Ieri, solo ieri, avevamo
promesso, ed ora teniamo fede alla promessa, che avremmo raccontato
una brutta storia , una storia di sopruso e che il democraticissimo
Cesare Mazzonis osò nei nostri confronti, quando lui era direttore
artistico dell'Orchestra sinfonica della RAI di Roma, e noi
muovevamo i primi passi nel mondo giornalistico per il quotidiano
Paese Sera, alla fine degli anni Settanta.
Il giovane cronista,
quale noi eravamo, entusiasta del suo nuovo lavoro, destinato
all'edizione pomeridiana del celebre quotidiano, più esattamente
alla ben nota pagina 'Stasera a Roma', governata da Riccardo Minuti, al quale dobbiamo l'inizio del nostro lavoro di critico, ricca di
informazioni e consigli sulle attività di spettacolo della serata
romana, faceva quotidianamente proposte al responsabile della pagina
- in quegli stessi anni muovevano i primi passi a Paese Sera altri
nostri colleghi, che però si occupavano d'altro e dunque
giornalistica,ente più utili e preziosi, come Paolo Boccacci, Fausto
Giani, Massimo Lugli.
Nel corso delle vacanze
estive, verso la fine, domandammo al responsabile della redazione
'Spettacoli' se era interessato ad ospitare delle anticipazioni
sulla imminente stagione dell'Orchestra sinfonica della RAI di Roma,
guidata da Cesare Mazzonis (esiste anche un altro Mazzonis, Stefano,
cugino del primo, anche lui ha fatto carriera in campo musicale,
partito come dirigente Italcable, addetto alle pubbliche relazioni
se ricordiamo bene, appassionato di musica, a seguito dei 'Concerti Italcable' della domenica, organizzati per conto della sua società al Teatro
Sistina, è oggi direttore artistico al Teatro di Liegi; e prima a Bologna, dietro suggerimento di Pierferdinando Casini - lui che c'entra? eppure c'entra - ma di lui
parleremo magari un'altra volta).
Alla risposta affermativa,
contattammo Mazzonis, il quale ci fissò un appuntamento nel suo
ufficio di Viale Mazzini, dove lo incontrammo alla data stabilita. Ci
fornì alcune anticipazioni, non il calendario completo della
stagione, secondo i patti, e noi confezionammo l'articolo e lo
consegnammo al giornale, dove apparve immediatamente dopo. Nessuno
disse nulla all'uscita del pezzo, tanto meno Mazzonis, visto che le
notizie ce le aveva fornito proprio lui, assecondando il costume
giornalistico di cercare notizie, prima che diventino di pubblico
dominio.
Senonché quando ci fu la
conferenza stampa, Cesare Mazzonis, evidentemente pentito, si ricordò
delle anticipazioni uscite su Paese Sera, forse un mese o due prima,
a seguito delle informazioni da lui stesso forniteci - altrimenti, da
chi altro? - e chiese a Piero Dallamano, critico ufficiale del
giornale, al quale collaborava anche Bruno Cagli, il nostro licenziamento - premettiamo che non fummo mai assunti, nonostante i
due anni intensissimi di collaborazione - con la seguente
motivazione: “se anche voi che siete giornali 'amici' (intendeva
PCI) invalidate il senso della conferenza stampa - come noi avevamo fatto anticipando alcune notizie - allora... e perciò
Acquafredda deve essere punito.
Vigliacco di un Mazzonis che se la
prende con un giovane cronista. Dallamano acconsentì e chiamò, seduta
stante, il responsabile degli Spettacoli chiedendo che fossimo licenziato. La decisione ci venne comunicata immediatamente, e fu
comunicata anche al responsabile della pagina 'Stasera a Roma' per la
quale giornalmente lavoravamo, e cioè a Riccardo Minuti, il quale
si oppose dicendo che potevamo continuare a scrivere per la sua
pagina, pur con il divieto di scrivere sugli 'Spettacoli' che
avevano ospitato quelle nostre anticipazioni, il cui materiale ci era
stato fornito da Cesare Mazzonis - è bene ribadirlo.
In seguito
riprendemmo a scrivere anche per la pagina degli Spettacoli, fino al
giorno del nostro licenziamento ad opera di Giuseppe Fiori, fresco
direttore chiamato a mettere ordine nel giornale. Oggi si direbbe a
'ristrutturare' che tradotto in termini più chiari vuol dire licenziare
il più possibile. E, fra i primi a farne le spese, noi che ci
occupavamo di un argomento, come la musica cosiddetta seria, che
evidentemente a lui non interessava affatto. Boccacci, Gianì, Lugli,
invece, restarono fino a quando non furono chiamati dalla nascente
'Repubblica' insieme ad altri, come Dondi e Dietrich.
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