Negli ultimi tempi, dopo la morte di Abbado che quando decideva chiamava, solitamente Repubblica e Corriere - sempre le stesse giornaliste - e si faceva intervistare quando diceva lui; e lo stesso discorso vale anche per Muti che, adesso che in Italia non dirigerà tanto spesso, forse sparirà anche dai giornali, sembra che altri grandi nomi abbiano preso il loro posto, sempre con interviste secondo la tecnica 'a comando', anzi 'a chiamata'.
Accade così che le case discografiche, all'uscita di un nuovo disco di questo o quella, invitino i giornalisti - non tutti, ma per l'Italia non solo quelli delle due maggiori testate italiane - per farli incontrare pubblicamente con i loro cavalli di razza, solo con quelli, mentre per tutti gli altri che contano poco, ed ancor meno contano in un mercato praticamente inesistente o piatto, si dica come si vuole, non spendono soldi neanche per una telefonata che annunci una nuova uscita.
Nelle ultime settimane è accaduto con la zarina di bianco vestita Cecilia Bartoli, che per la presentazione della sua nuova fatica - faticosissima - la casa discografica ha invitato a Versailles numerosi giornalisti per farsi intervistare. I quali giornalisti ci hanno detto di lei tante cose, una sola no: come era vestita durante l'intervista. Non ci hanno detto cioè se aveva la stessa pelliccia con colbacco bianchissimi, lei animalista - ma saranno stati sicuramente ecologici - con la quale s'è fatta fotografare, e che forse ha tenuto durante il concerto.
Fatto è che a leggere poi le interviste si capisce che i vari giornalisti hanno avuto ciascuno una intervista singola, perché le cose che scrivono della Bartoli sono differenti e talvolta anche molto, mentre identiche sono le domande, seppur riscritte ciascuno a suo modo.
Ora non abbiamo sotto gli occhi le interviste alla Bartoli e perciò non possiamo raffrontarle fra loro. Cosa che, invece, facciamo immediatamente con le interviste uscite proprio oggi a Daniel Barenboim che ha presentato alla stampa quattro CD con la musica di Schubert.
Alla domanda sulla situazione del melodramma e dei teatri in Italia, a seconda del giornale che leggi cambia la risposta, e si capisce che il giornale che ha scelto di sposare la linea suicida di Fuortes, cambia le carte in tavola alla risposta.
Per il Messaggero, alla domanda: lei ha una grande esperienza anche come direttore di teatri d'opera. Esiste un modello di riferimento che garantisca un buon funzionamento ed eviti le tensioni, come sta avvenendo a Roma; Barenboim avrebbe risposto:" penso di no. A Vienna c'è un modello, a Berlino ne esiste un altro. I modelli non sono esportabili. Ogni situazione ha le sue peculiarità e le soluzioni devono essere trovate per ciascuna realtà produttiva" .Che letta meglio intendeva dire: non voglio entrare nella questione, arrangiatevi.
Per il Corriere, alla domanda: cosa pensa delle recenti burrasche negli enti lirici italiani, Barenboim avrebbe, invece, risposto:" licenziare le orchestre non è una soluzione. Rivela solo la mancanza di cultura di chi lo decide. Come in politica i conflitti non si risolvono con la forza ma con il dialogo. Altrimenti a farne le spese non saranno solo i musicisti ma l'intero Paese".
Ed è più probabile che Barenboim abbia risposto come riporta il Corriere, anche perchè pochi giorni fa i tre teatri di Berlino, uno dei quali è diretto da Barenboim, hanno mandato a dire a Fuortes che la soluzione dell'esternalizzazione dell'orchestra e del coro è pazzia pura.
Ora due sono le cose: o Barenboim ha cambiato parere nel giro di una settimana, o il cronista del Messaggero non ha sentito la risposta o non l'ha capita e dunque se l' è inventata, adattandola alla linea del suo giornale. Nessuno ci ha detto dove è avvenuta l'intervista. Ciascuno dei due ha voluto far credere trattarsi di una intervista singola ed esclusiva.
Ciao core!
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