mercoledì 19 novembre 2014

Due ubriachi al timone dell'Opera di Roma, Fuortes e Marino, sono troppi

Gli ubriachi, due non uno, in senso figurato - perché potrebbero anche essere astemi, ma non astemi da incompetenza e stupidità come hanno dimostrato in questi ultimi mesi - sono il sovrintendente Fuortes e il sindaco Marino che, ora, si fanno vanto di aver tenuto duro, perché avendo tenuto duro, dicono nell'euforia dell'ubriacatura della pace ritrovata, hanno ottenuto che sul mare burrascoso nel quale si apprestava a navigare pericolosamente la  loro nave, l'Opera di Roma,  tornasse il sereno.
Finalmente si è arrivati al risultato che si poteva raggiungere  molto prima se solo l'incompetente Fuortes ed il suo capitano in seconda Marino, gli 'schettino' romani, avessero tentato di raddrizzare tempestivamente il timone per non mandare la nave a sbattere sugli scogli, evitando gli scioperi ad oltranza, l'uscita di Muti e la minaccia idiota della cosiddetta 'esternalizzazione' per la quale si sono sentiti  insultare da mezzo mondo musicale.
 Oggi potrebbe essere tornato il sereno su quel mare burrascoso, e la nave riprendere la sua navigazione,  tappate le falle sui fianchi, prodotte dall'impatto sui vari scogli.
 I due 'schettino' però proseguono nel sostenere che la loro carta nautica era corretta, senza ammettere che forse, se era corretta - come sostengono - a maggior ragione a loro doveva essere tolta la responsabilità della navigazione, non avendola saputo neanche leggere.
 Marino dice che la 'faccia feroce' era necessaria, perché  ha prodotto il risultato desiderato; Fuortes aggiunge che lui la 'faccia feroce' non l'aveva mai del tutto sposata, e che il ritorno alla 'faccia fessa' era, fin dall'inizio, la seconda soluzione  a portata di mano. Fuori di metafora:  i licenziamenti erano stati minacciati, ma lui era certo che nessuno sarebbe stato licenziato, perché nel corso delle trattative successive - come previste ed indicate dalla legge - si sarebbe arrivati alla soluzione: il ritiro dei licenziamenti. Ma allora, verrebbe da chiedergli - anche se a questo punto non serve infierire su una persona che ha sbagliato su tutti i fronti - perché durante gli incontri di questi mesi lui s'è chiuso in cabina, uscendone soltanto quando ormai sindacati e teatro avevano trovato i punti di un possibile accordo? Era o non era lui il timoniere della nave?
 E poi, dopo tutto ciò che gli è stato detto da quelli che ne capiscono in gestione di teatri, perché continua a dire che il modello di teatro con 'orchestra e coro esternalizzati' è una possibile soluzione? Non è una soluzione, 'schettino' Fuortes,  sarebbe un secondo sicuro naufragio.
 E del grand'ammiraglio Muti, che ne è? Fuortes dice di averlo sentito a telefono, dice pure che lui resta 'direttore onorario a vita' e, infine,  che se vorrà tornare, le porte del teatro per lui sono sempre aperte. Gli tengono sempre prenotata la sua cabina/suite 'executive' sulla nave dell'Opera di Roma.
 Muti, è fin troppo chiaro che non tornerà, e perciò gli 'schettino' romani, prima di lasciare definitivamente il timone della nave dell'Opera in mani più esperte ( loro non possono restare, tutto l'equipaggio, il personale ed anche i passeggeri, ogni momento potrebbero rivoltarglisi contro, memori delle inefficienze  di questi mesi) devono necessariamente  provvedere alla  sostituzione del grand'ammiraglio - ma non con una soubrette, come era stato già ventilato, perché allora la sostituzione sarebbe disastrosa e  ingiuriosa nei confronti del grand'ammiraglio, più ingiuriosa perfino dalla stessa sua fuga con scialuppa di salvataggio per non annegare)- come  anche alla sostituzione del responsabile del corpo di ballo della nave  -  lo si scelga con oculatezza, badando alla competenza e non al sesso o alla beltà - e, infine, dell'impresario/ segretario artistico di Muti,  Alessio Vlad. Poi abbandonino definitivamente la nave, i due 'schettino'.
 In questo frangente di pace ritrovata, s'è rifatto vivo il manovratore, il grande e grosso direttore generale del ministero, Nastasi, il quale ha elogiato la felice conclusione, definendola un modello per tutti i teatri italiani. Ora, se si riferiva al fatto che orchestra e coro hanno abbassato le loro pretese, cancellando anche privilegi impossibili, possiamo essere d'accordo con lui, se invece - come temiamo - intendeva, in perfetto accordo con Fuortes, la cosiddetta 'esternalizzazione' di cui è il teorico, coltivando da tempo il progetto di smantellare il sistema musicale italiano, riducendo i teatri a luoghi non più di produzione,  ma a  semplici terminali di distribuzione, allora gli diciamo che vada a quel paese, sperando che qualcuno lo metta anche a tacere, cosa che neanche Franceschini riesce e sa fare.

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