpasto sostanzioso di giunta, ma la sua uscita di scena. Riusciranno a farlo secco?
Temiamo di no, purtroppo, perchè il 'sindaco con la barba' giunge nell'aula consigliare con tre assi nella manica da tirar fuori al momento giusto: aver avviato colloqui con gli abitanti di Tor Sapienza per risolvere il problema del centro accoglienza e per cancellare il degrado sociale ed urbano della zona; sventolare davanti agli occhi di tutti le otto ricevute delle multe pagate, seppure in ritardo; e, soprattutto vantarsi di aver risolto, assieme al gemello Fuortes, la crisi dell'Opera di Roma, con il ritiro dei licenziamenti dei 182, e la sottoscrizione di un accordo fra teatro e sindacati, che certamente non riporterà Muti a Roma, ma è già qualcosa.
Sette sigle in tutto, per le quali tutti si meravigliano, mentre non si meravigliano quando leggono che fra i dipendenti di Camera e Senato le sigle che rappresentano i lavoratori sono addirittura 26 o 27, non ricordiamo con esattezza. Le 7 dell'Opera e le 27 del Parlamento tutti intorno all'osso dei privilegi da difendere, ben più grandi quelli dei dipendenti del Parlamento, e perciò difesi strenuamente da tutti i sindacati esistenti in Italia e nel mondo, chiamati a raccolta.
Oggi Marino forse eviterà in extremis l'uscita di scena, ma non è detto che domani il PD nazionale non gli chieda conto della sua cattiva reputazione in città. Purchè non si faccia, per carità, vi preghiamo, il nome della povera Madia come possibile candidata a sostituirlo, in occasione di prossime elezioni. Lasciatela in pace, già fa fatica a fare quel poco che fa, come potrebbe reggere l'impatto con i complessi numerosi problemi di una città come Roma, abbandonata da tempo da tutti coloro che l'hanno governata, male, senza eccezione? Non mettiamoci anche la Madia nella lista.
Fermiamoci per un momento sull'accordo raggiunto all'Opera di Roma nella nottata, sebbene i giornali di oggi diano l'accordo ancora lontano. Si vede quanto sono informati!
Dunque i sindacati rinuncerebbero a scioperare forse per un biennio. Vogliamo proprio dire come la pensiamo? Hanno sbagliato di grosso ad utilizzare in passato lo strumento dello sciopero in occasioni in cui esso strumento è risultato controproducente e gli si è ritorto contro, però offrire, appesi ad un bastone i propri attributi a Fuortes è anche eccessivo.
Un sindacalista, della CISL se abbiamo capito bene, ha detto che hanno invitato Fuortes ad intervenire non solo tagliando costi, ma anche incrementando le entrate attraverso un aumento di produzione.
Tutti dovranno rinunciare al cosiddetto 'premio di produzione' - che in troppe situazioni di disavanzo in Italia, lo si dà comunque - ed alle indennità che hanno esposto al ridicolo quasi tutte le fondazioni liriche italiane che ancora le hanno nei loro contratti.
Dunque tutto risolto anche all'Opera? Ha giocato qualche ruolo in tale risoluzione l'insulto generalizzato nei confronti di Fuortes, accusato di incapacità? Certamente. Ora, però, una volta che ha risolto il guaio che aveva creato, sarebbe opportuno che Fuortes andasse via dall'Opera.
Perchè, comunque la si giri, le sue decisioni sulla esternalizzazione sono state folli. Qualcuno ci diceva, non avendo forse capito la particolarità di un'orchestra, che in un altro caso che si ricordi, il proprietario di una compagnia aerea aveva licenziato in massa i piloti che scioperavano. Certo, ma un aereo non si guida con tutti i piloti della compagnia alla plancia di comando; mentre un'orchestra non è fatta da due o tre, tutti suonano sempre insieme. e la differenza non è da poco. Si possono trovare anche presto 20 o 30 piloti che sostituiscano i licenziati, ciascuno di loro può guidare un aereo, assai più difficile è trovare un'orchestra bell'e fatta che abbia già un affiatamento nel lavoro.
Temiamo di no, purtroppo, perchè il 'sindaco con la barba' giunge nell'aula consigliare con tre assi nella manica da tirar fuori al momento giusto: aver avviato colloqui con gli abitanti di Tor Sapienza per risolvere il problema del centro accoglienza e per cancellare il degrado sociale ed urbano della zona; sventolare davanti agli occhi di tutti le otto ricevute delle multe pagate, seppure in ritardo; e, soprattutto vantarsi di aver risolto, assieme al gemello Fuortes, la crisi dell'Opera di Roma, con il ritiro dei licenziamenti dei 182, e la sottoscrizione di un accordo fra teatro e sindacati, che certamente non riporterà Muti a Roma, ma è già qualcosa.
Sette sigle in tutto, per le quali tutti si meravigliano, mentre non si meravigliano quando leggono che fra i dipendenti di Camera e Senato le sigle che rappresentano i lavoratori sono addirittura 26 o 27, non ricordiamo con esattezza. Le 7 dell'Opera e le 27 del Parlamento tutti intorno all'osso dei privilegi da difendere, ben più grandi quelli dei dipendenti del Parlamento, e perciò difesi strenuamente da tutti i sindacati esistenti in Italia e nel mondo, chiamati a raccolta.
Oggi Marino forse eviterà in extremis l'uscita di scena, ma non è detto che domani il PD nazionale non gli chieda conto della sua cattiva reputazione in città. Purchè non si faccia, per carità, vi preghiamo, il nome della povera Madia come possibile candidata a sostituirlo, in occasione di prossime elezioni. Lasciatela in pace, già fa fatica a fare quel poco che fa, come potrebbe reggere l'impatto con i complessi numerosi problemi di una città come Roma, abbandonata da tempo da tutti coloro che l'hanno governata, male, senza eccezione? Non mettiamoci anche la Madia nella lista.
Fermiamoci per un momento sull'accordo raggiunto all'Opera di Roma nella nottata, sebbene i giornali di oggi diano l'accordo ancora lontano. Si vede quanto sono informati!
Dunque i sindacati rinuncerebbero a scioperare forse per un biennio. Vogliamo proprio dire come la pensiamo? Hanno sbagliato di grosso ad utilizzare in passato lo strumento dello sciopero in occasioni in cui esso strumento è risultato controproducente e gli si è ritorto contro, però offrire, appesi ad un bastone i propri attributi a Fuortes è anche eccessivo.
Un sindacalista, della CISL se abbiamo capito bene, ha detto che hanno invitato Fuortes ad intervenire non solo tagliando costi, ma anche incrementando le entrate attraverso un aumento di produzione.
Tutti dovranno rinunciare al cosiddetto 'premio di produzione' - che in troppe situazioni di disavanzo in Italia, lo si dà comunque - ed alle indennità che hanno esposto al ridicolo quasi tutte le fondazioni liriche italiane che ancora le hanno nei loro contratti.
Dunque tutto risolto anche all'Opera? Ha giocato qualche ruolo in tale risoluzione l'insulto generalizzato nei confronti di Fuortes, accusato di incapacità? Certamente. Ora, però, una volta che ha risolto il guaio che aveva creato, sarebbe opportuno che Fuortes andasse via dall'Opera.
Perchè, comunque la si giri, le sue decisioni sulla esternalizzazione sono state folli. Qualcuno ci diceva, non avendo forse capito la particolarità di un'orchestra, che in un altro caso che si ricordi, il proprietario di una compagnia aerea aveva licenziato in massa i piloti che scioperavano. Certo, ma un aereo non si guida con tutti i piloti della compagnia alla plancia di comando; mentre un'orchestra non è fatta da due o tre, tutti suonano sempre insieme. e la differenza non è da poco. Si possono trovare anche presto 20 o 30 piloti che sostituiscano i licenziati, ciascuno di loro può guidare un aereo, assai più difficile è trovare un'orchestra bell'e fatta che abbia già un affiatamento nel lavoro.
Bologna contro Firenze. Perchè nessuno fa il nome di Mario Messinis
La notizia dell'arrivo a Bologna, il prossimo dicembre per il 'Bologna Festival' - la cui direzione artistica, dalla notte dei tempi, è affidata a Mario Messinis, critico musicale del Gazzettino di Venezia e negli anni passati, anche e contemporaneamente, direttore della Biennale o Sovrintendente della Fe nice, Premio 'una vita nella musica', e mille altri incarichi anche per Casa Ricordi, assieme a quello di professore al Conservatorio veneziano - tutto regolare? - dell'Orchestra dell'Opera di Firenze con il suo direttore Zubin Mehta, ha creato tensione fra i rappresentanti sindacali del Comunale di Bologna che avrebbero voluto che ad essere invitati fossero i complessi del Comunale bolognese. Perchè - hanno detto - dare ad 'altri' quasi 100.000 Euro (quanto sarebbe il costo di quel concerto), in un periodo di crisi?
Hanno ragione? Hanno torto? Forse l'una e l'altro. Hanno ragione a dire che su un budget di 300.000 Euro circa, spenderne 100.000 per avere un'orchestra che si può ascoltare facendo il viaggio di un'ora da Bologna a Firenze, non è il caso, specie in periodo di crisi.
Hanno torto se pensano che in ogni caso, qualunque manifestazione di ogni genere, debba utilizzare sempre e solo le forse cittadine. In questo secondo caso sbagliano. Noi abbiamo da sempre sostenuto che la mania di rivolgersi all'estero, così frequente nell'Italia provinciale, intrallazzona,mazzettara e scambista( non in ambito sessuale, o forse anche) , andrebbe sanzionata ufficialmente dal ministero che finanzia in massima parte le attività musicali in Italia, dai teatri alla più piccola associazione. Circoscrivere la ricerca di forze lavorative al perimetro ristretto di una città nella quale una manifestazione ha luogo è forse troppo.
E' curioso però che in questa disputa nessuno tiri fuori, chiamandolo a 'discolparsi' Mario Messinis, direttore artistico del 'Bologna Festival' e dunque artefice di tale macroscopico errore, al di là della pretesa dei musicisti del Teatro Comunale di Bologna. Le manifestazione musicali alle quali Messinis - SEMPRE GRATUITAMENTE, ovvio - ha prestato qualche scintilla del suo genio creativo, ancora in perenne eruzione a dispetto degli anni, sono tante; mai un appunto è stato mosso all'utilizzo dei fondi, come invece si è fatto in questa occasione, mentre invece sarebbe stato opportuno ed utile ficcarci il naso per scoprire magari che dietro titoli solitamente di grande impatto, c'erano poi scelte abbastanza dozzinali. Alle quali scelte potremmo riportare anche questa incriminata. ma , come si sa, gli intoccabili sono tali perchè non vanno toccati, e perchè guai a chi li tocca.
Ci viene da riflettere anche su un altro festival che fa sfilare sotto le volte del Tempio malatestiano orchestre di pregio e dunque anche costose: la 'Sagra malatestiana' di Rimini, città che noi abbiamo sempre associato alle vacanze di mare e non ad un festival di orchestre. Per esempio, chi lo paga quel festival? e i soldi chi controlla che vengano spesi bene?
Semplici domande di un cronista curioso. Non accuse gratuite.
Hanno ragione? Hanno torto? Forse l'una e l'altro. Hanno ragione a dire che su un budget di 300.000 Euro circa, spenderne 100.000 per avere un'orchestra che si può ascoltare facendo il viaggio di un'ora da Bologna a Firenze, non è il caso, specie in periodo di crisi.
Hanno torto se pensano che in ogni caso, qualunque manifestazione di ogni genere, debba utilizzare sempre e solo le forse cittadine. In questo secondo caso sbagliano. Noi abbiamo da sempre sostenuto che la mania di rivolgersi all'estero, così frequente nell'Italia provinciale, intrallazzona,mazzettara e scambista( non in ambito sessuale, o forse anche) , andrebbe sanzionata ufficialmente dal ministero che finanzia in massima parte le attività musicali in Italia, dai teatri alla più piccola associazione. Circoscrivere la ricerca di forze lavorative al perimetro ristretto di una città nella quale una manifestazione ha luogo è forse troppo.
E' curioso però che in questa disputa nessuno tiri fuori, chiamandolo a 'discolparsi' Mario Messinis, direttore artistico del 'Bologna Festival' e dunque artefice di tale macroscopico errore, al di là della pretesa dei musicisti del Teatro Comunale di Bologna. Le manifestazione musicali alle quali Messinis - SEMPRE GRATUITAMENTE, ovvio - ha prestato qualche scintilla del suo genio creativo, ancora in perenne eruzione a dispetto degli anni, sono tante; mai un appunto è stato mosso all'utilizzo dei fondi, come invece si è fatto in questa occasione, mentre invece sarebbe stato opportuno ed utile ficcarci il naso per scoprire magari che dietro titoli solitamente di grande impatto, c'erano poi scelte abbastanza dozzinali. Alle quali scelte potremmo riportare anche questa incriminata. ma , come si sa, gli intoccabili sono tali perchè non vanno toccati, e perchè guai a chi li tocca.
Ci viene da riflettere anche su un altro festival che fa sfilare sotto le volte del Tempio malatestiano orchestre di pregio e dunque anche costose: la 'Sagra malatestiana' di Rimini, città che noi abbiamo sempre associato alle vacanze di mare e non ad un festival di orchestre. Per esempio, chi lo paga quel festival? e i soldi chi controlla che vengano spesi bene?
Semplici domande di un cronista curioso. Non accuse gratuite.
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lunedì 17 novembre 2014
Franceschini vai a dirigere un altro dicastero.
Il ministro Franceschini che, a somiglianza di Marino, ogni volta che apre bocca ne approfitta per farci sapere quanto poco capisca del suo dicastero, nei giorni scorsi s'è prodotto in un altro show verbale, dichiarando che i "14 grandi teatri lirici italiani sono troppi. Non possiamo più permetterceli, oltre tutto assorbono il 77% dei finanziamenti statali per la musica, e poi, il sistema odierno premia chi in fondo amministra male, e fa debiti". Per fortuna che poi s'è zittito, chissà quale altra castroneria avrebbe potuto dire.
Non sarebbe difficile smontare una ad una le affermazioni avventate del ministro che dei teatri veramente non sa nulla e perciò si affida a quel sapientone del suo direttore generale, il quale - altro campione di italianità - da tempo va accarezzando il progetto di distruggere tutto quel che c'è di buono e che è stato costruito in anni ed anni di lavoro accurato.
Ci piacerebbe, ad esempio, ci spiegasse il grande grosso direttore generale, perchè mai il San Carlo di Napoli con la sua orchestra e coro debba andare ad eseguire a San Francisco il Requiem di Verdi diretto da Luisotti. Ci dica una sola ragione, oltre quella di essere lui in persona l'artefice di tale viaggio-truffa, e ci metteremo l'anima in pace. Quanto è costato quel viaggio, lo dica al suo ministro, così capisce - se ne è capace - dove si buttano i soldi.
E ci spieghi pure, giacchè ci siamo, come mai per un cosiddetto Festival di Pompei, benedetto dal ministro, ed inaugurato nella vergogna generale e disastro organizzativo, si chiami un'orchestra formata non si sa da chi, mentre invece c'è a due passi quella del San Carlo; e ci spieghi pure chi ha autorizzato i lavori di cementificazione del Teatro grande di Pompei, inaugurato da Muti e poi subito richiuso; e come mai a Pompei i turisti debbano attendere la fine di una riunione sindacale per entrare agli scavi, e, infine, perchè ogni tanto deve mandarci i carabinieri, oltre il generale che è lì in pianta stabile. Spieghi tutte queste cose e si faccia i conti di quanti soldi sono stati e tuttora sono buttati in tanti settori di cui lui si occupa. E lasci perdere i teatri. Perchè se distoglie il suo sguardo da quelli, lasciando che vengano governati da persone competenti forse i guai cominceranno a finire.
Si sta formando in Italia un partito che è della stessa idea del ministro e del grande e grosso direttore generale, sulla riduzione delle fondazioni liriche in Italia. Si è mai chiesto il ministro che cosa producono, in termini economici e non solo, quei teatri, anche per l'immagine dell'Italia nel mondo? Insomma, a seguire il ministro in questa sua idea di devastazione, dovremmo sostenere che nel melodramma, invenzione tutta italiana e pure vanto italiano, non dovremmo più investire.
Si è mai chiesto perchè è stata lasciata mano libera agli amministratori, messi dal Ministrero o dal suo grosso direttore generale, perchè facessero debiti, senza controllo, prima e durante la gestione? E si è mai chiesto perchè ad esempio, i commissari nominati dal ministro e dal direttore generale, il grande e grosso direttore generale, tutte le volte che hanno fatto capolino nei teatri hanno lasciato più guai di quanti ne avevano trovati? il caso di Genova è emblematico.
Da notizie a noi note per vie traverse, fra quelli che dietro le quinte sostengono la mania distruttrice di Franceschini, il ministro con la barba (l'unico suo elemento di distinzione quando incontra i suoi omologhi dei paesi europei che evitano di fargli una pernacchia, anche sul caso dell'Opera di Roma, e solo per ragioni di decenza, essendosi lui, Marino e Fuortes meritati i fischi dell'Europa musicale tutta), sono fra quelli che poi sembrano versare lacrime amare sulla chiusura, una dopo l'altra, di tante orchestre, al punto che l'Italia un primato se l'è guadagnato nel mondo: ha, più di ogni altro paese, capacità di autodistruggere ciò che ha di più bello ed importante. E Franceschini in tutto questo, ci mette del suo.
Non sarebbe difficile smontare una ad una le affermazioni avventate del ministro che dei teatri veramente non sa nulla e perciò si affida a quel sapientone del suo direttore generale, il quale - altro campione di italianità - da tempo va accarezzando il progetto di distruggere tutto quel che c'è di buono e che è stato costruito in anni ed anni di lavoro accurato.
Ci piacerebbe, ad esempio, ci spiegasse il grande grosso direttore generale, perchè mai il San Carlo di Napoli con la sua orchestra e coro debba andare ad eseguire a San Francisco il Requiem di Verdi diretto da Luisotti. Ci dica una sola ragione, oltre quella di essere lui in persona l'artefice di tale viaggio-truffa, e ci metteremo l'anima in pace. Quanto è costato quel viaggio, lo dica al suo ministro, così capisce - se ne è capace - dove si buttano i soldi.
E ci spieghi pure, giacchè ci siamo, come mai per un cosiddetto Festival di Pompei, benedetto dal ministro, ed inaugurato nella vergogna generale e disastro organizzativo, si chiami un'orchestra formata non si sa da chi, mentre invece c'è a due passi quella del San Carlo; e ci spieghi pure chi ha autorizzato i lavori di cementificazione del Teatro grande di Pompei, inaugurato da Muti e poi subito richiuso; e come mai a Pompei i turisti debbano attendere la fine di una riunione sindacale per entrare agli scavi, e, infine, perchè ogni tanto deve mandarci i carabinieri, oltre il generale che è lì in pianta stabile. Spieghi tutte queste cose e si faccia i conti di quanti soldi sono stati e tuttora sono buttati in tanti settori di cui lui si occupa. E lasci perdere i teatri. Perchè se distoglie il suo sguardo da quelli, lasciando che vengano governati da persone competenti forse i guai cominceranno a finire.
Si sta formando in Italia un partito che è della stessa idea del ministro e del grande e grosso direttore generale, sulla riduzione delle fondazioni liriche in Italia. Si è mai chiesto il ministro che cosa producono, in termini economici e non solo, quei teatri, anche per l'immagine dell'Italia nel mondo? Insomma, a seguire il ministro in questa sua idea di devastazione, dovremmo sostenere che nel melodramma, invenzione tutta italiana e pure vanto italiano, non dovremmo più investire.
Si è mai chiesto perchè è stata lasciata mano libera agli amministratori, messi dal Ministrero o dal suo grosso direttore generale, perchè facessero debiti, senza controllo, prima e durante la gestione? E si è mai chiesto perchè ad esempio, i commissari nominati dal ministro e dal direttore generale, il grande e grosso direttore generale, tutte le volte che hanno fatto capolino nei teatri hanno lasciato più guai di quanti ne avevano trovati? il caso di Genova è emblematico.
Da notizie a noi note per vie traverse, fra quelli che dietro le quinte sostengono la mania distruttrice di Franceschini, il ministro con la barba (l'unico suo elemento di distinzione quando incontra i suoi omologhi dei paesi europei che evitano di fargli una pernacchia, anche sul caso dell'Opera di Roma, e solo per ragioni di decenza, essendosi lui, Marino e Fuortes meritati i fischi dell'Europa musicale tutta), sono fra quelli che poi sembrano versare lacrime amare sulla chiusura, una dopo l'altra, di tante orchestre, al punto che l'Italia un primato se l'è guadagnato nel mondo: ha, più di ogni altro paese, capacità di autodistruggere ciò che ha di più bello ed importante. E Franceschini in tutto questo, ci mette del suo.
domenica 16 novembre 2014
I due Riccardi del podio
Non sappiamo se uno dei due 'Riccardi della bacchetta' - discendenti di 'Guarneri del Gesù' che invece lavorava d'archetto - si offenderà nell'essere appaiato all'altro, perchè in quest'accostamento nulla v'è di sacrilego. Ambedue sono 'Riccardi', ma c'è differenza fra l'uno e l'altro, differenza d'età, di provincia di nascita, sebbene poi abbiano in tempi diversi compiuti e completati gli studi a Milano, e poi anche di fama - perchè nascondersi che uno dei due 'Riccardi' è più famoso dell'altro, mentre non sappiamo se l'altro è, invece, in egual misura della fama del suo omologo, affamato di fama?
Il destino li ha accostati, meglio contrapposti, senza colpa di nessuno. L'uno quello più di fama è uscito dalla Scala, e l'altro, forse più affamato di fama, vi è appena entrato per la porta principale, dopo lunga lunghissima anticamera e girovagare in Europa, per chiamata di Pereira.
Il quale Pereira, proprio in questi giorni ha lanciato un messaggino d'amore verso il più famoso dei Riccardi: 'torna a Milano, la Scala aspetta a te', con doppia firma, la sua e dell'altro Riccardo, che si professa sincero. E noi non ne dubitiamo.
Anche se gli esempi di clamorose rotture ed inattese riappacificazioni fra direttori e teatri od orchestre sono innumerevoli - per tutti il caso di Toscanini e la Scala, appunto - non è facile riportare sul podio milanese dell'orchestra che lo ha sfiduciato, il direttore che per quasi vent'anni ha portato l'Orchestra della Scala ai massimi trionfi anche nel mondo. Certo tutto può accadere, ma prima che il Riccardo più famoso, ma anche furioso, torni a Milano, passerà ancora qualche anno, e forse il messaggino d'amore di Pereira e dell'altro Riccardo dovrà essere reiterato. Tanto costa poco, basta cliccare per inviarlo infinite volte. Nessuno si stanchi e smetta di farlo. E se lo facesse anche la sua ex orchestra....
Il Riccardo famoso, in Italia, dopo il suo abbandono dell'Opera di Roma ( dove pure sperano di riportacelo...campa cavallo!) lo si potrà ascoltare solo con la sua Orchestra Cherubini, o con la Chicago, in caso di tournée.
Però il prossimo luglio lo si vedrà anche in cattedra, e questa è davvero una buona notizia, perchè il Riccardo più famoso ha deciso di aprire a Ravenna sotto l'egida del festival di sua Moglie, una Accademia d'opera italiana, e già dai primi di luglio impartirà lezioni di direzione a quanti vi si iscriveranno, esaminando (concertando) il 'Falstaff' di Verdi, che dal 23 al 26 luglio, è già programmato al Ravenna Festival con Muti sul podio, in buca l'Orchestra Cherubini, regista Cristina Muti.
Insomma con una bacchetta, al posto della 'fava' del detto popolare, si prendono due piccioni: il corso per giovani musicisti frutto della vocazione all'insegnamento di Muti, e lo spettacolo d'opera al Festival, che fa contenta anche la signora.
Il destino li ha accostati, meglio contrapposti, senza colpa di nessuno. L'uno quello più di fama è uscito dalla Scala, e l'altro, forse più affamato di fama, vi è appena entrato per la porta principale, dopo lunga lunghissima anticamera e girovagare in Europa, per chiamata di Pereira.
Il quale Pereira, proprio in questi giorni ha lanciato un messaggino d'amore verso il più famoso dei Riccardi: 'torna a Milano, la Scala aspetta a te', con doppia firma, la sua e dell'altro Riccardo, che si professa sincero. E noi non ne dubitiamo.
Anche se gli esempi di clamorose rotture ed inattese riappacificazioni fra direttori e teatri od orchestre sono innumerevoli - per tutti il caso di Toscanini e la Scala, appunto - non è facile riportare sul podio milanese dell'orchestra che lo ha sfiduciato, il direttore che per quasi vent'anni ha portato l'Orchestra della Scala ai massimi trionfi anche nel mondo. Certo tutto può accadere, ma prima che il Riccardo più famoso, ma anche furioso, torni a Milano, passerà ancora qualche anno, e forse il messaggino d'amore di Pereira e dell'altro Riccardo dovrà essere reiterato. Tanto costa poco, basta cliccare per inviarlo infinite volte. Nessuno si stanchi e smetta di farlo. E se lo facesse anche la sua ex orchestra....
Il Riccardo famoso, in Italia, dopo il suo abbandono dell'Opera di Roma ( dove pure sperano di riportacelo...campa cavallo!) lo si potrà ascoltare solo con la sua Orchestra Cherubini, o con la Chicago, in caso di tournée.
Però il prossimo luglio lo si vedrà anche in cattedra, e questa è davvero una buona notizia, perchè il Riccardo più famoso ha deciso di aprire a Ravenna sotto l'egida del festival di sua Moglie, una Accademia d'opera italiana, e già dai primi di luglio impartirà lezioni di direzione a quanti vi si iscriveranno, esaminando (concertando) il 'Falstaff' di Verdi, che dal 23 al 26 luglio, è già programmato al Ravenna Festival con Muti sul podio, in buca l'Orchestra Cherubini, regista Cristina Muti.
Insomma con una bacchetta, al posto della 'fava' del detto popolare, si prendono due piccioni: il corso per giovani musicisti frutto della vocazione all'insegnamento di Muti, e lo spettacolo d'opera al Festival, che fa contenta anche la signora.
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sabato 15 novembre 2014
Fondazioni liriche rinnovabili. Grandi manovre a fine 2014
Fra un mese e mezzo circa, la legge chiede che i consigli di amministrazione delle fondazioni liriche vengano sciolti, al loro posto nominati i membri dei nuovi cosiddetti 'consigli di indirizzo' -' la più grande riforma dai tempi di Marconi', come è stata definita questa riforma epocale di un settore delle istituzioni culturali italiane - i quali indicheranno al Ministro per i beni e le attività culturali il nome del sovrintendente che il ministro suggellerà con la nomina ministeriale. Per evitare l'ingorgo di fine anno, molte fondazioni si sono già organizzate, hanno cambiato nome ai loro consigli di amministrazione, hanno nominato i nuovi membri secondo i nuovi criteri ( più o meno snelli tali consigli dei precedenti?) i quali a loro volta hanno segnalato al ministro - ed al suo direttore generale, non scordiamocelo mai - il nome del sovrintendente , il ministro gli ha fatto la nomina e buonanotte ai suonatori. In questa situazione sono ad esempio già Firenze, Torino, Palermo ed altri teatri, mentre i rimanenti della lista dei 14 si stanno preparando alla rivoluzione epocale.
Il ministro Franceschini, il primo con la barba dopo anni, ed il solito direttore generale, Nastasi, quello grande e grosso, dai tempi di Urbani al dicastero - chi era costui? - naturalmente controllano e si spartiscono le nomine, già preventivamente filtrate con i loro occhi - con gli occhi di Franceschini e Nastasi - dai solerti membri dei consigli di indirizzo e dai loro presidenti, che sono poi i sindaci delle città che ospitano i teatri. Con la qual cosa si chiude il cerchio che ricongiunge le istituzioni, anche culturali del nostro paese, alla politica.
Che c'entrerà mai la politica con le suddette istituzioni? C'entra moltissimo. Dai buoni rapporti con il potere dipendono l'ammontare dei finanziamenti, seppur soggetti a regole apparentemente ferree; i vari premi congiunti a tali finanziamenti; i finanziamenti extra relativi alla promozione di questo o quel teatro, e,infine, quelli relativi alle tournée ecc...insomma teatri e politica non sono indifferenti. E qui per politica si intende, quando si parla di grosse cifre, esclusivamente il Direttore generale ed il Ministro, contando pressoché nulla le varie commissioni consultive nominate dal ministro ( precisiamo: dal direttore generale che ha sempre le mani in pasta mentre i ministri vanno ad inaugurare musei e monumenti ma si occupano meno della cucina del ministero dove si preparano spesso anche piatti avvelenati) nell'ottica che preferisce persone dal 'sissignore' facile, cioè ubbidientissime. Si vedano i componenti della commissione Musica, da poco rinnovata, per convincersi.
Da questo giro di valzer, l'ennesimo, restano fuori due fondazioni. La Scala, che ormai ha dato mandato, come sovrintendente, a Pereira, ma 'a termine', e cioè fino alla fine del 2015 - poi si vedrà. Nel frattempo, il ministero, d'accordo con Pisapia, se regge all'EXPO, già si prepara alle grandi manovre. Anche per la Scala s'era fatto il nome, nelle more della nomina di Pereira, dopo l'annuncio della partenza anticipata di Lissner, indovinate di chi? di Salvo Nastasi. E, cioè, del 'grande e grosso ' direttore generale, il 'convitato di pietra' della cultura italiana, l'ingombrante 'commendatore' che su tutto vigila ed a cui fanno capo tutte le decisioni - ed è ormai noto che nei suoi lunghi anni di permanenza a via del 'Collegio romano' (sede del Ministero) di cappellate ne abbia prese più d'una. Ma occorre tenerselo, perchè non si riesce a disarcionarlo. I suoi protettori sono troppo forti e non lo mollano, sapendo di quale grande potere egli sia, indirettamente, punto di riferimento. In Italia il solo ministero dà alle Fondazioni liriche un paio di centinaia di milioni di Euro, ogni anno , e con la legge Bray 'salva fondazioni' altri sono lì pronti per essere dispensati alle fondazioni inguaiate, per debiti, ma desiderose - almeno sulla carta e nel segno dei buoni propositi - di sistemare le cose.
Resta fuori anche Santa Cecilia che ha uno statuto a sè al quale ora si aggiunge anche alla riconosciuta autonomia, che prevede che il presidente dell'Accademia, che poi il Ministero nominerà Sovrintendente, venga eletto dai musicisti. Un privilegio difeso a denti stretti da sempre con la scusa che i musicisti sappiano far meglio dei politici e, forti di tale convinzione, non vogliono che nella loro storica confraternita, estranei ci mettano il naso.
Mentre tutti sappiamo quali grandi manovre si stiano preparando e da tempo all'Accademia, esattamente da quando si sa dello scioglimento dell'attuale consiglio di amministrazione, dove sono presenti parecchi 'accademici' ceciliani, che se poi si va a vedere sono gli stessi che siedono nel consiglio di amministrazione della consorella Accademia Filarmonica Romana, sorella minore di quella ceciliana ma con una storia, più recente sì, ma nello stesso tempo altrettanto gloriosa che ora ha come presidente Paolo Baratta. (NON MANCA CHI VEDE ALL'OMBRA DELLA MUSICA QUALCHE ALTRA CONSORTERIA SEGRETA, MA NON TANTO). Vi dice qualcosa Il nome di Baratta? Se no, vi diciamo che è l'attuale presidente della Biennale veneziana, già al secondo o terzo mandato, in scadenza, che però chiede di esser confermato per fare le nomine dei responsabili dei vari settori che saranno in carica per i prossimi anni. Avete capito? Sì, è proprio ciò che state pensando. Baratta è uno di quei boiardi di Stato, anche bravo, che però non molla mai l'osso; di estrazione politica dichiarata di sinistra, molto amato dalla Natalia Aspesi, allo stesso modo in cui ci ha fatto capire di amare Lissner, ma non altrettanto Pereira.
Santa Cecilia, che piange da tempo l'uscita di scena, per ora solo minacciata, di Cagli - e chi l'ha detto che uscirà veramente di scena, passando il testimone ad un giovane aitante che in questi ultimi anni s'è cresciuto, istruendolo in ogni cosa - si prepara alla seconda tornata di elezioni, dalla quale potrebbe uscire il nome del nuovo presidente/sovrintendente, che a santa Cecilia, trattandosi di musicista (ma non è sempre così, come nel caso di... indovinate!) assomma anche la carica di direttore artistico (cosa che andrebbe rivista, perchè troppi gli incarichi per un sol uomo - forse non sarebbe male che il sovrintendente cedesse ad altri la direzione artistica, come già aveva fatto intravedere uno dei candidati delle passate elezioni interne, Giorgio Battistelli - come accade ora, essendo quella direzione artistica affollatissima di segretari artistici e coordinatori e consulenti, tutti ovviamente ben pagati, otre il sovrintendente/direttore artistico ed il direttore musicale).
La seconda tornata è fissata per il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, augurandoci tutti noi che la santa aiuti tanti ciechi, o semplicemente 'presbiti', accademici i quali nella prima tornata del 13 ottobre avevano dato 18 voti a Dall'Ongaro - il 'Commendatore' dell'Accademia, con la benedizione di Cagli, 10 voti a Battistelli e 10 a Cagli, il quale ultimo non si è ritirato dall'agone, nonostante gli annunci strazianti della vigilia e l'assenza di pressioni da parte degli accademici a restare.
Insomma mentre si attende il 13 dicembre traffici inimmaginabili stanno accadendo sotto la sguardo tenero e compassionevole della Santa della musica.
Fin d'ora, prima che si giunga alla fatidica data, ci impegniamo a tracciare un profilo dei candidati, accennando anche alle chances rispettive, ma anche a qualche irregolarità verificatasi al momento dell' ingresso fra gli accademici. Si tratta di cose che gli addetti ai lavori conoscono, seppure non tutti, ma il grande pubblico, che deve capire come vanno queste cose al mondo, non sa e neppure immagina. Le cose, si converrà, non sono così tranquillizzanti, e non vanno poi tanto bene neppure nelle storica 'Congregazione dei musici in Roma, sotto la protezione di Santa Cecilia', come si chiamava dapprincipio la gloriosa Accademia di Santa Cecilia.
Il ministro Franceschini, il primo con la barba dopo anni, ed il solito direttore generale, Nastasi, quello grande e grosso, dai tempi di Urbani al dicastero - chi era costui? - naturalmente controllano e si spartiscono le nomine, già preventivamente filtrate con i loro occhi - con gli occhi di Franceschini e Nastasi - dai solerti membri dei consigli di indirizzo e dai loro presidenti, che sono poi i sindaci delle città che ospitano i teatri. Con la qual cosa si chiude il cerchio che ricongiunge le istituzioni, anche culturali del nostro paese, alla politica.
Che c'entrerà mai la politica con le suddette istituzioni? C'entra moltissimo. Dai buoni rapporti con il potere dipendono l'ammontare dei finanziamenti, seppur soggetti a regole apparentemente ferree; i vari premi congiunti a tali finanziamenti; i finanziamenti extra relativi alla promozione di questo o quel teatro, e,infine, quelli relativi alle tournée ecc...insomma teatri e politica non sono indifferenti. E qui per politica si intende, quando si parla di grosse cifre, esclusivamente il Direttore generale ed il Ministro, contando pressoché nulla le varie commissioni consultive nominate dal ministro ( precisiamo: dal direttore generale che ha sempre le mani in pasta mentre i ministri vanno ad inaugurare musei e monumenti ma si occupano meno della cucina del ministero dove si preparano spesso anche piatti avvelenati) nell'ottica che preferisce persone dal 'sissignore' facile, cioè ubbidientissime. Si vedano i componenti della commissione Musica, da poco rinnovata, per convincersi.
Da questo giro di valzer, l'ennesimo, restano fuori due fondazioni. La Scala, che ormai ha dato mandato, come sovrintendente, a Pereira, ma 'a termine', e cioè fino alla fine del 2015 - poi si vedrà. Nel frattempo, il ministero, d'accordo con Pisapia, se regge all'EXPO, già si prepara alle grandi manovre. Anche per la Scala s'era fatto il nome, nelle more della nomina di Pereira, dopo l'annuncio della partenza anticipata di Lissner, indovinate di chi? di Salvo Nastasi. E, cioè, del 'grande e grosso ' direttore generale, il 'convitato di pietra' della cultura italiana, l'ingombrante 'commendatore' che su tutto vigila ed a cui fanno capo tutte le decisioni - ed è ormai noto che nei suoi lunghi anni di permanenza a via del 'Collegio romano' (sede del Ministero) di cappellate ne abbia prese più d'una. Ma occorre tenerselo, perchè non si riesce a disarcionarlo. I suoi protettori sono troppo forti e non lo mollano, sapendo di quale grande potere egli sia, indirettamente, punto di riferimento. In Italia il solo ministero dà alle Fondazioni liriche un paio di centinaia di milioni di Euro, ogni anno , e con la legge Bray 'salva fondazioni' altri sono lì pronti per essere dispensati alle fondazioni inguaiate, per debiti, ma desiderose - almeno sulla carta e nel segno dei buoni propositi - di sistemare le cose.
Resta fuori anche Santa Cecilia che ha uno statuto a sè al quale ora si aggiunge anche alla riconosciuta autonomia, che prevede che il presidente dell'Accademia, che poi il Ministero nominerà Sovrintendente, venga eletto dai musicisti. Un privilegio difeso a denti stretti da sempre con la scusa che i musicisti sappiano far meglio dei politici e, forti di tale convinzione, non vogliono che nella loro storica confraternita, estranei ci mettano il naso.
Mentre tutti sappiamo quali grandi manovre si stiano preparando e da tempo all'Accademia, esattamente da quando si sa dello scioglimento dell'attuale consiglio di amministrazione, dove sono presenti parecchi 'accademici' ceciliani, che se poi si va a vedere sono gli stessi che siedono nel consiglio di amministrazione della consorella Accademia Filarmonica Romana, sorella minore di quella ceciliana ma con una storia, più recente sì, ma nello stesso tempo altrettanto gloriosa che ora ha come presidente Paolo Baratta. (NON MANCA CHI VEDE ALL'OMBRA DELLA MUSICA QUALCHE ALTRA CONSORTERIA SEGRETA, MA NON TANTO). Vi dice qualcosa Il nome di Baratta? Se no, vi diciamo che è l'attuale presidente della Biennale veneziana, già al secondo o terzo mandato, in scadenza, che però chiede di esser confermato per fare le nomine dei responsabili dei vari settori che saranno in carica per i prossimi anni. Avete capito? Sì, è proprio ciò che state pensando. Baratta è uno di quei boiardi di Stato, anche bravo, che però non molla mai l'osso; di estrazione politica dichiarata di sinistra, molto amato dalla Natalia Aspesi, allo stesso modo in cui ci ha fatto capire di amare Lissner, ma non altrettanto Pereira.
Santa Cecilia, che piange da tempo l'uscita di scena, per ora solo minacciata, di Cagli - e chi l'ha detto che uscirà veramente di scena, passando il testimone ad un giovane aitante che in questi ultimi anni s'è cresciuto, istruendolo in ogni cosa - si prepara alla seconda tornata di elezioni, dalla quale potrebbe uscire il nome del nuovo presidente/sovrintendente, che a santa Cecilia, trattandosi di musicista (ma non è sempre così, come nel caso di... indovinate!) assomma anche la carica di direttore artistico (cosa che andrebbe rivista, perchè troppi gli incarichi per un sol uomo - forse non sarebbe male che il sovrintendente cedesse ad altri la direzione artistica, come già aveva fatto intravedere uno dei candidati delle passate elezioni interne, Giorgio Battistelli - come accade ora, essendo quella direzione artistica affollatissima di segretari artistici e coordinatori e consulenti, tutti ovviamente ben pagati, otre il sovrintendente/direttore artistico ed il direttore musicale).
La seconda tornata è fissata per il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, augurandoci tutti noi che la santa aiuti tanti ciechi, o semplicemente 'presbiti', accademici i quali nella prima tornata del 13 ottobre avevano dato 18 voti a Dall'Ongaro - il 'Commendatore' dell'Accademia, con la benedizione di Cagli, 10 voti a Battistelli e 10 a Cagli, il quale ultimo non si è ritirato dall'agone, nonostante gli annunci strazianti della vigilia e l'assenza di pressioni da parte degli accademici a restare.
Insomma mentre si attende il 13 dicembre traffici inimmaginabili stanno accadendo sotto la sguardo tenero e compassionevole della Santa della musica.
Fin d'ora, prima che si giunga alla fatidica data, ci impegniamo a tracciare un profilo dei candidati, accennando anche alle chances rispettive, ma anche a qualche irregolarità verificatasi al momento dell' ingresso fra gli accademici. Si tratta di cose che gli addetti ai lavori conoscono, seppure non tutti, ma il grande pubblico, che deve capire come vanno queste cose al mondo, non sa e neppure immagina. Le cose, si converrà, non sono così tranquillizzanti, e non vanno poi tanto bene neppure nelle storica 'Congregazione dei musici in Roma, sotto la protezione di Santa Cecilia', come si chiamava dapprincipio la gloriosa Accademia di Santa Cecilia.
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Roma, non ancora allagata, fa acqua da tutte le parti, dal Campidoglio all'Opera. Marino, ma anche Fuortes, dovrebbero ritirarsi in buon ordine.
I giornali locali di questi giorni sembrano bollettini di guerra, meglio: di vigilia di resa. Tutto il PD contro il sindaco della capitale - che è del PD. Il divorzio minacciato è ora annunciato, fra Ignazio Marino e il governo della città, e fra Ignazio Marino e il Presidente - anzi la Presidente della 'Commissione Cultura', l'avvenente battagliera Michela Di Biase, sposata Franceschini, la quale nella riunione del partito di ieri l'ha quasi insultato dicendo che non c'è cosa che egli sappia fare al momento giusto, compreso quella sortita tardiva fra la 'ggente di Tor Sapienza, nonostante tutti glielo avessero consigliato anzi chiesto da giorni e prima che il fuoco divampasse. Egli non demorde, vuole restare in cima alla classifica del più grande gaffeur che la storia recente di Roma ricordi, contendendo in detta classifica il primo posto all'ex rettore della Sapienza, Frati, che di gaffes ne inanellava una al giorno, e di una in particolare, noi stessi fummo testimoni in un tragicomica serata nell'Aula magna, al cospetto di Riccardo Muti cui il rettore consegnava il diploma di laurea honoris causa.
No Marino, anche a seguito del suo appoggio all'altro improponibile personaggio di questi giorni, Carlo Fuortes, nel suo insensato progetto di esternalizzare orchestra e coro dell'Opera, per il quale il mondo intero gli ha riso dietro, non può restare. Non ne ha indovinata una, anche senza parlare del Caso Valle, che lui magari si vanterà di aver risolto mentre invece i rivoltosi occupanti hanno solo ascoltato un invito, al quale non potevano dire di no, del potente direttore di Radio 3 e dell'Argentina, Marino Sinibaldi oltre che della veterana Giovanna Marinelli, promossa assessora, con grande scontento della Di Biase che a quell'incarico teneva e forse ci teneva anche suo marito Franceschini. Naturalmente passiamo sopra il pasticcio delle strisce blu per i parcheggi e mille altre cose nelle quali ha dato prova di essere quell'incapace che da subito i cittadini hanno stigmatizzato.
Con quale faccia crede di poter restare dopo la sconfessione generale dei cittadini e del suo stesso partito, non si capisce; come non si capisce neanche come faccia a restare, il suo sodale Fuortes, quand'anche alla fine riuscisse a mettere una toppa al disastro che ha contribuito ad aumentare all'Opera di Roma, dove cominciano a venir giù pezzi, quasi alla viglia della prima - mancano solo dieci giorni. Il soprano scritturato per Rusalka ha dichiarato forfait - per motivi di salute, si legge in un comunicato, ma noi temiamo che la sua malattia sia diplomatica, per non dispiacere a Muti; e non è ancora detto che gli altri pezzi tengano tutti; da qui al 27 potrebbero cadere anche altri, sempre che dal CDA del prossimo 23 si metta finalmente fine alla tragicommedia, messa in scena da Marino e Fuortes nello storico Costanzi.
Dal quale sempre il Fuortes incompetente, fa sapere che il Maestro Muti gli ha detto espressamente che egli non intende rinunciare alla sua carica di 'direttore onorario a vita', altra barzelletta che, comunque, si può inscenare anche a distanza, e cioè non mettendo più piede nel teatro dell'Opera di Roma.
No Marino, anche a seguito del suo appoggio all'altro improponibile personaggio di questi giorni, Carlo Fuortes, nel suo insensato progetto di esternalizzare orchestra e coro dell'Opera, per il quale il mondo intero gli ha riso dietro, non può restare. Non ne ha indovinata una, anche senza parlare del Caso Valle, che lui magari si vanterà di aver risolto mentre invece i rivoltosi occupanti hanno solo ascoltato un invito, al quale non potevano dire di no, del potente direttore di Radio 3 e dell'Argentina, Marino Sinibaldi oltre che della veterana Giovanna Marinelli, promossa assessora, con grande scontento della Di Biase che a quell'incarico teneva e forse ci teneva anche suo marito Franceschini. Naturalmente passiamo sopra il pasticcio delle strisce blu per i parcheggi e mille altre cose nelle quali ha dato prova di essere quell'incapace che da subito i cittadini hanno stigmatizzato.
Con quale faccia crede di poter restare dopo la sconfessione generale dei cittadini e del suo stesso partito, non si capisce; come non si capisce neanche come faccia a restare, il suo sodale Fuortes, quand'anche alla fine riuscisse a mettere una toppa al disastro che ha contribuito ad aumentare all'Opera di Roma, dove cominciano a venir giù pezzi, quasi alla viglia della prima - mancano solo dieci giorni. Il soprano scritturato per Rusalka ha dichiarato forfait - per motivi di salute, si legge in un comunicato, ma noi temiamo che la sua malattia sia diplomatica, per non dispiacere a Muti; e non è ancora detto che gli altri pezzi tengano tutti; da qui al 27 potrebbero cadere anche altri, sempre che dal CDA del prossimo 23 si metta finalmente fine alla tragicommedia, messa in scena da Marino e Fuortes nello storico Costanzi.
Dal quale sempre il Fuortes incompetente, fa sapere che il Maestro Muti gli ha detto espressamente che egli non intende rinunciare alla sua carica di 'direttore onorario a vita', altra barzelletta che, comunque, si può inscenare anche a distanza, e cioè non mettendo più piede nel teatro dell'Opera di Roma.
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venerdì 14 novembre 2014
Prima Sony poi DG. Da Giovanni Paolo II a Papa Francesco. Papi in disco
Non è la prima volta di un papa in CD. lo aveva fatto già Giovanni Paolo II, con il CD della Sony intitolato 'Abba Pater'. Conteneva preghiere con la voce del papa, e musiche (musicaccia) arrangiate da musicisti hollywoodiani. Fu presentato in pompa magna. A Roma, addirittura nella sala consigliare del Campidoglio, con i vecchi arredi lignei, ora sostituiti da nuovi di rara bruttezza.
Si disse allora che il CD sarebbe balzato in cima alle classifiche di vendita, giacché il mercato al quale si rivolgeva era grande quanto il mondo, essendo il messaggio cristiano, attraverso la preghiera, lanciato dalla stessa voce del Pontefice. La qual cosa lo rendeva unico.
Come siano andate le vendite non sappiamo, ma che si trattasse di un CD inutile fatto solo per far cassetta era indubitabile. Per fortuna che parte del ricavato, una volta detratte le spese di realizzazione - si disse - sarebbe andato ai bambini del mondo coinvolti in qualche progetto di riscatto sociale attraverso la musica.
Ora buon secondo ne arriva un altro di CD, anzi 2 - se abbiamo letto bene - dedicato alle 'voci di dentro' del Conclave, edito dalla DG, che spera di avere lo stesso successo di vendita del primo, ammesso che quello il successo commerciale sperato lo abbia avuto.
In questo secondo CD pontificio si possono ascoltare le musiche liturgiche e paraliturgiche prescritte per 'l'elezione del pontefice', dalla Messa che precede l'entrata nella clausura fino alla elezione ed all'insediamento. Si tratta in questo caso di canti eseguiti dai cardinali e, per le messe, anche dal papa medesimo, con l'aggiunta di brani gregoriani e polifonici affidati alle cappelle pontificie e, prima di ogni altra, alla Cappella Sistina, guidata da Mons. Palombella.
IN questo CD secondo si vuole puntare sull'aura di mistero che circonda l'elezione di un nuovo pontefice, nel caso di Papa Francesco, presieduta, se non addirittura ispirata, dallo Spirito Santo che ha dato alla Chiesa e al mondo un Papa, come meglio non si poteva desiderare. Trattandosi di scelta ispirata dal divino Spirito, è evidente che nessun vento ha portato fuori della Sistina eco delle lotte, dei traffici, degli accordi. Certo importa che il risultato finale sia ottimo.
E ci riferiamo esclusivamente a quello religioso, perché il risultato musicale dell'operazione non importa granché, almeno a noi. Basta collegarsi qualche domenica con la Radio Vaticana, magari in occasione di qualche celebrazione solenne, per ascoltare più o meno la stessa musica. Ma certo non è uguale a quella che si ascolta durante il periodo della 'sede vacante', grimaldello usato per far breccia nelle tasche degli acquirenti cattolici.
Si disse allora che il CD sarebbe balzato in cima alle classifiche di vendita, giacché il mercato al quale si rivolgeva era grande quanto il mondo, essendo il messaggio cristiano, attraverso la preghiera, lanciato dalla stessa voce del Pontefice. La qual cosa lo rendeva unico.
Come siano andate le vendite non sappiamo, ma che si trattasse di un CD inutile fatto solo per far cassetta era indubitabile. Per fortuna che parte del ricavato, una volta detratte le spese di realizzazione - si disse - sarebbe andato ai bambini del mondo coinvolti in qualche progetto di riscatto sociale attraverso la musica.
Ora buon secondo ne arriva un altro di CD, anzi 2 - se abbiamo letto bene - dedicato alle 'voci di dentro' del Conclave, edito dalla DG, che spera di avere lo stesso successo di vendita del primo, ammesso che quello il successo commerciale sperato lo abbia avuto.
In questo secondo CD pontificio si possono ascoltare le musiche liturgiche e paraliturgiche prescritte per 'l'elezione del pontefice', dalla Messa che precede l'entrata nella clausura fino alla elezione ed all'insediamento. Si tratta in questo caso di canti eseguiti dai cardinali e, per le messe, anche dal papa medesimo, con l'aggiunta di brani gregoriani e polifonici affidati alle cappelle pontificie e, prima di ogni altra, alla Cappella Sistina, guidata da Mons. Palombella.
IN questo CD secondo si vuole puntare sull'aura di mistero che circonda l'elezione di un nuovo pontefice, nel caso di Papa Francesco, presieduta, se non addirittura ispirata, dallo Spirito Santo che ha dato alla Chiesa e al mondo un Papa, come meglio non si poteva desiderare. Trattandosi di scelta ispirata dal divino Spirito, è evidente che nessun vento ha portato fuori della Sistina eco delle lotte, dei traffici, degli accordi. Certo importa che il risultato finale sia ottimo.
E ci riferiamo esclusivamente a quello religioso, perché il risultato musicale dell'operazione non importa granché, almeno a noi. Basta collegarsi qualche domenica con la Radio Vaticana, magari in occasione di qualche celebrazione solenne, per ascoltare più o meno la stessa musica. Ma certo non è uguale a quella che si ascolta durante il periodo della 'sede vacante', grimaldello usato per far breccia nelle tasche degli acquirenti cattolici.
giovedì 13 novembre 2014
Che cosa non si fa per il semestre di presidenza italiana della UE
Tutte le occasioni suono buone - ma non tutto è ugualmente buono per ogni occasione, e non da oggi - per spendere e spandere, anche in tempo di crisi.
Qualche esempio del passato, sperando che la memoria non ci tradisca. In occasione di un altro semestre italiano alla presidenza della Ue, o per qualche altra circostanza - fa lo stesso - l'Italia mandò a Bruxelles figli e figliastri, naturalmente a spese del governo (Non vogliamo neppure accennare agli ambasciatori della cultura italiani delle ultime Expo in Oriente o in Spagna. Roba da far venire i brividi!). E temiamo che la stessa cosa sarà per l'Expo di Milano dove in vetrina potrebbero andare anche degli impresentabili.
Solo che alcuni, senza ragione, vennero inseriti nella serie B e quindi pagati due soldi ( vedi l'Orchestra Giuseppe Verdi di Milano - non crediamo di sbagliarci! ) - altri invece, senza ragione, inseriti nella serie A e quindi superpagati ( non ricordiamo bene se la Scala o qualche altra orchestra). Solo per dire che ogni occasione è buona per ingrassare gli amici e affamare i nemici, non importa se i nemici sono meglio degli amici, sempre nemici restano per il potere.
Ora attraverso un comunicato appena giuntoci dall 'Opera di Firenze apprendiamo che l'Orchestra del teatro, sta per fare una tournée 'mordi e fuggi' in Medio oriente, negli Emirati, in occasione della presidenza italiana della UE.
Dallo stesso comunicato, nel quale non si fa cenno ovviamente al vile denaro dei costi di una impresa così inutile e fuorviante, veniamo a sapere che trattasi di un'orchestra da camera che l'avvio del comunicato non faceva in nessun modo capire. E cioè di 24 musicisti, neppure diretti da chi fa parte stabilmente dell'attività del teatro di Firenze, e cioè da Francesco Maria Sardelli, specialista in Barocco, anzi egli stesso musicista barocco, seppure fuori tempo, e Vivaldi redivivo, essendo del musicista veneziano forse lo studioso più accreditato ed autorevole. E il programma - prosegue il comunicato - è composto dalle più belle o importanti - gli aggettivi contano poco, perchè sono quelli di circostanza - 'sinfonie classiche - continua testualmente - da Vivaldi a Veracini'.
Ora ciò che non sta in piedi è l'affermazione che a Dubai vada l'orchestra del teatro dell'Opera di Firenze - sarebbe stato meglio dire: un'orchestrina del teatro - e di tale orchestrina, non scrivere che esegue le più... sinfonie classiche (?), bensì musiche di Vivaldi e Veracini ecc... Sanno cosa scrivono dall'ufficio stampa? Temiamo di no.
Comunque, buon viaggio!
Qualche esempio del passato, sperando che la memoria non ci tradisca. In occasione di un altro semestre italiano alla presidenza della Ue, o per qualche altra circostanza - fa lo stesso - l'Italia mandò a Bruxelles figli e figliastri, naturalmente a spese del governo (Non vogliamo neppure accennare agli ambasciatori della cultura italiani delle ultime Expo in Oriente o in Spagna. Roba da far venire i brividi!). E temiamo che la stessa cosa sarà per l'Expo di Milano dove in vetrina potrebbero andare anche degli impresentabili.
Solo che alcuni, senza ragione, vennero inseriti nella serie B e quindi pagati due soldi ( vedi l'Orchestra Giuseppe Verdi di Milano - non crediamo di sbagliarci! ) - altri invece, senza ragione, inseriti nella serie A e quindi superpagati ( non ricordiamo bene se la Scala o qualche altra orchestra). Solo per dire che ogni occasione è buona per ingrassare gli amici e affamare i nemici, non importa se i nemici sono meglio degli amici, sempre nemici restano per il potere.
Ora attraverso un comunicato appena giuntoci dall 'Opera di Firenze apprendiamo che l'Orchestra del teatro, sta per fare una tournée 'mordi e fuggi' in Medio oriente, negli Emirati, in occasione della presidenza italiana della UE.
Dallo stesso comunicato, nel quale non si fa cenno ovviamente al vile denaro dei costi di una impresa così inutile e fuorviante, veniamo a sapere che trattasi di un'orchestra da camera che l'avvio del comunicato non faceva in nessun modo capire. E cioè di 24 musicisti, neppure diretti da chi fa parte stabilmente dell'attività del teatro di Firenze, e cioè da Francesco Maria Sardelli, specialista in Barocco, anzi egli stesso musicista barocco, seppure fuori tempo, e Vivaldi redivivo, essendo del musicista veneziano forse lo studioso più accreditato ed autorevole. E il programma - prosegue il comunicato - è composto dalle più belle o importanti - gli aggettivi contano poco, perchè sono quelli di circostanza - 'sinfonie classiche - continua testualmente - da Vivaldi a Veracini'.
Ora ciò che non sta in piedi è l'affermazione che a Dubai vada l'orchestra del teatro dell'Opera di Firenze - sarebbe stato meglio dire: un'orchestrina del teatro - e di tale orchestrina, non scrivere che esegue le più... sinfonie classiche (?), bensì musiche di Vivaldi e Veracini ecc... Sanno cosa scrivono dall'ufficio stampa? Temiamo di no.
Comunque, buon viaggio!
mercoledì 12 novembre 2014
Ciò che Fuortes non spiega alla Commissione Cultura della Camera dei Deputati. E cioè l'esternalizzazione
Dal Sole 24 Ore apprendiamo che Fuortes è stato ascoltato dalla Commissione Cultura della Camera dei Deputati, dove ha fatto la rivelazione della sua azione salvatrice degli 'esuberi'- non erano 'licenziati'? - come li chiama il quotidiano, non sappiamo se l'ha detto Fuortes o è stato inventato dal giornale.
Fuortes ha detto che siamo ormai sulla buona strada per ritirare i licenziamenti, essendo stato individuato il modo per coprire il deficit di quasi 4 milioni di Euro che si annuncia, senza correzioni e risparmi, nel bilancio del 2015.
Ma per la stagione che sta per cominciare - come accade ormai da tempo per i dati economici del nostro paese, sempre più negativi delle previsioni - temiamo che l'assurdo titolo inaugurale ( Rusalka) al posto di 'Aida', che avrebbe dovuto dirigere Muti, si rivelerà al botteghino un fiasco. L'ennesimo di un teatro che non è ben governato, a cominciare dal sovrintendente che capisce molto poco di quello che fa.
Però ha anche rivelato che Muti, ormai fuggito a gambe levate da Roma, ha manifestato la sua intenzione di restare comunque 'direttore onorario a vita' dall'Opera di Fuortes. Una barzelletta ( il titolo offerto ed accettato dal maestro, che non voleva esser coinvolto nel teatro con un incarico vero) che si tinge di tragicità.
Comunque Fuortes, se l'è fatta sotto, ed adesso corre ai ripari, volendo dimostrare, dopo aver fatto il casino, che sa come cancellarlo. Lui ha già in tasca la ricetta per sistemare tutto, ritirando preventivamente i licenziamenti, decisione che annuncerà ufficialmente dopo il CDA del prossimo 23 novembre, quando sottoporrà ai consiglieri il piano di rientro del deficit, in base al quale non si renderanno più necessari i licenziamenti.
Ciò che però Fuortes non ha spiegato nè alla Commissione del Parlamennto e neppure all'opinione pubblica è la ragione - ed anche il suggeritore occulto, ma non tanto ( Nastasi) - di quella folle idea di esternalizzare orchestra e coro in un teatro che si prefigge di aumentare di molto la produttività. Sì, pensava follemente il Fuortes incompetente, aperto tutti i giorni ma con orchestra esterna.
Perchè non ha spiegato a nessuno ancora come mai mezzo mondo gli si sia rivoltato contro dicendo che non capiva ciò che faceva e solo per questo si doveva togliere di mezzo? Perché da tutta Europa gli si è dato dell'incompetente? Perché nessuno al mondo capisce come si governa un teatro e solo lui lo sa? Forse che sono tutti sfaticati - anche dove i teatri restano aperti tutte le sere - e quindi vogliono difendere situazioni di privilegio? Perchè il suo progetto di 'esternalizzare' è stato tacciato di follia distruttrice?
Se glielo ha suggerito Nastasi lo dica, e faccia prendere anche a lui la dose di fischi e di insulti che da tempo si merita; non li tenga tutti per sè, anche se tra 'fratelli' - come più d'uno va insinuando - ci si dà sempre una mano. Fratelli sì, ma perchè anche fessi (o criminali)? Aspettiamo.
Oggi o domani, prima che esca di scena, o magari anche dopo, una spiegazione della sua folle idea Fuortes deve fornirla. perchè se non rivelerà il creatore di tale follia, la sua carriera, già compromessa, sarà finita del tutto, nonostante i successi all'Auditorium e la fiorente attività della sua società, IZI spa, che fornisce pareri alla pubblica amministrazione, dove forse sarebbe da cercare il successo stratosferico venutogli negli ultimissimi anni.
Fuortes ha detto che siamo ormai sulla buona strada per ritirare i licenziamenti, essendo stato individuato il modo per coprire il deficit di quasi 4 milioni di Euro che si annuncia, senza correzioni e risparmi, nel bilancio del 2015.
Ma per la stagione che sta per cominciare - come accade ormai da tempo per i dati economici del nostro paese, sempre più negativi delle previsioni - temiamo che l'assurdo titolo inaugurale ( Rusalka) al posto di 'Aida', che avrebbe dovuto dirigere Muti, si rivelerà al botteghino un fiasco. L'ennesimo di un teatro che non è ben governato, a cominciare dal sovrintendente che capisce molto poco di quello che fa.
Però ha anche rivelato che Muti, ormai fuggito a gambe levate da Roma, ha manifestato la sua intenzione di restare comunque 'direttore onorario a vita' dall'Opera di Fuortes. Una barzelletta ( il titolo offerto ed accettato dal maestro, che non voleva esser coinvolto nel teatro con un incarico vero) che si tinge di tragicità.
Comunque Fuortes, se l'è fatta sotto, ed adesso corre ai ripari, volendo dimostrare, dopo aver fatto il casino, che sa come cancellarlo. Lui ha già in tasca la ricetta per sistemare tutto, ritirando preventivamente i licenziamenti, decisione che annuncerà ufficialmente dopo il CDA del prossimo 23 novembre, quando sottoporrà ai consiglieri il piano di rientro del deficit, in base al quale non si renderanno più necessari i licenziamenti.
Ciò che però Fuortes non ha spiegato nè alla Commissione del Parlamennto e neppure all'opinione pubblica è la ragione - ed anche il suggeritore occulto, ma non tanto ( Nastasi) - di quella folle idea di esternalizzare orchestra e coro in un teatro che si prefigge di aumentare di molto la produttività. Sì, pensava follemente il Fuortes incompetente, aperto tutti i giorni ma con orchestra esterna.
Perchè non ha spiegato a nessuno ancora come mai mezzo mondo gli si sia rivoltato contro dicendo che non capiva ciò che faceva e solo per questo si doveva togliere di mezzo? Perché da tutta Europa gli si è dato dell'incompetente? Perché nessuno al mondo capisce come si governa un teatro e solo lui lo sa? Forse che sono tutti sfaticati - anche dove i teatri restano aperti tutte le sere - e quindi vogliono difendere situazioni di privilegio? Perchè il suo progetto di 'esternalizzare' è stato tacciato di follia distruttrice?
Se glielo ha suggerito Nastasi lo dica, e faccia prendere anche a lui la dose di fischi e di insulti che da tempo si merita; non li tenga tutti per sè, anche se tra 'fratelli' - come più d'uno va insinuando - ci si dà sempre una mano. Fratelli sì, ma perchè anche fessi (o criminali)? Aspettiamo.
Oggi o domani, prima che esca di scena, o magari anche dopo, una spiegazione della sua folle idea Fuortes deve fornirla. perchè se non rivelerà il creatore di tale follia, la sua carriera, già compromessa, sarà finita del tutto, nonostante i successi all'Auditorium e la fiorente attività della sua società, IZI spa, che fornisce pareri alla pubblica amministrazione, dove forse sarebbe da cercare il successo stratosferico venutogli negli ultimissimi anni.
Classic Voice si documenti veramente nelle sue inchieste
Una rivista che ogni mese propone ai suoi lettori una inchiesta bisogna che la faccia sul campo non fidandosi dei dati che questa o quella istituzione fornisce, perché il più delle volte sono dati falsi, o per lo meno falsificati.
Corrisponde a verità il fatto che , ad esempio, il costo di orchestra e coro a Roma, incide per il 20% sul bilancio dell'ente, dunque i cosiddetti costi fissi che nei nostri teatri raggiungono oltre il 75% del budget generale, non possono essere attribuiti tutti ai musicisti che delle istituzioni operistiche sono la spina dorsale. O no? E gli amministrativi, il sovrintendente e gli altri componenti i vertici, quanto incidono? Perchè nessuno si è preso la briga, fra una inchiesta e l'altra, di andare a controllare le ondate di assunzioni nei teatri, ad ogni cambio di colore dell'amministrazione comunale che, come si sa, ha la presidenza del teatro cittadino? Quelli non si toccano, producano o meno, non importa, siano pochi e troppi importa ancora meno. La croce ricade solo sulle spalle dei musicisti che hanno stipendi non così lusinghieri: in media il 20% inferiori a quelli dei loro simili fuori d'Italia.
Che però lavorano molto di più. Questo l'inchiesta lo dice appena, ma sbaglia quando fa la classifica dei teatri nei quali si lavora di più. Un tempo al primo posto c'era il Massimo di Palermo, che faceva un migliaio di concerti l'anno, con il teatro chiuso. Una idea brillante. ogni giorno quattro cinque strumentisti facevano una decina di concerti e così la somma cresceva, come pure i contributi statali e regionali, facendone il teatro più mangiasoldi d'Italia. Ora con Giambrone ed Orlando non sarà più così, per l'eternità.
Nell'inchiesta di Classic Voice, le giornate lavorative dei musicisti dei teatri ( calcolate sulla base di prove, concerti e recite serali) sono basse e sono soprattutto false, come nel caso del San Carlo di Napoli che, quest'anno, con una settantina di recite d'opera, forse meno, sventola la bellezza di 217 giorni lavorativi. Sono cifre inventate che Classic Voice non va a controllare e neppure smentisce. E allora che razza di inchiesta è?
La verità, soltanto accennata, è che in Italia i Teatri producono poco, molto poco, e, di conseguenza i musicisti lavorano altrettanto poco. Dovrebbero assicurare, almeno i 14 più importanti, una presenza costante del repertorio operistico nelle grandi città. E, invece , non lo fanno, tutti puntano all'evento - che poi evento non risulta essere - si preparano per settimane e tengono aperto il teatro una sera ogni cinque.
Colpa dei sovrintendenti, tuona Classic Voice, che non sanno organizzare il lavoro per aumentarne la produttività. Vero, ma allora occorre dire anche che i teatri devono aprire quasi ogni sera, che i cachet dei solisti devono essere abbassati - non ci si venga a dire che esiste un calmiere, tutti lo sanno, nessuno lo applica perchè trova il modo per aggirarlo - gli allestimenti devono costare meno, molto meno di quanto non costano oggi, e devono essere ripresi anche nelle stagioni successive al debutto, e poi i prezzi dei biglietti devono essere abbassati per avere ogni sera il teatro pieno. Questo significa mettere a frutto i finanziamenti pubblici.
E poi, ultima cosa, chi sbaglia e non sa amministrare va via, non senza aver prima pagato gli errori fatti. Anche questo non si fa, purtroppo non solo in Italia ed anche in nessuna altra parte del mondo. Vero è, però, che ladri, imbroglioni ed incapaci, quanti ce ne sono in Italia ai vertici delle istituzioni culturali pubbliche, messi lì da politici ignoranti, corrotti ed incompetenti, non ce ne sono nel resto del mondo.
Corrisponde a verità il fatto che , ad esempio, il costo di orchestra e coro a Roma, incide per il 20% sul bilancio dell'ente, dunque i cosiddetti costi fissi che nei nostri teatri raggiungono oltre il 75% del budget generale, non possono essere attribuiti tutti ai musicisti che delle istituzioni operistiche sono la spina dorsale. O no? E gli amministrativi, il sovrintendente e gli altri componenti i vertici, quanto incidono? Perchè nessuno si è preso la briga, fra una inchiesta e l'altra, di andare a controllare le ondate di assunzioni nei teatri, ad ogni cambio di colore dell'amministrazione comunale che, come si sa, ha la presidenza del teatro cittadino? Quelli non si toccano, producano o meno, non importa, siano pochi e troppi importa ancora meno. La croce ricade solo sulle spalle dei musicisti che hanno stipendi non così lusinghieri: in media il 20% inferiori a quelli dei loro simili fuori d'Italia.
Che però lavorano molto di più. Questo l'inchiesta lo dice appena, ma sbaglia quando fa la classifica dei teatri nei quali si lavora di più. Un tempo al primo posto c'era il Massimo di Palermo, che faceva un migliaio di concerti l'anno, con il teatro chiuso. Una idea brillante. ogni giorno quattro cinque strumentisti facevano una decina di concerti e così la somma cresceva, come pure i contributi statali e regionali, facendone il teatro più mangiasoldi d'Italia. Ora con Giambrone ed Orlando non sarà più così, per l'eternità.
Nell'inchiesta di Classic Voice, le giornate lavorative dei musicisti dei teatri ( calcolate sulla base di prove, concerti e recite serali) sono basse e sono soprattutto false, come nel caso del San Carlo di Napoli che, quest'anno, con una settantina di recite d'opera, forse meno, sventola la bellezza di 217 giorni lavorativi. Sono cifre inventate che Classic Voice non va a controllare e neppure smentisce. E allora che razza di inchiesta è?
La verità, soltanto accennata, è che in Italia i Teatri producono poco, molto poco, e, di conseguenza i musicisti lavorano altrettanto poco. Dovrebbero assicurare, almeno i 14 più importanti, una presenza costante del repertorio operistico nelle grandi città. E, invece , non lo fanno, tutti puntano all'evento - che poi evento non risulta essere - si preparano per settimane e tengono aperto il teatro una sera ogni cinque.
Colpa dei sovrintendenti, tuona Classic Voice, che non sanno organizzare il lavoro per aumentarne la produttività. Vero, ma allora occorre dire anche che i teatri devono aprire quasi ogni sera, che i cachet dei solisti devono essere abbassati - non ci si venga a dire che esiste un calmiere, tutti lo sanno, nessuno lo applica perchè trova il modo per aggirarlo - gli allestimenti devono costare meno, molto meno di quanto non costano oggi, e devono essere ripresi anche nelle stagioni successive al debutto, e poi i prezzi dei biglietti devono essere abbassati per avere ogni sera il teatro pieno. Questo significa mettere a frutto i finanziamenti pubblici.
E poi, ultima cosa, chi sbaglia e non sa amministrare va via, non senza aver prima pagato gli errori fatti. Anche questo non si fa, purtroppo non solo in Italia ed anche in nessuna altra parte del mondo. Vero è, però, che ladri, imbroglioni ed incapaci, quanti ce ne sono in Italia ai vertici delle istituzioni culturali pubbliche, messi lì da politici ignoranti, corrotti ed incompetenti, non ce ne sono nel resto del mondo.
martedì 11 novembre 2014
Ignazio Marino. Ovvero: una sciagura si è abbattuta su Roma
Al sindaco Marino non gliene va bene una, e peggio va, di conseguenza, ai romani.Tutti lo schifano, quando interviene fa disastri, anche se poi si rivolge ai romani come un lecchino, inutilmente e senza nessun ritorno positivo per lui : mi rivolgo alle romane ed ai romani. In un minuto è capace di ripeterlo anche tre o quattro volte. Ai romani, caro Marino, non importa tutta questa delicatezza se poi a tutti, romane e romani, tenti di metterglielo... - perdonateci il turpiloquio, ma Marino te lo tira di bocca - come nel caso dei parcheggi.
Ieri siamo andati alla manifestazione in piazza santi Apostoli; ci interessava vedere quale altra batosta il Campidoglio ed i suoi emissari nelle varie istituzioni si sarebbero beccati. E, puntualmente, ne ha prese di botte sia il Campidoglio che i suoi emissari, nel caso specifico il sovrintendente dell'Opera di Roma, Fuortes.
In centro, siamo andati in macchina anche per vedere le grandi novità: il centro senza macchine, la Barcaccia restaurata. Abbiamo parcheggiato la macchina a Villa Borghese, nel parcheggio sotterraneo, che fino alle ultime decisioni di Marino, ci sembrava di costo non esorbitante. Ora un cartello avverte, all'ingresso, che il costo del parcheggio è di Euro 2.20 per ogni ora o frazione di ora, superiore dunque anche al costo dei parcheggi 'blu' all'aperto, e che il parcheggio per l'intera giornata è di Euro 18.00.
Noi l'abbiamo lasciata lì esattamente per 3 ore e 10 minuti e alla cassa automatica abbiamo pagato la bella somma di 8.80 Euro. Ladrone di un sindaco!
Il quale, poi, non paga le multe e usufruisce del parcheggio gratuito, riservato, come senatore, anche quando non ne ha più diritto. Bella coerenza. Non ci frega con quelle sue foto in bici.
Per favore, chi può ci liberi della sciagura che con il governo Marino si è abbattuta sulla città.
Ieri siamo andati alla manifestazione in piazza santi Apostoli; ci interessava vedere quale altra batosta il Campidoglio ed i suoi emissari nelle varie istituzioni si sarebbero beccati. E, puntualmente, ne ha prese di botte sia il Campidoglio che i suoi emissari, nel caso specifico il sovrintendente dell'Opera di Roma, Fuortes.
In centro, siamo andati in macchina anche per vedere le grandi novità: il centro senza macchine, la Barcaccia restaurata. Abbiamo parcheggiato la macchina a Villa Borghese, nel parcheggio sotterraneo, che fino alle ultime decisioni di Marino, ci sembrava di costo non esorbitante. Ora un cartello avverte, all'ingresso, che il costo del parcheggio è di Euro 2.20 per ogni ora o frazione di ora, superiore dunque anche al costo dei parcheggi 'blu' all'aperto, e che il parcheggio per l'intera giornata è di Euro 18.00.
Noi l'abbiamo lasciata lì esattamente per 3 ore e 10 minuti e alla cassa automatica abbiamo pagato la bella somma di 8.80 Euro. Ladrone di un sindaco!
Il quale, poi, non paga le multe e usufruisce del parcheggio gratuito, riservato, come senatore, anche quando non ne ha più diritto. Bella coerenza. Non ci frega con quelle sue foto in bici.
Per favore, chi può ci liberi della sciagura che con il governo Marino si è abbattuta sulla città.
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