La Scala ha venduto al kazakistan - non al governo di quel paese, ma al suo teatro nazionale o come cavolo si chiama - l'allestimento (con annessa regia) della celeberrima grandiosa 'Aida' di Franco Zeffirelli, fatta per la Scala, ripresa decine e decine di volte, la cui proprietà, fatta salvi i diritti delgi autori, è totalmente scaligera. Zeffirelli l'ha presa male: un mio allestimento venduto. un allestimento fra i più celebrati? Colpa del disprezzo che del mio lavoro ha sempre mostrato di avere Lissner ed il suo giro di pseudo intellettualoidi, i quali ora sono migrati in altre lande a fra disastri.
Zeffirelli insomma non accetta neppure una vendita o cessione fatta rispettando tutte le leggi ed i diritti. La Scala gli risponde che i diritti degli autori ( lo stesso Zeffirelli e Millenotti, il costumista) sono stati rispettati ed a loro è stato corrisposto quanto dovuto. A Zeffirelli non basta. Lui legge tale vendita come un atto di lesa maestà di un artista osannato e portato in trionfo nel mondo, mentre da noi no o molto meno.
La Scala gli ha detto anche che è proprietaria di una ventina di allestimenti dello scenografo-regista e che tali allestimenti sono stati ripresi complessivamente almeno cinquecento volte nel corso degli anni, e cita come esempio anche il fatto che fra breve tornerà in scena anche il celeberrimo suo allestimento di Bohème di Puccini. Dunque nessun atto di lesa maestà.
Se poi La Scala vuole vendere per far soldi, è nel suo diritto. Zeffirelli certo potrebbe rispondere: perché allora non vendete allestimenti meno famosi e celebrati? E la Scala : perché nessuno li vuole, e perché quegli allestimenti, come l'Aida, di Zeffirelli, in una nazione 'del terzo mondo' senza offesa per il Teatro del kazakistan - fanno colpo molto di più di tanti altri che nel vecchio mondo europeo piacciono tanto agli intellettuali. E Zeffirelli: quindi preferite privarvi di allestimenti che garantiscono successo, magari per commissionarne altri, pagati più di quanto ricavate dalla vendita, e magari mai più ripresi perché inadatti?
La Scala infine ha fatto sapere che l'accordo di vendita prevede che se il teatro milanese volesse in futuro riprendere ancora l'allestimento di Zeffirelli, il Kazakistan glielo deve cedere gratuitamente. ma anche questo non basta a placare Zeffirelli che minaccia denuncia.
Insomma il 'batti e ribatti' potrebbe andare avanti fino all'infinito. Ha ragione Zeffirelli, ma ha ragione anche la Scala, quando dice che se si vuol vendere qualcosa per far soldi si vende un prodotto che ha mercato, e visto che l'Aida di Zeffirelli è stata vista e rivista, si può anche vendere senza offendere la persona del suo autore.
Il quale autore, ce lo perdonerà, non è mai intervenuto per mettere un freno agli omaggi che da anni - da quando Berlusconi e amici, i leghisti come Tosi con il suo 'luogotenente' in Arena, sono al potere - gli rende l'Arena di Verona, in maniera esagerata. Noi lo abbiamo segnalato anche nell'ultima stagione dove figuravano molti allestimenti di Zeffirelli. Cero l'Arena lo fa anche per risparmiare sui nuovi, e perché quegli allestimenti fanno colpo sulle platee popolari estive. Però che la stagione in Arena si debba reggere, per alcuni anni di seguito, quasi totalmente su opere con allestimenti di Zeffirelli, E' TROPPO. Anche se Zeffirelli resta un maestro RICONOSCIUTO E CELEBRATO.
giovedì 30 ottobre 2014
mercoledì 29 ottobre 2014
Premiati Quirino Principe e la nuova Opera di Firenze
Si tratta di due differenti premi, naturalmente, trattandosi di due diversi premiati. Il primo premio è andato ad uno dei nostri musicologi ed intellettuali più noti e preparati, a Quirino Principe. Che è anche uno dei più impegnati a differenza della quasi totalità della categoria dei musicologi che preferisce discutere di una noterella messa lì, sulla quale cui si interroga se è stato il compositore od una mosca dispettosa, piuttosto che scendere qualche volta, una volta sola nella vita sarebbe bastante, in strada a difendere i diritti della musica che sembra non interessino più a nessuno. Quirino Prinicpe fa l'uno e l'altro e con identica preparazione, competenza e soprattutto passione. Un esempio eccelso di musicologo militante. Ecco perchè il premio assegnatogli a Ferrarra, dal singolare titolo 'In tutte le direzioni' non poteva avere destinatario migliore.
Altro premio quello assegnato, e consegnato già, alla nuova Opera di Firenze. In questo secondo caso, nonostante l'avversione tante volte dichiarata di Vittorio Sgarbi, si tratta di un premio di architettura che riconosce il valore dell'opera, progettata da uno studio di architettura della capitale, che ha avuto anche il merito di riqualificare una zona di Firenze, evidentemente in progressivo abbandono, se non in degrado. Nella motivazione del premio è stato sottolineato il pregio dell'opera architettonica, l'uso di avanzate tecnologie, e la moderna concezione.
P.S. Un bell'inizio per un nuovo teatro d'opera, non del tutto concluso ad ora, perché ancora necessita di fondi per la chiusura totale del cantiere. Fondi che l'ex sindaco Renzi dovrà, e saprà sicuramente, trovare.
La nuova Opera di Firenze va ad allungare la lista, brevissima, dei nuovi teatri italiani, nella quale compare il Nuovo Carlo Felice di Genova che, finora, non ha mai avuto vita facile ed ora è tornato nella tormenta amministrativa, e il Teatro degli Arcimboldi, un monumento che una volta assolto il compito di fare da momentaneo palcoscenico della Scala, nel corso dei lavori di ammodernamento della sede storica, non si comprende che fine abbia fatto. Certo è che un teatro così grande ridotto ad ospitare registrazioni di trasmissioni televisive è un ben crudele destino.
Perchè in Italia, di teatri e luoghi destinati alla cultura se ne costruiscono pochi, pochissimi, rispetto a molte altre nazioni, ma poi il loro destino sembra segnato dalla stessa incuria e distrazione riservata ai luoghi storici della cultura in Italia. Con l'unica eccezione dell'Auditorium di Roma, costruito da Renzo Piano e inaugurato oltre dieci anni fa, che, sebbene faccia acqua da molte parti, soprattutto sotto il profilo acustico ed anche di alcuni servizi, sembra viaggiare a gonfie vele. Purtroppo, però, anche l'Auditorium sembra stia portando male al suo amministratore delegato, Carlo Fuortes, il quale con il piede anche all'Opera di Roma, sta facendo disastri, tutti quelli che non ha potuto fare alla nuova creatura.
Altro premio quello assegnato, e consegnato già, alla nuova Opera di Firenze. In questo secondo caso, nonostante l'avversione tante volte dichiarata di Vittorio Sgarbi, si tratta di un premio di architettura che riconosce il valore dell'opera, progettata da uno studio di architettura della capitale, che ha avuto anche il merito di riqualificare una zona di Firenze, evidentemente in progressivo abbandono, se non in degrado. Nella motivazione del premio è stato sottolineato il pregio dell'opera architettonica, l'uso di avanzate tecnologie, e la moderna concezione.
P.S. Un bell'inizio per un nuovo teatro d'opera, non del tutto concluso ad ora, perché ancora necessita di fondi per la chiusura totale del cantiere. Fondi che l'ex sindaco Renzi dovrà, e saprà sicuramente, trovare.
La nuova Opera di Firenze va ad allungare la lista, brevissima, dei nuovi teatri italiani, nella quale compare il Nuovo Carlo Felice di Genova che, finora, non ha mai avuto vita facile ed ora è tornato nella tormenta amministrativa, e il Teatro degli Arcimboldi, un monumento che una volta assolto il compito di fare da momentaneo palcoscenico della Scala, nel corso dei lavori di ammodernamento della sede storica, non si comprende che fine abbia fatto. Certo è che un teatro così grande ridotto ad ospitare registrazioni di trasmissioni televisive è un ben crudele destino.
Perchè in Italia, di teatri e luoghi destinati alla cultura se ne costruiscono pochi, pochissimi, rispetto a molte altre nazioni, ma poi il loro destino sembra segnato dalla stessa incuria e distrazione riservata ai luoghi storici della cultura in Italia. Con l'unica eccezione dell'Auditorium di Roma, costruito da Renzo Piano e inaugurato oltre dieci anni fa, che, sebbene faccia acqua da molte parti, soprattutto sotto il profilo acustico ed anche di alcuni servizi, sembra viaggiare a gonfie vele. Purtroppo, però, anche l'Auditorium sembra stia portando male al suo amministratore delegato, Carlo Fuortes, il quale con il piede anche all'Opera di Roma, sta facendo disastri, tutti quelli che non ha potuto fare alla nuova creatura.
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Anche Ennio Morricone dà del 'pirla ' a Fuortes e Marino
La lista di quelli che, intendendosene, definiscono folle il progetto di Fuortes e Marino - che ritengono incompetenti: 'pirla' per dirla più efficacemente - e cioè il progetto di esternalizzare l'Orchestra ed il Coro dell'Opera di Roma, licenziandoli in blocco, prima di considerarne l'eventuale riassunzione con diverso profilo normativo ed economico, si allunga ogni giorno.
In questa lista compaiono il sovrintendente dell'Opera di Vienna - capirà qualcosa nell'aministrazione di un grande teatro, comunque molto di più di Fuortes che non capisce un tubo - i responsabili dei tre teatri di Berlino, gli stessi Berliner Philharmoniker (si tratta di teatri chiamati in causa come modelli del nuovo assetto che si vuole dare dai 'pirla' romani all'Opera di Roma) e poi anche Scala e Santa Cecilia, e la Bartoli e Barenboim e Pappano ( fa nulla che un giornale cittadino che, evidentemente, appoggia il disastroso progetto di Fuortes, abbia di proposito modificato le dichiarazione di Barenboim che ha apertamente condannato il progetto romano).
Ed ora si aggiunge anche Ennio Morricone, con una lettera aperta, nella quale esprime " pubblicamente come cittadino e musicista, la più ferma indignazione per quello che sta avvenendo in queste ore all'orchestra e coro dell'Opera di Roma... il licenziamento di una realtà artistica e musicale con un secolo di vita è un atto gravissimo, irreparabile, una ferita portata non solo alla musica e alla cultura tutta, ma anche ai valori fondanti del nostro vivere civile... non è con le cosiddette esternalizzazioni o precarizzazioni che si migliora la qualità artistica. Brucia ancora la sciagurata chiusura delle orchestre e cori RAI di Roma Milano e Napoli: fermiamoci e non annunciamo con la chiusura anche dell'Opera di Roma, un altro triste capitolo per la cultura e la convivenza in Italia".
Fermiamoci, scrive Morricone, intendendo 'Fermiamoli'. Qualcuno fermi Fuortes e Marino, anzi, sua sponte, entrambi si dimettano, lascino fare ad altri più competenti, anche se ormai la figura di 'pirla' agli occhi del mondo l'hanno fatta. Anche per questo, quale che sia la soluzione che si prospetterà, loro non possono più restare al loro posto, sono squalificati agli occhi di tutti. Devono andarsene. E per quel che riguarda Fuortes, anche i suoi inquilini di Santa Cecilia gli hanno detto apertamente: ma che c... stai facendo?
I giornali di oggi riportano in modo più o meno completo notizia della lettera aperta di Morricone( Repubblica, Corriere); ad eccezione del maggior giornale cittadino( Messaggero) che non ne parla affatto e che, nel caso di Barenboim che condannava l'operazione che si vuole mettere in atto a Roma, non riportava la dichiarazione del celebre direttore, semplicemente perché ha deciso di spalleggiare l'azione di Fuortes. Forse non gli è bastata la lezione dell'appoggio a De Martino, che poi si è rivelato il peggior amministratore degli ultimi anni all'Opera.
In questa lista compaiono il sovrintendente dell'Opera di Vienna - capirà qualcosa nell'aministrazione di un grande teatro, comunque molto di più di Fuortes che non capisce un tubo - i responsabili dei tre teatri di Berlino, gli stessi Berliner Philharmoniker (si tratta di teatri chiamati in causa come modelli del nuovo assetto che si vuole dare dai 'pirla' romani all'Opera di Roma) e poi anche Scala e Santa Cecilia, e la Bartoli e Barenboim e Pappano ( fa nulla che un giornale cittadino che, evidentemente, appoggia il disastroso progetto di Fuortes, abbia di proposito modificato le dichiarazione di Barenboim che ha apertamente condannato il progetto romano).
Ed ora si aggiunge anche Ennio Morricone, con una lettera aperta, nella quale esprime " pubblicamente come cittadino e musicista, la più ferma indignazione per quello che sta avvenendo in queste ore all'orchestra e coro dell'Opera di Roma... il licenziamento di una realtà artistica e musicale con un secolo di vita è un atto gravissimo, irreparabile, una ferita portata non solo alla musica e alla cultura tutta, ma anche ai valori fondanti del nostro vivere civile... non è con le cosiddette esternalizzazioni o precarizzazioni che si migliora la qualità artistica. Brucia ancora la sciagurata chiusura delle orchestre e cori RAI di Roma Milano e Napoli: fermiamoci e non annunciamo con la chiusura anche dell'Opera di Roma, un altro triste capitolo per la cultura e la convivenza in Italia".
Fermiamoci, scrive Morricone, intendendo 'Fermiamoli'. Qualcuno fermi Fuortes e Marino, anzi, sua sponte, entrambi si dimettano, lascino fare ad altri più competenti, anche se ormai la figura di 'pirla' agli occhi del mondo l'hanno fatta. Anche per questo, quale che sia la soluzione che si prospetterà, loro non possono più restare al loro posto, sono squalificati agli occhi di tutti. Devono andarsene. E per quel che riguarda Fuortes, anche i suoi inquilini di Santa Cecilia gli hanno detto apertamente: ma che c... stai facendo?
I giornali di oggi riportano in modo più o meno completo notizia della lettera aperta di Morricone( Repubblica, Corriere); ad eccezione del maggior giornale cittadino( Messaggero) che non ne parla affatto e che, nel caso di Barenboim che condannava l'operazione che si vuole mettere in atto a Roma, non riportava la dichiarazione del celebre direttore, semplicemente perché ha deciso di spalleggiare l'azione di Fuortes. Forse non gli è bastata la lezione dell'appoggio a De Martino, che poi si è rivelato il peggior amministratore degli ultimi anni all'Opera.
martedì 28 ottobre 2014
Scala. Kurtag fuori, dentro Garritano
La cancellazione dell'opera di Gyorgy Kurtag, 'Fin de partie', messa in cartellone per la prossima stagione, quella dell'EXPO, dalla Scala di Milano è stata cancellata dalla direzione. La ragione potrebbe essere rinvenuta nel costo della nuova opera, se pure coprodotta con Salisburgo.
Le opere nuove costano sempre tanto. Nel caso della Scala, l'altra nuova opera, che doveva andare in scena già da tempo, ed è stata poi rimandata all'EXPO, e cioè quella di Battistelli - il suo nuovo film per intenderci, sull'opera dell'ex presidente americano Al Gore, dal titolo CO2, che tocca il problema della difesa della natura per la quale Al Gore si è molto impegnato - potrebbe costare più del previsto ed allora si è sacrificato Kurtag sull'altare di Battistelli. O forse non c'entra neanche minimamente Battistelli, bensì la mancanza di soldi, o previsioni di bilancio errate. Neanche questo: la Scala ha dichiarato che Kurtag non finisce in tempo l'opera che, perciò, è stata cancellata. Al suo posto Wozzeck di Alban Berg.
C'è da augurarsi solo che il lungo cartellone già presentato, con tutto l'orgoglio milanese di tenere il teatro aperto ogni sera durante l'Expo, non perda pezzi giorno dopo giorno.
Per un Kurtag che si perde per decisione interna alla Sala, una Garritano viene riammessa per decisione esterna, della magistratura. Il caso della étoile della Scala è ben noto. La ballerina aveva denunciato che molte giovani colleghe correvano il rischio di diventare anoressiche, in considerazione del peso standard che si chiede ad una ballerina. Molte colleghe le si sono rivoltate contro, come anche il teatro. Ora la Corte d'appello le ha dato ragione obbligando la Scala che l'ave va estromessa, per diffamazione, a riprenderla. Ed anche - aggiungiamo - a fare attenzione alla salute fisica delle giovani ballerine.
Le opere nuove costano sempre tanto. Nel caso della Scala, l'altra nuova opera, che doveva andare in scena già da tempo, ed è stata poi rimandata all'EXPO, e cioè quella di Battistelli - il suo nuovo film per intenderci, sull'opera dell'ex presidente americano Al Gore, dal titolo CO2, che tocca il problema della difesa della natura per la quale Al Gore si è molto impegnato - potrebbe costare più del previsto ed allora si è sacrificato Kurtag sull'altare di Battistelli. O forse non c'entra neanche minimamente Battistelli, bensì la mancanza di soldi, o previsioni di bilancio errate. Neanche questo: la Scala ha dichiarato che Kurtag non finisce in tempo l'opera che, perciò, è stata cancellata. Al suo posto Wozzeck di Alban Berg.
C'è da augurarsi solo che il lungo cartellone già presentato, con tutto l'orgoglio milanese di tenere il teatro aperto ogni sera durante l'Expo, non perda pezzi giorno dopo giorno.
Per un Kurtag che si perde per decisione interna alla Sala, una Garritano viene riammessa per decisione esterna, della magistratura. Il caso della étoile della Scala è ben noto. La ballerina aveva denunciato che molte giovani colleghe correvano il rischio di diventare anoressiche, in considerazione del peso standard che si chiede ad una ballerina. Molte colleghe le si sono rivoltate contro, come anche il teatro. Ora la Corte d'appello le ha dato ragione obbligando la Scala che l'ave va estromessa, per diffamazione, a riprenderla. Ed anche - aggiungiamo - a fare attenzione alla salute fisica delle giovani ballerine.
Ultimissime dal pianeta musicologia. Johann Sebastian era Anna Magdalena( Bach)
Uno studioso australiano sarebbe giunto ad una sorprendente conclusione e cioè che molte delle composizioni dell'ultimo(?)periodo di Bach sono in realtà da attribuire ad Anna Magdalena, sua seconda moglie, e fra queste anche le famosissime 'Variazioni Goldberg'. ma ve ne sono anche altre sparse in questo o quel numero d'opera, come il primo preludio del Primo libro del Clavicembalo ben temperato, quello sul quale è stata costruita l'Ave Maria di Gounod, che l'ha reso ancor più noto.
A queste conclusioni egli sarebbe giunto dopo infiniti studi soprattutto calligrafici. Mentre si sa che la moglie aiutava nella 'ricopiatura' delle sue opere il marito, gli studi recenti, basati sulle caratteristiche della scrittura sul peso stesso della medesima, hanno fatto concludere allo studioso che quelle sarebbero opere di Anna Magdalena e non del marito. Lo studioso proseguendo gli studi arriverà a dirci che tutta o la gran parte dell'opera di Bach è invece opera della sua seconda moglie?
Anche se lo dicesse, con tutte le prove possibili, sarebbe difficile credere alla sua tesi, perchè allora dovremmo credere che Bach dopo la morte della sua prima moglie avrebbe esaurito la sua vena musicale? Che quando suonava l'organo nelle cantorie delle chiese in effetti non era lui a suonare ma sua moglie? o che sempre Lei gli scriveva i numerosi corali e le passioni e le cantate da chiesa ecc.. ecc...
Per noi non cambierebbe il giudizio sulla grandezza dell'opera tutta, creduta finora di Johann Sebastian ed ora da attribuirsi, prove alla mano, ad Anna Magdalena, almeno in parte.
Che c'importa?
A queste conclusioni egli sarebbe giunto dopo infiniti studi soprattutto calligrafici. Mentre si sa che la moglie aiutava nella 'ricopiatura' delle sue opere il marito, gli studi recenti, basati sulle caratteristiche della scrittura sul peso stesso della medesima, hanno fatto concludere allo studioso che quelle sarebbero opere di Anna Magdalena e non del marito. Lo studioso proseguendo gli studi arriverà a dirci che tutta o la gran parte dell'opera di Bach è invece opera della sua seconda moglie?
Anche se lo dicesse, con tutte le prove possibili, sarebbe difficile credere alla sua tesi, perchè allora dovremmo credere che Bach dopo la morte della sua prima moglie avrebbe esaurito la sua vena musicale? Che quando suonava l'organo nelle cantorie delle chiese in effetti non era lui a suonare ma sua moglie? o che sempre Lei gli scriveva i numerosi corali e le passioni e le cantate da chiesa ecc.. ecc...
Per noi non cambierebbe il giudizio sulla grandezza dell'opera tutta, creduta finora di Johann Sebastian ed ora da attribuirsi, prove alla mano, ad Anna Magdalena, almeno in parte.
Che c'importa?
lunedì 27 ottobre 2014
Accademia di Santa Cecilia. Elezioni interne. Errata corrige
Dobbiamo precisare quanto abbiamo scritto nei giorni scorsi e presi dalla foga non abbiamo soppesato. Si tratta ovviamente di particolari, ma tutto ha il suo peso, anche un particolare.
Dunque Cagli non si è dimesso, e quindi è lui che guida le danze, o grandi manovre. E'stato lui a bandire le elezioni per la nomina del suo successore - che potrebbe essere lui medesimo. Se si fosse dimesso, le sue funzioni sarebbero passate al vicepresidente, cioè a dall'Ongaro, ed avrebbe dovuto lui convocare le elezioni. Ma così non è stato. I risultati della prima tornata di elezioni li abbiamo forniti con precisione ragioneristica; non essendosi raggiunto il quorum necessario per essere eletti, è stata fissata per il 13 dicembre la seconda tornata di elezioni (entro due mesi dalla prima, come recita lo statuto).
L'Accademia di santa cecilia, a differenza di tutte le altre Fondazioni lirico sinfoniche nell'elezione del suo vertice compie un cammino inverso. Gli Accademici nominano al loro interno il presidente, il quale con successiva ratifica ministeriale diventa sovrintendente e direttore artistico della medesima accademia. Entro la fine di quest'anno devono essere , per effetto della Legge Bray, rinominati i nuovi 'Consigli di indirizzo' delle Fondazioni che sostituiranno i Consigli di amministrazione. Santa Cecilia vanta uno statuto speciale anche per la composizione del Consiglio di indirizzo, dove siedono, oltre i membri simili a quelli di tutte le altre fondazioni, alcuni Accademici, per la cui nomina il Ministero non c'entra in nessun modo.
Dunque entro il 13 dicembre molto probabilmente sarà eletto il presidente-sovrintendente dell'Accademia, entro il 31 decade il consiglio di amministrazione, il nuovo presidente ( meglio l'Assemblea degli accademici) nomina gli accademici che ne faranno parte, e il ministero ed il Comune oltre che i soci privati nomineranno i propri. Nell'attuale consiglio oltre i membri di diritto, siedono personalità cooptate da Cagli, assolutamente estranee alla musica, se non nella semplice veste di appassionati, ma tutti potenti, a cominciare dall'immancabile Gianni Letta. Anche questo è stato rimproverato a Cagli nelle famose lettere scrittegli giusto un anno fa - e che sono pubblicate in questo blog - per denunciare alcuni suoi comportamenti che si ritenevano non corretti.
A quel punto l'Accademia, rifondata completamente nei suoi organi dirigenziali. riprenderà il suo cammino, forte anche della recente autonomia assicuratale dal Ministero con apposito decreto, come ha fatto anche con la Scala.
Dunque Cagli non si è dimesso, e quindi è lui che guida le danze, o grandi manovre. E'stato lui a bandire le elezioni per la nomina del suo successore - che potrebbe essere lui medesimo. Se si fosse dimesso, le sue funzioni sarebbero passate al vicepresidente, cioè a dall'Ongaro, ed avrebbe dovuto lui convocare le elezioni. Ma così non è stato. I risultati della prima tornata di elezioni li abbiamo forniti con precisione ragioneristica; non essendosi raggiunto il quorum necessario per essere eletti, è stata fissata per il 13 dicembre la seconda tornata di elezioni (entro due mesi dalla prima, come recita lo statuto).
L'Accademia di santa cecilia, a differenza di tutte le altre Fondazioni lirico sinfoniche nell'elezione del suo vertice compie un cammino inverso. Gli Accademici nominano al loro interno il presidente, il quale con successiva ratifica ministeriale diventa sovrintendente e direttore artistico della medesima accademia. Entro la fine di quest'anno devono essere , per effetto della Legge Bray, rinominati i nuovi 'Consigli di indirizzo' delle Fondazioni che sostituiranno i Consigli di amministrazione. Santa Cecilia vanta uno statuto speciale anche per la composizione del Consiglio di indirizzo, dove siedono, oltre i membri simili a quelli di tutte le altre fondazioni, alcuni Accademici, per la cui nomina il Ministero non c'entra in nessun modo.
Dunque entro il 13 dicembre molto probabilmente sarà eletto il presidente-sovrintendente dell'Accademia, entro il 31 decade il consiglio di amministrazione, il nuovo presidente ( meglio l'Assemblea degli accademici) nomina gli accademici che ne faranno parte, e il ministero ed il Comune oltre che i soci privati nomineranno i propri. Nell'attuale consiglio oltre i membri di diritto, siedono personalità cooptate da Cagli, assolutamente estranee alla musica, se non nella semplice veste di appassionati, ma tutti potenti, a cominciare dall'immancabile Gianni Letta. Anche questo è stato rimproverato a Cagli nelle famose lettere scrittegli giusto un anno fa - e che sono pubblicate in questo blog - per denunciare alcuni suoi comportamenti che si ritenevano non corretti.
A quel punto l'Accademia, rifondata completamente nei suoi organi dirigenziali. riprenderà il suo cammino, forte anche della recente autonomia assicuratale dal Ministero con apposito decreto, come ha fatto anche con la Scala.
Che ci facciamo di tante istituzioni musicali a Roma? Perchè non le unifichiamo?
Non ricordiamo esattamente quando, comunque mesi fa, su questo blog facemmo uno scherzo: annunciammo che due delle principali istituzioni romane ( l' Accademia di santa Cecilia e l'Accademia di Filarmonica Romana) stavano per fondersi e dar vita alla Romana Accademia Filarmonica di Santa Cecilia. Si trattava naturalmente di uno scherzo che qualcuno prese sul serio, tanto che ci telefonò per chiederci da chi avevamo avuto la notizia in anteprima.
A ripensarci, se riflettiamo sulle balzane idee di Nastasi di fondere Opera di Roma e Santa Cecilia, quello scherzo ci sembra sia stato premonitore di una possibile catastrofe, che, per ora, resta solo una minaccia, accantonata, dopo la recente autonomia concessa a Santa Cecilia... scherza con i fanti e lasciar star le sante.
Chi ci aveva fornito gli elementi per ordire quello scherzo? Semplicemente l'esame degli organi direttivi delle due accademie, nelle quali siedono, ai posti di vertice, le medesime persone. E allora perché pagarle doppiamente, di qua e di là, e fargli fare due stagioni quando ne basterebbe una con un vertice unico e impiegati dimezzati, e il Teatro Olimpico trasformato in sala da ballo?
Già prima di quello scherzo avevamo scoperto che gli intrecci segnalati non riguardavano solo amministrazione e conduzione delle due istituzioni, bensì anche l'ingresso, attraverso elezione, nelle due accademie.
Ci venne allora il dubbio che a candidare alcuni accademici dall'una e dalla'altra parte fossero state le medesime persone, scambiandosi di ruolo ( prima elettori e canditati, poi eletti e a loro volta presentatori di candidati, successivamente eletti, grazie a loro).
I diretti interessati conoscono bene tali storie, mentre a noi furono riferite con ricchezza di particolari nomi e cognomi da un accademico insospettabile, presente ad uno scrutinio non proprio regolare che portò alla nomina di uno dei tanti membri della gloriosa accademia. Quando venimmo a conoscenza di questa vicenda ne scrivemmo ai diretti interessati, solo perchè ne restasse traccia scritta nei loro pc, senza immaginare che avremmo avuto una qualche risposta. Una risposta, ma orale, a quattr'occhi, la ricevemmo. alle nostre rivelazioni. Naturalmente ci venne detto che le cose non erano andate così come noi le avevamo scritte ed inviate.
Niente nomi per ora, ma non è detto che fra breve non li facciamo anche per dimostrare che il mondo della musica non è fatto solo di note, bensì anche di notabili dal comportamento non proprio specchiato e men che meno artistico.
A ripensarci, se riflettiamo sulle balzane idee di Nastasi di fondere Opera di Roma e Santa Cecilia, quello scherzo ci sembra sia stato premonitore di una possibile catastrofe, che, per ora, resta solo una minaccia, accantonata, dopo la recente autonomia concessa a Santa Cecilia... scherza con i fanti e lasciar star le sante.
Chi ci aveva fornito gli elementi per ordire quello scherzo? Semplicemente l'esame degli organi direttivi delle due accademie, nelle quali siedono, ai posti di vertice, le medesime persone. E allora perché pagarle doppiamente, di qua e di là, e fargli fare due stagioni quando ne basterebbe una con un vertice unico e impiegati dimezzati, e il Teatro Olimpico trasformato in sala da ballo?
Già prima di quello scherzo avevamo scoperto che gli intrecci segnalati non riguardavano solo amministrazione e conduzione delle due istituzioni, bensì anche l'ingresso, attraverso elezione, nelle due accademie.
Ci venne allora il dubbio che a candidare alcuni accademici dall'una e dalla'altra parte fossero state le medesime persone, scambiandosi di ruolo ( prima elettori e canditati, poi eletti e a loro volta presentatori di candidati, successivamente eletti, grazie a loro).
I diretti interessati conoscono bene tali storie, mentre a noi furono riferite con ricchezza di particolari nomi e cognomi da un accademico insospettabile, presente ad uno scrutinio non proprio regolare che portò alla nomina di uno dei tanti membri della gloriosa accademia. Quando venimmo a conoscenza di questa vicenda ne scrivemmo ai diretti interessati, solo perchè ne restasse traccia scritta nei loro pc, senza immaginare che avremmo avuto una qualche risposta. Una risposta, ma orale, a quattr'occhi, la ricevemmo. alle nostre rivelazioni. Naturalmente ci venne detto che le cose non erano andate così come noi le avevamo scritte ed inviate.
Niente nomi per ora, ma non è detto che fra breve non li facciamo anche per dimostrare che il mondo della musica non è fatto solo di note, bensì anche di notabili dal comportamento non proprio specchiato e men che meno artistico.
Il giglio magico di Matteo Renzi e le femmine
Non c'è mai un' eccezione. Quando è all'orizzonte una nuova nomina si sa già dove il premier andrà a pescare: innanzitutto tra le femmine. E, in linea di principio non ci dispiace visto che fino a non molti anni fa per cariche di vertice si dovevano portare i pantaloni, perchè le gonne non davano affidamento. Oggi è il contrario. E poi è sempre un bel vedere, a giudicare dal successo che sta avendo dappertutto la ministra Boschi. Anche se a scapito di faccia d'angelo Madia.
Naturalmente si tratta di brave ministre, che si danno tanto da fare, l'unico dubbio che ci viene è che qualche volta non sono del tutto adeguate al compito, ma questo si potrebbe dire di altrettanti e forse più ministri con i pantaloni che sono, per giunta, anche sgradevoli da guardare.
Non basta essere femmine. Renzi le femmine, preferite en tout cas ai maschi, se le va a scegliere fra quelle che conosce o che si sono fatte conoscere da lui. E per questo si legge, accanto ai nome delle possibili candidate - nel caso più recente a ministro degli Esteri - 'amica di Renzi', 'sua fan' (estimatrice, sostenitrice). E tutte le altre femmine brave ed anche carine' ?Si dice che stiano aspettando tranquille che si esaurisca il giglio magico femminile del premier, per avanzare ciascuna la propria candidatura. Ora che ha fatto ministre e capi di gabinetto ecc... tutte le donne che conosceva, nessuno pensa che ricomincerà con i maschi, ma che proseguirà sulla scelta ' di genere' attingendo all'esterno del suo giglio magico.
E la Leopolda? Che fine ha fatto. Abbiamo appreso dalla bocca della Boschi che da Leopolda c'erano 104 tavoli attorno ai quali sedevano esperti e parlamentari e cittadini a discutere dei vari problemi del nostro paese. Noi non siamo stati alla Leopolda, nè invitati ad andarci. però ci piacerebbe sapere se Leopolda aveva riservato un tavolo, almeno uno, a coloro che sono interessati alla cultura di questo paese. C'era un tavolo? Se sì ci auguriamo che vi fosse seduto intorno nè Franceschini, nè Nastasi ma neanche Marino e Fuortes che vogliono rivolvere i problemi, cancellando del tutto i loro portatori: c'è un problema all'Opera di Roma? mandiamo a casa orchestra e coro ed il problema è risolto una volta per tutte alla radice.
Comunque su tale fronte ancora caldissimo, si annuncia una manifestazione nazionale di solidarietà ai 182 licenziati dell'Opera di Roma, da parte delle Fondazioni lirico-sinfoniche italiane, il prossimo 10 novembre a Piazza santi Apostoli a Roma.
A proposito di Leopolda, fa riflettere il fatto che una rappresentanza dell'Orchestra dell'Opera di Roma non era a Firenze a suonargliele a Renzi,- sarebbe stato bello! - ma a Piazza san Giovanni sul palco della manifestazione CGIL.
Naturalmente si tratta di brave ministre, che si danno tanto da fare, l'unico dubbio che ci viene è che qualche volta non sono del tutto adeguate al compito, ma questo si potrebbe dire di altrettanti e forse più ministri con i pantaloni che sono, per giunta, anche sgradevoli da guardare.
Non basta essere femmine. Renzi le femmine, preferite en tout cas ai maschi, se le va a scegliere fra quelle che conosce o che si sono fatte conoscere da lui. E per questo si legge, accanto ai nome delle possibili candidate - nel caso più recente a ministro degli Esteri - 'amica di Renzi', 'sua fan' (estimatrice, sostenitrice). E tutte le altre femmine brave ed anche carine' ?Si dice che stiano aspettando tranquille che si esaurisca il giglio magico femminile del premier, per avanzare ciascuna la propria candidatura. Ora che ha fatto ministre e capi di gabinetto ecc... tutte le donne che conosceva, nessuno pensa che ricomincerà con i maschi, ma che proseguirà sulla scelta ' di genere' attingendo all'esterno del suo giglio magico.
E la Leopolda? Che fine ha fatto. Abbiamo appreso dalla bocca della Boschi che da Leopolda c'erano 104 tavoli attorno ai quali sedevano esperti e parlamentari e cittadini a discutere dei vari problemi del nostro paese. Noi non siamo stati alla Leopolda, nè invitati ad andarci. però ci piacerebbe sapere se Leopolda aveva riservato un tavolo, almeno uno, a coloro che sono interessati alla cultura di questo paese. C'era un tavolo? Se sì ci auguriamo che vi fosse seduto intorno nè Franceschini, nè Nastasi ma neanche Marino e Fuortes che vogliono rivolvere i problemi, cancellando del tutto i loro portatori: c'è un problema all'Opera di Roma? mandiamo a casa orchestra e coro ed il problema è risolto una volta per tutte alla radice.
Comunque su tale fronte ancora caldissimo, si annuncia una manifestazione nazionale di solidarietà ai 182 licenziati dell'Opera di Roma, da parte delle Fondazioni lirico-sinfoniche italiane, il prossimo 10 novembre a Piazza santi Apostoli a Roma.
A proposito di Leopolda, fa riflettere il fatto che una rappresentanza dell'Orchestra dell'Opera di Roma non era a Firenze a suonargliele a Renzi,- sarebbe stato bello! - ma a Piazza san Giovanni sul palco della manifestazione CGIL.
Arrivederci al 13 dicembre. A santa cecilia chi sarà eletto presidente? Cagli, dall'Ongaro o Battistelli
Le ultime elezioni per la presidenza sovrintendenza dell'Accademia di Santa Cecilia si sono svolte il 13 ottobre, senza vincitore. In particolare hanno ricevuto voti: dall'Ongaro - che ovviamente è stato alla finestra a contare tutti i suoi affezionati elettori, che sono ancroa pochi, ha preso 18 voti. Cagli che non si era presentato come candidato, ma non si è neanche dimesso, come aveva minacciato , dalla presidenza, ha preso comunque 10 voti, e Battistelli che non ha rinunciato definitivamente a candidarsi alla presidenza dell'Accademia, nonostante la precedente sonora sconfitta, ha preso una decina di voti, come Cagli.
Ora, è evidente alla luce dei fatti, che se mettessero insieme i voti, Cagli e dall'Ongaro, Battistelli verrebbe nuovamente sconfitto.
I voti di Cagli e dall'Ongaro messi insieme, ma a favore di chi? Di Cagli, che finge di non volersi candidare ma che sicuramente vuole restare, o di dall'Ongaro che si è preparato in quest'anno alla scuola serale di Cagli?
Comunque una terza possibilità non è da scartare e che cioè anche Battistelli metta a disposizione di dall'Ongaro i propri voti, o almeno quelli di cui ha necessità per l'elezione, e poi una volta eletto dall'Ongaro, Battistelli si faccia nominare vice presidente dell'Accademia. Ammesso che lo voglia. perché egli deve considerare che l'amministrazione del potere in Accademia, abbastanza impegnativo gli imporrà qualche rinuncia. Battistelli è disposto a farla?
Ciò che ci consola, a seguito dei possibili disastrosi esiti delle elezioni, è che dall'Ongaro, se eletto, liberi i numerosi posti che occupa da tempo, molti dei quali già oggi incompatibili fra loro, e forse per questo, specie nei posti lasciati liberi alla RAI, cominci finalmente a circolare aria e gente nuova.
Ora, è evidente alla luce dei fatti, che se mettessero insieme i voti, Cagli e dall'Ongaro, Battistelli verrebbe nuovamente sconfitto.
I voti di Cagli e dall'Ongaro messi insieme, ma a favore di chi? Di Cagli, che finge di non volersi candidare ma che sicuramente vuole restare, o di dall'Ongaro che si è preparato in quest'anno alla scuola serale di Cagli?
Comunque una terza possibilità non è da scartare e che cioè anche Battistelli metta a disposizione di dall'Ongaro i propri voti, o almeno quelli di cui ha necessità per l'elezione, e poi una volta eletto dall'Ongaro, Battistelli si faccia nominare vice presidente dell'Accademia. Ammesso che lo voglia. perché egli deve considerare che l'amministrazione del potere in Accademia, abbastanza impegnativo gli imporrà qualche rinuncia. Battistelli è disposto a farla?
Ciò che ci consola, a seguito dei possibili disastrosi esiti delle elezioni, è che dall'Ongaro, se eletto, liberi i numerosi posti che occupa da tempo, molti dei quali già oggi incompatibili fra loro, e forse per questo, specie nei posti lasciati liberi alla RAI, cominci finalmente a circolare aria e gente nuova.
domenica 26 ottobre 2014
Apostoli di distruzione, dal ministro in giù. Perchè?
Mi trovo molto spesso a riflettere su fatti e soprattutto su persone che sembrano agire spinte dalla volontà di distruggere tutto quello che di buono ed utile si è costruito nel corso di anni se non addirittura di secoli. E non riesco a trovare ragioni, neppure una sola, che giustifichi tali loro azioni, se non quella distruttrice, senza lo scopo di purificare come, molte volte, menti devote hanno interpretato il fuoco purificatore di disastrose eruzioni. No, qui altra ragione non mi riesce di trovare se non quella radicata nella volontà di distruggere.
Vogliamo considerare la decisione convertita in legge, al tempo e per volere del dicastero Veltroni, l'americano, di trasformare i cosiddetti 'Enti Lirico sinfonici' come un tempo si chiamavano, in base alla cosiddetta legge 800, in Fondazioni rette secondo le leggi del diritto privato? Le quali fondazioni, che nei disegni dell'americano ministro avrebbero dovuto attrarre finanziamenti e sponsorizzazioni private, sono invece rimaste al palo, continuando a vivere esclusivamente o quasi di finanziamenti pubblici, sempre più ridotti, attraverso il FUS per i finanziamenti statali, ai quali vanno aggiunti quelli regionali, provinciali e comunali? Per i quali ultimi s'è verificato anche che il teatro con maggiori finanziamenti comunali in assoluto, ( quasi venti milioni a stagione, quando in Campidoglio siedono amministratori amici dei vertici del teatro) quello dell'Opera di Roma è stato quello che negli ultimi anni ha presentato i più vistosi buchi di bilancio? Quale mente perversa sta dietro tutta questa macchinazione a danno della cultura musicale italiana?
E', per caso la stessa che oggi sta armeggiando per mandare fuori dal teatro orchestra e coro? che è come immaginare una scuola senza insegnanti e strumenti didattici propri e che decide di attingere, gli uni e gli altri all'esterno, secondo via via le necessità quotidiane dell'istituzione scolastica? Alla quale mente viene addirittura da proporre ai musicisti esternalizzati di esercitare la libera professione nei tempi liberi dagli impegni programmati in teatro, mettendo a frutto le proprie capacità strumentali o vocali?
Non è quella mente medesima che non più tardi di un anno fa faceva divieto ai musicisti che lavoravano in orchestra di esercitare la libera professione nei tempi in cui non erano impegnati in teatro? Sembra proprio quella stessa mente.
Che poi è la stessa che ha mandato a dire alle piccole realtà teatrali, che hanno una platea al di sotto dei cento posti, e che in Italia sono abbastanza numerose ed attive specie nella sperimentazione e nell'apertura dei palcoscenici alle nuove leve, come facevano le 'cantine' un tempo, che si arrangino. d'ora in avanti, a meno che non decidano di sfidare la legge dei piani regolatori, allargando muri e capienze delle loro sale. Allo Stato, di loro non importa un fico secco. I latini, con linguaggio giuridico, avrebbero detto 'de minimis non curat praetor'; ma i moderni, quando usano la stessa motivzione, dimenticano i meriti enormi che tali spazi hanno avuto nella storia del teatro italiano, ed anche mondiale.
Di questi e di molti altri fatti ancora non ci riesce di trovare ad oggi una ragione capace di giustificarli. Speriamo di trovarla domani o dopodomani. continueremo a cercarla, finchè non l'avremo trovata. Allora ve la forniremo.
Vogliamo considerare la decisione convertita in legge, al tempo e per volere del dicastero Veltroni, l'americano, di trasformare i cosiddetti 'Enti Lirico sinfonici' come un tempo si chiamavano, in base alla cosiddetta legge 800, in Fondazioni rette secondo le leggi del diritto privato? Le quali fondazioni, che nei disegni dell'americano ministro avrebbero dovuto attrarre finanziamenti e sponsorizzazioni private, sono invece rimaste al palo, continuando a vivere esclusivamente o quasi di finanziamenti pubblici, sempre più ridotti, attraverso il FUS per i finanziamenti statali, ai quali vanno aggiunti quelli regionali, provinciali e comunali? Per i quali ultimi s'è verificato anche che il teatro con maggiori finanziamenti comunali in assoluto, ( quasi venti milioni a stagione, quando in Campidoglio siedono amministratori amici dei vertici del teatro) quello dell'Opera di Roma è stato quello che negli ultimi anni ha presentato i più vistosi buchi di bilancio? Quale mente perversa sta dietro tutta questa macchinazione a danno della cultura musicale italiana?
E', per caso la stessa che oggi sta armeggiando per mandare fuori dal teatro orchestra e coro? che è come immaginare una scuola senza insegnanti e strumenti didattici propri e che decide di attingere, gli uni e gli altri all'esterno, secondo via via le necessità quotidiane dell'istituzione scolastica? Alla quale mente viene addirittura da proporre ai musicisti esternalizzati di esercitare la libera professione nei tempi liberi dagli impegni programmati in teatro, mettendo a frutto le proprie capacità strumentali o vocali?
Non è quella mente medesima che non più tardi di un anno fa faceva divieto ai musicisti che lavoravano in orchestra di esercitare la libera professione nei tempi in cui non erano impegnati in teatro? Sembra proprio quella stessa mente.
Che poi è la stessa che ha mandato a dire alle piccole realtà teatrali, che hanno una platea al di sotto dei cento posti, e che in Italia sono abbastanza numerose ed attive specie nella sperimentazione e nell'apertura dei palcoscenici alle nuove leve, come facevano le 'cantine' un tempo, che si arrangino. d'ora in avanti, a meno che non decidano di sfidare la legge dei piani regolatori, allargando muri e capienze delle loro sale. Allo Stato, di loro non importa un fico secco. I latini, con linguaggio giuridico, avrebbero detto 'de minimis non curat praetor'; ma i moderni, quando usano la stessa motivzione, dimenticano i meriti enormi che tali spazi hanno avuto nella storia del teatro italiano, ed anche mondiale.
Di questi e di molti altri fatti ancora non ci riesce di trovare ad oggi una ragione capace di giustificarli. Speriamo di trovarla domani o dopodomani. continueremo a cercarla, finchè non l'avremo trovata. Allora ve la forniremo.
Per le serie 'eventi', e 'facce di bronzo'.
Siamo rimasti sempre colpiti - positivamente s'intende - dalla lettura delle cosiddette pagine 'eventi' che Corriere, Repubblica e Sole 24 Ore pubblicano a pagamento, in occasione di inaugurazioni di stagioni o di festival musicali od altro, anche se non meritevoli. Quando c'è qualcuno che paga, il giornale fa quel che vuole l'ordinante, con reciproca soddisfazione. E ne abbiamo lette di belle, come il panegirico - ne citiamo solo uno - di un sedicente regista e organizzatore musicale che da anni infesta la Sicilia, ed anche qualche zona di Roma, di cui non ricordiamo il nome e per questo , solo per questo, non citiamo.
Nelle ultime settimane siamo rimasti colpiti dalle presentazioni della stagione dell'Accademia di Santa Cecilia. Panegirici e peana su panegirici e peana. E gli uni e gli altri meritatissimi.
E pure ci ha colpiti il tono quasi di sfida di un collaboratore del Sole 24 Ore, il quale s'è arrischiato a scrivere che mentre farebbe anche un lungo viaggio per ascoltare il tale o talaltro pianista, mai si sognerebbe di fare altrettanto per ascoltare Lang Lang, in cartellone a Santa Cecilia. Ma come? Chi è costui che si è permesso di infrangere la regola: 'se io ti pago, non puoi decidere tu di chi devi parlare ed in che modo, perchè questo spetta a me che ti pago'.
Chissà se, timidamente, passo dopo passo, assisteremo con sempre maggiore frequenza, in futuro, a disobbedienze e sfide dello stesso genere. Sarebbero salutari. Del resto che credibilità può avere una lenzuolata giornalistica i cui contenuti sono dettati e verificati dall'interessato? Potrebbe Armani, tanto per fare un altro esempio, far pubblicare una pagina pubblicitaria che lo danneggi?
Qualche anno fa accadde in Francia che Le Monde pubblicasse regolarmente delle stroncature delle opere che l'Opéra aveva in cartellone. Ogni nuovo titolo una nuova stroncatura, senza eccezione. Il sovrintendente del teatro decise, in conseguenza, di cancellare la pubblicità del teatro sul grande quotidiano, come a dire: ti devo anche pagare?
Ora le cose non stanno proprio così. Però vi sono casi in cui lo scandalo è evidente e l'asservimento del giornale all'inserzionista totale.
Noi, ad esempio, stiamo aspettando che si avvii la nuova stagione dell'Opera di Roma, quella della 'grande opera' e dei grandissimi casini, di cui tutti i giornali scrivono, ogni giorno. Ora avranno la faccia di scrivere ancora panegirici del teatro? Noi crediamo di sì, perché al colore dei soldi non si guarda. Certamente, e ne siamo sicuri, non rifiuteranno di confezionare la pubblicità a pagamento per il Grande Teatro dell'Opera di Roma Capitale, quello della 'Grande Opera' che si avvia ad una nuova grande stagione. E allora? Ci sarà da ridere quando leggeremo che Fuortes è il miglior sovrintendente che il teatro abbia mai avuto, e Marino il miglior sindaco, come Franceschini il miglior ministro, e Nastasi il suo miglior capo gabinetto, e tutti insieme i veri salvatori del Teatro dell'Opera di Roma Capitale. Se poi è finito nella merda non è colpa loro. Ma della merda i giornali non scriveranno.
Nelle ultime settimane siamo rimasti colpiti dalle presentazioni della stagione dell'Accademia di Santa Cecilia. Panegirici e peana su panegirici e peana. E gli uni e gli altri meritatissimi.
E pure ci ha colpiti il tono quasi di sfida di un collaboratore del Sole 24 Ore, il quale s'è arrischiato a scrivere che mentre farebbe anche un lungo viaggio per ascoltare il tale o talaltro pianista, mai si sognerebbe di fare altrettanto per ascoltare Lang Lang, in cartellone a Santa Cecilia. Ma come? Chi è costui che si è permesso di infrangere la regola: 'se io ti pago, non puoi decidere tu di chi devi parlare ed in che modo, perchè questo spetta a me che ti pago'.
Chissà se, timidamente, passo dopo passo, assisteremo con sempre maggiore frequenza, in futuro, a disobbedienze e sfide dello stesso genere. Sarebbero salutari. Del resto che credibilità può avere una lenzuolata giornalistica i cui contenuti sono dettati e verificati dall'interessato? Potrebbe Armani, tanto per fare un altro esempio, far pubblicare una pagina pubblicitaria che lo danneggi?
Qualche anno fa accadde in Francia che Le Monde pubblicasse regolarmente delle stroncature delle opere che l'Opéra aveva in cartellone. Ogni nuovo titolo una nuova stroncatura, senza eccezione. Il sovrintendente del teatro decise, in conseguenza, di cancellare la pubblicità del teatro sul grande quotidiano, come a dire: ti devo anche pagare?
Ora le cose non stanno proprio così. Però vi sono casi in cui lo scandalo è evidente e l'asservimento del giornale all'inserzionista totale.
Noi, ad esempio, stiamo aspettando che si avvii la nuova stagione dell'Opera di Roma, quella della 'grande opera' e dei grandissimi casini, di cui tutti i giornali scrivono, ogni giorno. Ora avranno la faccia di scrivere ancora panegirici del teatro? Noi crediamo di sì, perché al colore dei soldi non si guarda. Certamente, e ne siamo sicuri, non rifiuteranno di confezionare la pubblicità a pagamento per il Grande Teatro dell'Opera di Roma Capitale, quello della 'Grande Opera' che si avvia ad una nuova grande stagione. E allora? Ci sarà da ridere quando leggeremo che Fuortes è il miglior sovrintendente che il teatro abbia mai avuto, e Marino il miglior sindaco, come Franceschini il miglior ministro, e Nastasi il suo miglior capo gabinetto, e tutti insieme i veri salvatori del Teatro dell'Opera di Roma Capitale. Se poi è finito nella merda non è colpa loro. Ma della merda i giornali non scriveranno.
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Letto sulla stampa di domenica: Sole 24 Ore e Corriere. Da Girardi a Buttafuoco
Cominciamo da Buttafuoco perchè più interessante l'argomento e più bella la scrittura. Denuncia Buttafuoco, sul Sole 24 Ore, che a custodire il' satiro danzante' nel museo di Mazara del Vallo, in un locale di 200 metri quadri circa, ci sono 25 custodi, i quali hanno principale, se non unico, obbligo contrattuale, così sembra, quello di avvertire i visitatori ( dieci-quindicimila in un anno ) che è proibito fotografare la celeberrima scultura bronzea che ha fatto passare sulle labbra di tutti, dove è stato esposto, il nome dell'Italia. Meno che nel suo museo, che a dispetto dei 25 custodi, è chiuso per vacanza settimanale nei fine settimana. Ora, vien da domandarsi, una volta letta tale denuncia che si aspetta a mandare a casa, a fare altri lavori per la Regione o per il Comune, almeno una quindicina di quei custodi e agli altri 10 restanti imporre orari di normale lavoro, otto ore, sabato e domenica compresi?
Ma questo la Regione non ha mai pensato di farlo, mentre lo farebbe domani stesso il sindaco della cittadina siciliana, sempre che Crocetta, indaffaratissimo nel fare e disfare giunte e governi regionali, passi il Museo al Comune, tanto la Regione che egli governa non sa che farsene, come dimostra la denuncia. Ci sarà tale passaggio? Pensiamo di no.
Mentre un bel giornalista e scrittore si occupa dei fatti di casa nostra, un altro del Corriere vola negli Stati Uniti, New Messico (dove sta sulla cartina? non riusciamo a trovarlo dopo quasi due ore di ricerca) per assistere - ma non è stata ancora rappresentata - ad un'opera che si credeva persa del nostro Faccio, direttore d'orchestra stimato, attivo al tempo di Verdi, ma anche buon compositore. Trattasi di 'Amleto' da Shakespeare, libretto di Boito. Che sarà mai quest'opera che molto probabilmente non verrà mai più ripresa? Non lo sa neanche Girardi, nonostante che si sia sentito anche con Gossett che ha seguito la ricostruzione su uno spartito dell'epoca. Lo saprà dopo averla vista ed ascoltata? M a noi che c'importa di una cosa così lontana ed ancora da valutare? Non sarebbe stato più opportuno volgere occhi ed orecchie a cose di casa nostra, visto che in queste ultime giornate molte se ne sono viste e sentite di interessanti, a quel che dicono?
Ci potrebbe obiettare il Girardi del Corriere: ognuno si interessa a ciò che vuole. Sacrosanta verità. Anche noi eravamo interessati a sapere dell'Amleto di Faccio. Solo che dopo la lettura nulla abbiamo appreso oltre il nome dell'autore e quello del librettista. E naturalmente il titolo dell'opera, da Shakespeare.
Ma questo la Regione non ha mai pensato di farlo, mentre lo farebbe domani stesso il sindaco della cittadina siciliana, sempre che Crocetta, indaffaratissimo nel fare e disfare giunte e governi regionali, passi il Museo al Comune, tanto la Regione che egli governa non sa che farsene, come dimostra la denuncia. Ci sarà tale passaggio? Pensiamo di no.
Mentre un bel giornalista e scrittore si occupa dei fatti di casa nostra, un altro del Corriere vola negli Stati Uniti, New Messico (dove sta sulla cartina? non riusciamo a trovarlo dopo quasi due ore di ricerca) per assistere - ma non è stata ancora rappresentata - ad un'opera che si credeva persa del nostro Faccio, direttore d'orchestra stimato, attivo al tempo di Verdi, ma anche buon compositore. Trattasi di 'Amleto' da Shakespeare, libretto di Boito. Che sarà mai quest'opera che molto probabilmente non verrà mai più ripresa? Non lo sa neanche Girardi, nonostante che si sia sentito anche con Gossett che ha seguito la ricostruzione su uno spartito dell'epoca. Lo saprà dopo averla vista ed ascoltata? M a noi che c'importa di una cosa così lontana ed ancora da valutare? Non sarebbe stato più opportuno volgere occhi ed orecchie a cose di casa nostra, visto che in queste ultime giornate molte se ne sono viste e sentite di interessanti, a quel che dicono?
Ci potrebbe obiettare il Girardi del Corriere: ognuno si interessa a ciò che vuole. Sacrosanta verità. Anche noi eravamo interessati a sapere dell'Amleto di Faccio. Solo che dopo la lettura nulla abbiamo appreso oltre il nome dell'autore e quello del librettista. E naturalmente il titolo dell'opera, da Shakespeare.
Tutti piangono, Santa Cecilia gode. E il satrapo Cagli che fa?
Solo Santa Cecilia, l'Accademia intendiamo, sembra avanzare gloriosa, mietendo un successo dietro l'altro, compresa l'autonomia di recente ottenuta dal Ministero assieme alla Scala, le uniche due fondazioni che se la siano assicurata e che, si spera, non restino le uniche, secondo il disegno dello 'smantellamento dell'inutile musica' che il Ministero sembra voler perseguire.
Archiviata già l'inaugurazione, con Pappano a condurre le danze, e l'Orchestra in partenza per la lunga tournée in Estremo Oriente, sembra che in Accademia ci sia aria di 'elezioni'. Per il nuovo Consiglio di amministrazione che si chiamerà Consiglio di indirizzo, da attivare entro la fine dell'anno, dal cui seno dovrebbe spuntare il nome del nuovo sovrintendete. Nuovo?
Così sembrava solo qualche mese fa quando Cagli annunciava per l'ennesima volta la sua volontà di lasciare in altre mani il timone dell'Accademia, nell'esultanza generale della ciurma che finalmente vedeva chiudersi l'era Cagli, non tutta da cancellare ma durata anche troppo.
Nel caso si fosse dimesso definitivamente, come purtroppo oggi tutti dubitano, le due mani alle quali passare il timone, lui le aveva già individuate da tempo, e nel frattempo 'incremate' ogni giorno per mostrale a tutti senza macchie ed imperfezioni, al momento in cui avrebbero preso il timone della nave accademica.
Le due mani, come tutti sanno, sarebbero quelle di Michele dall'Ongaro che, nel caso fosse eletto presidente, sempre che Cagli decida di abdicare, dovrebbe lasciare tutti i suoi numerosi incarichi, dai quali - e massimamente da essi - ha acquistato in questi anni notorietà e soprattutto potere (Orchestra RAI, RAI5, Radio 3, per citarne solo quelli di più evidente potere!).
Ma forse Cagli non ha intenzione di dimettersi; fa finta, per essere a gran voce chiamato a restare per la salvezza di Santa Cecilia- poveretta! - accordandosi con dall'Ongaro, con i rispettivi elettori, e restare sul trono, tenendo sempre al suo fianco il principe ereditario, alla cui educazione provvede di persona.
A meno che Battistelli, sconfitto nella passata tornata elettorale da Cagli, con un divario di voti enorme da colmare, non si decida a tornare nuovamente in campo, per sfidare Cagli, mettendosi d'accordo con dall'Ongaro, un tempo suo nemico ora non più, e spartirsi il potere: dall'Ongaro presidente e Battistelli vice, per poi scambiarsi i ruoli, se possibile, alla successiva elezione. Ma anche Battistelli, che, a differenza di dall'Ongaro, ha come prevalente occupazione quella del compositore, dovrebbe lasciare i suoi già numerosi incarichi: direttore dell'Orchestra della Toscana, presidenza della Barattelli-L'Aquila, consiglio di amministrazione dell'Opera di Roma ecc... con i quali esercita anch'egli il potere.
Tutto questo potrebbe accadere qualora riuscissero i dioscuri ad allearsi ai danni di Cagli. Potrebbe dall'Ongaro pugnalare alle spalle il suo padre-protettore? S'è visto di peggio, e perciò non ci sarebbe da meravigliarsi. Comunque meglio non fare, fino allo scrutinio delle elezioni, i conti senza l'oste: Cagli.
Archiviata già l'inaugurazione, con Pappano a condurre le danze, e l'Orchestra in partenza per la lunga tournée in Estremo Oriente, sembra che in Accademia ci sia aria di 'elezioni'. Per il nuovo Consiglio di amministrazione che si chiamerà Consiglio di indirizzo, da attivare entro la fine dell'anno, dal cui seno dovrebbe spuntare il nome del nuovo sovrintendete. Nuovo?
Così sembrava solo qualche mese fa quando Cagli annunciava per l'ennesima volta la sua volontà di lasciare in altre mani il timone dell'Accademia, nell'esultanza generale della ciurma che finalmente vedeva chiudersi l'era Cagli, non tutta da cancellare ma durata anche troppo.
Nel caso si fosse dimesso definitivamente, come purtroppo oggi tutti dubitano, le due mani alle quali passare il timone, lui le aveva già individuate da tempo, e nel frattempo 'incremate' ogni giorno per mostrale a tutti senza macchie ed imperfezioni, al momento in cui avrebbero preso il timone della nave accademica.
Le due mani, come tutti sanno, sarebbero quelle di Michele dall'Ongaro che, nel caso fosse eletto presidente, sempre che Cagli decida di abdicare, dovrebbe lasciare tutti i suoi numerosi incarichi, dai quali - e massimamente da essi - ha acquistato in questi anni notorietà e soprattutto potere (Orchestra RAI, RAI5, Radio 3, per citarne solo quelli di più evidente potere!).
Ma forse Cagli non ha intenzione di dimettersi; fa finta, per essere a gran voce chiamato a restare per la salvezza di Santa Cecilia- poveretta! - accordandosi con dall'Ongaro, con i rispettivi elettori, e restare sul trono, tenendo sempre al suo fianco il principe ereditario, alla cui educazione provvede di persona.
A meno che Battistelli, sconfitto nella passata tornata elettorale da Cagli, con un divario di voti enorme da colmare, non si decida a tornare nuovamente in campo, per sfidare Cagli, mettendosi d'accordo con dall'Ongaro, un tempo suo nemico ora non più, e spartirsi il potere: dall'Ongaro presidente e Battistelli vice, per poi scambiarsi i ruoli, se possibile, alla successiva elezione. Ma anche Battistelli, che, a differenza di dall'Ongaro, ha come prevalente occupazione quella del compositore, dovrebbe lasciare i suoi già numerosi incarichi: direttore dell'Orchestra della Toscana, presidenza della Barattelli-L'Aquila, consiglio di amministrazione dell'Opera di Roma ecc... con i quali esercita anch'egli il potere.
Tutto questo potrebbe accadere qualora riuscissero i dioscuri ad allearsi ai danni di Cagli. Potrebbe dall'Ongaro pugnalare alle spalle il suo padre-protettore? S'è visto di peggio, e perciò non ci sarebbe da meravigliarsi. Comunque meglio non fare, fino allo scrutinio delle elezioni, i conti senza l'oste: Cagli.
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Nastasi chiede a tutti di risparmiare, ma non al San Carlo quando deve pagare sua moglie Giulia Minoli.
Il ministro va facendo a dovere il suo compito che sembra quello di smantellare dalla radice il sistema della musica in Italia. Al suo orecchio zufola le varie mosse il suo consigliere Nastasi che non riesce a nascondere del tutto la sua mole dietro l'esile figura del neo sposo Franceschini, e perciò viene scoperto ed apostrofato come 'il suggeritore' o 'burattinaio'
E sembra che al grido di 'tirate la cinghia', come vuole il ministero di Franceschini e Nastasi, tutti , ciascuno secondo le proprie possibilità, si stiano adeguando. Di tirare la cinghia si chiede anche ai piccoli teatri - che fanno però prosa e molta sperimentazione di linguaggi. A loro il ministero ha detto chiaramente: o vi ingrandite, unendovi ad altri, oppure le piccole realtà come molti di voi devono cercarsi i finanziamenti altrove, non al Ministero. Il quale però trova i soldi per finanziare un nuovo inutile festival come quello di Pompei che già all'anteprima è apparso pasticciato.
Dai siti dei vari teatri, apprendiamo che la dieta a cui tutti si stanno sottoponendo mostra già i primi risultati. Ad esempio, dal sito del Teatro Massimo di Palermo apprendiamo che il nuovo sovrintendente Giambrone, si contenta della modica cifra di 170.000 Euro annui, una miseria per lui che è abituato a più alti compensi, come si sarà fatto dare dai vari teatri in cui ha prima pascolato.
Non solo lui anche gli altri partecipano a questa gara di solidarietà a favore del Ministero, in grosse difficoltà economiche.
Infatti i nuovi dirigenti del Massimo di Palermo - si legga il sito del teatro alla voce 'amministrazione trasparente' - offrono la loro collaborazione al teatro GRATUITAMENTE, fino alla fine del 2014 almeno, e sono stati nominati il 10 di ottobre. Lo fa il nuovo direttore musicale Gabriele Ferro, ed anche il direttore artistico Oscar Pizzo.
Se tutti seguissero il loro esempio saremmo a cavallo, in due o tre anni elimineremmo i buchi di bilancio dei teatri. Se poi si sforzassero ancora un pò e riducessero lo spreco della programmazione, dimezzando il numero dei titoli in cartellone, ed usando il pianoforte al posto dell'orchestra - la quale verrebbe esternalizzata ed anche chiusa secondo il modello-pilota dell'Opera di Roma, patrocinato sempre dal Ministero infame, e chiamata soltanto nelle occasioni in cui c'è la visita di un capo di Stato o l'inaugurazione di un nuovo monumento, o lo richieda una importante griffe per intrattenere i suoi invitati - allora saremmo, sarebbero, a cavallo tutti i teatri. Neanche più un buco nel bilancio, tutti aperti per le visite o per le 'ospitate' ogni giorno, e ogni spettatore assistito personalmente da un impiegato del teatro che non avrebbe altro compito che questo.
Dunque una olimpiade del risparmio, alla quale tutti arriverebbero primi fuorchè uno, il Teatro San Carlo di Napoli che deve ogni anno trovare i soldi con cui paga Giulia Minoli Nastasi, coordinatrice, per volontà del maritino Salvo, al Museo del Teatro di Napoli, compensata, secondo alcune fonti giornalistiche, sempre che sia rimasta lì e non abbia deciso con i soldi del suo stipendio di concedersi una lunga meritata vacanza all'estero, con appena 6.000 Euro mensili.
E sembra che al grido di 'tirate la cinghia', come vuole il ministero di Franceschini e Nastasi, tutti , ciascuno secondo le proprie possibilità, si stiano adeguando. Di tirare la cinghia si chiede anche ai piccoli teatri - che fanno però prosa e molta sperimentazione di linguaggi. A loro il ministero ha detto chiaramente: o vi ingrandite, unendovi ad altri, oppure le piccole realtà come molti di voi devono cercarsi i finanziamenti altrove, non al Ministero. Il quale però trova i soldi per finanziare un nuovo inutile festival come quello di Pompei che già all'anteprima è apparso pasticciato.
Dai siti dei vari teatri, apprendiamo che la dieta a cui tutti si stanno sottoponendo mostra già i primi risultati. Ad esempio, dal sito del Teatro Massimo di Palermo apprendiamo che il nuovo sovrintendente Giambrone, si contenta della modica cifra di 170.000 Euro annui, una miseria per lui che è abituato a più alti compensi, come si sarà fatto dare dai vari teatri in cui ha prima pascolato.
Non solo lui anche gli altri partecipano a questa gara di solidarietà a favore del Ministero, in grosse difficoltà economiche.
Infatti i nuovi dirigenti del Massimo di Palermo - si legga il sito del teatro alla voce 'amministrazione trasparente' - offrono la loro collaborazione al teatro GRATUITAMENTE, fino alla fine del 2014 almeno, e sono stati nominati il 10 di ottobre. Lo fa il nuovo direttore musicale Gabriele Ferro, ed anche il direttore artistico Oscar Pizzo.
Se tutti seguissero il loro esempio saremmo a cavallo, in due o tre anni elimineremmo i buchi di bilancio dei teatri. Se poi si sforzassero ancora un pò e riducessero lo spreco della programmazione, dimezzando il numero dei titoli in cartellone, ed usando il pianoforte al posto dell'orchestra - la quale verrebbe esternalizzata ed anche chiusa secondo il modello-pilota dell'Opera di Roma, patrocinato sempre dal Ministero infame, e chiamata soltanto nelle occasioni in cui c'è la visita di un capo di Stato o l'inaugurazione di un nuovo monumento, o lo richieda una importante griffe per intrattenere i suoi invitati - allora saremmo, sarebbero, a cavallo tutti i teatri. Neanche più un buco nel bilancio, tutti aperti per le visite o per le 'ospitate' ogni giorno, e ogni spettatore assistito personalmente da un impiegato del teatro che non avrebbe altro compito che questo.
Dunque una olimpiade del risparmio, alla quale tutti arriverebbero primi fuorchè uno, il Teatro San Carlo di Napoli che deve ogni anno trovare i soldi con cui paga Giulia Minoli Nastasi, coordinatrice, per volontà del maritino Salvo, al Museo del Teatro di Napoli, compensata, secondo alcune fonti giornalistiche, sempre che sia rimasta lì e non abbia deciso con i soldi del suo stipendio di concedersi una lunga meritata vacanza all'estero, con appena 6.000 Euro mensili.
sabato 25 ottobre 2014
L'Opera di Roma chiede ai sindacati di risolvere i problemi che dovrebbe, invece, risolvere il sovrintendente
Una riunione dopo l'altra sia del CDA che dei sindacati con il rappresentante del teatro, che in questi ultimi tempi non è più il sovrintendente, codardo, ma il direttore del personale. Insomma il sovrintendente che , per la sua parte, ha creato problemi, ora quei problemi li dà da risolvere al direttore del personale, perché lui ha deciso di non farsi vedere. Naturalmente, resta inteso che i sindacati di problemi ne hanno creato anche loro. Ed anche tanti, ma non tutti quelli che ora si vorrebbe loro attribuire, come quello della scappata degli sponsor. Argomento davvero specioso.
Di sponsor importanti il teatro non ne ha avuti nel periodo in cui al Campidoglio ha regnato Alemanno, a Piazza Gigli il suo 'inviato speciale' De Martino, con il compito di 'mettere ordine nei conti lasciati in rosso da Ernani', la qual cosa lui ha poi fatto con il buco da 13 milioni, e al Costanzi regnava Muti - almeno per un triennio. Sponsor zero, nonostante che per un periodo nel CDA dell'Opera Alemanno avesse cooptato (costretto) personalità del mondo delle istituzioni e della finanza che poi si sono una dopo l'altra defilate. Ora all'improvviso c'era, a detta del teatro, una fila di sponsor che premevano per entrare a donare i loro soldi ad un teatro in profonda crisi e con un sindaco che adesso, ma non solo adesso, viene bocciato anche dal suo partito, dopo la solenne bocciatura dei suoi cittadini che hanno valutato zero la sua gestione.
I sindacati - non si capisce però se tutti o buona parte di essi, ma si vorrebbe che fossero tutti, ovviamente - si sono dichiarati disponibili a trattare per aumentare, e di molto, la produttività ( si dice del 40%, che a noi sembra troppo e dettato quasi esclusivamente dalla buona volontà, e non da convinzione e da calcoli sicuri), mentre invece nulla si dice degli altri punti importanti ( l'integrativo, ed i vari capitoli poco chiari, come quello dei permessi artistici).
A proposito di questi ultimi, il teatro ha fatto sapere, attraverso il direttore del personale che, d'ora in avanti, secondo la legge, tali permessi devono essere richiesti con almeno venti giorni di anticipo e non è detto che saranno sempre accordati, perchè il teatro valuterà la qualità delle prestazioni esterne dei vari artisti. Ma se esisteva questa legge, perchè Fuortes non spiega come mai nell'anno circa di sua gestione abbia concesso tali permessi - ha specificato quasi 1000 in un anno, una enormità! - richiesti non secondo le disposizioni di legge e per prestazioni esterne anche disonorevoli (si dovrebbe dire: IGNOBILI, anche di alcune delle prestazioni interne al teatro, come le Toccate e Fuga); perchè Fuortes ha lasciato andare le cose per il verso sbagliato e solo ora tira fuori le irregolarità che non ha saputo stroncare subito, all'indomani del suo arrivo in teatro?
E perchè non ha messo subito fine ai contratti di esterni chiamati per raggiungere gli organici di volta in volta richiesti da questo o quel titolo, ma mancanti a causa dell'assenteismo di vario genere dei titolari?
Ai sindacati il CDA chiede ora una ricetta per risparmiare i 4 milioni di Euro che mancherebbero al bilancio, per le minori entrate a seguito degli scioperi e per la fuga dei sponsor. La quale somma verrebbe trovata attraverso la esternalizzazione bocciata dal mondo intero fuorchè da Fuortes e Marino e Franceschini (e non dimentichiamoci di Nastasi, che questa sua miracolosa ricetta va predicando da tempo: si ricordi la sua relazione, inviata e non letta di persona, per la vergogna ed il timore dei fischi, al convegno di Firenze di un paio di anni fa!).
Il teatro - cioè Fuortes e non il direttore del personale, insieme a Marino - incontri i sindacati e stabilisca con loro un patto su cui ricocostruire sulle rovine del teatro una nuova pace, più giusta e produttiva, con meno privilegi.
Questo deve saper fare Fuortes.E non andare a fare le conferenza stampa dell'Auditorium o sfilare sul carpet che per lui è rosso, ma per la vergogna.
Di sponsor importanti il teatro non ne ha avuti nel periodo in cui al Campidoglio ha regnato Alemanno, a Piazza Gigli il suo 'inviato speciale' De Martino, con il compito di 'mettere ordine nei conti lasciati in rosso da Ernani', la qual cosa lui ha poi fatto con il buco da 13 milioni, e al Costanzi regnava Muti - almeno per un triennio. Sponsor zero, nonostante che per un periodo nel CDA dell'Opera Alemanno avesse cooptato (costretto) personalità del mondo delle istituzioni e della finanza che poi si sono una dopo l'altra defilate. Ora all'improvviso c'era, a detta del teatro, una fila di sponsor che premevano per entrare a donare i loro soldi ad un teatro in profonda crisi e con un sindaco che adesso, ma non solo adesso, viene bocciato anche dal suo partito, dopo la solenne bocciatura dei suoi cittadini che hanno valutato zero la sua gestione.
I sindacati - non si capisce però se tutti o buona parte di essi, ma si vorrebbe che fossero tutti, ovviamente - si sono dichiarati disponibili a trattare per aumentare, e di molto, la produttività ( si dice del 40%, che a noi sembra troppo e dettato quasi esclusivamente dalla buona volontà, e non da convinzione e da calcoli sicuri), mentre invece nulla si dice degli altri punti importanti ( l'integrativo, ed i vari capitoli poco chiari, come quello dei permessi artistici).
A proposito di questi ultimi, il teatro ha fatto sapere, attraverso il direttore del personale che, d'ora in avanti, secondo la legge, tali permessi devono essere richiesti con almeno venti giorni di anticipo e non è detto che saranno sempre accordati, perchè il teatro valuterà la qualità delle prestazioni esterne dei vari artisti. Ma se esisteva questa legge, perchè Fuortes non spiega come mai nell'anno circa di sua gestione abbia concesso tali permessi - ha specificato quasi 1000 in un anno, una enormità! - richiesti non secondo le disposizioni di legge e per prestazioni esterne anche disonorevoli (si dovrebbe dire: IGNOBILI, anche di alcune delle prestazioni interne al teatro, come le Toccate e Fuga); perchè Fuortes ha lasciato andare le cose per il verso sbagliato e solo ora tira fuori le irregolarità che non ha saputo stroncare subito, all'indomani del suo arrivo in teatro?
E perchè non ha messo subito fine ai contratti di esterni chiamati per raggiungere gli organici di volta in volta richiesti da questo o quel titolo, ma mancanti a causa dell'assenteismo di vario genere dei titolari?
Ai sindacati il CDA chiede ora una ricetta per risparmiare i 4 milioni di Euro che mancherebbero al bilancio, per le minori entrate a seguito degli scioperi e per la fuga dei sponsor. La quale somma verrebbe trovata attraverso la esternalizzazione bocciata dal mondo intero fuorchè da Fuortes e Marino e Franceschini (e non dimentichiamoci di Nastasi, che questa sua miracolosa ricetta va predicando da tempo: si ricordi la sua relazione, inviata e non letta di persona, per la vergogna ed il timore dei fischi, al convegno di Firenze di un paio di anni fa!).
Il teatro - cioè Fuortes e non il direttore del personale, insieme a Marino - incontri i sindacati e stabilisca con loro un patto su cui ricocostruire sulle rovine del teatro una nuova pace, più giusta e produttiva, con meno privilegi.
Questo deve saper fare Fuortes.E non andare a fare le conferenza stampa dell'Auditorium o sfilare sul carpet che per lui è rosso, ma per la vergogna.
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venerdì 24 ottobre 2014
Barenboim non è lo stesso per Corriere e Messaggero. Ma i giornali hanno partecipato alla medesima intervista 'collettiva'. Dunque?
Negli ultimi tempi, dopo la morte di Abbado che quando decideva chiamava, solitamente Repubblica e Corriere - sempre le stesse giornaliste - e si faceva intervistare quando diceva lui; e lo stesso discorso vale anche per Muti che, adesso che in Italia non dirigerà tanto spesso, forse sparirà anche dai giornali, sembra che altri grandi nomi abbiano preso il loro posto, sempre con interviste secondo la tecnica 'a comando', anzi 'a chiamata'.
Accade così che le case discografiche, all'uscita di un nuovo disco di questo o quella, invitino i giornalisti - non tutti, ma per l'Italia non solo quelli delle due maggiori testate italiane - per farli incontrare pubblicamente con i loro cavalli di razza, solo con quelli, mentre per tutti gli altri che contano poco, ed ancor meno contano in un mercato praticamente inesistente o piatto, si dica come si vuole, non spendono soldi neanche per una telefonata che annunci una nuova uscita.
Nelle ultime settimane è accaduto con la zarina di bianco vestita Cecilia Bartoli, che per la presentazione della sua nuova fatica - faticosissima - la casa discografica ha invitato a Versailles numerosi giornalisti per farsi intervistare. I quali giornalisti ci hanno detto di lei tante cose, una sola no: come era vestita durante l'intervista. Non ci hanno detto cioè se aveva la stessa pelliccia con colbacco bianchissimi, lei animalista - ma saranno stati sicuramente ecologici - con la quale s'è fatta fotografare, e che forse ha tenuto durante il concerto.
Fatto è che a leggere poi le interviste si capisce che i vari giornalisti hanno avuto ciascuno una intervista singola, perché le cose che scrivono della Bartoli sono differenti e talvolta anche molto, mentre identiche sono le domande, seppur riscritte ciascuno a suo modo.
Ora non abbiamo sotto gli occhi le interviste alla Bartoli e perciò non possiamo raffrontarle fra loro. Cosa che, invece, facciamo immediatamente con le interviste uscite proprio oggi a Daniel Barenboim che ha presentato alla stampa quattro CD con la musica di Schubert.
Alla domanda sulla situazione del melodramma e dei teatri in Italia, a seconda del giornale che leggi cambia la risposta, e si capisce che il giornale che ha scelto di sposare la linea suicida di Fuortes, cambia le carte in tavola alla risposta.
Per il Messaggero, alla domanda: lei ha una grande esperienza anche come direttore di teatri d'opera. Esiste un modello di riferimento che garantisca un buon funzionamento ed eviti le tensioni, come sta avvenendo a Roma; Barenboim avrebbe risposto:" penso di no. A Vienna c'è un modello, a Berlino ne esiste un altro. I modelli non sono esportabili. Ogni situazione ha le sue peculiarità e le soluzioni devono essere trovate per ciascuna realtà produttiva" .Che letta meglio intendeva dire: non voglio entrare nella questione, arrangiatevi.
Per il Corriere, alla domanda: cosa pensa delle recenti burrasche negli enti lirici italiani, Barenboim avrebbe, invece, risposto:" licenziare le orchestre non è una soluzione. Rivela solo la mancanza di cultura di chi lo decide. Come in politica i conflitti non si risolvono con la forza ma con il dialogo. Altrimenti a farne le spese non saranno solo i musicisti ma l'intero Paese".
Ed è più probabile che Barenboim abbia risposto come riporta il Corriere, anche perchè pochi giorni fa i tre teatri di Berlino, uno dei quali è diretto da Barenboim, hanno mandato a dire a Fuortes che la soluzione dell'esternalizzazione dell'orchestra e del coro è pazzia pura.
Ora due sono le cose: o Barenboim ha cambiato parere nel giro di una settimana, o il cronista del Messaggero non ha sentito la risposta o non l'ha capita e dunque se l' è inventata, adattandola alla linea del suo giornale. Nessuno ci ha detto dove è avvenuta l'intervista. Ciascuno dei due ha voluto far credere trattarsi di una intervista singola ed esclusiva.
Ciao core!
Accade così che le case discografiche, all'uscita di un nuovo disco di questo o quella, invitino i giornalisti - non tutti, ma per l'Italia non solo quelli delle due maggiori testate italiane - per farli incontrare pubblicamente con i loro cavalli di razza, solo con quelli, mentre per tutti gli altri che contano poco, ed ancor meno contano in un mercato praticamente inesistente o piatto, si dica come si vuole, non spendono soldi neanche per una telefonata che annunci una nuova uscita.
Nelle ultime settimane è accaduto con la zarina di bianco vestita Cecilia Bartoli, che per la presentazione della sua nuova fatica - faticosissima - la casa discografica ha invitato a Versailles numerosi giornalisti per farsi intervistare. I quali giornalisti ci hanno detto di lei tante cose, una sola no: come era vestita durante l'intervista. Non ci hanno detto cioè se aveva la stessa pelliccia con colbacco bianchissimi, lei animalista - ma saranno stati sicuramente ecologici - con la quale s'è fatta fotografare, e che forse ha tenuto durante il concerto.
Fatto è che a leggere poi le interviste si capisce che i vari giornalisti hanno avuto ciascuno una intervista singola, perché le cose che scrivono della Bartoli sono differenti e talvolta anche molto, mentre identiche sono le domande, seppur riscritte ciascuno a suo modo.
Ora non abbiamo sotto gli occhi le interviste alla Bartoli e perciò non possiamo raffrontarle fra loro. Cosa che, invece, facciamo immediatamente con le interviste uscite proprio oggi a Daniel Barenboim che ha presentato alla stampa quattro CD con la musica di Schubert.
Alla domanda sulla situazione del melodramma e dei teatri in Italia, a seconda del giornale che leggi cambia la risposta, e si capisce che il giornale che ha scelto di sposare la linea suicida di Fuortes, cambia le carte in tavola alla risposta.
Per il Messaggero, alla domanda: lei ha una grande esperienza anche come direttore di teatri d'opera. Esiste un modello di riferimento che garantisca un buon funzionamento ed eviti le tensioni, come sta avvenendo a Roma; Barenboim avrebbe risposto:" penso di no. A Vienna c'è un modello, a Berlino ne esiste un altro. I modelli non sono esportabili. Ogni situazione ha le sue peculiarità e le soluzioni devono essere trovate per ciascuna realtà produttiva" .Che letta meglio intendeva dire: non voglio entrare nella questione, arrangiatevi.
Per il Corriere, alla domanda: cosa pensa delle recenti burrasche negli enti lirici italiani, Barenboim avrebbe, invece, risposto:" licenziare le orchestre non è una soluzione. Rivela solo la mancanza di cultura di chi lo decide. Come in politica i conflitti non si risolvono con la forza ma con il dialogo. Altrimenti a farne le spese non saranno solo i musicisti ma l'intero Paese".
Ed è più probabile che Barenboim abbia risposto come riporta il Corriere, anche perchè pochi giorni fa i tre teatri di Berlino, uno dei quali è diretto da Barenboim, hanno mandato a dire a Fuortes che la soluzione dell'esternalizzazione dell'orchestra e del coro è pazzia pura.
Ora due sono le cose: o Barenboim ha cambiato parere nel giro di una settimana, o il cronista del Messaggero non ha sentito la risposta o non l'ha capita e dunque se l' è inventata, adattandola alla linea del suo giornale. Nessuno ci ha detto dove è avvenuta l'intervista. Ciascuno dei due ha voluto far credere trattarsi di una intervista singola ed esclusiva.
Ciao core!
giovedì 23 ottobre 2014
Bruno Carioti direttore Accademia Nazionale di Danza
Bruno Carioti già commissario dell'Accademia Nazionale di Danza, unico in Italia in tale settore e di rinomanza internazionale, è stato eletto direttore della stessa Accademia a larghissima maggioranza. Inviato dal Ministero dopo l'uscita di scena tumultuosa dell'ex direttrice Margherita Parrilla, sul cui operato vennero segnalate molte ombre, alla scadenza del suo mandato annuale di Commissario- durante il quale sembra sia riuscito a risistemare l'Accademia che era in preda a profonde di crisi e on solo di nervi - viene eletto direttore, quasi per acclamazione, ottenendo 61 voti su 82. Dunque 3/4 degli aventi diritto al voto lo hanno scelto come direttore.
Naturalmente, qualcuno che si era candidato e che è stato bocciato clamorosamente dal voto dei colleghi, si è risentito ed minaccia ricorso, con la seguente motivazione speciosa ed irragionevole: Carioti è un musicista, non è un coreografo, e dunque non può dirigere una Accademia di danza, come aveva, giustamente, diretto per un lungo periodo il Conservatorio dell'Aquila e presieduto la Conferenza dei direttori dei Conservatori italiani durante tutto il periodo della sua direzione aquilana, dimostrando capacità manageriale e di coordinamento, e di fatto eletto a consigliere privilegiato del Ministero e del direttore generale dell'AFAM del periodo Bruno Civello, da poco sostituito, per sopraggiunti limiti di età. Il quale direttore, da non dimenticare, guidando il Conservatorio aquilano anche nel difficilissimo periodo post terremoto, quando il Conservatorio non aveva più una sede e rischiava di scomparire, è riuscito ad ottenere - unica istituzione scolastica aquilana - una nuova sede per il Conservatorio, costruita in due mesi esatti, che, per quanto provvisoria, è stata finora la sede più idonea fra quelle che hanno in passato, per 40 anni, ospitato il Conservatorio Casella.
Il ricorso del coreografo che ambiva a diventare direttore dell'Accademia si baserebbe sull'antico desueto principio ' femmine con le femmine, maschi con i maschi, direttori italiani dirigono la musica italiana, quelli tedeschi la musica tedesca; chi non è coreografo o ballerino, ma semplice musicista - come se la musica e la danza fossero territori lontanissimi ecc... - non può dirigere un istituto di danza...
Al quale ricorso gli stessi insegnanti dell'Accademia hanno già risposto con la votazione appena eseguita che pur riguardando il futuro non è che la promozione a pieni voti della gestione commissariale dell'Accademia, in un periodo di gravissime tensioni.
Naturalmente, qualcuno che si era candidato e che è stato bocciato clamorosamente dal voto dei colleghi, si è risentito ed minaccia ricorso, con la seguente motivazione speciosa ed irragionevole: Carioti è un musicista, non è un coreografo, e dunque non può dirigere una Accademia di danza, come aveva, giustamente, diretto per un lungo periodo il Conservatorio dell'Aquila e presieduto la Conferenza dei direttori dei Conservatori italiani durante tutto il periodo della sua direzione aquilana, dimostrando capacità manageriale e di coordinamento, e di fatto eletto a consigliere privilegiato del Ministero e del direttore generale dell'AFAM del periodo Bruno Civello, da poco sostituito, per sopraggiunti limiti di età. Il quale direttore, da non dimenticare, guidando il Conservatorio aquilano anche nel difficilissimo periodo post terremoto, quando il Conservatorio non aveva più una sede e rischiava di scomparire, è riuscito ad ottenere - unica istituzione scolastica aquilana - una nuova sede per il Conservatorio, costruita in due mesi esatti, che, per quanto provvisoria, è stata finora la sede più idonea fra quelle che hanno in passato, per 40 anni, ospitato il Conservatorio Casella.
Il ricorso del coreografo che ambiva a diventare direttore dell'Accademia si baserebbe sull'antico desueto principio ' femmine con le femmine, maschi con i maschi, direttori italiani dirigono la musica italiana, quelli tedeschi la musica tedesca; chi non è coreografo o ballerino, ma semplice musicista - come se la musica e la danza fossero territori lontanissimi ecc... - non può dirigere un istituto di danza...
Al quale ricorso gli stessi insegnanti dell'Accademia hanno già risposto con la votazione appena eseguita che pur riguardando il futuro non è che la promozione a pieni voti della gestione commissariale dell'Accademia, in un periodo di gravissime tensioni.
mercoledì 22 ottobre 2014
Il Consiglio di amministrazione getta ora la croce sulle spalle dei musicisti?
"Nella riunione odierna, il Consiglio di
amministrazione della Fondazione Teatro dell’Opera di Roma ha
ampiamente discusso e valutato le decisioni assunte lo scorso 2
ottobre, quando ha deciso di avviare la procedura di
esternalizzazione di coro e orchestra. Una scelta che si inserisce
all’interno di una strategia aziendale complessiva che, negli
ultimi 11 mesi, si è concretizzata nel lavoro di risanamento e
rilancio della produzione del Teatro dell’Opera di Roma. L’impegno
profuso ha trovato un concreto riconoscimento da parte del Ministero
dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo, che ha accolto la
richiesta del Cda della Fondazione Teatro dell’Opera di Roma di
poter accedere alla cosiddetta Legge Bray, per le fondazioni liriche
in difficoltà economiche con un finanziamento di 25 milioni di
euro. Oggi però, a 15 giorni di distanza dall’inizio della
procedura prevista dalla legge 223 del 1991, le rappresentanze
sindacali non hanno presentato alcuna proposta, alternativa a quella
assunta dal Cda della Fondazione, che punti a superare i problemi
economici, organizzativi e di produttività, alla base della
deliberazione. Il Consiglio di amministrazione conferma la sua
disponibilità a valutare, con la massima apertura e interesse,
eventuali proposte dei sindacati dei lavoratori prima dello scadere
dei 75 giorni previsti dalla legge. Tutto ciò a fronte
dell’impegno e dell’attenzione del Cda e dell’amministrazione
capitolina nei confronti del Teatro dell’Opera di Roma e di tutti i
lavoratori, confermati dal consistente investimento economico, pari a
45 milioni e 750 mila euro, contenuto nel Piano triennale di rientro
dal debito di Roma Capitale (2014-2016), a cui si aggiungeranno per
lo stesso periodo sia i finanziamenti statali che regionali. Il
prossimo Cda è fissato per il 24 novembre, al termine della fase
sindacale di 45 giorni prevista dalla legge 223 del 1991".
Così l'agenzia parlamentare riferisce della riunione di oggi: I musicisti non hanno presentato nessuna proposta per superare i problemi economici, organizzativi e produttivi che hanno portato a quella sciagurata decisione del licenziamento. In pratica si dice, senza far fare a Fuortes la figuraccia che si merita ( e che si meritano anche Marino e Franceschini) che se ci fate proposte capaci di risolvere tutti i problemi sul tappeto, entro i prossimi 45 giorni, siamo pronti ad ascoltarle e a prenderle in considerazione, per arrivare ad una soluzione non traumatica. Insomma alla ricomposizione della frattura. E' chiaro che a quel punto comunque Fuortes deve andarsene.
Simona Marchini l'unica voce, felicemente stonata, nel consiglio di amministrazione dell'Opera di Roma che appoggia Fuortes
L'aveva già detto alcuni giorni fa, l'unica a parlare, Simona Marchini, finta svampita, dalle riunioni segrete del Consiglio di amministrazione del Teatro dell'Opera che sembra - almeno così si vuol fare capire - tutta d'accordo con Fuortes e Marino, mentre evidentemente concordi non sono proprio tutti.
La Marchini aveva detto che si augurava di vedere sovrintendente e musicisti seduti allo stesso tavolo per discutere una possibile soluzione, non traumatica come quella proposta, che era da ritirare. Ieri, alla vigilia della riunione del consiglio, dopo che il direttore del personale aveva detto ai musicisti che i licenziamenti non venivano ritirati, di nuovo la finta svampita Simona è tornata a parlare, ribadendo la sua volontà di chiedere a Fuortes, nel consiglio, il ritiro dei licenziamenti e la discussione con i musicisti dei punti fondamentali per ridurre il deficit ed aumentare la produttività dell'Opera di Roma. E se ciò, Fuortes, suicida, non volesse accettarlo? Beh, allora- dice la finta svampita - potrei anche dimettermi dal consiglio, tanto comunque uno non può stare a vita in un consiglio di amministrazione, e questa - in sintesi - sarebbe l'occasione giusta per uscirne anche gloriosamente, in segno di protesta contro una decisione che da tutti è stata definita, oltre che scellerata, al di fuori di ogni logica di gestione di un teatro d'opera.
Al momento in cui scriviamo non sappiamo ancora dell'esito del consiglio di oggi. Ve ne riferiremo non appena saranno rese note le decisioni, che per noi sarebbero l'uscita di scena di Fuortes, le scuse di Marino per una decisione, da lui avallata, contro la quale mezzo mondo musicale si è scagliato ( oggi , fra le righe di una scialba intervista di Valerio Cappelli a Pappano, per il Corriere, si leggeva una velata condanna della posizione di Fuortes, suo coinquilino all'Auditorium), e la chiamata a Roma di un amministratore che sappia il fatto suo e che si sieda allo stesso tavolo con i musicisti per ridiscutere il piano di gestione generale per dare veramente un futuro al Teatro dell'Opera della capitale. Che non è l' esternalizzazione!
E forse sarebbe anche giunto il momento di mandare a casa, o di dare una solenne lezione a Salvatore Nastasi, direttore generale del Ministero, perchè è lui l'ispiratore della folle tragica soluzione. Da anni la va propsettando. Franceschini non si accorge di nulla? Dorme? E' in luna di miele?
La Marchini aveva detto che si augurava di vedere sovrintendente e musicisti seduti allo stesso tavolo per discutere una possibile soluzione, non traumatica come quella proposta, che era da ritirare. Ieri, alla vigilia della riunione del consiglio, dopo che il direttore del personale aveva detto ai musicisti che i licenziamenti non venivano ritirati, di nuovo la finta svampita Simona è tornata a parlare, ribadendo la sua volontà di chiedere a Fuortes, nel consiglio, il ritiro dei licenziamenti e la discussione con i musicisti dei punti fondamentali per ridurre il deficit ed aumentare la produttività dell'Opera di Roma. E se ciò, Fuortes, suicida, non volesse accettarlo? Beh, allora- dice la finta svampita - potrei anche dimettermi dal consiglio, tanto comunque uno non può stare a vita in un consiglio di amministrazione, e questa - in sintesi - sarebbe l'occasione giusta per uscirne anche gloriosamente, in segno di protesta contro una decisione che da tutti è stata definita, oltre che scellerata, al di fuori di ogni logica di gestione di un teatro d'opera.
Al momento in cui scriviamo non sappiamo ancora dell'esito del consiglio di oggi. Ve ne riferiremo non appena saranno rese note le decisioni, che per noi sarebbero l'uscita di scena di Fuortes, le scuse di Marino per una decisione, da lui avallata, contro la quale mezzo mondo musicale si è scagliato ( oggi , fra le righe di una scialba intervista di Valerio Cappelli a Pappano, per il Corriere, si leggeva una velata condanna della posizione di Fuortes, suo coinquilino all'Auditorium), e la chiamata a Roma di un amministratore che sappia il fatto suo e che si sieda allo stesso tavolo con i musicisti per ridiscutere il piano di gestione generale per dare veramente un futuro al Teatro dell'Opera della capitale. Che non è l' esternalizzazione!
E forse sarebbe anche giunto il momento di mandare a casa, o di dare una solenne lezione a Salvatore Nastasi, direttore generale del Ministero, perchè è lui l'ispiratore della folle tragica soluzione. Da anni la va propsettando. Franceschini non si accorge di nulla? Dorme? E' in luna di miele?
Capitale Europea della Cultura 2019. Candidate in Italia, anche città 'sgarrupate'.
Le candidature italiane erano infinite, come al solito. Un anno fa circa la prima scrematura, ad opera di una commissione che esaminò tutte le candidature; ne eliminò definitivamente dalla corsa alcune, ne mantenne altre, una rosa ristretta.
La delusione più grande fu per l'eliminazione, dalla rosa ristretta, della città dell'Aquila, duramente segnata dal terremoto nel 2009, che allora - ma solo allora - poteva pensare che il 2019 poteva essere una data per la definitiva rinascita della città, davanti al mondo. L'eliminazione sembrò una ingiustizia e frutto di grave insensibilità nei confronti della città martoriata. No, non fu così. Noi, allora direttore di Music@, dalle pagine della rivista lanciammo immediatamente, all'indomani del terremoto, e dunque quasi dieci anni prima del 2019, la candidatura dell'Aquila, che avrebbe potuto essere una spinta a ricostruire non nei tempi classici del malcostume e 'ruba-ruba' italiani. Dieci anni sono un tempo sufficientemente lungo per programmare e attuare la rinascita di una storica città distrutta. Lavorando e rispettando i tempi.Tornammo sull'argomento all'indomani della bocciatura, quando i politici cittadini se la presero con la cattiva stampa e non con le lungaggini burocratiche, i veti incrociati, gli interessi sporchi e nascosti, le ruberie - come sostennero sia Cialente che la famosa ex assessore Pezzopane, Susanna, recentemente ancora agli onori della cronaca per il suo amore nei riguardi di un ex tronista della premiata ditta 'defilippimaria', molto più giovane ed anche più aitante dell' assessore, ora senatrice.
Ma come si poteva pensare che cinque anni prima dell'appuntamento europeo, venisse presa in considerazione la candidatura di una città che non esisteva ancora, benché dal terremoto fossero passati già cinque anni? E non era ancor accaduto ciò che avrebbe esposto L'Aquila e l'Italia agli insulti del mondo: il progetto Ca.Se, costosissimo, che va a pezzi. con i balconi dichiarati inagibili, perché cascano, e gli abitanti reclusi in casa.
Non che a Matera le cose siano messe meglio; e comunque Matera è stata scelta come 'Capitale europea della cultura' per il 2019, sull'onda emozionale che ha spinto alcune produzioni cinematografiche internazionali a girarvi film famosissimi, ammirate dalla sua architettura assolutamente unica, i suoi 'sassi'. I quali, da qualche anno, sulla base di un turismo d'élite internazionale, sono stati riqualificati ed oggi, come già i trulli, sono richiestissimi.
Un lungo reportage di Repubblica, ci ha mostrato quanto altrettanto 'sgarrupata' sia Matera, non servita da nessuna linea ferroviaria nazionale, ma solo da una tradotta che da Bari a Matera copre la distanza di una settantina di km in un paio di ore e più. Una ferrovia, in verità, delle FS, avrebbe dovuto esserci, e nel tempo si sono spesi per viadotti (nel deserto) e gallerie che hanno deturpato il paesaggio, ed anche per la stazione, oltre 200 miliardi di vecchie lire. Ed altrettanti ne servirebbero per metterla in funzione, ma nessuno ci pensa a farlo. Una vergogna. Che si potrebbe eliminare almeno abbattendo quella stazione fantasma e i viadotti che grideranno, altrimenti, vendetta, per i secoli futuri. Perché si fa presto a costruire con il cemento armato, ma quello, una volta impiantato, ha bisogno delle bombe per essere distrutto. Ora sperano, a Matera, sui 600 milioni di Euro che dovrebbero essere investiti per l'occasione e nei cinque anni che ci separano dall'appuntamento europeo; nel frattempo hanno programmato che i turisti, qualche milione, attesi a Matera, saranno trasferiti dall'aeroporto di Bari a Matera con bus, in numero sufficiente. Rimedi all'italiana per candidature di città 'sgarrupate'.
La delusione più grande fu per l'eliminazione, dalla rosa ristretta, della città dell'Aquila, duramente segnata dal terremoto nel 2009, che allora - ma solo allora - poteva pensare che il 2019 poteva essere una data per la definitiva rinascita della città, davanti al mondo. L'eliminazione sembrò una ingiustizia e frutto di grave insensibilità nei confronti della città martoriata. No, non fu così. Noi, allora direttore di Music@, dalle pagine della rivista lanciammo immediatamente, all'indomani del terremoto, e dunque quasi dieci anni prima del 2019, la candidatura dell'Aquila, che avrebbe potuto essere una spinta a ricostruire non nei tempi classici del malcostume e 'ruba-ruba' italiani. Dieci anni sono un tempo sufficientemente lungo per programmare e attuare la rinascita di una storica città distrutta. Lavorando e rispettando i tempi.Tornammo sull'argomento all'indomani della bocciatura, quando i politici cittadini se la presero con la cattiva stampa e non con le lungaggini burocratiche, i veti incrociati, gli interessi sporchi e nascosti, le ruberie - come sostennero sia Cialente che la famosa ex assessore Pezzopane, Susanna, recentemente ancora agli onori della cronaca per il suo amore nei riguardi di un ex tronista della premiata ditta 'defilippimaria', molto più giovane ed anche più aitante dell' assessore, ora senatrice.
Ma come si poteva pensare che cinque anni prima dell'appuntamento europeo, venisse presa in considerazione la candidatura di una città che non esisteva ancora, benché dal terremoto fossero passati già cinque anni? E non era ancor accaduto ciò che avrebbe esposto L'Aquila e l'Italia agli insulti del mondo: il progetto Ca.Se, costosissimo, che va a pezzi. con i balconi dichiarati inagibili, perché cascano, e gli abitanti reclusi in casa.
Non che a Matera le cose siano messe meglio; e comunque Matera è stata scelta come 'Capitale europea della cultura' per il 2019, sull'onda emozionale che ha spinto alcune produzioni cinematografiche internazionali a girarvi film famosissimi, ammirate dalla sua architettura assolutamente unica, i suoi 'sassi'. I quali, da qualche anno, sulla base di un turismo d'élite internazionale, sono stati riqualificati ed oggi, come già i trulli, sono richiestissimi.
Un lungo reportage di Repubblica, ci ha mostrato quanto altrettanto 'sgarrupata' sia Matera, non servita da nessuna linea ferroviaria nazionale, ma solo da una tradotta che da Bari a Matera copre la distanza di una settantina di km in un paio di ore e più. Una ferrovia, in verità, delle FS, avrebbe dovuto esserci, e nel tempo si sono spesi per viadotti (nel deserto) e gallerie che hanno deturpato il paesaggio, ed anche per la stazione, oltre 200 miliardi di vecchie lire. Ed altrettanti ne servirebbero per metterla in funzione, ma nessuno ci pensa a farlo. Una vergogna. Che si potrebbe eliminare almeno abbattendo quella stazione fantasma e i viadotti che grideranno, altrimenti, vendetta, per i secoli futuri. Perché si fa presto a costruire con il cemento armato, ma quello, una volta impiantato, ha bisogno delle bombe per essere distrutto. Ora sperano, a Matera, sui 600 milioni di Euro che dovrebbero essere investiti per l'occasione e nei cinque anni che ci separano dall'appuntamento europeo; nel frattempo hanno programmato che i turisti, qualche milione, attesi a Matera, saranno trasferiti dall'aeroporto di Bari a Matera con bus, in numero sufficiente. Rimedi all'italiana per candidature di città 'sgarrupate'.
martedì 21 ottobre 2014
Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, ovvero Carlo Fuortes
Sordo ed anche pusillanime. Gliele hanno cantate in tutti i modi e tutte le tonalità, ma lui fa finta di non sentire. Gli hanno detto che la sua esternalizzazione-pilota - addirittura un modello da imitare - non è che l'inizio della fine; aveva detto che fanno già così perfino i Filarmonici di Berlino, e i Filarmonici di Berlino gli hanno risposto che lui sta cercando di distruggere l'Opera di Roma e che non sa quello che dice, perché solo il 'tempo indeterminato e l'internalizzazione di un organico musicale' garantisce qualità alle prestazioni artistiche. E lui ha risposto che i singoli potranno farsi fare un contratto a tempo indeterminato dalla cooperativa o associazione o fondazione nelle quali vorranno costituirsi gli strumentisti ed i coristi dell'Opera di Roma.
E poi al momento di incontrare i sindacati, il giorno di Rigoletto, come d'accordo, lui non va all'incontro, e manda il direttore del personale, lo manda a dire che i licenziamenti sono confermati e che non si torna indietro, questa è la strada che il teatro intende seguire per sanare l'indebitamento e correre più veloce verso la rinascita. Una débacle, con Fuortes che se ne fotte, e non si ritira in buon ordine, almeno per salvare la faccia e il sindaco coperto di vergogna da tutti sta a guardare, mentre convoca un nuovo consiglio di amministrazione, per esaminare il da farsi. Ogni giorno, ogni nuova mossa segna la definitiva morte dell'Opera di Roma, e se non avverrà in tempi ristretti, basterà che parta la nuova stagione 'della grande opera' - come si vergognano a mandare in giro questa pubblicità menzognera! - per dimostrare nei fatti che la soluzione miracolosa del Fuortes, l'ignorante, era una 'bufala', o 'sola' come si dice a Roma.
E ieri tanto per riaccendere le tensioni, il direttore del personale ha annunciato il licenziamento in tronco, dunque senza attendere il 31 dicembre, del rappresentante della CGIL Faillaci, perché avrebbe 'timbrato il cartellino di presenza della moglie' - sorella di Catello De Martino, non dimentichiamolo! a Caracalla, mentre la signora, corista anche Lei era assente. Dunque avendo truffato il teatro è stato licenziato immediatamente. La reazione dell'interessato è stata: hanno punito la mia azione di contrasto ai licenziamenti. E del resto, nei giorni scorsi già un'altra corista aveva denunciato la proibizione di Fuortes per tutti i dipendenti del teatro di manifestare pubblicamente opinioni contrarie alla linea del teatro stesso, meglio di parlare pubblicamente del teatro. Una censura messa in atto dal democraticissimo Fuortes.
Sembra che stando così le cose la recita del Rigoletto di ieri sera, prima di una serie di repliche, potrebbe restare 'prima ed ultima'. E si va allo scontro duro. Volevano questo Fuortes e Marino? Che altro di peggio può accadere ad un teatro, per colpa di un incapace, FUORTES, sostenuto da un incapace più incapace di lui, MARINO? Ci sarà occasione di rimediare al disastro una volta che anche loro, buon ultimi ( non aiutati affatto dal Consiglio di amministrazione che è composto da belle statuine mute ed imbellettate) si renderanno conto di come si fa presto a distruggere qualcosa che si è costruito in anni ed anni ?
Avrebbe mai il sindaco con la barba, licenziato in blocco 190 lavoratori di uno qualunque dei settori nei quali il Comune esprime il suo patto di servizio con la cittadinanza? Perché è stato così tollerante con gli autisti dei mezzi pubblici che marcavano visita regolarmente, non presentandosi al lavoro? E perché non lo ha fatto neanche con gli operatori ecologici che ogni giorno, il 20% per cento degli addetti al servizio, restavano a casa? Se lo avesse fatto gli avrebbero fatto un c... così - ci si passi l'espressione, volgare. Con la musica invece sì, e la cosa più grave è che ha come spalla uno che si autodefinisce esperto di 'economia della cultura'. Alla faccia dell'esperto.
E' evidente a tutti che Fuortes non può restare un giorno di più. Per salvare la sua faccia di amministratore incapace ogni giorno ne combina qualcuna, aggiungendo disastri a disastri( perché ieri non è andato lui all'incontro con i sindacati? Pusillanime! Era occupato sul 'black carpet', black per lui, dell'Auditorium cinematografaro, nel quale tiene ancora un piede e che non intende mollare, augurandosi, dopo il disastro all'Opera, di restare ancor come amministratore delegato? Perchè il teatro tutto intero non si decide a 'protestare' il sovrintendente anche davanti alla magistratura - come qualche volta fa un'orchestra nei confronti di un direttore ospite rivelatosi incapace per il compito cui è chiamato: dirigere un'orchestra - per evidente incapacità?
E poi al momento di incontrare i sindacati, il giorno di Rigoletto, come d'accordo, lui non va all'incontro, e manda il direttore del personale, lo manda a dire che i licenziamenti sono confermati e che non si torna indietro, questa è la strada che il teatro intende seguire per sanare l'indebitamento e correre più veloce verso la rinascita. Una débacle, con Fuortes che se ne fotte, e non si ritira in buon ordine, almeno per salvare la faccia e il sindaco coperto di vergogna da tutti sta a guardare, mentre convoca un nuovo consiglio di amministrazione, per esaminare il da farsi. Ogni giorno, ogni nuova mossa segna la definitiva morte dell'Opera di Roma, e se non avverrà in tempi ristretti, basterà che parta la nuova stagione 'della grande opera' - come si vergognano a mandare in giro questa pubblicità menzognera! - per dimostrare nei fatti che la soluzione miracolosa del Fuortes, l'ignorante, era una 'bufala', o 'sola' come si dice a Roma.
E ieri tanto per riaccendere le tensioni, il direttore del personale ha annunciato il licenziamento in tronco, dunque senza attendere il 31 dicembre, del rappresentante della CGIL Faillaci, perché avrebbe 'timbrato il cartellino di presenza della moglie' - sorella di Catello De Martino, non dimentichiamolo! a Caracalla, mentre la signora, corista anche Lei era assente. Dunque avendo truffato il teatro è stato licenziato immediatamente. La reazione dell'interessato è stata: hanno punito la mia azione di contrasto ai licenziamenti. E del resto, nei giorni scorsi già un'altra corista aveva denunciato la proibizione di Fuortes per tutti i dipendenti del teatro di manifestare pubblicamente opinioni contrarie alla linea del teatro stesso, meglio di parlare pubblicamente del teatro. Una censura messa in atto dal democraticissimo Fuortes.
Sembra che stando così le cose la recita del Rigoletto di ieri sera, prima di una serie di repliche, potrebbe restare 'prima ed ultima'. E si va allo scontro duro. Volevano questo Fuortes e Marino? Che altro di peggio può accadere ad un teatro, per colpa di un incapace, FUORTES, sostenuto da un incapace più incapace di lui, MARINO? Ci sarà occasione di rimediare al disastro una volta che anche loro, buon ultimi ( non aiutati affatto dal Consiglio di amministrazione che è composto da belle statuine mute ed imbellettate) si renderanno conto di come si fa presto a distruggere qualcosa che si è costruito in anni ed anni ?
Avrebbe mai il sindaco con la barba, licenziato in blocco 190 lavoratori di uno qualunque dei settori nei quali il Comune esprime il suo patto di servizio con la cittadinanza? Perché è stato così tollerante con gli autisti dei mezzi pubblici che marcavano visita regolarmente, non presentandosi al lavoro? E perché non lo ha fatto neanche con gli operatori ecologici che ogni giorno, il 20% per cento degli addetti al servizio, restavano a casa? Se lo avesse fatto gli avrebbero fatto un c... così - ci si passi l'espressione, volgare. Con la musica invece sì, e la cosa più grave è che ha come spalla uno che si autodefinisce esperto di 'economia della cultura'. Alla faccia dell'esperto.
E' evidente a tutti che Fuortes non può restare un giorno di più. Per salvare la sua faccia di amministratore incapace ogni giorno ne combina qualcuna, aggiungendo disastri a disastri( perché ieri non è andato lui all'incontro con i sindacati? Pusillanime! Era occupato sul 'black carpet', black per lui, dell'Auditorium cinematografaro, nel quale tiene ancora un piede e che non intende mollare, augurandosi, dopo il disastro all'Opera, di restare ancor come amministratore delegato? Perchè il teatro tutto intero non si decide a 'protestare' il sovrintendente anche davanti alla magistratura - come qualche volta fa un'orchestra nei confronti di un direttore ospite rivelatosi incapace per il compito cui è chiamato: dirigere un'orchestra - per evidente incapacità?
Cecilia Bartoli e Eleonora Abbagnato puntano dritto all'Opera di Roma?
Alla domanda del giornalista de La Stampa se le piacerebbe, nonostante abbia deciso di vivere all'estero, di assumere una responsabilità artistica in Italia, la Cecilia zarina. ha risposto: perchè no? se me lo proponessero ci penserei. Ora intanto lei è già direttrice artistica di un festival a Salisburgo, quello 'barocco', di maggio, che prima aveva diretto Riccardo Muti. Attenzione, la sua direzione si muove - s'è mossa- sotto le ali protettrici di Alexander Pereira con il quale, già a Zurigo, aveva stretto un sodalizio artistico inscindibile.Ma il vero direttore è Pereira.
La Cecilia che qualche teatro lo frequenta, pochi in verità, dovrebbe però capire che una cosa è mettere su (cioè ospitare) quattro concreti e magari anche un'opera in un piccolo seppure importante festival, ben altra cosa è avere la responsabilità di un teatro che in linea di massima dovrebbe essere aperto quasi ogni sera, nonostante che in Italia questo non accada neanche ai più virtuosi, come Fenice e Scala. E cominciare questa nuova attività, senza peraltro rinunciare a quella di cantante, in un grande impegnativo teatro, sarebbe per Lei ed anche per il teatro, un vero disastro. Come ha dimostrato l'esperienza di Fuortes che dal fare l'amministratore del condominio di Musica per Roma, è stato catapultato, senza prima aver fatto pratica alcuna in un piccolo teatro, per imparare, in due situazioni: una a Bari - con un teatro che doveva essere addirittura fondato e che lui, con quattro gambe un pò stortignaccole, ha tentato di mettere in piedi; in futuro si verificherà la bontà del suo lavoro; ed un'altra a Roma, all'Opera della Capitale, terreno insidiosissimo di scontri e lotte interne, senza avere la benché minima idea della gestione di un grande ente, con personale proprio ( che l'Auditorium non ha, se non in minimissima parte). Gli esiti ultimi, disastrosi, con tutti i responsabili dei grandi teatri europei che gli hanno dato addosso, dicendogli apertamente che ha fallito, ci risparmiano qualunque altro commento e pure il sacrosanto consiglio di mollare tutto, vista la vergogna internazionale che la sua gestione ha suscitato.
Ora le Cecilia non voleva mica dire che, se le venisse proposto, accetterebbe di dirigere l'Opera di Roma? Dio ci salvi dalla zarina.
Come pure ci salvi dalla Eleonora Abbagnato, étoile di prima grandezza a Parigi, bravissima, che ora, da quando ha inanellato il Balzaretti della Roma e si è stabilita con la prole nella Capitale, aspira a prendere il posto di Micha, come direttrice del Corpo di ballo, con la complicità di Marino e Fuortes che stanno lì lì per commettere ancora un errore, se non se ne vanno prima, e lasciano ad altri più preparati la gestione dell'Opera di Roma.
Anche in questo caso, l'étoile - come la zarina - vorrebbe lanciarsi in un mestiere che lei non ha mai fatto prima d'ora, neanche con un piccola compagnia e in un teatro di provincia, semplicemente per imparare. No, lei vuole subito avere quel posto.
Ma può l'Italia ogni volta sbagliare, a spese delle istituzioni, per eccesso di considerazione della notorietà di qualcuno, piuttosto che della sua professionalità?
La Cecilia che qualche teatro lo frequenta, pochi in verità, dovrebbe però capire che una cosa è mettere su (cioè ospitare) quattro concreti e magari anche un'opera in un piccolo seppure importante festival, ben altra cosa è avere la responsabilità di un teatro che in linea di massima dovrebbe essere aperto quasi ogni sera, nonostante che in Italia questo non accada neanche ai più virtuosi, come Fenice e Scala. E cominciare questa nuova attività, senza peraltro rinunciare a quella di cantante, in un grande impegnativo teatro, sarebbe per Lei ed anche per il teatro, un vero disastro. Come ha dimostrato l'esperienza di Fuortes che dal fare l'amministratore del condominio di Musica per Roma, è stato catapultato, senza prima aver fatto pratica alcuna in un piccolo teatro, per imparare, in due situazioni: una a Bari - con un teatro che doveva essere addirittura fondato e che lui, con quattro gambe un pò stortignaccole, ha tentato di mettere in piedi; in futuro si verificherà la bontà del suo lavoro; ed un'altra a Roma, all'Opera della Capitale, terreno insidiosissimo di scontri e lotte interne, senza avere la benché minima idea della gestione di un grande ente, con personale proprio ( che l'Auditorium non ha, se non in minimissima parte). Gli esiti ultimi, disastrosi, con tutti i responsabili dei grandi teatri europei che gli hanno dato addosso, dicendogli apertamente che ha fallito, ci risparmiano qualunque altro commento e pure il sacrosanto consiglio di mollare tutto, vista la vergogna internazionale che la sua gestione ha suscitato.
Ora le Cecilia non voleva mica dire che, se le venisse proposto, accetterebbe di dirigere l'Opera di Roma? Dio ci salvi dalla zarina.
Come pure ci salvi dalla Eleonora Abbagnato, étoile di prima grandezza a Parigi, bravissima, che ora, da quando ha inanellato il Balzaretti della Roma e si è stabilita con la prole nella Capitale, aspira a prendere il posto di Micha, come direttrice del Corpo di ballo, con la complicità di Marino e Fuortes che stanno lì lì per commettere ancora un errore, se non se ne vanno prima, e lasciano ad altri più preparati la gestione dell'Opera di Roma.
Anche in questo caso, l'étoile - come la zarina - vorrebbe lanciarsi in un mestiere che lei non ha mai fatto prima d'ora, neanche con un piccola compagnia e in un teatro di provincia, semplicemente per imparare. No, lei vuole subito avere quel posto.
Ma può l'Italia ogni volta sbagliare, a spese delle istituzioni, per eccesso di considerazione della notorietà di qualcuno, piuttosto che della sua professionalità?
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lunedì 20 ottobre 2014
Anche i Berliner bocciano il folle piano di Fuortes e Marino. Che aspettano a lasciare?
I Berliner Philarmoniker sono sgomenti per il licenziamento pianificato dei componenti dell'Opera di Roma. Lo scrivono i Berliner in una lettera firmata dal loro rappresentante Peter Riegelbauer definendolo una vergogna. "I musicisti della nostra Orchestra hanno un contratto di lavoro stabile a tempo indeterminato con la "Fondazione Berliner Philarmoniker". Solo con un contratto a tempo indeterminato i nostri componenti possono garantire nel tempo un alto livello del rendimento artistico".
"Questo licenziamento all'Opera di Roma - concludono - è una vergogna per la nobile tradizione musicale italiana! I Berliner Philarmoniker sostengono senza riserve le colleghe e i colleghi del Teatro dell'Opera di Roma nella lotta per il mantenimento dei loro contratti di lavoro".
"Questo licenziamento all'Opera di Roma - concludono - è una vergogna per la nobile tradizione musicale italiana! I Berliner Philarmoniker sostengono senza riserve le colleghe e i colleghi del Teatro dell'Opera di Roma nella lotta per il mantenimento dei loro contratti di lavoro".
Alla zarina non si può dire di no. Cecilia Bartoli sull'Opera di Roma
In candida pelliccia e colbacco pur esso bianchissimo come la neve, la zarina Cecilia Bartoli ha mandato un nuovo messaggio all'Italia. Alla zarina non si può non prestare ascolto. L'ha ripresa perché ha lascio fuggire uno come Muti; e riprende ora Roma in particolare - complice nell'allontanamento di Muti, ma diciamo anche poco chiara nel suo sbarco all'Opera, sul cui incarico ' direttore onorario a vita' durato appena tre anni, tante volte abbiamo ironizzato - per la faccenda del licenziamento di Coro e Orchestra del Teatro della Capitale, sua città natale. La zarina Cecilia dice che è inconcepibile che un teatro come l'Opera di Roma, che oltre ad essere il Teatro della Capitale è di suo un teatro con una lunga e gloriosa storia - specie in passato, precisiamo noi! - non abbia un'orchestra stabile come l'hanno anche i teatrini di province sperdute d'Europa. E poi aggiunge una riflessione: che faranno tutti quegli amministrativi in pianta stabile nel teatro ( inzeppati da tutti i politici che hanno avuto responsabilità e potere nella capitale e, di conseguenza, anche nel Teatro dell'Opera) e neppure toccati da una ipotesi di licenziamento, se non hanno più personale da amministrare? Perché è chiaro che tolti i quasi 200 dipendenti di coro e orchestra e tolti un centinaio forse di tecnici, più o meno, i duecento e passa impiegati restanti che faranno d'ora in avanti? Gli smistatori del traffico di orchestre e cori esterni che renderanno la vita dell'Opera una vera tragedia e ne abbasseranno anche le quotazioni artistiche?
Infine, dichiara che la direzione artistica ( lei voleva dire la sovrintendenza, ovvero la guida del teatro) non può più essere nelle mani di politici, e noi precisiamo: incapaci e incompetenti.
Brava la Cecilia. Però la smetta con quelle maschere, una per ogni disco, prima la pretessa, poi la maria ( Malibran) ed ora la zarina.
A proposito del disco, infine. Ne abbiamo ascoltato qualche brevissimo frammento alla radio. Possiamo dire ciò che pensiamo senza che i suoi numerosi fans - sempre così tanti? - si offendano? Beh, la zarina Cecilia ci piace di più quando canta un brano ricco di pathos, piuttosto che con capriole, perchè non appena comincia a fare quelle, cioè le capriole, è stucchevole e sembra addirittura l'imitazione scialba di se stessa quando era una vera acrobata, che ora non è più a quelle altezze. Ci perdoni, la zarina.
Infine, dichiara che la direzione artistica ( lei voleva dire la sovrintendenza, ovvero la guida del teatro) non può più essere nelle mani di politici, e noi precisiamo: incapaci e incompetenti.
Brava la Cecilia. Però la smetta con quelle maschere, una per ogni disco, prima la pretessa, poi la maria ( Malibran) ed ora la zarina.
A proposito del disco, infine. Ne abbiamo ascoltato qualche brevissimo frammento alla radio. Possiamo dire ciò che pensiamo senza che i suoi numerosi fans - sempre così tanti? - si offendano? Beh, la zarina Cecilia ci piace di più quando canta un brano ricco di pathos, piuttosto che con capriole, perchè non appena comincia a fare quelle, cioè le capriole, è stucchevole e sembra addirittura l'imitazione scialba di se stessa quando era una vera acrobata, che ora non è più a quelle altezze. Ci perdoni, la zarina.
Il clan dei siciliani va al massimo. Nomine nel Teatro lirico di Palermo
Sembra ricomposto l'organigramma del Teatro Massimo di Palermo dopo la 'seconda primavera' siciliana, con Leoluca Orlando di nuovo a reggerne le sorti comunali. Il sindaco ha sacrificato per il bene del teatro ( e della città aggiungono i maligni) il suo assessore alla cultura, Francesco Giambrone, come aveva già fatto nella prima primavera siculo-palermitana, destinandolo per la seconda volta - un film già visto e che potrebbe ripetersi all'infinito con i prossimi giri di valzer e gli ineluttabili ritorni - a condurre in porto la nave del Teatro Massimo che sempre lui e Giambrone, avevano ricevuto in dote quasi preda di un naufragio ( economico), da Cognata - come hanno gridato ai quattro venti. La storia è ben nota, ad ogni cambio di casacca comunale, il sindaco quando vuol mandare a casa uno degli amministratori designati dalla precedente giunta, tira fuori un buco nel bilancio - la quale cosa purtroppo assai spesso è reale - della società che amministra, come puntualmente hanno fatto l'ammiraglio leoluca ed il capitano di vascello francesco, al momento in cui hanno visto la nave loro destinata, attraccata in porto.
Il capitano di vascello, in perfetto accordo con l'ammiraglio, sta rinnovando tutti gli incarichi di vertice nei vari settori della sua nave, dal capo macchina al capo cuoco al capo sala al maestro dell'orchestrina. E dove va a cercarli, se non dove risiede la società armatrice, nel nostro caso in Sicilia?
Ecco le prime nomine: a guidare la sala macchine, in accordo perfetto con l'ammiraglio, Francesco il capitano di vascello ha chiamato Oscar; che torna in Sicilia, dopo aver lavorato in continente ed in Francia con altri armatori. Il suo cognome, Pizzo, non è fra i più adatti all'ambiente palermitano, ma tant'è uno il cognome non se lo può scegliere, e poi ha tempo per smentirne il significato, lo farà con le sue azioni. E' stimato, è originario di Siracusa, ed anche se cambia lavoro, dal ricevimento merci e passeggeri alla sala macchine, gioca a suo favore la giovane età e l'intelligenza acuta che presto userà per adattarsi ad ogni situazione.
La musica dell'orchestra che allieterà la navigazione, che si augura felice, è affidata a Gabriele Ferro, siciliano di Palermo, se non andiamo errati; che finora non ricordiamo abbia goduto di grande considerazione nella sua città natale. Ora, dopo aver navigato anche in Allemagna, torna nell'isola. Negli isolani è impossibile cancellare il ricordo della patria, che essendo da grande mare circondata è terra a sè, difficile da assimilare a qualunque altra.
E così l'Orlando 'ritornato' sta ricomponendo a Palermo il 'clan dei siciliani' ( Giambrone, Pizzo, Ferro), detto esclusivamente per le origini dei tre, senz'altra allusione denigratoria. Ci mancherebbe.
Il capitano di vascello, in perfetto accordo con l'ammiraglio, sta rinnovando tutti gli incarichi di vertice nei vari settori della sua nave, dal capo macchina al capo cuoco al capo sala al maestro dell'orchestrina. E dove va a cercarli, se non dove risiede la società armatrice, nel nostro caso in Sicilia?
Ecco le prime nomine: a guidare la sala macchine, in accordo perfetto con l'ammiraglio, Francesco il capitano di vascello ha chiamato Oscar; che torna in Sicilia, dopo aver lavorato in continente ed in Francia con altri armatori. Il suo cognome, Pizzo, non è fra i più adatti all'ambiente palermitano, ma tant'è uno il cognome non se lo può scegliere, e poi ha tempo per smentirne il significato, lo farà con le sue azioni. E' stimato, è originario di Siracusa, ed anche se cambia lavoro, dal ricevimento merci e passeggeri alla sala macchine, gioca a suo favore la giovane età e l'intelligenza acuta che presto userà per adattarsi ad ogni situazione.
La musica dell'orchestra che allieterà la navigazione, che si augura felice, è affidata a Gabriele Ferro, siciliano di Palermo, se non andiamo errati; che finora non ricordiamo abbia goduto di grande considerazione nella sua città natale. Ora, dopo aver navigato anche in Allemagna, torna nell'isola. Negli isolani è impossibile cancellare il ricordo della patria, che essendo da grande mare circondata è terra a sè, difficile da assimilare a qualunque altra.
E così l'Orlando 'ritornato' sta ricomponendo a Palermo il 'clan dei siciliani' ( Giambrone, Pizzo, Ferro), detto esclusivamente per le origini dei tre, senz'altra allusione denigratoria. Ci mancherebbe.
domenica 19 ottobre 2014
Ministro Giannini, chi non lavora nella scuola deve essere licenziato. Dagli annunci passi ai fatti
E' curioso che il ministro dell'Istruzione annunci- QUASI MINACCI - che in Italia deve essere possibile licenziare gli insegnanti che non fanno il loro dovere. Sta CHIEDENDO il permesso? A chi? ai SINDACATI?
Nella scuola come in qualunque altro settore di occupazione chi non lavora, in tutto il mondo, viene mandato a casa o comunque punito.
Facendo attenzione ad evitare eventuali epurazioni, come qualche volta accade di vedere, senza pensarci due volte, chi non lavora viene licenziato.
Che simili casi siano frequenti nella scuola come in qualunque altro settore, almeno fino all'altro ieri- fin quando cioè noi eravamo in servizio presso il Conservatorio dell'Aquila e prima di Firenze e Perugia e Roma, di casi di insegnanti inadempienti ne abbiamo conosciuto, anche se ora la memoria non ci fa venire in mente singoli specifici casi ed i nomi degli inadempienti. ma i direttori delle scuole, i cosiddetti dirigenti scolastici, conoscono uno per uno i loro nomi, a meno che non stiano sempre rintanati nel loro ufficio e di quel che avviene nelle classi non si danno pena, perché meglio non guardare per non sapere e non dover prendere di conseguenza i necessari provvedimenti. I sindacati, qualora volessero difendere certe situazioni indifendibili devono essere messi a tacere e resi incapace di danneggiare il sistema scolastico.
Ciò che però colpisce è ascoltare un annuncio che non sarebbe per nulla necessario fare da parte del ministro, perchè licenziare i fannulloni che non fanno il proprio dovere è come dire che la mattina splende il sole, in una bella giornata estiva. Lapalissiano.
Perciò il ministro Giannini agisca immediatamente, per evitare che le cosiddette mele marce, poche o tante che siano, rechino danno agli studenti, il bene più prezioso di una società, la vera grande bellezza.
Nella scuola come in qualunque altro settore di occupazione chi non lavora, in tutto il mondo, viene mandato a casa o comunque punito.
Facendo attenzione ad evitare eventuali epurazioni, come qualche volta accade di vedere, senza pensarci due volte, chi non lavora viene licenziato.
Che simili casi siano frequenti nella scuola come in qualunque altro settore, almeno fino all'altro ieri- fin quando cioè noi eravamo in servizio presso il Conservatorio dell'Aquila e prima di Firenze e Perugia e Roma, di casi di insegnanti inadempienti ne abbiamo conosciuto, anche se ora la memoria non ci fa venire in mente singoli specifici casi ed i nomi degli inadempienti. ma i direttori delle scuole, i cosiddetti dirigenti scolastici, conoscono uno per uno i loro nomi, a meno che non stiano sempre rintanati nel loro ufficio e di quel che avviene nelle classi non si danno pena, perché meglio non guardare per non sapere e non dover prendere di conseguenza i necessari provvedimenti. I sindacati, qualora volessero difendere certe situazioni indifendibili devono essere messi a tacere e resi incapace di danneggiare il sistema scolastico.
Ciò che però colpisce è ascoltare un annuncio che non sarebbe per nulla necessario fare da parte del ministro, perchè licenziare i fannulloni che non fanno il proprio dovere è come dire che la mattina splende il sole, in una bella giornata estiva. Lapalissiano.
Perciò il ministro Giannini agisca immediatamente, per evitare che le cosiddette mele marce, poche o tante che siano, rechino danno agli studenti, il bene più prezioso di una società, la vera grande bellezza.
Opera di Roma. Finale di partita. Esito non scontato
Chi pensa che la partita finirà esattamente come due dei tre giocatori , Marino e Fuortes, pensavano a loro favore - loro dicono: a favore del teatro - all'inizio del gioco 'sporco e duro', sbaglia, perché le carte in mano del terzo giocatore, e non ancora scoperte, potrebbero ribaltare il risultato.
Dopo domani, ci sarà la prima del Rigoletto ed anche l'incontro fissato da una settimana, un incontro interlocutorio, dice Fuortes, deciso a tener duro per il bene della cultura , incontro decisivo per i sindacati i quali hanno già posto le loro condizioni: siamo disposti a discutere su tutto, sul contratto integrativo, sui cosiddetti benefit, almeno quelli residui, sull'aumento della produzione, ma prima ancora di trattare questi capitoli dell'eventuale accordo, Fuortes deve ritirare, rimangiarsi, i licenziamenti. Con il licenziamento in atto, difficile che ci sia un accordo.
E' facile immaginare in quale clima si svolgeranno le recite di Rigoletto, con l'orchestra ed il coro, ancor in servizio fino alla fine di dicembre, ma licenziati. Mentre non è altrettanto facile entrare nella testa dei due giocatori convinti di vincere, per leggervi cosa gli passi, specie dopo che da tanti teatri importanti non solo italiani gli hanno detto chiaramente che quella loro brillante idea dell'orchestra esterna è una panzana, una autentica idiozia, che solo incapaci ed incompetenti gestori della cultura musicale potevano assumere.
E la cosa è ancora più preoccupante se si pensa che fra questi teatri ve ne sono alcuni di grande storia e rinomanza che dai due giocatori suicidi erano stati indicati come quelli che si servivano di orchestre esterne.
Sarebbero dovute bastare a giocatori più avveduti, i quali sanno che carte hanno in mano e quali giocare per il buon esito della partita, le dichiarazioni dell'Opera di Stato di Vienna e dei tre grandi Teatri berlinesi, per fargli cambiare decisamente strategia di gioco, che nel nostro caso significa soltanto : ritiro dei licenziamenti. Loro no.
Non osiamo neppure immaginare che cosa accadrà se entro la fine di dicembre non si troverà nessun accordo, neanche con l'orchestra esternalizzata, e magari se ne presenteranno altre, meno prestanti, che Fuortes e Marino potrebbero essere costretti, dalla strettezza dei tempi tecnici, ad assumere.
Ecco perchè la soluzione apparentemente di resa per i due folli giocatori, ma in realtà vincente, sarebbe quella di discutere di tutti i punti necessari per la razionalizzazione del lavoro artistico e procedere con una verifica periodica - ma questa dovrebbe riguardare tutte le orchestre italiane, come fanno quelle straniere più blasonate ed orgogliose del loro glorioso passato che intendono mantenere alto - ma con l'orchestra che torna ad esser quella del teatro.
Perchè anche l'orchestra, se offre il ramoscello d'ulivo della trattativa al sovrintendente, certamente deve aver capito che i tempi sono cambiati, nel senso che gli sprechi, dove ci sono, vanno tagliati senza pietà; prima di prendere in considerazione addirittura il taglio dell'orchestra. Cosa pensano di fare i due giocatori che non conoscono a che gioco stanno giocando, Fuortes e Marino?
Dopo domani, ci sarà la prima del Rigoletto ed anche l'incontro fissato da una settimana, un incontro interlocutorio, dice Fuortes, deciso a tener duro per il bene della cultura , incontro decisivo per i sindacati i quali hanno già posto le loro condizioni: siamo disposti a discutere su tutto, sul contratto integrativo, sui cosiddetti benefit, almeno quelli residui, sull'aumento della produzione, ma prima ancora di trattare questi capitoli dell'eventuale accordo, Fuortes deve ritirare, rimangiarsi, i licenziamenti. Con il licenziamento in atto, difficile che ci sia un accordo.
E' facile immaginare in quale clima si svolgeranno le recite di Rigoletto, con l'orchestra ed il coro, ancor in servizio fino alla fine di dicembre, ma licenziati. Mentre non è altrettanto facile entrare nella testa dei due giocatori convinti di vincere, per leggervi cosa gli passi, specie dopo che da tanti teatri importanti non solo italiani gli hanno detto chiaramente che quella loro brillante idea dell'orchestra esterna è una panzana, una autentica idiozia, che solo incapaci ed incompetenti gestori della cultura musicale potevano assumere.
E la cosa è ancora più preoccupante se si pensa che fra questi teatri ve ne sono alcuni di grande storia e rinomanza che dai due giocatori suicidi erano stati indicati come quelli che si servivano di orchestre esterne.
Sarebbero dovute bastare a giocatori più avveduti, i quali sanno che carte hanno in mano e quali giocare per il buon esito della partita, le dichiarazioni dell'Opera di Stato di Vienna e dei tre grandi Teatri berlinesi, per fargli cambiare decisamente strategia di gioco, che nel nostro caso significa soltanto : ritiro dei licenziamenti. Loro no.
Non osiamo neppure immaginare che cosa accadrà se entro la fine di dicembre non si troverà nessun accordo, neanche con l'orchestra esternalizzata, e magari se ne presenteranno altre, meno prestanti, che Fuortes e Marino potrebbero essere costretti, dalla strettezza dei tempi tecnici, ad assumere.
Ecco perchè la soluzione apparentemente di resa per i due folli giocatori, ma in realtà vincente, sarebbe quella di discutere di tutti i punti necessari per la razionalizzazione del lavoro artistico e procedere con una verifica periodica - ma questa dovrebbe riguardare tutte le orchestre italiane, come fanno quelle straniere più blasonate ed orgogliose del loro glorioso passato che intendono mantenere alto - ma con l'orchestra che torna ad esser quella del teatro.
Perchè anche l'orchestra, se offre il ramoscello d'ulivo della trattativa al sovrintendente, certamente deve aver capito che i tempi sono cambiati, nel senso che gli sprechi, dove ci sono, vanno tagliati senza pietà; prima di prendere in considerazione addirittura il taglio dell'orchestra. Cosa pensano di fare i due giocatori che non conoscono a che gioco stanno giocando, Fuortes e Marino?
Una vita nella musica. Un premio per Salvatore Sciarrino, ma anche un augurio ad inizio carriera
Fra una settimana esatta riceverà il Premio 'Una vita nella musica', inventato da Bruno Tosi, e giunto alla ventisettesima edizione, Salvatore Sciarrino, sessantaquattro anni, ma da cinquanta almeno nella musica, avendo cominciato ancora ragazzo, fra i compositori più apprezzati ed eseguiti al mondo - sedicesimo nella classifica mondiale stilato sulla base delle loro esecuzioni - e lo riceverà alla Fenice, all'indomani della 'prima' italiana della sua opera 'La porta della legge' da Kafka, ritenuta la più bella opera tratta da Kafka', rappresentata al Teatro Malibran, e a poca distanza dalla 'prima' mondiale in Germania di una sua nuova opera.
Nel premio c'è anche una sezione 'giovani'- perché chiamarla una vita nella musica ? - che premia un compositore, un musicologo ed uno strumentista - che fa il paio con il 'Leone d'argento' istituito presso la Biennale Musica , per premiare ogni anno un giovane musicista ( qualche anno fa lo vinse un ensemble dal sofisticatissimo nome 'Repertorio zero', letto il quale veniva da aggiungere: fatevi prima un repertorio e poi vediamo, il quale nella stagione successiva ha svernato nella Filarmonica romana del presidente Baratta: 'Leo pro domo sua', con il quale incarico baratta (contratta, scambia) il premio.
Comunque se la giuria composta dal fior fiore della musicologia e critica musicale italiana, presieduta da un giovanotto di spirito, l'ottantaduenne Mario Messinis, ha voluto istituirlo, sicuramente ha valutato prima le conseguenze benefiche - non venefiche - del premio dato ai giovani, alle giovani promesse della musica.
Ma la ragione per cui ne scriviamo è un'altra, ma ha sempre a che fare con il famoso premio inventato da Bruno Tosi. La prima edizione del premio, nel 1979, vide vincitore Artur Rubinstein, il celebre pianista, molto avanti negli anni, il quale non volle suonare il pianoforte, dopo la ricezione del premio. Si ascoltò una sua registrazione chopiniana, terminata la quale egli chiese quasi scusa del premio: 'l'hanno dato a me solo perché di quelli che hanno passato una vita nella musica sono rimasto solo io in vita, tutti gli altri meritevoli, sono morti'.
Noi eravamo alla Fenice, ci sembra fosse in agosto, ed era la prima volta che entravamo nello storico teatro, alle prime armi come critico musicale; ne scrivemmo su Paese Sera.
Successivamente il premio, finché è stato governato da Bruno Tosi scomparso qualche anno fa, ha visto sfilare sul palcoscenico della Fenice molti protagonisti della musica mondiale, le ultime due edizioni hanno premiato rispettivamente Aldo Ciccolini e Myung Whun Chung, l'anno scorso - a memoria ci sembra di ricordare che nelle passate edizioni sono stati privilegiati gli esecutori, strumentisti e cantanti o direttori, meno, assai meno, compositori che ora, evidentemente a causa della presidenza Messinis, che a lungo ha lavorato per e con la musica d'oggi (dai festival organizzati per Ricordi, alla sua direzione della Biennale o della Fenice, continuando sempre e comunque a fare il critico musicale - il che dimostra quanto fasullo sia il proverbio che non vuole un piede in due o più scarpe) acquisteranno maggior peso, o forse lo faranno le case editrici, sempre a caccia di premi per i loro compositori - anche se nel caso di Sciarrino quello veneziano è forse l'ultimo dei premi per importanza avendone ricevuti già di molto più prestigiosi e più ricchi nel mondo.
Qualche volta, ma non è questo il caso - Messinis é persona al di sopra delle parti e tutti i componenti della giuria, la crema della crema, illibati - il premio è stato attribuito con la mano sinistra, come si dice, come quando dopo quello assegnato a Bernstein- speriamo però di non sbagliarci - venne dato non ad un altro grande, grandissimo direttore, benché italiano, ma a due, forse per non sprecare con due italiani due successive edizioni del premio, prendendo così con un premio due piccioni. I piccioni non meritevoli di due premi in due diverse edizioni, a giudizio della giuria di allora, erano il 'maestro dei maestri '- così lo ritenevano tutti, all'infuori di Bruno Tosi e dei suoi amici giurati - Franco Ferrara, e il bravo direttore Gavazzeni, con molti meriti anche critici. Quella volta criticammo apertamente quella premiazione che a noi sembrò piuttosto un'ingiuria.
Nel premio c'è anche una sezione 'giovani'- perché chiamarla una vita nella musica ? - che premia un compositore, un musicologo ed uno strumentista - che fa il paio con il 'Leone d'argento' istituito presso la Biennale Musica , per premiare ogni anno un giovane musicista ( qualche anno fa lo vinse un ensemble dal sofisticatissimo nome 'Repertorio zero', letto il quale veniva da aggiungere: fatevi prima un repertorio e poi vediamo, il quale nella stagione successiva ha svernato nella Filarmonica romana del presidente Baratta: 'Leo pro domo sua', con il quale incarico baratta (contratta, scambia) il premio.
Comunque se la giuria composta dal fior fiore della musicologia e critica musicale italiana, presieduta da un giovanotto di spirito, l'ottantaduenne Mario Messinis, ha voluto istituirlo, sicuramente ha valutato prima le conseguenze benefiche - non venefiche - del premio dato ai giovani, alle giovani promesse della musica.
Ma la ragione per cui ne scriviamo è un'altra, ma ha sempre a che fare con il famoso premio inventato da Bruno Tosi. La prima edizione del premio, nel 1979, vide vincitore Artur Rubinstein, il celebre pianista, molto avanti negli anni, il quale non volle suonare il pianoforte, dopo la ricezione del premio. Si ascoltò una sua registrazione chopiniana, terminata la quale egli chiese quasi scusa del premio: 'l'hanno dato a me solo perché di quelli che hanno passato una vita nella musica sono rimasto solo io in vita, tutti gli altri meritevoli, sono morti'.
Noi eravamo alla Fenice, ci sembra fosse in agosto, ed era la prima volta che entravamo nello storico teatro, alle prime armi come critico musicale; ne scrivemmo su Paese Sera.
Successivamente il premio, finché è stato governato da Bruno Tosi scomparso qualche anno fa, ha visto sfilare sul palcoscenico della Fenice molti protagonisti della musica mondiale, le ultime due edizioni hanno premiato rispettivamente Aldo Ciccolini e Myung Whun Chung, l'anno scorso - a memoria ci sembra di ricordare che nelle passate edizioni sono stati privilegiati gli esecutori, strumentisti e cantanti o direttori, meno, assai meno, compositori che ora, evidentemente a causa della presidenza Messinis, che a lungo ha lavorato per e con la musica d'oggi (dai festival organizzati per Ricordi, alla sua direzione della Biennale o della Fenice, continuando sempre e comunque a fare il critico musicale - il che dimostra quanto fasullo sia il proverbio che non vuole un piede in due o più scarpe) acquisteranno maggior peso, o forse lo faranno le case editrici, sempre a caccia di premi per i loro compositori - anche se nel caso di Sciarrino quello veneziano è forse l'ultimo dei premi per importanza avendone ricevuti già di molto più prestigiosi e più ricchi nel mondo.
Qualche volta, ma non è questo il caso - Messinis é persona al di sopra delle parti e tutti i componenti della giuria, la crema della crema, illibati - il premio è stato attribuito con la mano sinistra, come si dice, come quando dopo quello assegnato a Bernstein- speriamo però di non sbagliarci - venne dato non ad un altro grande, grandissimo direttore, benché italiano, ma a due, forse per non sprecare con due italiani due successive edizioni del premio, prendendo così con un premio due piccioni. I piccioni non meritevoli di due premi in due diverse edizioni, a giudizio della giuria di allora, erano il 'maestro dei maestri '- così lo ritenevano tutti, all'infuori di Bruno Tosi e dei suoi amici giurati - Franco Ferrara, e il bravo direttore Gavazzeni, con molti meriti anche critici. Quella volta criticammo apertamente quella premiazione che a noi sembrò piuttosto un'ingiuria.
venerdì 17 ottobre 2014
Il sindaco Marino di nuovo ha soltanto la barba
La barba e nient'altro. Ora che l'hanno pizzicato con la sua macchinetta parcheggiata a sbafo, una Smart si difende, invita tutti a guardare la trave dell'occhio degli altri, distogliendo lo sguardo dalla pagliuzza che fuoriesce dai suoi occhi.
E poi sulla faccenda dell'Opera di roma- per la quale ieri c'è stato un incontro fra sindacati e sovrintendente, al quale è stato fatto presente che nessuna trattativa può essere messa in campo se il teatro non recede dai licenziamenti, Marino gioca la carta strappacuore o strappalacrime - fa lo stesso. Quando lui è arrivato ha estirpato il malcostume mandando a casa gli amministratori, ma ora non si può chiedere al Comune di tirar fuori i soldi se già i cittadini di Roma pagano per sostenere l'Opera una tassa di 30 Euro a famiglia per anno - perchè non ci dice quanto tirano fuori i cittadini di Roma per le municipalizzate che hanno buchi per qualche miliardo ( di Euro)? ed aggiunge che il comune dà all'Opera 17 milioni mentre alle scuole appena 3. Ha ragione. Ma perché non racconta tutti gli sprechi della parentopoli capitolina? E non ci assicura anche che il prossimo amministratore di una qualunque municipalizzata che ruba a fa casini va a casa e viene denunciato, anche se è fra i suoi collaboratori? Va giù duro il sindaco imbarbato, perché ora non vuole prendere la decisione di trattare, ritirando i licenziamenti. E poi tira fuori ancora i 190 Euro di diaria per le trasferte. Ma perché glieli hanno dati? Ciò indica la debolezza del management dell'Opera più che la forza contrattuale dei sindacati.
E perchè non manda a casa in blocco tutti i collaboratori dell'Opera, arrivati lì per giri strani che non c'è bisogno di raccontare?
Noi di certo sappiamo solo che la decisione dei licenziamenti e la successiva esternalizzazione è stata condannata da tutto il mondo; e che la decisione di inaugurare con Rusalka al posto di Aida, altri problemi di natura anche economica recherà al teatro. Ma in questo caso, come si suol dire: se li sono cercati per incapacità a reggere un teatro da parte del sovrintendente appoggiato da Marino, ora con la barba.
E poi sulla faccenda dell'Opera di roma- per la quale ieri c'è stato un incontro fra sindacati e sovrintendente, al quale è stato fatto presente che nessuna trattativa può essere messa in campo se il teatro non recede dai licenziamenti, Marino gioca la carta strappacuore o strappalacrime - fa lo stesso. Quando lui è arrivato ha estirpato il malcostume mandando a casa gli amministratori, ma ora non si può chiedere al Comune di tirar fuori i soldi se già i cittadini di Roma pagano per sostenere l'Opera una tassa di 30 Euro a famiglia per anno - perchè non ci dice quanto tirano fuori i cittadini di Roma per le municipalizzate che hanno buchi per qualche miliardo ( di Euro)? ed aggiunge che il comune dà all'Opera 17 milioni mentre alle scuole appena 3. Ha ragione. Ma perché non racconta tutti gli sprechi della parentopoli capitolina? E non ci assicura anche che il prossimo amministratore di una qualunque municipalizzata che ruba a fa casini va a casa e viene denunciato, anche se è fra i suoi collaboratori? Va giù duro il sindaco imbarbato, perché ora non vuole prendere la decisione di trattare, ritirando i licenziamenti. E poi tira fuori ancora i 190 Euro di diaria per le trasferte. Ma perché glieli hanno dati? Ciò indica la debolezza del management dell'Opera più che la forza contrattuale dei sindacati.
E perchè non manda a casa in blocco tutti i collaboratori dell'Opera, arrivati lì per giri strani che non c'è bisogno di raccontare?
Noi di certo sappiamo solo che la decisione dei licenziamenti e la successiva esternalizzazione è stata condannata da tutto il mondo; e che la decisione di inaugurare con Rusalka al posto di Aida, altri problemi di natura anche economica recherà al teatro. Ma in questo caso, come si suol dire: se li sono cercati per incapacità a reggere un teatro da parte del sovrintendente appoggiato da Marino, ora con la barba.
giovedì 16 ottobre 2014
Rossini e la sua Petite Messe Solennelle accolti per la prima volta in Vaticano,sponsor la Porsche automobili
Sono passati giusto 150 anni prima che Rossini vedesse esaudito il suo desiderio di vedere accolta il suo capolavoro sacro estremo, quella Petite Messe Solennelle, per la quale aveva inutilmente rivolto supplica al pontefice dell'epoca perché riconoscesse a quel capolavoro di arte e di fede il carattere sacro anzi liturgico. negatogli da quel papa per ragioni che all'epoca sembrarono sacrosante - presenza delle 'donne' fra i solisti e nel coro, e uso dei due pianoforti nella parte strumentale' - ma che viste con il senno di poi, appaiono addirittura ridicole. A papa Francesco questo particolare gli sfugge e non importa affatto, anche perché non si occupa della questione, giustamente occupato a governare e rivoluzionare la Chiesa - che è poi il compito principale di un Pontefice.
La sala nella quale per la prima volta verrà eseguita la Messa di Rossini è la Sistina che - viene fatto notare - per la prima volta viene 'affittata' a privati (Porsche) per uno scopo benefico, evangelico: raccogliere fondi per i più poveri e per i malati.
La eseguiranno i solisti, il coro e tre strumentisti ( per i due pianoforti e l'armonium) dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia diretti da Ciro Visco, musicista di vaglia e napoletano, lodato anzi esaltato nell'ultimo, recentissimo, libro di Paolo Isotta, per Marsilio editore, 'La virtù dell'elefante'.
Non è la prima volta che la Sistina ospita un concerto vero e proprio dopo i fasti di epoca rinascimentale e barocca, e dell'Ottocento, quando la Cappella musicale, che reca il nome di Cappella Sistina, rendeva ancora più solenni le liturgie papali.
Non quando, negli anni Ottanta, Bernstein ( gli era stato allestito un curioso camerino, una tenda, poltrona e tavolino con alcolico in bella mostra, assistito da Alessio Vlad - grande compositore, direttore d'orchestra e attuale direttore artistico dell'Opera di Roma in scadenza, allora giovanissimo) - diresse l'Orchestra di Santa Cecilia in Vaticano: la sala nella quale quel concerto fu ospitato fu un'altra. Invece solo pochi anni fa la Sistina ospitò il concerto della Hofkapelle di Vienna, diretto da Muti in onore di Giovanni Paolo II ( la Giansoldati, vaticanista ottima, ha scritto ieri sul Messaggero che Muti dirigeva la Filarmonica della Scala. Errore!), in diretta televisiva, con la telecronaca di Bruno Vespa, dal suo Porta a Porta 'memorabile', con telefonata papale.
Domani nella Sistina siederanno 38, dico trentotto, specialissimi ospiti, che dopo una visita al Museo, ascolteranno - quasi sicuramente annoiati - il capolavoro di Rossini - 'margaritas ante p... secondo l'insegnamento evangelico - poco importa se poi mettono mano al portafogli e cacciano parecchie migliaia di Euro che andranno ai poveri, dopo aver saldato il conto con Santa Cecilia che certamente non parteciperà alla beneficenza.
Come fisicamente al concerto non parteciperà papa Francesco, impegnato nel sinodo ed in altre mille giustificatissime faccende ecclesiastiche. Il papa, il mejo' degli ultimi decenni, non trova mai il tempo per prendere parte ad un concerto; ha sempre un 'altro impegno più importante, mentre ne trova di tempo, ed anche tanto, quando deve incontrare i giocatori di pallone - l'ha fatto ben due volte di recente - fra i quali si sente più pastore, oltre che tifoso, di quando assiste ad un concerto, non gli importa neppure se trattasi di una messa, forse della più geniale mai scritta.
Finita l'esecuzione della Messa di Rossini i 38 selezionatissimi invitati - chissà perché quel numero, se nella Sistina ve ne entrano anche di più (solo 38 erano disposti a sborsare una bella cifra?) cambieranno sala per andare ad abbuffarsi ai tavoli apparecchiati da una grande azienda di catering che già immaginiamo quale sicuramente sarà. Non c'è bisogno che lo diciamo. Ed anche quella sicuramente non fa beneficenza. Semmai è la Porsche e i 38 invitati che la fanno al catering di un famigliare di un noto personaggio della politica. Indovinate!
La sala nella quale per la prima volta verrà eseguita la Messa di Rossini è la Sistina che - viene fatto notare - per la prima volta viene 'affittata' a privati (Porsche) per uno scopo benefico, evangelico: raccogliere fondi per i più poveri e per i malati.
La eseguiranno i solisti, il coro e tre strumentisti ( per i due pianoforti e l'armonium) dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia diretti da Ciro Visco, musicista di vaglia e napoletano, lodato anzi esaltato nell'ultimo, recentissimo, libro di Paolo Isotta, per Marsilio editore, 'La virtù dell'elefante'.
Non è la prima volta che la Sistina ospita un concerto vero e proprio dopo i fasti di epoca rinascimentale e barocca, e dell'Ottocento, quando la Cappella musicale, che reca il nome di Cappella Sistina, rendeva ancora più solenni le liturgie papali.
Non quando, negli anni Ottanta, Bernstein ( gli era stato allestito un curioso camerino, una tenda, poltrona e tavolino con alcolico in bella mostra, assistito da Alessio Vlad - grande compositore, direttore d'orchestra e attuale direttore artistico dell'Opera di Roma in scadenza, allora giovanissimo) - diresse l'Orchestra di Santa Cecilia in Vaticano: la sala nella quale quel concerto fu ospitato fu un'altra. Invece solo pochi anni fa la Sistina ospitò il concerto della Hofkapelle di Vienna, diretto da Muti in onore di Giovanni Paolo II ( la Giansoldati, vaticanista ottima, ha scritto ieri sul Messaggero che Muti dirigeva la Filarmonica della Scala. Errore!), in diretta televisiva, con la telecronaca di Bruno Vespa, dal suo Porta a Porta 'memorabile', con telefonata papale.
Domani nella Sistina siederanno 38, dico trentotto, specialissimi ospiti, che dopo una visita al Museo, ascolteranno - quasi sicuramente annoiati - il capolavoro di Rossini - 'margaritas ante p... secondo l'insegnamento evangelico - poco importa se poi mettono mano al portafogli e cacciano parecchie migliaia di Euro che andranno ai poveri, dopo aver saldato il conto con Santa Cecilia che certamente non parteciperà alla beneficenza.
Come fisicamente al concerto non parteciperà papa Francesco, impegnato nel sinodo ed in altre mille giustificatissime faccende ecclesiastiche. Il papa, il mejo' degli ultimi decenni, non trova mai il tempo per prendere parte ad un concerto; ha sempre un 'altro impegno più importante, mentre ne trova di tempo, ed anche tanto, quando deve incontrare i giocatori di pallone - l'ha fatto ben due volte di recente - fra i quali si sente più pastore, oltre che tifoso, di quando assiste ad un concerto, non gli importa neppure se trattasi di una messa, forse della più geniale mai scritta.
Finita l'esecuzione della Messa di Rossini i 38 selezionatissimi invitati - chissà perché quel numero, se nella Sistina ve ne entrano anche di più (solo 38 erano disposti a sborsare una bella cifra?) cambieranno sala per andare ad abbuffarsi ai tavoli apparecchiati da una grande azienda di catering che già immaginiamo quale sicuramente sarà. Non c'è bisogno che lo diciamo. Ed anche quella sicuramente non fa beneficenza. Semmai è la Porsche e i 38 invitati che la fanno al catering di un famigliare di un noto personaggio della politica. Indovinate!
mercoledì 15 ottobre 2014
Le cantonate del ministro Giannini e del prof. Marco Mancini, capo dipartimento AFAM
Ambedue, il ministro ed il capo dipartimento, AFAM ( che governa il settore della formazione artistica) provengono dall'Università, quindi nulla hanno mai avuto a che fare con i Conservatori o le Accademie. Ma ambedue sanno anche che se una università vuole avere un professore, del quale ha immensa stima, il modo di farlo insegnare in quella università si trova: un contratto ad hoc. Il problema è trovare questi insegnanti fuoriclasse, visto che molti sono fuggiti nelle università straniere, che il talento e la bravura tengono in grande considerazione, stante la situazione viziata di concorsi universitari in Italia.
E' accaduto che per il Dipartimento Jazz del Conservatorio di Santa Cecilia in Roma, coordinato da Paolo Damiani - non ditemi: chi è; vi basti sapere che è un jazzista, bravo organizzatore, e dunque segnatevi il nome e basta - in base alle decisioni ministeriali un gruppo di famosi musicisti che ora insegna per chiamata diretta o per qualche altro marchingegno finora possibile, deve lasciare l'insegnamento a favore di altri che certamente non godono della meritata fama degli espulsi, ma che hanno un punteggio superiore a causa del sevizio già maturato. Ciò significa privare gli studenti dell'apporto di docenti che sono attivi nel campo e conosciuti per la loro bravura, e non perchè insegnano da tempo e magari sono inattivi come musicisti.
Si tratterebbe della seconda ondata di spoliazione dei nostri conservatori di personale docente ultraquilificato. La prima avvenne qualche decennio fa, con l'assenso suicida dei sindacati, allorchè si fece divieto di insegnamento in conservatorio ai musicisti che suonavano in orchestra e quindi esercitavano la professione che insegnavano ai giovani. Il risultato fu che molte cattedre furono occupate da musicisti strumentisti che non avevano mai suonato in orchestra o nell'esercizio della libera professione, lo strumento che insegnavano.
Ora si vuole nuovamente, per cecità di chi governa, rifare quella strada piena di trappole che ha portato in molti casi alla dequalificazione dell'insegnamento musicale nei conservatori.
Colpisce vedere che quando si muove, il Ministero lo fa per creare guai o almeno pasticci, mentre mai per risolvere situazioni anomale proibite dalla legge , e che , di conseguenza ministro e capo dipartimento ben conoscono, o dovrebbero.
Da tempo adiamo denunciando come molti insegnanti di conservatorio svolgano mansioni, non occasionali, di operatori musicali ( direttori artistici, presidenti o consiglieri di amministrazione, sovrintendenti ecc...). Sul bimestrale Music@, finchè ne eravamo il direttore, abbiamo anche proposto una prima lista di nomi con incarichi incompatibili; su questo il Ministero non interviene e neppure il capo dipartimento; anche nei casi in cui è intervenuta la magistratura a seguito di rapporto della Guardia di Finanza che ne ha sancito l'illegalità. Se il Ministro ed il Capo dipartimento non ci credono, meglio non lo sanno, basta che leggano il bilancio di previsione del Conservatorio dell'Aquila del corrente anno accademico, per trovarvi messe a bilancio somme che derivano dalla condanna di un insegnante che si trovava appunto in una situazione di incompatibilità, come vuole la legge cosiddetta 'brunetta': professore in conservatorio e sovrintendente di un teatro di provincia. Che aspettano dunque ad agire?
Nel frattempo farebbero bene a pretendere da tutti i nuovi insegnanti di discipline musicali, oltre che il diploma di fine studio, anche l'esercizio della professione che vanno ad insegnare: questa sarebbe una vera rivoluzione, ministrro Giannini e prof. Mancini.
E' accaduto che per il Dipartimento Jazz del Conservatorio di Santa Cecilia in Roma, coordinato da Paolo Damiani - non ditemi: chi è; vi basti sapere che è un jazzista, bravo organizzatore, e dunque segnatevi il nome e basta - in base alle decisioni ministeriali un gruppo di famosi musicisti che ora insegna per chiamata diretta o per qualche altro marchingegno finora possibile, deve lasciare l'insegnamento a favore di altri che certamente non godono della meritata fama degli espulsi, ma che hanno un punteggio superiore a causa del sevizio già maturato. Ciò significa privare gli studenti dell'apporto di docenti che sono attivi nel campo e conosciuti per la loro bravura, e non perchè insegnano da tempo e magari sono inattivi come musicisti.
Si tratterebbe della seconda ondata di spoliazione dei nostri conservatori di personale docente ultraquilificato. La prima avvenne qualche decennio fa, con l'assenso suicida dei sindacati, allorchè si fece divieto di insegnamento in conservatorio ai musicisti che suonavano in orchestra e quindi esercitavano la professione che insegnavano ai giovani. Il risultato fu che molte cattedre furono occupate da musicisti strumentisti che non avevano mai suonato in orchestra o nell'esercizio della libera professione, lo strumento che insegnavano.
Ora si vuole nuovamente, per cecità di chi governa, rifare quella strada piena di trappole che ha portato in molti casi alla dequalificazione dell'insegnamento musicale nei conservatori.
Colpisce vedere che quando si muove, il Ministero lo fa per creare guai o almeno pasticci, mentre mai per risolvere situazioni anomale proibite dalla legge , e che , di conseguenza ministro e capo dipartimento ben conoscono, o dovrebbero.
Da tempo adiamo denunciando come molti insegnanti di conservatorio svolgano mansioni, non occasionali, di operatori musicali ( direttori artistici, presidenti o consiglieri di amministrazione, sovrintendenti ecc...). Sul bimestrale Music@, finchè ne eravamo il direttore, abbiamo anche proposto una prima lista di nomi con incarichi incompatibili; su questo il Ministero non interviene e neppure il capo dipartimento; anche nei casi in cui è intervenuta la magistratura a seguito di rapporto della Guardia di Finanza che ne ha sancito l'illegalità. Se il Ministro ed il Capo dipartimento non ci credono, meglio non lo sanno, basta che leggano il bilancio di previsione del Conservatorio dell'Aquila del corrente anno accademico, per trovarvi messe a bilancio somme che derivano dalla condanna di un insegnante che si trovava appunto in una situazione di incompatibilità, come vuole la legge cosiddetta 'brunetta': professore in conservatorio e sovrintendente di un teatro di provincia. Che aspettano dunque ad agire?
Nel frattempo farebbero bene a pretendere da tutti i nuovi insegnanti di discipline musicali, oltre che il diploma di fine studio, anche l'esercizio della professione che vanno ad insegnare: questa sarebbe una vera rivoluzione, ministrro Giannini e prof. Mancini.
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marco mancini capo dipartimento AFAM,
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Rusalka al posto di Aida per inaugurare l'Opera di Roma. Il sindaco Marino sagrestano del sovrintendente Fuortes
Anche questa decisione del sovrintendente Fuortes, appoggiata apertamente da Marino, pone seriamente il problema della sua sostituzione. Fuortes non può assumere decisioni suicide che gli faranno dire, quando le recite della nuova opera non saranno esaurite che sarà colpa della cattiva fama e della cattiva stampa piovuta sul Teatro dell'Opera di Roma, dopo l'uscita di Riccardo Muti, a causa del clima non sereno in teatro, a seguito degli scioperi degli orchestrali, ultimi quelli a Caracalla.
Se Muti ha disdetto il contratto - ne aveva uno? e con lui ne avevano anche i cantanti ed il regista? che fine hanno fatto, cancellandosi l'opera? - il direttore artistico trova un altro direttore per dirigere l'Aida. Non è possibile che siccome Muti è andato via, anche l'opera che avrebbe avuto la sua direzione deve essere cancellata - al mondo siamo tutti utili, ma nessuno è indispensabile ed insostituibile - e del resto se il grande direttore ha lasciato il podio non è pensabile che non vi sia al mondo un altro direttore capace di sostituirlo per quel titolo, senza naturalmente essere un altro Muti. Invece il direttore artistico, emanazione di Muti, si chiama fuori, e il sovrintendente che a tutti sta dimostrando quanto capisca di opera e di gestione di un grande teatro, sostituisce il titolo popolarissimo con un'opera che certamente - scommettiamo? - non riempirà il teatro. Dunque Fuortes ha tirato fuori dal suo cilindro un titolo sconosciuto e con un direttore altrettanto sconosciuto, mentre avrebbe potuto averne uno conosciuto per l'Aida orfana di Muti. L'unico nome noto è quello del regista, Krief - perchè la regia è forse l'unico settore del quale Fuortes sa qualcosa, come ha dimostrato, almeno un pò, già a Bari; mentre la musica non gli appartiene, non entra nei suoi orizzonti, mentre qualche nome di registi lo mastica anche lui.
E, naturalmente, come nelle migliori tradizioni delle istituzioni italiane, con un cast tutto straniero, dell'est europeo, cosa ovvia per un'opera non di repertorio e da cantarsi, come è normale, nella lingua originale, ma per nulla ovvio in un teatro in gravi difficoltà economiche. E in questo anche lui va ad inserirsi nel solco di una ignobile tradizione.
Molti manager ai vertici delle nostre istituzioni culturali, infilativi dalla politica, non solo aggiungono disastri a disastri, ma stanno anche eliminando la musica italiana. Due grandi istituzioni come l'Accademia di S. Cecilia e l'Orchestra sinfonica nazionale della RAI, che hanno in comune qualche dirigente - il vice presidente dell'Accademia è Sovrintendente dell'Orchestra Rai, e si chiama Michele Dall'Ongaro - la pensano in maniera quasi identica sui musicisti italiani, e cioè non li stimano affatto, visto che le due stagioni si fanno senza di loro. Leggere i rispettivi cartelloni per verificare. Sicuramente i vertici dell'una e dell'altra istituzione, di rimando, possono anche immaginare quel che i musicisti italiani pensano di loro: e cioè che non li stimano affatto, attribuendo loro la gravissima colpa di distruggere la musica italiana a vantaggio di quella straniera, sostenuta da agenzie con le quali - perché non manifestare apertamente anche tale dubbio? - potrebbero avere interessi comuni, non esclusivamente artistici.
E il mondo musicale assiste impotente alla sua distruzione ad opera dei suoi stessi esponenti.
Se Muti ha disdetto il contratto - ne aveva uno? e con lui ne avevano anche i cantanti ed il regista? che fine hanno fatto, cancellandosi l'opera? - il direttore artistico trova un altro direttore per dirigere l'Aida. Non è possibile che siccome Muti è andato via, anche l'opera che avrebbe avuto la sua direzione deve essere cancellata - al mondo siamo tutti utili, ma nessuno è indispensabile ed insostituibile - e del resto se il grande direttore ha lasciato il podio non è pensabile che non vi sia al mondo un altro direttore capace di sostituirlo per quel titolo, senza naturalmente essere un altro Muti. Invece il direttore artistico, emanazione di Muti, si chiama fuori, e il sovrintendente che a tutti sta dimostrando quanto capisca di opera e di gestione di un grande teatro, sostituisce il titolo popolarissimo con un'opera che certamente - scommettiamo? - non riempirà il teatro. Dunque Fuortes ha tirato fuori dal suo cilindro un titolo sconosciuto e con un direttore altrettanto sconosciuto, mentre avrebbe potuto averne uno conosciuto per l'Aida orfana di Muti. L'unico nome noto è quello del regista, Krief - perchè la regia è forse l'unico settore del quale Fuortes sa qualcosa, come ha dimostrato, almeno un pò, già a Bari; mentre la musica non gli appartiene, non entra nei suoi orizzonti, mentre qualche nome di registi lo mastica anche lui.
E, naturalmente, come nelle migliori tradizioni delle istituzioni italiane, con un cast tutto straniero, dell'est europeo, cosa ovvia per un'opera non di repertorio e da cantarsi, come è normale, nella lingua originale, ma per nulla ovvio in un teatro in gravi difficoltà economiche. E in questo anche lui va ad inserirsi nel solco di una ignobile tradizione.
Molti manager ai vertici delle nostre istituzioni culturali, infilativi dalla politica, non solo aggiungono disastri a disastri, ma stanno anche eliminando la musica italiana. Due grandi istituzioni come l'Accademia di S. Cecilia e l'Orchestra sinfonica nazionale della RAI, che hanno in comune qualche dirigente - il vice presidente dell'Accademia è Sovrintendente dell'Orchestra Rai, e si chiama Michele Dall'Ongaro - la pensano in maniera quasi identica sui musicisti italiani, e cioè non li stimano affatto, visto che le due stagioni si fanno senza di loro. Leggere i rispettivi cartelloni per verificare. Sicuramente i vertici dell'una e dell'altra istituzione, di rimando, possono anche immaginare quel che i musicisti italiani pensano di loro: e cioè che non li stimano affatto, attribuendo loro la gravissima colpa di distruggere la musica italiana a vantaggio di quella straniera, sostenuta da agenzie con le quali - perché non manifestare apertamente anche tale dubbio? - potrebbero avere interessi comuni, non esclusivamente artistici.
E il mondo musicale assiste impotente alla sua distruzione ad opera dei suoi stessi esponenti.
martedì 14 ottobre 2014
Come un elefante, l'Italia. Lentissima, salvo che nella velocissima conferma di Vergnano al Regio di Torino
Qui non c'è bisogno di tirare in ballo una delle virtù per le quali si apprezza quel monumentale animale che è l' elefante, e cioè la memoria del passato che, egli, a causa della mole e del passo lentissimo, conserva più di qualunque altro.
Il grosso animale, dimentichiamo per un attimo quella sua virtù, è noto anche per il suo incedere lento, anzi lentissimo, ed è un difetto, salvo nei casi in cui la visione di una possibile preda gli dà la carica.
L'Italia, se l'elefante ci consente il paragone, è un paese che non ha in pregio la memoria, la sua grande virtù, perchè ce l'ha cortissima ed è causa di tanti guai, ma del grosso animale invece imita la lentezza, il suo peggior difetto, senza poterlo giustificare con la mole, e nonostante che da molte parti venga sollecitato a muoversi più spedita.
E il pensiero va al nostro Ministero, intendiamo quello della cosiddetta Cultura, retto da Franceschini (alias Nastasi) il quale è più lento ancora, se possibile, dell'elefante Italia, nell'assumere decisioni anche gravi ed urgenti; mentre solo in rarissimi casi si muove come una gazzella: come quando, a distanza di quarantotto ore, stante la segnalazione del Consiglio di indirizzo del Teatro Regio di Torino, prontamente costituito prima di molti altri teatri italiani, di voler confermare come sovrintendente Walter Vergano per i prossimi cinque anni, nonostante che stia su quella poltrona già da 15 - di anni, ovviamente - ha immediatamente inviato la nomina sottoscritta da Franceschini al Sindaco di Torino, Fassino. Un favore 'espresso' fra esponenti del medesimo partito, o il timore che, qualora qualche tempesta dovesse abbattersi sul governo Renzi, la frattura nel vertice del teatro, ricomposta faticosamente da Fassino, risulti inutile.
Se il ministero usasse altrettanta sollecitudine e prontezza di intervento nel definire questioni urgenti e gravi nel settore della cultura, il nostro paese sarebbe un bel passo avanti.
Per tornare a Vergnano, viene da domandarsi se una città od un paese non riesce a trovare il sostituto del sovrintendente di un teatro, che regna lì già da 15 anni e che , fra cinque, sarà certamente il più longevo sovrintendente italiano.
Salvo che Bruno Cagli, che aveva promesso di dimettersi prima della scadenza del suo mandato, probabilmente entro la fine di quest'anno quando i consigli di amministrazione devono trasformarsi in consigli di indirizzo, con nuove regole, e più diretta dipendenza e controllo del Ministero, non ci ripensi semplicemente perché non vuole, farsi sorpassare da un Vergnano qualunque nella durata in carica come Sovrintendente, visto che era l'unico fino all'altro ieri a contendere il primato al Conte di san Martino che aveva retto l'Accademia di Santa Cecilia, a lungo, agli inizi del secolo passato. Cagli stava quasi per eguagliarlo - in durata, s'intende - ma ora, per non farsi superare da Vergnano, sembra che sia tornato sui suoi passi - come ha fatto già altre volte - deciso a restare in Accademia fino alla fine dei tempi.
Il grosso animale, dimentichiamo per un attimo quella sua virtù, è noto anche per il suo incedere lento, anzi lentissimo, ed è un difetto, salvo nei casi in cui la visione di una possibile preda gli dà la carica.
L'Italia, se l'elefante ci consente il paragone, è un paese che non ha in pregio la memoria, la sua grande virtù, perchè ce l'ha cortissima ed è causa di tanti guai, ma del grosso animale invece imita la lentezza, il suo peggior difetto, senza poterlo giustificare con la mole, e nonostante che da molte parti venga sollecitato a muoversi più spedita.
E il pensiero va al nostro Ministero, intendiamo quello della cosiddetta Cultura, retto da Franceschini (alias Nastasi) il quale è più lento ancora, se possibile, dell'elefante Italia, nell'assumere decisioni anche gravi ed urgenti; mentre solo in rarissimi casi si muove come una gazzella: come quando, a distanza di quarantotto ore, stante la segnalazione del Consiglio di indirizzo del Teatro Regio di Torino, prontamente costituito prima di molti altri teatri italiani, di voler confermare come sovrintendente Walter Vergano per i prossimi cinque anni, nonostante che stia su quella poltrona già da 15 - di anni, ovviamente - ha immediatamente inviato la nomina sottoscritta da Franceschini al Sindaco di Torino, Fassino. Un favore 'espresso' fra esponenti del medesimo partito, o il timore che, qualora qualche tempesta dovesse abbattersi sul governo Renzi, la frattura nel vertice del teatro, ricomposta faticosamente da Fassino, risulti inutile.
Se il ministero usasse altrettanta sollecitudine e prontezza di intervento nel definire questioni urgenti e gravi nel settore della cultura, il nostro paese sarebbe un bel passo avanti.
Per tornare a Vergnano, viene da domandarsi se una città od un paese non riesce a trovare il sostituto del sovrintendente di un teatro, che regna lì già da 15 anni e che , fra cinque, sarà certamente il più longevo sovrintendente italiano.
Salvo che Bruno Cagli, che aveva promesso di dimettersi prima della scadenza del suo mandato, probabilmente entro la fine di quest'anno quando i consigli di amministrazione devono trasformarsi in consigli di indirizzo, con nuove regole, e più diretta dipendenza e controllo del Ministero, non ci ripensi semplicemente perché non vuole, farsi sorpassare da un Vergnano qualunque nella durata in carica come Sovrintendente, visto che era l'unico fino all'altro ieri a contendere il primato al Conte di san Martino che aveva retto l'Accademia di Santa Cecilia, a lungo, agli inizi del secolo passato. Cagli stava quasi per eguagliarlo - in durata, s'intende - ma ora, per non farsi superare da Vergnano, sembra che sia tornato sui suoi passi - come ha fatto già altre volte - deciso a restare in Accademia fino alla fine dei tempi.
Il TAR del Lazio aveva un figlio. Il TAR della Liguria, invece, no. Sul caso dell'alluvione a Genova
Le notizie che ci giungono questi giorni da Genova, per la seconda volta nel giro di tre anni invasa dalle acque, riportano in primo piano il ruolo dei tribunali amministrativi regionali, conosciuti come TAR, ma la stessa cosa vale anche per il Consiglio di Stato, ai quali ci si può rivolgere in tutte le occasioni in cui è in discussione un atto amministrativo - come ad esempio l'attribuzione di un appalto, a seguito di gara pubblica, qualora si ravvisi, non importa di quale genere od entità, una qualche irregolarità di carattere amministrativo. Ciò garantisce un cittadino o un'impresa che si ritenga ingiustamente escluso - e bene fa - ma nello stesso tempo, talvolta, crea più danni di quanti la sua esistenza vorrebbe e dovrebbe evitare.
Come appunto nel caso di Genova, dove, a seguito dell'alluvione del 2011, furono stanziati una trentina di milioni per effettuare quei lavori che da molti anni si sa quali sono e che non sono stati effettuati appunto per un ricorso al TAR della ditta esclusa dall'appalto.
Al TAR evidentemente è importato meno che, per difendere gli interessi economici di un'azienda, ha fatto abbattere su una intera città un'alluvione che l'ha letteralmente sommersa, come puntualmente è accaduto questi giorni, nonostante che i fondi siano stati stanziati e siano materialmente disponibili per i lavori dal 2011.
Sembra che ora nella prossima legge di stabilità il governo sia intenzionato a disporre che se dei lavori sono urgenti, e hanno a che fare con la incolumità della comunità, come tutti quelli che riguardano l'enorme dissesto idrogeologico delle nostre contrade, si potrà procedere anche in presenza di un ricorso al tribunale amministrativo, salvo poi a risarcire con un indennizzo la ditta esclusa, qualora le sue ragioni venissero accolte.
Il TAR non ha avuto colpe? Tante volte alcune sue sentenze hanno lasciato tutti a bocca aperta, salvo poi ad essere capovolte in un grado di giudizio diverso e successivo, al punto che l'eliminazione di tali tribunali, che hanno ingolfato ancora di più la nostra giustizia, è vista da alcuni con grande interesse.
Il caso tragico di Genova ci ha fatto venire alla mente un curioso episodio che ci occorse anni fa, quando insegnavamo in Conservatorio. Più d'una decina di anni fa, per gli esami da privatista si presentò un ragazzo accompagnato dal padre. Il quale padre aveva preventivamente telefonato, credo anche a noi, per dirci che lui era un alto, altissimo dirigente del TAR del Lazio e che si metteva a nostra disposizione nel caso avessimo avuto necessità di rivolgerci al tribunale amministrativo. Non non ne avevamo bisogno e quand'anche ne avessimo avuto, non ci saremmo mai rivolti né a lui e a nessun altro per godere di qualche scorciatoia o favoritismo. Capimmo, naturalmente, la sottile ingerenza e pressione che si voleva fare con quella presentazione.
Il ragazzo andò male all'esame. Il padre appena ne ebbe notizia minacciò un ricorso al 'suo' tribunale. Ora, non ricordiamo più, perchè sono passati molti anni, come finì la storia, né come andò l'esame ripetuto nella sessione autunnale. Fatto sta che quella pressione voleva intimorire i componenti della commissione la quale fece sapere al 'figlio' del TAR e di conseguenza a suo padre, altissimo dirigente del tribunale laziale, che, qualora avesse ravvisato qualche irregolarità nello svolgimento dell'esame od una valutazione non corrispondente all'esame medesimo, poteva far ricorso. E la commissione ripetere l'esame qualora il ricorso fosse stato accolto.
Quando pensiamo a quel padre che avrebbe potuto non far valere con tempestività la sua alta carica all'interno del TAR laziale e contemporaneamente ai giudici del TAR ligure che non hanno dato corso immediato alla sentenza del ricorso che avrebbe potuto far fare i lavori a Genova, beh, un pò di rabbia ci prende, perché la lentezza del tribunale ligure, che doveva giudicare su un interesse collettivo non fa il paio con la sollecitudine mostrata da quel padre che invece voleva approfittarne per interesse privato.
Come appunto nel caso di Genova, dove, a seguito dell'alluvione del 2011, furono stanziati una trentina di milioni per effettuare quei lavori che da molti anni si sa quali sono e che non sono stati effettuati appunto per un ricorso al TAR della ditta esclusa dall'appalto.
Al TAR evidentemente è importato meno che, per difendere gli interessi economici di un'azienda, ha fatto abbattere su una intera città un'alluvione che l'ha letteralmente sommersa, come puntualmente è accaduto questi giorni, nonostante che i fondi siano stati stanziati e siano materialmente disponibili per i lavori dal 2011.
Sembra che ora nella prossima legge di stabilità il governo sia intenzionato a disporre che se dei lavori sono urgenti, e hanno a che fare con la incolumità della comunità, come tutti quelli che riguardano l'enorme dissesto idrogeologico delle nostre contrade, si potrà procedere anche in presenza di un ricorso al tribunale amministrativo, salvo poi a risarcire con un indennizzo la ditta esclusa, qualora le sue ragioni venissero accolte.
Il TAR non ha avuto colpe? Tante volte alcune sue sentenze hanno lasciato tutti a bocca aperta, salvo poi ad essere capovolte in un grado di giudizio diverso e successivo, al punto che l'eliminazione di tali tribunali, che hanno ingolfato ancora di più la nostra giustizia, è vista da alcuni con grande interesse.
Il caso tragico di Genova ci ha fatto venire alla mente un curioso episodio che ci occorse anni fa, quando insegnavamo in Conservatorio. Più d'una decina di anni fa, per gli esami da privatista si presentò un ragazzo accompagnato dal padre. Il quale padre aveva preventivamente telefonato, credo anche a noi, per dirci che lui era un alto, altissimo dirigente del TAR del Lazio e che si metteva a nostra disposizione nel caso avessimo avuto necessità di rivolgerci al tribunale amministrativo. Non non ne avevamo bisogno e quand'anche ne avessimo avuto, non ci saremmo mai rivolti né a lui e a nessun altro per godere di qualche scorciatoia o favoritismo. Capimmo, naturalmente, la sottile ingerenza e pressione che si voleva fare con quella presentazione.
Il ragazzo andò male all'esame. Il padre appena ne ebbe notizia minacciò un ricorso al 'suo' tribunale. Ora, non ricordiamo più, perchè sono passati molti anni, come finì la storia, né come andò l'esame ripetuto nella sessione autunnale. Fatto sta che quella pressione voleva intimorire i componenti della commissione la quale fece sapere al 'figlio' del TAR e di conseguenza a suo padre, altissimo dirigente del tribunale laziale, che, qualora avesse ravvisato qualche irregolarità nello svolgimento dell'esame od una valutazione non corrispondente all'esame medesimo, poteva far ricorso. E la commissione ripetere l'esame qualora il ricorso fosse stato accolto.
Quando pensiamo a quel padre che avrebbe potuto non far valere con tempestività la sua alta carica all'interno del TAR laziale e contemporaneamente ai giudici del TAR ligure che non hanno dato corso immediato alla sentenza del ricorso che avrebbe potuto far fare i lavori a Genova, beh, un pò di rabbia ci prende, perché la lentezza del tribunale ligure, che doveva giudicare su un interesse collettivo non fa il paio con la sollecitudine mostrata da quel padre che invece voleva approfittarne per interesse privato.
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