Anche questa decisione del sovrintendente Fuortes, appoggiata apertamente da Marino, pone seriamente il problema della sua sostituzione. Fuortes non può assumere decisioni suicide che gli faranno dire, quando le recite della nuova opera non saranno esaurite che sarà colpa della cattiva fama e della cattiva stampa piovuta sul Teatro dell'Opera di Roma, dopo l'uscita di Riccardo Muti, a causa del clima non sereno in teatro, a seguito degli scioperi degli orchestrali, ultimi quelli a Caracalla.
Se Muti ha disdetto il contratto - ne aveva uno? e con lui ne avevano anche i cantanti ed il regista? che fine hanno fatto, cancellandosi l'opera? - il direttore artistico trova un altro direttore per dirigere l'Aida. Non è possibile che siccome Muti è andato via, anche l'opera che avrebbe avuto la sua direzione deve essere cancellata - al mondo siamo tutti utili, ma nessuno è indispensabile ed insostituibile - e del resto se il grande direttore ha lasciato il podio non è pensabile che non vi sia al mondo un altro direttore capace di sostituirlo per quel titolo, senza naturalmente essere un altro Muti. Invece il direttore artistico, emanazione di Muti, si chiama fuori, e il sovrintendente che a tutti sta dimostrando quanto capisca di opera e di gestione di un grande teatro, sostituisce il titolo popolarissimo con un'opera che certamente - scommettiamo? - non riempirà il teatro. Dunque Fuortes ha tirato fuori dal suo cilindro un titolo sconosciuto e con un direttore altrettanto sconosciuto, mentre avrebbe potuto averne uno conosciuto per l'Aida orfana di Muti. L'unico nome noto è quello del regista, Krief - perchè la regia è forse l'unico settore del quale Fuortes sa qualcosa, come ha dimostrato, almeno un pò, già a Bari; mentre la musica non gli appartiene, non entra nei suoi orizzonti, mentre qualche nome di registi lo mastica anche lui.
E, naturalmente, come nelle migliori tradizioni delle istituzioni italiane, con un cast tutto straniero, dell'est europeo, cosa ovvia per un'opera non di repertorio e da cantarsi, come è normale, nella lingua originale, ma per nulla ovvio in un teatro in gravi difficoltà economiche. E in questo anche lui va ad inserirsi nel solco di una ignobile tradizione.
Molti manager ai vertici delle nostre istituzioni culturali, infilativi dalla politica, non solo aggiungono disastri a disastri, ma stanno anche eliminando la musica italiana. Due grandi istituzioni come l'Accademia di S. Cecilia e l'Orchestra sinfonica nazionale della RAI, che hanno in comune qualche dirigente - il vice presidente dell'Accademia è Sovrintendente dell'Orchestra Rai, e si chiama Michele Dall'Ongaro - la pensano in maniera quasi identica sui musicisti italiani, e cioè non li stimano affatto, visto che le due stagioni si fanno senza di loro. Leggere i rispettivi cartelloni per verificare. Sicuramente i vertici dell'una e dell'altra istituzione, di rimando, possono anche immaginare quel che i musicisti italiani pensano di loro: e cioè che non li stimano affatto, attribuendo loro la gravissima colpa di distruggere la musica italiana a vantaggio di quella straniera, sostenuta da agenzie con le quali - perché non manifestare apertamente anche tale dubbio? - potrebbero avere interessi comuni, non esclusivamente artistici.
E il mondo musicale assiste impotente alla sua distruzione ad opera dei suoi stessi esponenti.
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