Piergiorgio Odifreddi traccia sulle pagine centrali di Repubblica di oggi un elogio del numero zero, o del vuoto nella materia, e di alcuni numeri 'zero' presenti in ogni ambito attraverso le rispettive incarnazioni, citandone anche due musicali, di grande rilievo, dove lo zero sta per il silenzio prima della musica, il vuoto prima del suono. E cita la celebre 'Quinta sinfonia' di Beethoven con il tema del 'destino' preceduto da una pausa ( silenzio, vuoto, 'zero' musica), ed il celeberrimo provocatorio brano di John Cage, che reca come titolo un numero ( 4'33") che sta ad indicare quanto tempo il pianista debba restare, fra la meraviglia di tutti - che è poi ciò che interessava soprattutto al provocatore musicista americano - davanti al pianoforte senza toccare, e neppure sfiora, nessun tasto.
Ad Odifreddi ( che con la musica ha già intrattenuto diversi rapporti, fra i quali si ricorda la partecipazione al chiuso dell'Auditorium di Roma come commentatore scientifico, dell'inutile performance dei quattro elicotteri, per eseguire l'omonimo quartetto di Stockhausen) vorremmo solo suggerire, per la prossima ristampa del suo libro, un'aggiunta. Esiste in Italia un gruppo musicale che si dedica alla musica contemporanea, nella quale ancora non si può parlare di 'repertorio', giacchè non v'è brano che sia entrato definitivamente nel numero di quelli regolarmente eseguiti. L'Ensemble ha voluto perciò chiamarsi 'Repertorio zero'. Odifreddi se ne ricordi e lo citi prossimamente nel suo libro o anche altrove.
All'Opera di Roma, dove il CDA oggi dovrebbe ufficialmente ritirare i licenziamenti e dar corso all'accordo presentato dagli orchestrali e coristi per il loro rientro definitivo nella pianta stabile del teatro, i tecnici hanno addossato ai musicisti - loro li chiamano artisti - la colpa del deficit di bilancio. Insomma se il teatro è in rosso, la colpa è degli orchestrali e coristi, sostengono i tecnici del teatro, e magari con loro anche gli amministrativi che affollano gli uffici, messi lì ad ondate regolari, ogni volta che cambiava il governo della città od anche il ministro della cultura che, sussurrandone il nome, aveva sempre qualcuno da infilarci in teatro - non solo in quello di Roma - forte del fatto che senza i soldi statali, a dispetto della 'riforma Veltroni' ( un pateracchio!), i teatri chiuderebbero tutti nel giro di 24 ore.
Per restare all'Opera di Roma, tolti orchestra e coro, resterebbero fra tecnici ed amministrativi altri 300 e passa dipendenti, essendo orchestra e coro pari a 180, e la pianta stabile del teatro intorno alle 500 unità. Dunque 180 musicisti costerebbero più dei 300 e passa impiegati, tecnici ed amministrativi. Bugie!
E' stato dimostrato che il costo delle cosiddette 'masse artistiche' -volgarmente inserite nella voce 'costi fissi' - è il 12% del bilancio complessivo del teatro romano, nel quale ovviamente vanno messe anche le spese degli allestimenti e degli artisti scritturati per i vari titoli d'opera. Oltre naturalmente la pletora di collaboratori che rientrano nella voce 'raccomandati', perchè 'inutili'.
Ai tecnici , andrebbe fatto capire che senza musicisti, che teatro sarebbe? che farebbero tecnici ed amministrativi senza di loro? E' perfino superfluo, ma a questo punto necessario, far loro capire che un teatro è innanzitutto e soprattutto musica e dunque le cosiddette masse artistiche sono 'conditio sine qua non' dell'esistenza e dell'attività di un teatro. Potremmo anche aggiungere: costino quel che costino. Con giudizio, naturalmente.
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