sabato 30 agosto 2014

Milano è un comune? No, una comunella. E Milano e Torino sono un MiTo

Cominciamo dalle novità assolute di quest'anno nell'area milanese, in attesa dell'Expo. Tiene banco, quest'autunno, ma solo per qualche ora, l'arrivo,  chiacchierato già prima della presa di possesso, di Pereira che dopodomani si insedierà sulla poltrona lasciata da Lissner e che ha già più volte lanciato il suo  avveniristico programma di direttore artistico/ sovrintendente: cucire la bocca e legare le mani al loggione. Auguri di buon lavoro al nuovo timoniere della Scala.
Intanto parte  MiTo, il festival di cui tutto il mondo parla, per la novità dell'impostazione e la ricchezza delle prospettive ed il numero inverosimile di proposte. Si svolge fra Milano e Torino, distanti la bellezza di un centinaio di chilometri ( o forse sono di più?) costa alle due amministrazione un fottio di soldi per concerti ed altro che si ripetono nelle due capitali del florido nord , facendo conoscere a Torino fatti e persone del mondo della musica noti solo a Milano, e viceversa. Se, ad esempio, Milano gioca la carta Boccadoro, Torino gli risponde  battendo un colpo con Campogrande ed aggiungendovi, per ringraziare l'Orchestra Rai, il suo direttore artistico, Dall'Ongaro. In realtà si tratta di poca cosa, un pezzetto solo del noto compositore romano emigrato a Torino che meriterebbe molto di più, giacchè gli presta la sua orchestra ed alcuni ensemble per diversi concerti, persino il ricercatissimo Ensemble Noctis, quello delle serenate e ritirate piemontesi notturne.
A guardia della 'comunella' milanese la corte di Micheli ha il suo gazzettiere di fiducia, la Moreni, 24 ore dal sole al buio, e la sua casa editrice, anche quella di fiducia: Ricordi? Sì, quella.
 Se deve dar 'focus' agli autori li sceglie ovviamente dalla casa di fiducia - vedi Vacchi, e poi muori - nella quale il direttore artistico del mitico festival piemontese/lombardo, Enzo Restagno, ha lavorato, e forse lavora tuttora. E, se per caso non lavorasse più, può sempre rivolgersi a chi ha preso il suo posto, Carlo Mazzarelli che dirige l'altro festival, anche quello tutto milanese, che si intitola 'Milano Musica': e come altro si sarebbe potuto chiamare? Roma Musica o Palermo Musica? Neanche per sogno, giacchè Roma e Palermo non esistono - lo dice lo stesso nome del festival . E Mazzarelli, per proseguire nel solco della tradizione inaugurata da  Luciana Pestalozza,  e coadiuvato anche da altri pezzi da novanta, anche di anni, come Mario Messinis che con Ricordi troppo ha fatto da sempre, dedica quest'anno l'intero festival a Romitelli - compositore di grande valore morto giovane, a poco più di quarant'anni - edito da chi? Ma Ricordi!
 Come si vede Milano tiene fede al suo festival e anche quando si allea con Torino non viene meno alla sua missione: vedi Milano e poi... Torino, e basta.
 Un'ultima novità, annunciata con squilli di tromba da Micheli e dal segretario generale del festival, l'ing. Colombo: da quest'anno anche i cani possono ascoltare concerti. Ma non tutti i concerti, mentre i cani tutti. Il costo del biglietto 'animalier' dipende dalla stazza, non dalla razza. Chiariamo bene.

Anche il ministro Mogherini esce dal cerchio 'interessato' di Wolter Veltroni. Storia della bella Moretti

Come potevamo sbagliarci, stupidi noi che non l'abbiamo neanche immaginato e ipotizzato. Ma vi pare che una persona, pur di valore, avrebbe potuto fare una carriera tanto luminosa ed ancor più fulminea , per giunta donna, senza far parte di qualche combriccola di potere?
 Scopriamo oggi, leggendo i giornali che la Mogherini ha militato nella FGCI, si è interessata alle politiche estere, era una secchiona ecc...  ma scopriamo anche che la sua carriera politica, dopo la formazione nella sezione di Ponte Milvio, l'avviò il caro Wolter, che aveva il marito nel suo staff. Meglio non saperlo. Per una volta avremmo creduto che uno può farcela anche da solo - meglio ancora se  è 'una' a farcela, da sola.
 Ora la Mogherini va  iscritta di diritto nel clan Veltroni, del quale fanno già parte - fra quelli che conosciamo - verini, marinelli, bettini, von struppen, madia... e chissà quanti altri 'animali',  si direbbe con il linguaggio della favola.
 Normale amministrazione? Affatto. Ci convinciamo sempre di più che senza mettersi alle costole di un politico, scegliendolo naturalmente fra quelli che contano -  come, ad esempio, antonio razzi o scilipoti - non si va da nessuna parte. Non è pensabile che un politico si circondi di persone che non conosce e che quindi vada a cercarsi i collaboratori lontano dai propri orizzonti. Ha bisogno di persone fedeli innanzitutto, poi se sono anche competenti non guasta, ma la competenza non è la caratteristica che  loro esigono in primo luogo. Se poi  i politici sono delle primedonne, allora la fedeltà basta, perchè tutti devono giurare solennemente di tacere in presenza del capo e guai a chi gli si mette contro o di traverso.
 Anche il nostro presidente del Consiglio ha scelto i collaboratori tutti dalla Toscana che conosce, addirittura due dalla stessa famiglia, mettendone uno- che era a capo dei vigili urbani di Firenze- a capo dell'Ufficio legislativo di palazzo Chigi, una signora; e suo fratello, come sottosegretario di un qualche dicastero ( interno o giustizia?).
 Quando Renzi andrà a casa, non subito per carità, ma un giorno accadrà, anche lontanissimo, tutta la sua cerchia di amici prima e collaboratori poi, deve andare a casa  insieme a lui, non un minuto dopo. Nel caso ci terreno Padoan, gli altri li mandiamo a fare qualche corso accelerato in diverse materie, prima fra tutte l'amministrazione dello Stato.  E' mai possibile che la parlamentare di Vicenza, ora legata ad un noto presentatore televisivo, la bella Moretti  - quella che nell'incontro con i grillini annuiva col capo, e sorrisino al seguito, e sguardi d'intesa voluttuosa, ad ogni parola del suo creatore Renzi (anzi creatore bis dopo Bersani), proprio come fanno le comparse al seguito dei politici nelle trasmissioni televisive - prima deputata nazionale, immediatamente dopo deputata europea ed ora  candidata per qualche ministero, sia diventata in meno di una legislatura, insostituibile nella mappa del potere PD? Ogni giorno le cambiano destinazione, ma che c'avrà mai che noi non sappiamo,  qual è la sua arma segreta ma micidiale, per essere considerata una donna per ogni stagione, stazione?

giovedì 28 agosto 2014

A Calderoli, procurategli uno psichiatra non uno stregone; Littizzetto ingenerosa; basta acqua fredda, non serve gelata

Il padre della patria e del porcellum, sen. Calderoli, s'è rifatto vivo, per denunciare all'opinione pubblica che da quando insultò, gentilmente, la ministra nera Kyenge, dandole dell'orango, al quale gentile insulto un altro ne seguì,  questa volta diretto a lui, e cioè cerebroleso - naturalmente  a giudicare dal solo aspetto esterno e facciale - una autentica maledizione s'è riversata su di lui, a giudicare dai guai di salute e di ogni genere che lo stanno colpendo da mesi. Dall'Africa nera, patria della ministra, fanno sapere che nessuna maledizione, o come si chiama in lingua originale, è stata lanciata contro di lui.  Semmai più che di uno stregone, fanno sapere sempre dall'Africa nera, il Calderoli avrebbe bisogno di uno psichiatra, per riuscire a contenere gli effetti della malattia, latente, che, a giudicare dall'aspetto esterno, venne ufficialmente diagnosticata al padre della patria Calderoli, all'indomani del gentile insulto alla ministra. Ovviamente, se a  Calderoli serve uno psichiatra per risolvere il suo problema,  ci vien da ridere al pensiero di quanti psichiatri avrebbe ad esempio bisogno Borghezio, per guarire da un male similare. E se alla medicina che si occupa della salute mentale degli individui i due, nè di persona nè indirettamente, neanche attraverso il segretario Salvini, consapevole dell'epidemia, si sono ancora rivolti, temendo di dover sborsare di tasca propria cifre non indifferenti, anche in considerazione della cronicità del male, vogliamo far sapere che ancora i parlamentari li curiamo a spese  nostre, giacchè con  il loro stipendio fanno fatica ad arrivare al 10 del mese, e soprattutto perchè teniamo enormemente alla loro salute.
 A proposito di stipendi, Sveva Belviso,  braccio destro di Alemanno al tempo del suo  governo nella Capitale, dopo la figuraccia della Littizzetto che ha sventolato in favore della ricerca sulla SLA, due biglietti da 50 Euro come sua donazione, ha devoluto pubblicamente il suo stipendio  di settembre di consigliera comunale a Roma alla causa. Bello schiaffo! Cara Luciana, anche se la carità e beneficienza si fa solitamente in silenzio, e senza mettere i manifesti, perchè hai sventolato quei miseri 100 Euro, quando avresti potuto donarne almeno mille volte tanto?
 Non serve scandalizzarsi, perchè non è la prima volta che una simile tirchieria si mette in mostra. O forse sì, serve scandalizzarsi, perchè la Lucianina tutto pepe, dal salotto di Fazio, dà lezioni a tutti, e presto comincerà nuovamente a darne, pagata  profumatamente.
 Per dimostrare che non è la prima volta, ci è rimasto in mente il ricavato di uno dei concerti natalizi che ogni anno ospita Palazzo Madama:  35.000 Euro circa, cioè a dire  lo stipendio di due mesi di un parlamentare qualunque, anche il più incapace ( e sono molti!), mentre la sala del concerto  aveva aperto le sue porte ad alcune centinaia  di ospiti ed invitati, 4-500 circa, certamente tutti con notevoli possibilità economiche, i quali - vergogna !- avevano dato in media neanche 100 Euro a  testa. Il ricavato andava in beneficenza, in favore dell'Ospedale Bambino Gesù, che se avesse dovuto dipendere dalla generosità degli spettatori illustri di Palazzo Madama, stava fresco!
 A proposito dell'acqua ghiacciata, il mio medico mi ha proibito tassativamente di sottopormi all'imbecille rito che avrebbe procurato anche danno di immagine all'acqua, fredda sì ma non ghiacciata, nella quale siamo immersi ogni giorno dalla nascita, anche senza che ve ne sia bisogno per ragioni igieniche.

mercoledì 27 agosto 2014

Vergnano,Noseda,Di Gennaro, Micheli ed anche Mazzonis. Storie senza fine dei nostri teatri lirici

Cominciamo da Vergnano. Nonostante abbia le stesse iniziali, non fa parte della gloriosa compagnia di Wolter Veltroni - o sì, a nostra insaputa? - nella quale hanno militato e dalla quale sono usciti anche Walter Verini e Von Struppen ed altri, allevati e sostenuti per semplice identità di iniziali, fra nome e cognome, con il capo partito d'una volta, il Wolter nazionale che la sua compagnia l'ha sistemata dal primo all'ultimo.
Vergnano no, è stato allevato e poi sostenuto dal barone Agnello, in casa CIDIM, da dove ha preso il volo, per volere del barone, e  allo stesso modo con cui il Wolter ha sostenuto i suoi. Le ragioni, ciniche, delle scelte dei collaborati da parte del barone, secondo un nostro personalissimo parere, preferiamo non metterle in piazza. Quando lo lascia libero, Agnello gli fa fare la carriera alla quale solo un manager di valore potrebbe aspirare. In questi giorni si va dicendo che ha mantenuto i conti in ordine. Davvero? Se l'anno scorso o due anni fa non fosse intervenuto il Comune di Torino- del partito amico - uno sprofondo, impossibile da colmare, si sarebbe aperto nel patrimonio della Fondazione. E' evidente, a seguito di ciò, che oggi egli reclami la correttezza della gestione economica del teatro, alla vigilia della scadenza del suo quarto o quinto mandato - superato in durata solo da Cagli a Santa Cecilia - e nella speranza di essere rieletto. Ancora? E che si opponga alla tournée americana del teatro che costerebbe più di quanto farebbe incassare, e di ciò dà la colpa a Noseda, accusandolo di non badare alla tenuta dei conti del teatro quanto alla sua carriera, è diretta conseguenza dell'unico merito che forse crede di poter accampare, quello di buon amministratore.
Fassino che farà? Altra incognita. L'Orchestra del Regio torinese vuole che Noseda resti, per la ragione che la notorietà che oggi s'è guadagnata la deve alla presenza di Noseda, non certo a Vergnano che potrebbe far qualunque altro mestiere. Fassino vorrebbe mettere pace fra i due, ma sembra impresa impossibile, neppure con l'intervento miracoloso della Sindone torinese.
E Noseda? Noseda, del quale agli inizi della sua carriera pensavamo tutto il grigiore possibile, perchè lo davamo sostenuto eccessivamente da Gergiev, del quale era stato per qualche tempo assistente, s'è rivelato invece un buon direttore, che ha fatto fare grandi passi all'orchestra del suo teatro, conducendola in tournée internazionali ed anche in qualche buon festival italiano, e portandola a registrare dischi. Di lui i giornali hanno parlato sempre piuttosto bene.
Sembra una storia abbastanza simile a quella dell'Accademia di Santa Cecilia, dove la presenza di un direttore come Pappano ha alzato il livello dell' orchestra, già buono - cosa che non si poteva dire dell'orchestra di Torino - e dove regna da secoli un sovrintendente che certamente non è l'artefice del miracolo ceciliano, ma che certo non può essere paragonato, con tutto il male che si possa pensare di lui, Cagli, al sovrintendente torinese, Vergnano.
Roma e Torino hanno di molto simile una cosa: se andasse via da Roma Pappano, e, mutatis mutandis, Noseda da Torino, l' una e l'altra orchestra ne avrebbero a soffrire molto.
Dunque saggia decisione sarebbe quella di sostituire - al di là di meriti e demeriti, solo perchè sarebbe ora, dopo tanti anni - i due sovintendenti, lasciandovi invece i direttori. Non si pensi che questa storia ricalchi quella della Scala. No, assolutamente; perchè lì il dissidio che aveva opposto direttore e sovrintendente, Muti e Fontana, oppose insanabilmente anche direttore e orchestra, dunque impossibile da ricomporsi, anche a distanza di anni, il che spiega come mai Muti, ad ogni accenno di invito a tornare a dirigere alla Scala i suoi orchestrali di un tempo, faccia orecchie da mercante.
Ma il peggio, per il Regio viene ora, a proposito dei nomi dei papabili alla direzione artistica che hanno opposto Vergnano e Noseda. Il quale ultimo vorrebbe Carmelo Di Gennaro, un tempo al Sole 24 Ore, poi assistente alla direzione artistica in Portogallo, al seguito di un direttore italiano, musicologo veneziano, e in Spagna e, infine, Spagna per Spagna, direttore dell'Istituto culturale italiano di Madrid. Un critico musicale, legami anche con le case discografiche ( forse per questo lo conosce Noseda; poco, no?) del giro di Musica/Realtà ( Luigi Pestalozza) e  che non è facile capire perchè lo stimi tanto Noseda, al punto da volerlo come direttore artistico. Lui la fama, quel po' di fama che ha, se l'è cercata e forse anche guadagnata all'estero, dunque lontano da occhi attenti ed oggi, per grazia di Noseda, arriva ad aspirare alla grande rentrée.
Vergnano, che non sappiamo come possa avere competenze tecniche nella scelta di un direttore artistico, vorrebbe Francesco Micheli, regista milanese - al quale anche noi su Music@ demmo uno spazio per farci raccontare l'esperienza con la Filarmonica scaligera della musica per bambini fatta da bambini, e che ora ha fatto parlare tout le monde di sé, per quella fesseria di aver portato a Macerata , sul palcoscenico dello Sferisterio, più donne di quante ne circolino nella cittadina marchigiana. Donne in scena, in orchestra, sul podio, fra le maschere e la biglietteria, ad eccezione dello stesso Micheli che s'è riservato una regia, benedetto fra le donne. Per un sovrintendente come Vergnano, è il segno che il giovane regista sa far parlare di sé , e dunque una valida ragione per chiamarlo a lavorare a Torino. Ma sembra che non goda della stima di Noseda, il quale si oppone alla sua nomina, voluta da Vergnano. Ma nessuno dei due sa bene perchè volerlo o non volerlo.
E, infine, fra i possibili candidati c'è anche Cesare Mazzonis. Ancora? Sì proprio lui, andato in pensione a Firenze, per ragioni di età, ha cominciato a lavorare più di prima, dappertutto, a Rovereto, già negli anni fiorentini per un festival mozartiano (un niente per l'ex direttore artistico della Scala e del Maggio, ma sui soldi non si sputa!) a Bologna con Abbado, alla Filarmonica romana, ed ora alla Orchestra Rai di Torino, e perciò già di casa.

Mazzonis potrebbe non abbandonare l'incarico Rai - che lui tiene solo per ragioni affettive e non per altro (avendo cominciato il suo lavoro a fianco di Siciliani, proprio in Rai, quando vide sfumare la sua carriera di baritono, della quale si ricorda ancora una sua presenza all'Oratorio del Gonfalone in una 'Passione', se non andiamo errati di Telemann!) e realizzare, senza volerlo, il sogno che va accarezzando Marino - aquila, romana - di riunire Opera e Santa Cecilia, in un unico ente. Che risparmio! Con la musica che va in malora!

giovedì 21 agosto 2014

Renzi non fare il bastardo. Non ci provare. Non rubare ai pensionati. Sul caso Mogherini.



 Premessa.
 Dopo aver letto alcune delle ultime dichiarazioni deliranti di Grillo, in cui si dà del bastardo a Renzi, intendiamo precisare che non siamo sulla stessa linea accusatrice del comico. Noi intendiamo dire che se Renzi mette mano alle pensioni - ma ora sembra che non accadrà - si 'imbastardisce', meglio 'imbastardisce' la sua iniziale azione riformatrice anche nel senso della giustizia sociale. Perciò tagli i privilegi, lì sicuramente non corre il rischio di imbastardirsi. Ed ora siu legga tranquillamente ciò che abbiamo scritto ieri.

Siamo davvero stufi. Il governo e i presidenti dei due rami del Parlamento, finchè saranno ancora due, non riescono a togliere neanche un centesimo dalle laute paghe di politici e servitori,  e neppure dei vitalizi dei medesimi, il più delle volte immeritati, anche se parlano sempre di 'diritti acquisiti', mentre sarebbe più giusto parlare di 'furti' perpetrati a danno dei cittadini; proprio quel governo, Renzi in testa, e i presidenti delle Camere, voteranno sul prelievo forzoso di un contributo dalle pensioni di larga parte degli aventi diritto. A cominciare da quelli che percepiscono una pensione di 2000 Euro netti al mese, per la quale hanno versato per 40 anni i contributi previsti. Dai ladri autorizzati, nella cui schiera intende militare anche il giovane premier, 2000 Euro mensili sono considerati una pensione già alta, perchè lui e quell'altro bonaccione di Poletti vivono con molto meno, anche se non si sa come spiegare quel panzone del ministro e  l'arrotondamento del premier nei pochi mesi di governo con meno di 2000 Euro al mese.
 Insomma 2000 Euro al mese sarebbero una bella pensione, invece 15.000 Euro al mese - che è quanto guadagno i parlamentari, come Calderoli e i consiglieri regionali, come il Bossi Trota (solo per una caso ambedue leghisti, i primi nomi che ci sono venuti in mente) e tutto il codazzo di gente inutile ed impresentabile, sono un compenso 'modesto',  loro dicono: 'giusto', come hanno detto di recente Formigoni ed anche Galan. E perciò intoccabile. Bastardo d'un Renzi se fa quello che si ventila e cioè che toglie ai poveri per  darli ad altri poveri più poveri ancora, salvo quelli  falsi che, giorno dopo giorno, vengono a scoperti, non tutti ancora, altrimenti non ci sarebbe bisogno di tutta questa alchimia per far quadrare le spese.
 Per non cadere sotto la scure della 'illegalità' - ma per gli stipendi dei 'bastardi più bastardi' si parla di 'incostituzionalità', minacciando il ricorso alla suprema corte che apparterrebbe alla medesima categoria dei ricorrenti - si sta mettendo a punto un sistema diabolico, ricalcolando sulla base degli anni di versamento, quale vantaggio i titolari di pensioni abbiano ricevuto con il sistema retributivo per  intervenire proprio lì. E' chiaro? Un parlamentare che prende prima dell'età in cui vanno in pensione i normali cittadini, un vitalizio, per il quale può aver versato  appena il tempo di una legislatura i contributi, è in regola, tutto il resto del paese no.
L'autunno, con questi chiari di luna, si prospetta bollente, altro che caldo.  Se Renzi fa questo è davvero un... l'abbiamo detto già troppe volte come definirlo :bastardo!
Errata Corrige
Ancora una precisazione. Non conoscendo la carriera politica della Mogherini, parlamentare dal 2008, ma di cui non si conosceva all'epoca neanche il nome, con diversi incarichi parlamentari ed anche in seno all'Unione, sempre nel settore della politica estera, per quanto comunque graziata da Renzi, non è una miracolata totale. E' quanto ci sentiamo di precisare, dopo aver letto il suo curriculum. Resta valido, comunque, tutto ciò che di seguito abbiamo scritto ieri.

Giacchè parliamo di governo, una parola sulla Mogherini. Sappiamo che lei, diligente, è stata presa dagli uffici della Unione europea, dove ha fatto la sua gavetta ed era un brava funzionaria e, per decreto renziano, fatta ministro. Dunque già un incarico importante, per effetto di un triplo salto mortale; ma per Renzi l'età anagrafica in talune scelte ha contato anche più della competenza. Solo per le finanze il presidente Napolitano ha voluto Padoan , uno che se ne intende, altrimenti più che un gab inetto di governo, poteva sembrare una scuola media, fiorentina in prevalenza con qualche immigrato di altre regioni, in gita  culturale  a Roma. Ma ora Renzi la vuole 'ministro degli esteri' della Unione. E i mal di pancia sono tanti. Ciò detto, nessun tedesco, come qualcuno ha già fatto, può permettersi di dire che lei non è all'altezza, perché noi da tempo pensiamo che la pur brava cancelliera tedesca, è fra le responsabili della grande crisi che l'Europa sta attraversando e che ora, nonostante  la brava cancelliera, sta toccando anche il suo paese. Non sarebbe il caso di dire ufficialmente che la cancelliera, un tempo brava, ha combinato guai, perché non è all'altezza, lei ed il suo ministro delle finanze, e che perciò andrebbe fatta dimettere, mentre la Mogherini deve ancora sbagliare per essere giudicata così malamente dal suo collega tedesco, semplicemente perché aspira al suo posto nell'Unione?

Lectio penitenziaria dell'ex cavaliere Berlusconi nella sua università.

Il caso 'Berlusconi & Giustizia' ci sembra inspiegabile,  ogni giorno di più, con tutta la benevolenza possibile e la convinzione, non totale e neppure ferma, che contro di lui si sia potuto accanire un esercito di magistrati, quelli di sinistra, per vederlo defunto. Addirittura un complotto che ha fatto gridare ai rauchi forzisti che è in atto un attacco alla democrazia, come quello che c'è stato nei lunghi anni di Berlusconi e la sua ciurma al governo, raccattata negli uffici di Mediaset e Pubblitalia e per le strade del commercio chic di Roma e Milano o nelle sfilate di moda e di altro.  Una ciurma di amazzoni, alla maniera geddafiana - Gelmini, Carfagna, ed altre di cui non ricordiamo al momento i nomi - ancora attiva ed in perenne trincea a  devota commovente difesa del capo.
 Perché addirittura un 'caso'? Perché ogni giorno, salvo che per quelle quattro ore settimanali all'ospizio e la tre giorni nel suo dorato esilio lombardo, per il resto della settimana, il cav. ex, circola in macchinoni blindati con vetri oscurati, circondato da uno stuolo di guardie del corpo - che dovrebbero essere guardie carcerarie,  che , invece di proteggere noi e le istituzioni da un condannato per evasione fiscale, proteggono lui, come fosse Abele, e non Caino.
 Scende dai suoi macchinoni, riceve il saluto di uscieri e polizia o carabinieri, ed entra nelle sedi dei gruppi parlamentari per riunire i suoi, lanciare proclami ed offrire ricette su come salvare l'Italia. Da Berlusconi e dal berlusconismo - ma lui questo non lo dice.
 E come non bastasse, ora nella nuova università che intende inaugurare,  allo scopo di formare i quadri del futuro suo nuovo/vecchisimo movimento politico - sì, avete capito bene, lui non molla -  una università legata a Pegaso, istituto universitario riconosciuto dallo Stato, terrà una lezione che i suoi scagnozzi chiamano 'magistrale', ma che avrebbero invece dovuto chiamare 'penitenziaria' o 'carceraria', se avessero a disposizione un  vocabolario appena più ricco. Non ricco alla maniera di Berlusconi.

Liberateci da Ramin Bahrami

Non ne possiamo più di Bahrami e, purtroppo, per colpa di Barhami, cominciamo ad avere a noia anche Bach: B&B. Al punto che vorremmo che Bach non fosse mai esistito, per non sentir più parlare del pianista iraniano figlio di un ingegnere, amante della musica, che sotto il regime degli ayatollah è dovuto fuggire in Occidente  ecc.. ecc... fino a finire nella classe di Piero Rattalino al Conservatorio di Milano. Bastaaaa!
Ogni due o tre giorni una intervista al pianista  che  dicono 'grande'- andiamoci piano con gli aggettivi esagerati. E' un buon pianista, lo abbiamo ascoltato dal vivo anche noi. Perchè tutto questo chiasso attorno a lui? Sinceramente anche noi non sappiamo spiegarcelo, anche perchè, d'altro canto, a leggere una nuova intervista nulla ci riesce di apprendere di nuovo,  perchè lui ripete la  solita canzoncina del Bach che gli ha salvato la vita, fulminandolo in tenera età. Bastaaaa!
 Qualcuno spiega il 'caso Bahrami&Bach' attribuendolo  con la cosiddetta lobby ebraica tedesca che lo sosterrebbe, naturalmente non per ragioni religiose; la religione non c'entra, c'entrano i soldi. Altro non sappiamo.
 E poi ci vien da domandare se non si sono ancora stancati tanti giornalisti che lo intervistano  regolarmente, per fargli le stesse domande e farsi raccontare le stesse cose. Lo abbiamo intervistato anche noi una volta, una volta sola, ponendogli domande che sorvolavano sulla sua infanzia dolorosa, ma caramellosa, stando al suo racconto. Ma poi basta, non lo faremmo un'altra volta.
 Ogni tanto aggiunge qualche novità, l'ultima - che abbiamo  già letto, prima dell'intervista 'fedeltà' rilasciata alla Bentivoglio per Repubblica  di oggi - è l'uscita di un CD con il Bach, Mozart e Beethoven  infantili - ha già tradito Bach! - che fa addormentare la sua figlioletta,  la fa addormentare serenamente.  Così dice Bahrami.
 Non abbiamo comprato i suoi libri, ma ne abbiamo letto le presentazioni/recensioni che mettono in guardia sulla banalità dei contenuti.
 Restando a Bach, se è la sua musica la ragione di tanto interesse per il pianista iraniano perchè non vanno le signorine e i signorini dei nostri giornali ad intervistare Bacchetti? Lui sì che è un ottimo pianista - superiore a Bahrami, anche in Bach -  ed anche un folletto, una specie di Peter Pan che vuole restare sempre bambino  e che la sa cantare anche ai grandi.

mercoledì 20 agosto 2014

I teatri delle libertà, con i soldi pubblici

Abbiamo fatto, negli ozii ferragostani, un giro in rete per vedere, semplicemente vedere, quanto costano i vertici dei nostri massimi teatri lirici, compresa Santa Cecilia che, come si sa, teatro non è, ma spende e vorrebbe spendere come se lo fosse.
 Denunciamo, per l'ennesima volta, la difficoltà di reperire nei siti delle istituzioni, la voce 'amministrazione trasparente', dettata da ben due leggi, ma ancor oscurata.  E l'insulto da parte di alcune istituzioni, come nel caso dell'Opera di Firenze, dove digitando su 'amministrazione trasparente' , vieni rimandato alla cosiddetta home page, cioè a dire alla pagina iniziale del sito. Eppure mesi fa la pagina era visibile. Per non dire poi di quel che leggiamo nel sito forse della Scala, dove c'è la pagina, anzi il libro dell'amministrazione trasparente - perché le pagine sono troppe - dove alla voce 'sanzioni amministrative' per chi non osserva questa legge, non c'è nulla. Come a dire che le sanzioni sono così gravi che meglio è far finta di non averle lette. E il Ministero che dovrebbe vigilare, chiude gli occhi e fa finta che  alle leggi tutti si sono sottomessi. Perché dovrebbe non erogare il finanziamento alle istituzioni che non osservano detta legge. Lo farà mai? Nastasi è occupato in altre faccende che gli interessano più da vicino, come garantire il posto alla sua mogliettina, o seguire la formazione delle commissioni consultive che elegge a suo piacimento, per timore che qualcuna non assecondi le sue strategie.
 E veniamo ai costi dei vertici nei nostri teatri.
 Innanzitutto occorre indicare per un pubblico ringraziamento i sovrintendenti di Palermo ( Giambrone), Cagliari (Meli) che lavorano gratis. Accanto ai loro altisonanti nomi,  seguiti dal curriculum, dettagliatissimi, come fanno gli artistelli alle prime armi, non c'è cifra che tenga e quindi non ve ne compare nessuna.
Orazi ( Trieste) gioisce delle 'more' e gioirà ancora, fino a quando il sito del suo teatro sara nuovamente visibile. Oggi non lo è. 'Page not found', si legge. A proposito di siti, notiamo con raccapriccio che  il Teatro della Capitale figuri ancora come 'Teatro dell'Opera di Roma' e non con la dicitura che gli spetta e per la quale tanto ha lavorato per meritarla, e cioè 'Teatro dell'Opera di Roma capitale'. Come va anche detto che dal sito del Petruzzelli di Bari, risulta essere stata cancellata la programmazione di ottobre (Trittico, Lucia) per mancanza di fondi. E, già, il nuovo sovrintendente pensa di ripianare il deficit, cancellando la programmazione. Sarebbe così se lo chiudesse definitivamente, allora sì che ci sarebbe il pareggio di bilancio. Ma Fuortes, al Petruzzelli fino a dicembre 2013, non aveva sistemato i conti?
 Infine, dal sito dell'Accademia di Santa Cecilia, scopriamo che  nel 2014 alla Manzoni spa (agenzia di pubblicità di Repubblica, e, da non molto, anche del Corriere) è andata la somma di 72.000 Euro). E noi che credevamo che il quotidiano fosse un 'media partner', come si dice oggi, dell'Accademia; lo sarà anche, ma a pagamento, che immaginiamo agevolato.
                                                         Il catalogo è questo.
SOVRINTENDENTI: Lissner, 507.000; Cagli, 240.000;Girondini, 200.000 ( +50.000 a risultato. quale?); Fuortes,13.000; Purchia,151.000; Chiarot,167.000; Pacor,112.000; Vergnano, 187.000; Ernani,109.000; Biscardi 96.000. Di Freda, direttore generale della Scala, 270.000. Evidentemente ,lei non è tenuta, come del resto il suo sovrintendente, ad adeguarsi alla Legge dei 240.000 Euro.
DIRETTORI ARTISTICI:Acquaviva (Genova)78.000; Noseda (Torino) 53.000 - ma c'è anche un direttore dell'area artistica che prende 85.000; De Vivo (Napoli) 80.000 - c'è anche un segretario artistico che prende 64.000; Vlad ( Roma) 95.000; Gavazzeni ( Verona) 98.000; Fournier ( Milano)136.000; Ortombina (Venezia) 165.000; Bucarelli ( Roma, Accademia) 134.000- c'è un assistente  che prende 69.000; Sani ( Bologna) 69.000.
DIRETTORI MUSICALI O ASSIMILATI: Pappano,150.000; Barenboim 110.000; Matheuz,48.000; Rustioni, gratis.
DIRETTORI DI CORO: Assante (Genova) 92.000; Fenoglio (Torino)88.000; Caputo ( Napoli)86.000; Gabbiani (Roma) 99.000; Visco ( Roma,Accademia) 166.000; Moretti ( Venezia)125.000; Casoni (Milano),153.000; Tasso (Verona) 51.000; Faidutti (Bologna), 83.000.
 Nulla sappiamo, naturalmente, dei direttori di coro, artistici, musicali degli enti  nei cui siti  non compare la pagina 'amministrazione trasparente', mentre al Petruzzelli forse il direttore del coro neanche serve.
Libertà assoluta, come si vede.

Marino e Franceschini oscurati e affondati

Quando si devono mettere in piazza risultati deludenti,  si sceglie la via del silenzio, quando invece c'è da cantar vittoria, anche se piccola vittoria, allora  ci si espone oltre la decenza, al punto che qualcuno può pensare che finalmente la guerra l'abbiamo vinta. La guerra della difesa e valorizzazione dei nostri tesori culturali e storici.
 L'ultima figuraccia internazionale s'è avuta con il bimillenario di Augusto. Certo il ministro Franceschini ha assicurato che manifestazioni ed iniziative per la ricorrenza si avranno più avanti. Allora perchè, scoperto in fallo, corre assieme a Marino una corsa nei sacchi, senza conoscere bene la meta?
Lasciamo stare la sistemazione della piazza nella quale si trova il celebre Mausoleo di Augusto, e la riqualificazione del monumento stesso, dei quali si parla da anni, forse da quando, o prima ancora, si parlò della sostituzione della teca,  chiacchieratissima ancora oggi, nella quale è custodito quel che resta dell'Ara Pacis.
Insomma nella ricorrenza del bimillenario, apertura eccezionale del monumento con visita. Senonchè proprio  per quell'apertura, per la quale molti si erano prenotati, e molti ancor erano stati rimandati a nuova apertura,  si sono verificati, davanti agli increduli visitatori - che , comunque, secondo un quotidiano hanno effettuato la visita e sono rimasti soddisfatti! - due incidenti, come solo da noi possono accadere. Poco dopo iniziata la visita, è andata via la corrente elettrica, per cui  sono rimasti tutti la buio. E poi tutto il camminamento del Mausoleo vero e proprio, si è allagato. Ai visitatori è parso di trovarsi in uno degli antichi acquedotti romani piuttosto che nel mausoleo. Che altro doveva accadere, per celebrare degnamente il bimillenario del grande Augusto?

domenica 17 agosto 2014

In quale mondo vive e quale mondo sogna Nicola Campogrande?

Bella domanda. Su 'La lettura' di domenica 17 agosto,  il musicista riflette sulla attuale situazione musicale, non solo italiana, relativamente alle nuove composizioni o produzioni, per le quali gli tocca constatare, disgraziatamente, che si sono 'ristretti i connotati'. Di organico. Campogrande guarda con nostalgia a un passato quando i compositori, 'assediati' da istituzioni e mecenati che reclamavano nuove composizioni pagandole profumatamente, dovevano districarsi e dire più no che sì, anche in base al più o meno grande organico proposto. Non sappiamo in quale mondo sia vissuto finora Campogrande; e certamente quello al quale si riferisce non è mai stato il suo, giacché non ha dovuto mai rifiutare commissioni su commissioni di nuovi pezzi, solo perché non convinto delle condizioni. Perchè, da compositore attento e profondo qual egli è, il suo catalogo non pullula di numeri d'opera.
 Diciamo che un mondo nel quale fioccavano le commissioni di nuovi pezzi a musicisti in carriera non è mai esistito. Forse una committenza più ricca si è verificata nel corso della storia nelle arti visive, pensiamo a pittura, scultura, architettura, nella musica no.Mai. Almeno fino a che la nostra memoria riesce ad andare indietro. Salvo naturalmente il caso in cui un musicista era a servizio di un ricco signore, principe o vescovo, re o papa, per i quali doveva lavorare secondo i ritmi imposti dal servizio, in cambio di vitto, alloggio e qualche lusso. Ma con il padrone -  è un padrone che Campogrande vorrebbe per sè, oggi? un padrone che lo faccia lavorare da mattina a sera per sfornare musiche a getto continuo? - il musicista  non  poteva discutere dell'organico - che era quello esistente - nè contraddirlo o addirittura rifiutarsi, se reclamava nuove musiche per lo strumento che si dilettava a suonare. Se lo avesse fatto, si sarebbe meritata la classica pedata nel sedere, che altri, ma non per tali questioni, si meritò.
Veniamo al dunque. Campogrande la tira per le lunghe per dirci che oggi, data la triste realtà economica, le nuove musiche richieste  prevedono sempre organici più ristretti. Togliendo a lui, amante del colore strumentale, la possibilità di rendere manifesta tale sue inclinazione stilistica, essendo gli organici più frequentemente proposti, assai striminziti.
 Il problema del dilagare della musica per strumento solista o per organici ristretti, che pure aveva vissuto una stagione felicissima da Darmstadt in avanti,  era parso evidente già molto tempo prima della crisi, quando si consigliava ai compositori di non sprecare energie per pezzetti e pezzettini, meglio rinunciare e pensare ad opere più elaborate e complesse; perchè il catalogo delle opere  per strumento solista o duo o trio era già interminabile.
 Il fatto è che oggi anche il catalogo generale dei compositori italiani è interminabile e perciò, per far sapere che si è ancora in vita, si è disposti ad accettare commissioni, anche gratuite, pur di farsi ascoltare in pubblico, meglio se alla radio - Campogrande conosce bene la situazione lavorando spesso per Radio3, dove è possibile anche ascoltare opere sue.
Alla fine, Campogrande, musicista informato, dopo aver dato qualche dritta su ciò che si fa a Los Angeles o che si farà a Venezia prossimamente per la Biennale, dove ci sarà un'opera, appositamente commissionata da Ivan Fedele, per 'solo manifesto', zero esecutori e nessun cantante - si consola e ci consola ricordandoci che nella storia tanti capolavori sono nati da commissioni in cui era stabilito, piccolo o grande che fosse, l'organico e che, sempre nella storia, tanti  capolavori sono nati per organici ridotti, come l'Histoire di Strawinsky. Ma allora che vuole?

sabato 16 agosto 2014

Bruno Cagli si è messo in regola. Giambrone, Meli, Fortuna quanto guadagnano? Segreto!

Era ora. Sfogliando le pagine del file 'Amministrazione trasparente' dell'Accademia di Santa Cecilia, si legge che lo stipendio di Bruno Cagli, che riunisce  nella sua persona tre cariche ( Presidente,Sovrintendente, Direttore Artistico) è stato messo a norma: da 330.000 Euro è stato portato a 240.000 Euro (parte fissa). Probabilmente, per i mesi che gli restano a Santa Cecilia, giacchè ha annunciato di volersi dimettere prima della fine del suo mandato ( gennaio 2016), Cagli avrà anche un premio di produzione, per gli ottimi risultati raggiunti, che andrebbe sotto la voce 'parte variabile', riportando per meriti indiscussi, il suo compenso  quel 330.000 Euro che aveva suscitato qualche critica.
 Tutti gli altri compensi, al di sotto dei 240.000 Euro non sono stati toccati, come forse sarebbe stato opportuno, raschiandoli di un 10-20%, e portando quindi il compenso del collaboratore più pagato, il m. Cupolillo, dal oltre 170.000 Euro magari a 130.000 o  giù di lì.
 Il Fatto Quotidiano, in un articolo dello scorso ottobre aveva rilevato che  per gli stipendi dei suoi dirigenti e collaboratori, in mansioni direttive, l'Accademia spendeva oltre 1.000.000 di Euro. E a noi è venuto di pensare che se tutti i collaboratori in ruoli dirigenziali si fossero tagliati, limati, gli stipendi, forse nella casse dell'Accademia sarebbero rimasti alcune centinaia di migliaia di Euro: 3/400.000 Euro. Una bella sommetta da girare, lodevolmente, alla produzione artistica.
 Insistono invece in altri teatri a non comunicare sul sito, nella pagina 'Amministrazione trasparente', quanto guadagnano i dirigenti.
 Al Massimo di Palermo, dove si è insediato come Sovrintendente Francesco Giambrone, già ex sovrintendente,  constatiamo ancora come accanto al suo nome non compaia nessuna cifra, relativa al compenso. Forse lavora gratis come tutti gli altri che in cariche dirigenziali lavorano alla IUC e che meritano, per questo, un monumento.
 Alla IUC di Roma,  in fatti, non riusciamo a capire quanto guadagni Francesca Fortuna, direttore generale. Francesca è figlia di Lina, a sua volta moglie dell'ing. Fortuna, Oreste: una istituzione pubblica, a conduzione familiare da almeno cinquant'anni.
 Infine, al Teatro lirico di Cagliari, dove c'era discordanza fra richiesta ed offerta, relativamente al compenso del sovrintendente, già ex sovrintendente della istituzione cagliaritana, non si sa ancora se si sono messi d'accordo e se nelle more, Meli lavori gratis.
 Mentre nel sito del Teatro vediamo con raccapriccio un flash mob, sulla spiaggia rinomata di Villa Simius, da parte dei protagonisti della Turandot, in scena quest'estate. Nelle avveniristiche intenzioni del sovrintendente, quei corpi sdraiati al sole, di sera, rivestiti decentemente, si trasferirebbero in teatro per assistere alla Turandot, invogliati dagli acuti di 'Vincerò', ascoltati in spiaggia con base registrata.

giovedì 14 agosto 2014

Spigolature agostane. Bentornata Aspesi; Salisburgo suona, dirige a canta italiano. Dal Canada ha già cantato Paolo Cervone per Romaeuropa Festival

Se non arrivava Ferragosto e non si riapriva il ROF - gli intenditori sanno di cosa parliamo - non avremmo avuto il cadeau della Aspesi, in vacanza, come ogni anno, in quel di Pesaro. Teniamocelo buono il ROF, senza il ROF, ora che anche Lissner se ne va e Pereira sembra non goda delle sue attenzioni, senza il ROF la Aspesi non ci delizierebbe con i suoi reportage musicali. Senonchè la lettura del reportage da Pesaro prima che il ROF tiri su il sipario, deve aver fatto infuriare qualche critico musicale della Repubblica - la Aspesi sì e io no?- che ha preteso, senza attendere i francobolli delle pagine domenicali, che nel corso della settimana, si parlasse anche di un altro festival, benchè in uno spazio più ridotto per rispetto delle gerarchie,  di quello di Martina Franca che, zitto zitto, continua l'avanzata.
  La Aspesi, una volta partita da Pesaro, nelle more autunnali, dia qualche consiglio alla sua amica Sonia, consorte di Kaiser Franz, che qualche giorno fa , sul concorrente Corriere, s'è sbracata in maniera indecente, al punto da costringere noi poveretti a parlarne su questo blog, e addirittura Tullio Gregory, ad intervenire per censurare quelle parole 'veramente sceme' in libertà, riguardanti i pacchi della Enciclopedia Treccani, che lei non sapeva dove mettere e che ha utilizzato, consigliata dalla figlioletta intelligente, a farne un bel tavolone da salotto, sul quale appoggiare le bevande fredde - era specificato. Non diceva la Sonia perchè solo quelle fredde, contava sull'intelligenza, almeno pari alla sua, dei lettori del Corriere. Natalia consigli, per favore, alla sua amica Sonia, il silenzio, seconod il saggio biblico: tarda ad loquendum, prompta ad audiendum.
 Abbiamo ricevuto il catalogo generale di Romaeuropa Festival che avrà luogo da fine settembre e fine novembre, a Roma. C'è molta danza, anzi soprattutto danza, il più ricco festival italiano di danza, che surclassa bellamente e senza fatica quello di Rovereto. Solo che di molti di quegli spettacoli avevamo già avuto notizia dai sempre più frequenti reportages, soprattutto dal Canada, del nostro bravissimo collega Paolo Cervone. Che, a questo punto, non si capisce se è consigliere della direzione artistica del festival, oppure inviato del festival, o reporter in proprio che indovina sempre ciò che andrà al Festival Romaeuropa.
 E, infine, l'ennesima scoperta: quest'anno Salisburgo canta, suona e dirige italiano. Ma non era la stessa cosa anche l'anno scorso, anzi soprattutto l'anno scorso e quello prima, pure? Certo.  Come le televisioni, ad ogni inizio estate, dedicano trasmissioni su trasmissioni alla dieta, alla prova costume, alle cure anticellulite, chiamando qualche dottore che esibisce ragazze che sarebbero davvero sfigate se avessero anche la cellulite, tanto sono magre e malnutrite, i giornali parlano delle nostre eccellenze musicali, presenze costanti nei migliori festival  del mondo, come Salisburgo.

mercoledì 13 agosto 2014

Santa Cecilia Bene Comune. Una proposta, non banale provocazione.

                                         
In questi giorni di accese discussione sull'occupazione ed autogestione dal basso così a lungo protratte del Teatro Valle e sul valore del progetto cui in quella sede si è dato corso, e cioè 'Teatro Valle Bene Comune', ci ha colti spesso la tentazione di incitare i più attivi protagonisti del mondo musicale a trasferire una esperienza simile nel loro mondo. Che, 'Santa Cecilia - dopo tutto quello che si è detto in quest'ultimo anno sulla gestione a dir poco padronale di Cagli che siede stabile sul trono da quasi un quarto di secolo e che ora vuole influire anche sulla sua successione, ammesso che le ventilate sue dimissioni prossime non si rivelino uno scherzo atroce, ora che ci avevamo fatto la bocca all'ingresso di aria nuova nelle antiche stanze accademiche –  ripetiamo: che  'Santa Cecilia Bene Comune' sarebbe una bella idea, nessuno ha dubbi. Forse dovrebbero pensarci tanti giovani musicisti ai quali nessuno pensa, snobbati perfino da una istituzione come Santa Cecilia che, a sua difesa, accampa le iniziative dell'Opera Studio e della JuniOrchestra. Sì, per carità, vanno bene, ma Cagli potrebbe dirci perchè non ha ripristinato l'Orchestra giovanile di Santa Cecilia (altra cosa dalla JuniOrchestra) -chiusa da quella bell'anima di Berio, per mancanza di soldi, e però si era  aumentato lo stipendio, eredità passata poi a Cagli che naturalmente è rimasto scontento del regalo - quell 'Orchestra giovanile che, ai tempi di Chung, che non disdegnava di dirigerla, s'era guadagnata parecchie medaglie sul campo? Sarebbe una delle tante iniziative di una 'Santa Cecilia Bene Comune', tanto diversa da quella di oggi.
Leggendo oggi su 'Repubblica' la denuncia di una nostra ballerina bravissima che è dovuta emigrare a Boston per affermarsi, ci siamo ricordati da quanto tempo, forse anni, andiamo dimostrando, carte alla mano, che anche in Accademia i musicisti stranieri sono preferiti a quelli italiani di pari merito e bravura. Lo andiamo dicendo davvero da tempo, ma nessuno si dà da fare per cambiare la situazione, né tanto meno potrebbe farlo Cagli o il suo successore, che lui in quest'ultimo anno ha addestrato alla gestione della bottega. Finché non va via Cagli ed anche il suo delfino, che si sta scaldando in vista della  successione - speriamo! - nulla cambierà. Perché anche Pappano non fa nulla (non può farlo?) nulla per cambiare radicalmente le cose: s'è ritagliato il suo spazio, fa quello che desidera e lascia che gli altri, Cagli e la sua corte, mettano le loro pedine nel resto delle caselle rimaste vuote.
Quante volte abbiamo fatto riferimento allo strapotere delle agenzie artistiche, alcune delle quali comandano davvero più dei 'deboli' direttori artistici?
E le denunce di brogli o qualcosa del genere, nelle candidature ed elezioni di nuovi accademici, dove le cordate contano e pure il voto di scambio di alcuni candidati, mentre l'onestà non può essere scambiata con nulla, anche quando è unita alla più alta professionalità?
E l'alto compenso di Cagli – superiore perfino all'amministratore di Ferrovie Italiane – che si aspetta a decurtarlo, assieme a quelli pure abbastanza alti dei suoi fedelissimi? E il suo strapotere, derivato dal fatto che nelle sue mani sono tenute insieme le cariche di presidente, sovrintendente e direttore artistico?
L'Accademia, da anni, si muove in una routine di lusso, senza mai un progetto innovativo; le commissioni di nuove composizioni  sono rivolte per lo più a giovani compositori - non manca qualche eccezione - in procinto di essere candidati da gruppi amici, al ruolo di accademici;  alcuni musicisti sono invitati tutti gli anni senz'altra giustificazione che quella di tenersi buoni loro e il loro seguito, in previsione di future elezioni interne ecc...
Un giorno, non lontano, poi racconteremo i particolari di una elezione ad accademico che ci fu raccontata per filo e per segno da persona presente nel seggio elettorale, al momento dello spoglio delle schede. Ora possiamo rivelare il nome di chi ci raccontò l'episodio: la compianta Irma Ravinale. Riguardava un accademico chiacchierato assai, eletto per un solo voto sopra il quorum richiesto e quell'unico voto che gli servì per l'elezione, non era stato regolarissimo. Un giorno racconteremo ai lettori di questo blog l'accaduto, come abbiamo fatto a suo tempo, con una mail inviata all'accademico neo eletto, ed al presidente dell'Accademia, il quale naturalmente obiettò, a voce, che le cose non erano andate come gli  avevamo scritto, non sapendo che a riferirci l'accaduto era stata proprio la Ravinale.
Io non conservo più le mail di qualche tempo fa, ma il Presidente e quell'Accademico, invece, sicuramente sì. Ne ho le prove per l'Accademico che, a distanza di anni, rispose ad una mia accusa circostanziata, rispedendomi una mail, a suo parere di tenore 'vendicativo', che io gli avevo inviata anni prima, senza neanche una sillaba in aggiunta. Un 'avvertimento'.


 Per tornare all'Accademia, quella bella idea di 'Santa Cecilia Bene Comune' comincia a piacerci.

Ancora sul Teatro Valle dis-occupato

Nella guerra aperta ai Valliani - così chiamati da noi gli occupanti del Teatro Valle - s'è distinto il Corriere: Paolo Fallai ha accusato gli occupanti anche di ciò che non hanno fatto. Il sopralluogo , infatti, dei tecnici della sovrintendenza e dell'assessore Marinelli, ha messo in chiaro che il teatro è stato tenuto bene dagli occupanti, nonostante che  la sala e gli uffici fungessero anche da dormitorio ecc.. Dunque sconfessati tutti quelli che  avevano scritto, senza averne le prove, che il teatro era stato devastato da quei barbari. L'accusa, infondata, ci ha fatto venire alla mente una altra accusa fondatissima, riguardante un caso del mio paese d'origine, Trinitapoli, nel Tavoliere pugliese.
Appena fuori del paese era stato costruito un villaggio  di alloggi popolari, abitati, dati in uso, a persone bisognose, non proprio a modo; quel villaggio era detto 'l'isola delle donne maledette', con chiaro riferimento ad alcune signore che praticavano la più antica arte del mondo. Appena abitati  quegli alloggi popolari dotati anche di bagno con vasca, coloro i quali penetrarono per primi  in quella 'zona franca' cittadina' raccontarono di vasche da bagno trasformate in orticelli, perchè tanto loro di lavarsi non avevano intenzione; di finestre con vetri rotti al cui posto erano stati fissati con chiodi indumenti di vario genere. Insomma un vero disastro.
 Quando al Valle questo disastro s'è verificato che non c'era stato, allora  i giornali accusatori hanno chiamato in causa attori mammut - senza offesa, lo diciamo solo per gli anni sulle spalle - che, simpatizzanti della prima ora, accusavano, alla fine dell'esperienza, i 'teatranti' cosiddetti', che non avevano nessun  reale progetto.
 Anche questi sono stati messi fuori gioco dalla Marinelli che,  non sappiamo se convinta o per opportunità politica e furba strategia, ha dichiarato che il Teatro Valle deve riaprire il prima possibile e che al progetto 'Valle Bene Comune' si deve prestare attenzione e dare seguito.  Il primo prossimo appuntamento di dialogo è fissato al 2 settembre, dunque domani. E' chiaro?
 Ma perchè in tre anni nessuno ha voluto risolvere  politicamente, compreso il loquace Bray che da ministro se ne disinteressò della faccenda, il problema dell'occuapzione del teatro, risolto invece in venti giorni dalla madonna Marinelli? E Marino alla sua gemella al femminile, Marinelli, non poteva pensare prima di mettersi in una Barca che ha fatto acqua assieme a lui trasformandosi in un sottoMarino'?

martedì 12 agosto 2014

Toh, si risente Sisinio Zito

Ciò che stiamo per scrivere nulla a che a che fare con i meriti dell'ex senatore PSI, e non vuole essere un giudizio sulla sua lunghissima attività di operatore nel settore della cultura, semplicemente la sottolineatura della sua longevità all'ombra della politica.
Sisinio Zito ha fatto un cammino al contrario:da senatore sottosegretario in vari dicasteri, a senatore semplice, poi sindaco, consigliere comunale, a Roccella Jonica, per restare presidente del  rinomato locale Festival Jazz, dal quale ascoltiamo il suo grido di dolore unito alla richiesta di aiuto. Il festival quest'anno  si terrà, parte subito, parte in autunno, se dio vuole - ha denunciato l'ex senatore che noi, almeno di nome, conosciamo dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, precisamente dal 1989. E' una storia lontana che giova conoscere.
 All'epoca dirigevamo Piano Time, anche se la nostra permanenza alla direzione della rivista si sarebbe bruscamente interrotta agli inizi del 1990, per insanabili dissidi con l'editore, così bravo da mandare a puttane la più importante rivista di musica di quegli anni.
 Si allestiva quella grande mangiatoia che fu l'anniversario mozartiano del 1992, a duecento anni dalla morte del grande compositore. Tutta l'Europa si mosse, Italia inclusa, lautamente foraggiata dal Ministero, allora governato da socialisti che, davanti  alla ricca mangiatoia, non volevano certo distrarre lo sguardo, per lasciar abbuffare altri. A gestirla il CIDIM di Francesco Agnello, ma direttore delle manovre il socialistissimo Italo Gomez . Quando avemmo fra le mani il programma di quelle celebrazioni, notammo come in esso nulla vi era stato previsto  per coinvolgere i musicisti, tantissimi, dei nostri Conservatori,  specie gli studenti agli ultimi anni di apprendistato o appena in carriera. Telefonammo ad Agnello per dirgli di quest nostra scoperta, ed egli ci chiese di preparare un progetto in tal senso. Lo preparammo, lo sottoponemmo alla sua attenzione, gli piacque, e decise di inserirlo nel programma delle manifestazioni triennali.
Il progetto, 'Amadeus Giovani'  (titolo banale, ma chiaro,  e con molta sostanza) si articolava in tre fasi. Veniva richiesto agli insegnanti di pianoforte dei nostri oltre sessanta Conservatori, di inserire nel programma di studio dell'anno, alcune sonate di Mozart; tale studio veniva affiancato da alcuni saggi su tale repertorio che 'Piano Time' pubblicava, a firma di Paul Badura-Skoda, coinvolto nell'intero progetto. Agli stessi insegnanti veniva richiesto di indicare, sulla base di una selezione interna, il candidato da inviare a Palermo, per la successiva tappa del progetto. A Palermo, ospitati gratuitamente, gli allievi prescelti avrebbero dovuto suonare davanti ad una giuria presieduta da Badura-Skoda; dal cui insindacabile giudizio, doveva venir fuori un gruppo di sei /sette pianisti, i quali venivano ulteriormente omaggiati di un corso di perfezionamento con Badura- Skoda, al termine del quale egli avrebbe indicato i due vincitori, non uno solo, per ragioni anche educative che non serve illustrare agli acuti lettori del nostro blog. I due avrebbero poi studiato un repertorio opportunamente scelto da Badura-Skoda, d'accordo con l'autore del progetto, il sottoscritto, e convocati a registrare un CD con quelle musiche, per la cui registrazione, sotto la supervisione del celebre concertista-didatta austriaco, ci si avvaleva di un ingegnere del suono superlativo, il dott. Gallia della Decca. Insomma un bel progetto, a vantaggio dei giovani. E qui entra i scena il senatore Zito, del tutto ignaro del marchingegno inventato da Agnello e nel quale sarebbe stato coinvolto. Agnello, per non gestire da solo la montagna di denaro, in parte buttato nel nome di Mozart,  doveva spartirlo con altri enti che si occupavano, come il CIDIM - che restava comunque il maggiore - della promozione della musica. Ad esempio con l'ISMEZ, sigla sibillina per indicare una istituzione di matrice socialista che doveva spartirsi la mangiatoia di quegli anni con il CIDIM, di marca democristiana,  o con l'IRTEM, comunista ( Il CIDIM ora tira a campare, l'ISMEZ sembra dare segni di maggiore vitalità; l'IRTEM non sappiamo che fine abbia fatto; nel frattempo è nato il CEMAT, che si occupa di musica d'oggi).
 ISMEZ  sta per Istituto per lo Sviluppo Musicale del Mezzogiorno. Sisinio Zito  ne era  allora il Presidente; all'ISMEZ  lavorava, dall'interno del CIDIM,  con una specie di 'distacco'  ma con incarico dirigenziale, Marina Carloni, che poi ne è divenuta presidente.
Insomma Agnello, sapendo di mangiare più di tutti, per tener buoni tutte le altre insaziabili belve affamate, che  giravano rabbiose, intorno a quella tavola imbandita, mi chiamò per dirmi che quel progetto, per ragioni che non c'era bisogno che mi spiegasse perchè le capivo bene anche io che ero fuori da tutti i giochi politici, doveva gestirlo l'ISMEZ. E così fu.
 Si trattava di un progetto che alla fine costò, credo, un centinaio di milioni, forse centoventi, di lire. Briciole di fronte ai miliardi che amministrò Gomez e la sua corte. Agnello combinò un incontro con Gomez, che avevo in altra occasione attaccato duramente su Piano Time - non mi sfuggirono naturalmente le ragioni di quell'incontro pacificatore, ma per la causa del progetto mandai giù, facendo finta di nulla - al termine del quale mi si disse dell'ISMEZ. Non conosceva quella sigla se non di nome. Mi venne detto di mandare il progetto al senatore Zito il quale, formalmente, doveva approvarlo, approvando anche la previsione di spesa e le modalità di svolgimento, già tutte da me definite, e i tempi del pagamento.
 La cosa si svolse nel migliore dei modi; a testimonianza resta oltre che il gran bel ricordo e la riconoscenza di tanti giovani musicisti, il CD registrato e poi pubblicato dalla rivista 'Applausi', quattro o cinque anni dopo la sua registrazione.
Di quel progetto solo un particolare elemento non andò in porto. Era previsto che i due vincitori, dopo la registrazione del CD e di un altro periodo di studio con Badura-Skoda, avrebbero dovuto suonare in parecchie associazioni concertistiche  aderenti al CIDIM. Il che non avvenne.
Ricordo una risposta a tale richiesta, che mi colpì particolarmente, quella di Lina Fortuna, allora a capo dell IUC - ma lo era da secoli - e che poi, alla sua morte sarebbe finite nelle mani di sua figlia, dopo che Lei l'aveva ereditata da suo marito. Una integrità  mai eguagliata!  Lina Fortuna ebbe la sfacciataggine di opporre che nella sua IUC , la presenza di un duo poteva essere letta come 'non professionale', insomma poco seria. Capito? Insomma Lei, che la musica non sapeva dove fosse di casa, ebbe la sfrontatezza di opporre il suo parere a quello di Badura-Skoda.  Una vergogna che non le perdoniamo neanche da morta, in  nome di quei due giovani pianisti che, ovviamente, hanno poi fatto carriera.  Non possiamo perdonarglielo, dopo aver visto, e non solo alla IUC, tante  cose strane che ben altra censura avrebbero dovuto meritare dall'integerrima Fortuna, per quanto le riguardava.
 Torniamo da dove eravamo partiti. Insomma l'ex senatore Zito, alle soglie degli ottant'anni, è ancora sulla breccia. Come può cambiare il nostro paese se alcuni potenti o ex potenti non mollano mai l'osso, per godersi il riposo meritato?

L'officina in cui lavora D'Alò Giovanni, ed altre storie con Battistelli,Barbieri,Dall'Ongaro

A Rocca di Mezzo si è inaugurato nei giorni scorsi un importantissimo festival musicale, affidato alle cure di Giovanni D'Alò, unicamente noto perché collabora, nella 'romana' alle pagine di Repubblica, spingendosi,  ma solo quando gli capita un festival di amici, ad uscire dallo stretto perimetro geografico romano e laziale. Adesso lui non può scrivere del suo festival - ma non sarebbe la prima volta se lo facesse - e una C.C. si incarica di togliere le 'castagne dal fuoco' al suo collega.
 
Innanzitutto non si capisce perché l'abbiano chiamato 'Officina delle Muse' se a tale nome risponde anche una onlus napoletana che si muove nel campo dell'arte e preesiste al celebre neonato festival abruzzese. Una spiegazione ce l'hanno: mantenere un contatto, nominale, con il precedente festival, defunto, che era organizzato dall'Officina musicale  aquilana, affidata ad Orazio Tuccella.

 Ma il bello ed il mai visto vengono dal programma del festival che il critico di Repubblica ha organizzato, attingendo alle sue vaste conoscenze e valendosi della sua  immensa fantasia.
 Preinaugurazione con la Banda dell'esercito diretta dalla famosa m. 'Bona', vice direttrice. Poi il festival vero e proprio. Inaugurazione con Prosseda, pianista, concerto di  Bacchetti, pianista, e di Canino, pianista. Nel mezzo la proiezione di un film, e i concerti dei tre pianisti, compreso quello di Matusalemme-Canino, preceduto da un incontro, solitamente moderato da D'Alò, che solo lì fa il suo mestiere. Non quando fa quello di direttore artistico di un festival inesistente, con un programma altrettanto inesistente. Tre pianisti e ciao.
 
Non abbiamo nulla da dire se un critico musicale, in virtù di questa professione, sia chiamato a fare un festival,  in un paesino sperduto, per quanto  rinomatissimo per il pubblico estivo.  Si dovrebbe sempre cominciare così per farsi le ossa in un altro campo. Ma poi occorre dimostrare di avere le qualità per continuare ed anche progredire  negli impegni artistici, magari lasciando quelli di critico.
 
Mentre invece accade sempre più spesso il contrario, come nelle  dirette vicinanze di Rocca di Mezzo, e cioè all'Aquila, dove il padrone Battistelli, ha chiamato alla direzione artistica della società di concerti 'Barattelli' un altro critico di Repubblica, Guido Barbieri, senza che quest'ultimo  avesse mai debuttato, neanche nella cantina di casa sua, nella organizzazione musicale, ad eccezione di qualche sortita  nella musica contemporanea, in coppia con Pizzo, nel famoso duo Pizzo-Barbieri, e da drammaturgo; mai di direzione artistica e soprattutto mai in una istituzione di dimensioni più ridotte per fare pratica. Ma per questa, è ovvio, che ci pensa l'apparato ed il capo apparato Battistelli. Che è quello che voleva, ed intanto hanno come direttore artistico un critico di un famoso giornale, nominato a sua 'insaputa'. 
Il quale critico, a quattro soldi, era stato, e per la stessa ragione della sua professione giornalistica non per altro, già chiamato a dirigere una associazione anconetana, non sappiamo se anche lì a sua 'insaputa', ma forse no. 
Il Battistelli  ne era a conoscenza, ma proprio per questo l'ha chiamato, senza interpellarlo prima, per allargare sempre di più il suo circuito di influenza. Dalla Toscana agli Abruzzi alle Marche fino al Lazio, dove siede nel consiglio di amministrazione dell'Opera, da dove forse si candiderà, dopo la sfortunata esperienza di qualche anno fa, nuovamente , alla sovrintendenza dell'Accademia di Santa Cecilia, dove una volta insediato - ma deve vedersela con un altro candidato che non mollerà l'osso, dall'Ongaro - lascerà tutti gli altri incarichi, forte anche del lauto compenso che prima Berio e poi Cagli si sono dati: 330.000 Euro. Una bella sommetta infiocchettata sul bastone del comando.

lunedì 11 agosto 2014

Il Teatro Valle sgomberato. Una mattina d'agosto in giro per Roma. Ascoltando Stalteri a Radio 3

Cominciamo dal viaggio in macchina, quando, accendendo la radio ( Radio3) ci imbattiamo nel divino parlatore Arturo Stalteri che, solo un miracolo del cielo tiene ancora a quei microfoni, e al quale noi concediamo ora un momento di celebrità, citandolo. Due chicche almeno da segnalargli. A proposito di una raccolta di CD dedicata alle interpretazioni di Karajan, testualmente: "vi sono registrazioni  vecchie, ma anche più recenti, fino a prima della morte di Karajan, naturalmente" e proseguendo:"Karajan con quel suo suono sempre ambizioso". Se Stalteri comprendesse il senso di quell'aggettivo, ne saremmo felici, perchè quell'aggettivo a suo modo è fascinoso; invece, non rappresenta che una delle tante idiozie che quotidianamente gli escono dalla bocca, nelle lunghe mattinate a Radio 3.
 Poi ci dirigiamo al Valle, passando  davanti al Museo Napoleonico- dove c'è un signore che pulisce i vetri, una rarità da archeologia a Roma- e  per Piazza Navona, finalmente tranquilla,  affollata, con ristsranti e bar che hanno tirato i tavolini sui marciapiedi. Ma la meraviglia maggiore ci viene nel vedere polizia municipale e polizia di stato ed anche carabinieri, che presidiano la piazza per la tranquillità dei turisti. O perchè devono multare i fautori di 'tavolino selvaggio'? Noi osiamo pensare che resteranno lì a protezione dei turisti, anche quando i tavolini non scenderanno dai marciapiedi.
Davanti al Valle c'è un pò di gente, occupanti, che si preparano all'atto ufficiale della consegna del teatro all'Assessore Marinelli - De Andrè le ha dedicato una canzone: 'Questa di Marinelli è la storia vera... il seguito si può leggere in rete. Ci sono tre macchine della polizia in borghese che stazionano davanti al teatro, ma poi vista la loro inutilità perchè  l'atmosfera è abbastanza tranquilla - decidono di andare a lavorare altrove, dove forse c'è più bisogno, senza aspettare che giunga l'ora della convocata conferenza stampa degli (ex) occupanti. I quali accompagnano il funzionario del Comune a fare un giro per il teatro ed i locali adiacenti per verificare che viene consegnato - momentaneamente - al Comune, in condizioni buone, senza cioè che ci siano segni visibili dell'occupazione. La visita però deve essere fatta alla luce delle lampade di fotografie televisioni, perchè l'Acea stamattina ha  tagliato la corrente. Questo gesto che pacifico non è, mette pensiero agli occupanti i quali temono che verificandosi,  anche per l'assenza della luce elettrica, qualche incidente, che danneggi il Teatro, se ne dia la colpa a loro.
 L'Assessore Marinelli, quella della canzone di De Andrè,  chiama telefono il  suo funzionario che la rassicura, dopo la visita al teatro, che tutto è a posto e che sta per iniziare l'annunciata conferenza stampa, nel corso della quale il portavoce del teatro occupato, legge un lungo documento che sintetizza il senso dei tre anni di 'Teatro Valle Bene comune' e ribadisce che il dialogo con il Teatro di Roma è appena iniziato, ed è quindi lungi dall'essere concluso, il che vuol dire che non demorderanno, finchè non avranno assicurazione, e in tempi brevi - della riapertura del teatro per il proseguimento della loro esperienza in  accordo con il teatro di Roma, i cui vertici, naturalmente, sono assenti, almeno Sinbaldi non c'è.
 Un breve attimo di tensione si ha quando sulla soglia del teatro gli occupanti riconoscono una persona  vestita di tutto punto, che è il direttore/gestore del bar del teatro, prima dell'occupazione. Uno degli occupanti lo invita ad allontanarsi, spiegherà poi la ragione principale: ha portato via dal teatro un bancone del '700 che ora sta nel ristorante di sua moglie. Vero o falso che sia, lo riportiamo.
Due scritte  ci hanno colpito fra le tante inventate al Valle:'Teatro Valle: sotto marino, sotto sgombero'; ' Teatro Valle: Il problema è a monte, non al Valle'.
P.S. Dalla televisione abbiamo appreso ('visto') che gli ex occupanti, 'ex' del tutto non  sono ancora. Fuori del teatro hanno montato una impalcatura metallica ed anche un palco rudimentale, una sorta di tribuna; loro al Valle vogliono continuare a restarci, nel foyer e fuori perchè vogliono da vicino controllare il procedere dei lavori ed i tempi della conclusione; e, da questa posizione, continuare le trattative con il Teatro di Roma, per il timore che una volta fuori tutte le promesse di Marinelli/Sinibaldi, come quelle elettorali, finiscano a puttane.

sabato 9 agosto 2014

Arriva da Caracalla il bollettino della più grande vittoria che memoria umana ricordi.

Alla fine della festa - veramente domani, ma l'anticipazione ad oggi avrà pure un senso - dall?Opwra di Roma arriva inalterato il proclama della vittoria. Mai come quest'anno. Nonostante scioperi, cancellazioni e spettacoli gratuiti ( tre in tutto) la stagione alle Terme ha superato anche la migliore degli ultimi anni, portando gli spettatori a 56.000, e l'incasso a 2.300.000 Euro crica. L'anno scorso, se ricordiamo bene, l'incasso era stato di 1.900.000 Euro circa e gli  spettatori  appena 41.000. Mentre la migliore stagione si era avuta nel 2011 -  speriamo di non dare cifre a caso, come sembrano fare quelli dell'Opera di Roma capitale - tenete bene a mente il nome esatto, meritato, dell'Opera di Roma!- con 49.000 spettatori.
 Dai calcoli approssimativi - quasi della serva- che avevamo fatto, calcolatrice alla mano, alcune settimane fa, per aversi una stagione di successo, il pubblico doveva essere di 80.000 unità circa, essendo stata la platea quest'anno allargata a 4000 posti. Se ne deduce che molti di quei posti, in molte delle serate, sono rimasti vuoti. Ed allora, perchè anche Marino, con la faccia di chi non crede e non sa quello che dice, spara  del rilancio del Teatro, e sulla sua vocazione internazionale, come gli deve a ver suggerito di dire il sovrintendente Fuortes, e lui non è stato capace di verificare? Perchè come Alemanno e tanti altri predecessori, Marino, in teatro, al Costanzi o alle Terme, non ha mai messo piede, e dunque sta a quello che gli dicono di dire.

Come ti rovino la pargoletta. Da Tatò a Bray

Franco Tatò, manager fra i più stimati in Italia con esperienza di grandissimo peso in aziende ed istituzioni, sta zitto. Chissà cosa pensa mentre, nella quiete della sua bellissima masseria pugliese,  la sua gentile consorte, Sonia Raule, anche  scrittrice, produttrice, e infine frequentatrice di salotti, spara uno dopo l'altra idiozie ad educazione della sua pargoletta dodicenne, come apprendiamo da un lungo articolo del Corriere,  firmato Maria Luisa Agnese, nel quale i due Tatò, anzi tre contando la figlioletta, aprono le porte della loro incantevole casa  all'ombra degli ulivi. Ohibò, che scopriamo in salotto? Due divanoni grandissimi e bianchi, l'uno di fronte all'altro e in mezzo un singolare tavolino ( tavolinone) d'appoggio per bevande fredde (!) e pop corn. Un obbrobrio, che l'intellettualissima, artistissima signora Tatò, coinvolgendo la piccola - buon sangue non mente ! - spiega così. Franco, venendo via dalla Treccani, ha portato con sè molti libri. Non sapevamo dove metterli. Ecco l'idea:  mettiamoli in pile da sette ciascuno, le une accanto alle altre, fino a formare un parallelepipedo; li impacchettiamo - suggerisce acutamente Carolina, facciamo come fa quel vostro amico, Cristo!'. Meglio se fosse una salutare imprecazione, di fronte alla celebrazione più alta della idiozia, all'ombra della quale, poverina, sta educandosi  Carolina,  coinvolta  anche in un altro acuto progetto di mamma Sonia.
Arriva  un tavolo per il giardino, è di pietra di Trani, è un blocco pesante, ma troppo nuovo, dice l'intellettualona Sonia, che, chiama allora  Carolina, un martello ciascuno, e cominciano a picchiar duro sulla pietra,  per renderla 'antica'. Non ci hanno detto se nell'operazione qualche martellata ha rovinato le dita di Carolina o le unghie smaltate della signora. La quale però ha tenuto a precisare che in quella casa, il 'nuovo storpia'. Nuovo come lei?  Franco tace.
 Da Tatò che non ha mandato ancora giù l'uscita dalla Treccani - ed è forse anche per questo che tace, oltre che per non dire ciò che gli passa per la mente ascoltando quel che va dicendo in sua presenza la moglie -  a Bray, decaduto da ministro, per colpa di D'Alema resta sempre in sella. Il quale Bray, non avendo saputo né lui né i sindaci di Roma tirar fuori dall'illegalità il Teatro Valle, quando era a capo del dicastero culturale, si lancia in una sottoscrizione che arriva tardi - come accadeva anche quando era ministro - rispetto all'ultimatum ed alla proposta ' che i Valliani non possono rifiutare, e cioè lo sgombero del Teatro.  Chiede anche  con la sua autorevole ( penosa!) firma che tale sgombero sia ancora rimandato a settembre.
P.S. Per fortuna che oggi sullo stesso Corriere, che ieri ha pubblicato la penosa intervista alla Tatò che fa scempio della Treccani,  è intervenuto Tullio Gregory a stigmatizzare l'idiozia della intervistata.

venerdì 8 agosto 2014

Music@ (marzo-aprile 2012) Cagli rieletto, Battistelli sconfitto. L'orchestra protesta la dirigenza

Riprendiamo e pubblichiamo

L’Accademia di Santa cecilia, dopo una votazione andata a vuoto, in gennaio (2012) ha eletto, riconfermandolo, alla presidenza Bruno Cagli. Alla vigilia della rielezione l’Orchestra aveva protestato i dirigenti dell’Accademia e Giorgio Battistelli, apparso in novembre l’unico possibile contendente di Cagli e che si era dimesso dal Consiglio di amministrazione dell’Accademia, doveva accusare, per ora, una sonora sconfitta.
C' è chi ha definito l'ultima elezione di Bruno Cagli alla presidenza dell’Accademia, dopo diciassette anni di permanenza ai vertici della istituzione romana, come il suo ‘ventennio’. E infatti, alla fine di questo quinto mandato Cagli sarà stato Presidente dell’Accademia per ventidue anni circa: ininterrottamente dal 1990 al 1999 ( quando dovette dimettersi prima della conclusione del suo secondo mandato per la protesta dell’orchestra che non condivideva il regolamento che Cagli si accingeva a varare) e poi ancora dal 2003 - a seguito della morte di Berio, e dopo una breve reggenza di Perticaroli - ininterrottamente fino ad oggi e per i prossimi quattro anni, terminando così la sua presidenza-sovrintendenza nello stesso anno in cui terminerà il contratto di Pappano che, proprio nei mesi scorsi è stato esteso fino a quell’anno. Cosa farà Pappano non è chiaro ancora, quantomeno non del tutto; cosa farà Cagli, si dà per certa - così dicevano i bene informati - la sua sconfitta ad opera di Battistelli; il quale, presidente in pectore, alla prossima tornata elettorale sicuramene avrà la meglio su Cagli;, questa volta ha preso solo 18 voti contro i 45 di Cagli. Nei prossimi quattro anni, Battistelli avrà modo di fare la sua campagna elettorale. Della quale le linee programmatiche ha già illustrato per sommi capi nelle interviste rilasciate alla vigilia del voto - troppe! In quelle interviste Battistelli annunciava che, a seguito di una sua vittoria, avrebbe scisso l’eccessivo potere riunito nelle mani di una sola persona, ai vertici dell’Accademia : Presidente /Sovrintendente /Direttore artistico. E forse ha ragione, sotto questo profilo, come ha ragione pure quando dice che sa- rebbe opportuno che l’Accademia avesse orecchie più tese verso i musicisti italiani, vistosamente snob- bati dalla attuale direzione concertistica, a favore di quelli stranieri, vedi un po’ portati da certe agenzie ( storia vecchia!), salvo poche eccezioni. In realtà un occhio di favore verso alcuni musicisti, accademici ceciliani, anche per garantirsi – perché no – il loro appoggio nelle varie tornate elettorali, Cagli l’ha sempre avuta. Tutto il mondo è paese! Poi Battistelli contesta alla gestione Cagli una eccessiva spesa per attività che non rappresentano il fine ‘primario’ dell’Accademia. E cita il caso ’Opera Studio’ rivolta ai cantanti, la cui esistenza in Accademia - lo abbiamo scritto tante volte prima di Battistelli - è un lusso che il ‘rossiniano’ Cagli si permette. Battistelli accenna ancora alla presenza del Museo di strumenti musicali, di recente costituzione all’interno del complesso dell’Auditorium, ed anche in questo caso ha ragione. Quegli strumenti potevano onorabilmente finire al Museo nazionale di Piazza santa Croce in Ge- rusalemme, in bella compagnia della celebre collezione nazionale. Dove, invece, Battistelli non ha un briciolo di ragione è quando dice che la Bibliomediateca è una spesa eccessiva e, per lui, inutile. La battaglia doveva farsi al momento in cui Berio, con l’opposizione di tanti, Petrassi compreso, spogliò la Biblioteca del Conservatorio di Santa Cecilia di tutto il materiale cartaceo che apparteneva all’Accademia. Si disse, allora, che non era conveniente né logico spostare quel materiale che per il mondo degli studiosi e per tutti i cataloghi internazionali, risultava depositato a Via Vittoria. Berio se ne infischiò, avendo dalla sua anche l’incauto direttore del Conservatorio dell’epoca, il quale sperava in favori da parte di Berio che puntualmente non ebbe. Ritrasferire la biblioteca a Via Vittoria comporterebbe oggi una enorme spesa, e poi i libri ben conservati ed una biblioteca efficiente come l’attuale - a differenza dell’Opera Studio, che sarebbe più logico attivare presso l’Opera di Roma, e del Museo che a Santa Croce avrebbe la collocazione naturale - per il compositore Battistelli dovrebbe essere un punto d’onore ed un vanto e non un peso da scrollarsi di dosso. Infine l’avveniristica iniziativa di riunire le due massime orchestre della capitale ( Accademia ed Opera) una volta l’anno, per un evento - una parolaccia in bocca ad un musicista! - di portata internazionale, secondo Battistelli. Molto più semplice sarebbe far sì che Muti diriga l’Orchestra di santa Cecilia – da quanti secoli non lo fa? – e Pappano quella dell’Opera, in un normale scambio fra istituzioni, benefico per direttori e complessi. Basterebbe questo a rendere per certi versi la vita musicale più normale, ed in linea con i tempi di austerità che viviamo, ponendo fine alle liti fra primedonne ed alle lotte fra vicini. Certo è che oggi, nella attuale situazione, e con la riconferma di Cagli, dopo le battute velenose corse fra Opera e Santa Cecilia, è impossibile pensare ad un simile normalissimo e vantaggioso scambio.
Desta comunque qualche sospetto la proposta di Battistelli, che a noi è parsa come un ramoscello d’ulivo lanciato a Muti, dietro suggerimento di Nastasi - ancora lui?- molto amico di Muti e che, nello stesso tempo, ha voluto, per i prossimi anni, Battistelli compositore ‘residente’ al San Carlo, dal quale il Nastasi è appena uscito come commissario ed è rientrato come consigliere di amministrazione, come fosse la cosa più naturale, egli direttore generale del Ministero. Tra parentesi, anche i legami di Muti con il San Carlo, storico teatro della sua città natale, sono ben noti ed hanno la benedizione del presidente Napolitano. Infine, l’anomalia della odierna riconferma di Cagli - il gran numero di voti fra i quali anche quelli di tanti giovani accademici , fatti entrare da Cagli, ma più vicini ‘ideologicamente’ e ‘generazionalmente’ a Battistelli - alla prossima votazione sarà corretta: i giovani punteranno su Battistelli che rappresenterà il futuro piuttosto che per Cagli, ormai a fine corsa. Si spera. Alla vigilia delle votazioni , l’Orchestra, la prima volta dopo anni, ha contestato la dirigenza dell’Accademia con un documento ufficiale; e il presidente, a sua volta, ha risposto con una lettera ufficiale. Cagli o Battistelli, la presa di posizione dell’Orchestra ci preoccupa, perché quando ci si incammina sulla strada pericolosa delle accuse, gravi in questo caso, non si sa dove si può finire. La Scala e la stessa Accademia dovrebbero aver insegnato qualcosa.@

P.S. Adesso  anche Battistelli, sempre che Cagli si tiri davvero indietro, dovrà vedersela con Dall'Ongaro. e la vittoria dell'uno o dell'altro non è affatto scontata. Ma prima di cantar vittoria, attendiamo che Cagli vada davvero via. Poi ne riparliamo.



giovedì 7 agosto 2014

Chi fa da sé, non farà mai niente, perchè è meglio essere male accompagnati che soli. Tutino e Triola: storia di un'antica amicizia non tradita

Ci corre l'obbligo di avvertire che alla modifica radicale del famoso detto popolare ' chi fa da sé fa per tre', siamo giunti dopo attenta riflessione e sulla base di infiniti esempi pratici, dove l'avanzare solo per propri meriti,  senza l'aiuto e l'appartenenza a combriccole, compagnie, a logge e loggette, non è contemplato. Chi  vuole viaggiare nel mondo e nelle professioni 'in solitaria', andando avanti ma anche  qualche volta arretrando, corre seri rischi, primo fra i quali quello di non raggiungere mai la meta. O quantomeno di raggiungerla così tardi, che forse tanta fatica non serviva, potendo egli restare vicino al punto di partenza, con il vantaggio di non dover lottare come invece è condannato a fare se la sua determinazione a conseguire i traguardi desiderati fosse incontenibile.
  Il pensatore D'Agostino, che a noi fa letteralmente impressione, diciamo così, il tenutario di 'Dagospia' una volta nel comunicare la sua filosofia di vita, ammetteva che prima di tutto occorre crearsi un gruppo, od entrare in uno esistente,  o una compagnia, stanziale o di giro; mai pensare di poter procedere da soli perchè,  le presunte gratificazioni personali non sono che inutili consolazioni.
 E' sempre e comunque necessario,perciò, saltare su qualche carro già in movimento o sbracciarsi per trovare un posto nelle tante logge dalle quali il mondo sottostante  si vede con altri occhi?
 Sì, sempre e comunque, è la risposta affermativa.
Ieri leggevamo di Tutino in procinto di debuttare, prima ancora che a San Francisco, prossimo giugno, con la sua nuova opera tratta da 'La ciociara', a Budapest con 'Le braci' tratta dal best seller di Sandor Marai, nella quale si racconta di un'amicizia tradita; che certamente non è quella di Tutino con Alberto Triola,  ora direttore artistico a Firenze ed a Martina Franca ed un tempo dipendente di Tutino al Comunale di Bologna, dove dirigeva la scuola di avviamento professionale all'Opera per cantanti - quella scuola che aveva scelto a simbolo una bellona con tatuaggio sulla spalla. Perché Triola, in nome di quella amicizia che non si scorda mai, ha già prenotato la nuova opera del suo vecchio capo, sia per la stagione del  Teatro dell'Opera di Firenze che per il Festival di Martina Franca.
  La storia insegna che nessuno deve poter pensare di far da sé tutto, e che, contrariamente anche all'altro detto popolare: ' meglio soli che male accompagnati', è meglio essere male accompagnati che soli. Naturalmente, nel caso di Tutino, la compagnia comunque non è malamente.

Bruno Cagli a Santa Cecilia: lascia o non lascia?

Lunedì,  Bruno Cagli ha dichiarato di non farcela più, troppa fatica lavorare ad una programmazione musicale per l'Accademia di santa Cecilia, della quale è presidente, sovrintendente e direttore artistico, nell'incertezza e  con i tagli continui dei finanziamenti, ed  ha espresso la sua volontà di dimettersi anzitempo( comunque a dicembre per effetto della Legge Bray, decadono tutti i consigli di amministrazione delle fondazioni lirico-sinfoniche e si deve procedere a nuove elezioni, anche se l'Accademia ha un regime speciale) segnalando a tutti il nome del successore 'in pectore' - non del tutto - e cioè di Michele Dall'Ongaro al quale  egli ha già dato agio, definito 'eccessivo', in Accademia.
Martedì,  in una seconda intervista, faceva marcia indietro sulle dichiarazioni del giorno prima, affermando che non credeva di poter condurre a termine un eventuale prossimo incarico di cinque anni, troppo oneroso per la fatica già  espressa nella prima intervista. L'intervistatore, Fabio Isman ( Messaggero) ipotizzava il nome, anzi i nomi dei possibili contendenti per la successione. Naturalmente Dall'Ongaro, suggeritogli dallo stesso Cagli, come aveva già fatto nell'intervista a Cappelli (Corriere); e - scrive Isman - Giorgio Battistelli, che già era stato avversario di Cagli nella precedente tornata elettorale e che ora tornerebbe a candidarsi al posto di Cagli e contro Dall'Ongaro.
Isman, certamente non di sua iniziativa, ma opportunamente indirizzato, aggiunge una annotazione: Battistelli è un compositore - come se Dall'Ongaro non lo sia, anche se un fondo di verità quell'affermazione l'ha. Perchè Battistelli è un vero compositore - Dall'Ongaro lo è meno nel senso pieno del termine e a giudicare dai risultati - come lo era Berio, che  è stato sovrintendente dell'Accademia dopo Cagli, che lo era stato fino al 2000, e  prima di Cagli che vi tornerà nel 2003 alla morte del celebre compositore, la cui gestione - sottolinea forse a ragione, ma in questo caso certamente imbeccato, Isman - non è stata certo la più memorabile, come  dire che i compositori non fanno bene all'Accademia; mentre bene farebbero i musicologi, come Cagli, ed anche  gli organizzatori come Dall'Ongaro, e prima di lui, mutatis mutandis, il grande Francesco Siciliani, di fronte al quale Dall'Ongaro fa la figura di una pulce.
A questo punto sorge il dubbio che Cagli, settantaduenne e non ottantaduenne - come ha scritto Isman -  voglia restare ancora, e  che farebbe, per l'ennesima volta, offerta finta di dimissioni,  per farsi pregare a restare,  fregando sia il suo delfino che l'eventuale contendente Battistelli. E Cagli ne sarebbe capace.
 Tuttavia nel piano 'C', Cagli dimissionario, si fronteggerebbero Dall'Ongaro e Battistelli, un tempo amici, poi a lungo nemici, sempre per via del ruolo di Dall'Ongaro in Rai, poi rappacificati in nome dei comuni interessi non esclusivamente musicali, semmai anche di carriera e  gestione del potere, che ora tornerebbero a farsi reciprocamente la 'faccia feroce'.
 In questa ipotesi coloro che voterebbero Dall'Ongaro - oltre la corte di Cagli - sarebbero gli stessi che voterebbero Battistelli che deve far leva anche sui nemici, dichiarati e non, di Cagli.
Ma agli amici di Dall'Ongaro, serve più  Michele sovrintendente, o Michele factotum in Rai? Certamente la seconda, per via degli spazi enormi che le trasmissioni Rai consentono a Dall'Ongaro di riempire con le musiche di amici - come ha sempre fatto, non è un mistero! - mentre in Accademia non può infilarci in ogni concerto o quasi pezzi di amici, sostenitori ed elettori. Salvo che non intenda seguire anche su questo terreno le orme di Cagli che aveva promesso mare e monti agli Accademici per averne il voto - come denunciato apertamente dal cardinal Bartolucci in una sua durissima missiva - e poi quelle promesse non le ha mantenute.
 Comunque ciò che sarebbe un bene,  sempre relativo,ma solo per gli amici e sostenitori di Dall' Ongaro e cioè che egli restasse in Rai, non lo sarebbe per chi è interessato alle sorti della musica, perché la sua elezione, malaugurata comunque,  a santa Cecilia, potrebbe finalmente far entrare un pò di aria nuova in Rai, dove si potrebbero ascoltare anche musiche di compositori che non devono essere necessariamente amici di Michele.
 A proposito delle novità introdotte nella programmazione dell'Orchestra della Rai a Torino, con la gestione DallOngaro, specie quelle relative alla musica contemporanea, negli anni Ottanta - come ci ha rinfrescato la memoria, la lettura di alcune pagine della nostra gloriosa 'Piano Time' dell' epoca - esistevano le 'Giornate della nuova musica' nel corso delle quali, ad esempio, si incontravano Berio e Cage. Le attuali, quanto diverse da quelle, e quanto più vicine a quelle organizzate a Firenze da Battistelli, nella programmazione dell'Orchestra della Toscana, con il medesimo intento di quelle di Dall'Ongaro a Torino: fare la conta di amici e nemici e segnare il  proprio territorio.

martedì 5 agosto 2014

Una nuova opera da un celebre romanzo di Moravia. 'La ciociara'. La scrve Tutino



Una nuova opera lirica sta per essere tratta da Moravia.  Ora dal suo celebre romanzo:’ La Ciociara’, dal quale De Sica fece un film nel 1960, per il quale Sophia Loren meritò l’Oscar. L’ha commissionata a Marco Tutino, l’Opera di san Francisco che la coproduce con il Teatro Regio di Torino. Debutto previsto, giugno 2015.
Nell' attesa giova ricordare come andò con la prima opera da un racconto di Moravia, quando una bagarre si scatenò alla Scala, volarono insulti ed anche un paio di ciabatte, per la prima dell’opera ‘La gita in campagna’ di Mario Peragallo. Forse la prima 'topolino' in scena ed il soggetto 'social' ebbe qualche responsabilità.
Sono trascorsi sessant’anni esatti da quando, prima ed unica volta fino ad oggi, un racconto di Alberto Moravia divenne libretto. In seguito, visto lo scarso entusiasmo dello scrittore per l’esperimento, nessuna altro tentativo fu fatto; mentre diversamente andarono le cose per il teatro ed il cinema , per i quali lo scrittore non fece mancare il suo assenso a varie trasposizioni ( su quegli argomenti lo scrittore molti anni prima aveva anche scritto qualche saggio, sul mensile ‘Documento’(luglio/ agosto; novembre/dicembre 1942): 'Letteratura e Cinema' e 'Teatro e Cinema'.
Non ci è dato sapere se a Moravia altri musicisti si siano rivolti in seguito, e se da parte dello scrittore fosse venuto un diniego a seguito dell’esisto non entusiasmante del primo esperimento, realizzato da Mario Peragallo che dal racconto ‘romano’ ‘Andare verso il popolo’, ricavò il libretto (operando solo qualche leggero cambiamento nei dialoghi e, diversamente, molti tagli in passaggi di carattere descrittivo) della sua opera in un atto e tre quadri,‘La gita in campagna’, andata in scena a Milano, Teatro alla Scala, il 20 marzo del 1954. Mentre, quasi contemporaneamente, al Piccolo, fu presentato un lavoro drammatico tratto da ‘La mascherata’, come lo scrittore annunciava in una lettera dell’ottobre 1953: “a Milano daranno due cose mie : ‘ La mascherata’ al Piccolo Teatro e un’opera in un atto del maestro Peragallo, tratto dalla mia novella ‘Andare verso il popolo’ alla Scala, insieme ad un’altra opera di Menotti “.
L’artefice di tale nuovo secondo tentativo, alla prova del palcoscenico a giugno 2015, il cui esito, nonostante il soggetto prescelto abbia già avuto una fortunata versione cinematografica con la Loren protagonista non è del tutto scontato, è Marco Tutino, un compositore molto attivo nel campo del melodramma, il quale va a far compagnia al compositore Giorgio Battistelli, che per ogni nuova impresa melodrammatica cannibalizza il cinema di successo.
Dal racconto che ne ha fatto Tutino, la nuova impresa melodrammatica moraviana, tratta dal celebre romanzo ‘ La ciociara’, è nata in questi termini. Lui non ne sa nulla fino ad un momento prima della telefonata, quando in Italia era notte fonda, che gli giunge da San Francisco. All’ altro capo del telefono c’é Nicola Luisotti, direttore dell’Opera di san Francisco, e del san Carlo di Napoli, il quale gli annuncia che il teatro americano, vuole un’opera nuova su un soggetto italiano già individuato ed arcinoto: ‘La ciociara’, da Moravia e De Sica. Tutino, in perfetto stile melodrammatico, cade dalle nuvole (o finge?); vuole rifletterci prima di accettare; ma poi richiama Luisotti e gli comunica che accetta. Debutto il 15 giugno del 2015 all'Opera di san Francisco. Immediatamente il musicista chiede agli eredi di Moravia l’autorizzazione, che gli viene naturalmente concessa, e tira fuori il libretto, accettato anche questo. E subito al lavoro, non c’è un attimo da perdere. Tutino conosce già i cantanti, compresa la protagonista, Cesira, che sarà Anna Caterina Antonacci, già protagonista di un‘altra opera di Tutino, ‘Vita’, andata in scena alla Scala nel 2003. Altro non sappiamo che possiamo anticiparvi fin d' ora.
Mentre sappiamo abbastanza di quella prima opera, rimasta unica fino ad oggi, su libretto tratto da Moravia, musica di Mario Peragallo, ‘La gita in campagna’, che ebbe il battesimo movimentato sul palcoscenico della Scala, esattamente sessant’anni fa, il 20 marzo 1954. Il libretto - per buona parte il testo stesso di Moravia, scritto quasi totalmente in forma di dialogo fra i personaggi, con la sola eccezione di un coro finale aggiunto - era quello del suo racconto breve: 'Andare verso il popolo', da Moravia definito ‘novella’.
‘La gita in campagna’ andò in scena assieme a due altri atti unici: ‘La figlia del diavolo’, esordio operistico di Virgilio Mortari, su testo di Corrado Pavolini; e ‘Amelia al ballo’ di Giancarlo Menotti, scritta nel 1937, alle spalle un successo consolidato , che ebbe il compito di concludere positivamente la serata che con l’opera di Peragallo/Moravia aveva toccato il suo punto più contrastato.
Per la cronaca, direttore del trittico di opere contemporanee Nino Sanzogno; e nel caso dell’opera di Peragallo/Moravia, la regia era di Enrico Colosimo; bozzetti per scene e costumi di Renato Guttuso, direttore dell’allestimento Nicola Benois.
L’opera racconta di una coppia di giovani, Ornella e Mario, che in una ‘Topolino’ girano per la campagna romana, nell’inverno del 1944. La loro macchina è in panne, serve acqua per il radiatore, e Mario pensa di andare a prenderla in una capanna poco distante; approfitterà anche per condurre le sue indagini di cronista sulle condizioni del popolo, a guerra appena finita. Giungono alla capanna - nel corso del cammino Ornella, prima riluttante, si fa anche baciare da Mario - dove vive in miseria una famigliola. La contadina, di nome Leonia, dà a Mario un recipiente e gli indica il pozzo, dove attingere l’acqua, là c’è suo marito, Alfredo. Leonia, restata sola con Ornella, la deruba di tutto, lamentando l’assoluta mancanza di ogni cosa. Quel poco che aveva la sua famiglia glielo hanno portato via i tedeschi. Medesima sorte toccherà a Mario, il quale con Ornella, ambedue quasi nudi, raggiungono la macchina per far ritorno a Roma. Prima di partire circondano la topolino altri contadini e ragazzi che chiedono la carità, perché a loro volta derubati di ogni cosa dai tedeschi. Per fortuna la macchina riparte, mentre il gruppetto li insegue invano, gridando ‘la carità, fateci la carità…’.
Con l’opera di Peragallo/Moravia, la cronaca fece irruzione nel melodramma, come aveva già fatto nel cinema neorealista italiano, che tanta influenza ebbe nello sviluppo della cinematografia mondiale.
Nel presentare l’opera, sul programma di sala della Scala, Massimo Mila accennava alle difficoltà in cui si dibatteva l’opera che attendeva ancora chi avrebbe raccolto il testimone di Mascagni, Giordano, Zandonai, mentre allora contavano i nomi di Pizzetti, Casella, Malipiero che avevano imboccato strade proprie ed alternative rispetto alla tradizione. (Nel comunicare a Tutino la commissione della nuova opera, il teatro americano ha fatto esplicito riferimento al melodramma verista, precisamente a quello mascagnano!). A Peragallo, che già aveva dato al teatro altri titoli prima della ‘Gita in campagna’, si guardò come a colui che poteva ripetere i successi dell’ultima grande scuola melodrammatica italiana. Che era poi anche la segreta speranza dello stesso Peragallo che dopo i successi delle sue precedenti opere ( Ginevra degli Almieri,1937; Lo stendardo di s.Giorgio,1941), e dopo un periodo di crisi compositiva, tacendo quasi del tutto, ora si rimetteva all’opera, dopo alcune prove strumentali ben accolte. Sulla sua sincerità, nell’assoluta autonomia del nuovo linguaggio musicale, era pronto a scommettere lo stesso Mila, che sottolineava:” il particolare biografico che Peragallo non abbia alcun bisogno dei diritti d’autore per condurre una vita più che passabile, cessa di essere una futile indiscrezione e diviene invece elemento da tenere in conto come indice della sua assoluta sincerità, anche in questa prima fase di attività artistica”. Insomma, voleva dire Mila, Peragallo è ricco e quindi se intraprende una strada nuova, abbandonando quella passata che gli aveva meritato un bel successo, non lo fa per guadagnarsi da vivere con i diritti d’autore, puntando sulla novità per lanovità, e dunque va considerato sincero e meritevole di fede ed attenzione, nonostante che nello specifico si fosse avvicinato alla dodecafonia; lui che a differenza di molti compositori dell’avanguardia musicale dell’ epoca che avevano già amoreggiato anche con la dodecafonia, veniva dal teatro tradizionale ottocentesco. Aveva cioè lasciato il certo per l’incerto e per il difficile. Andava Peragallo per la sua strada, mentre parallelamente era già spuntato il partito di chi aveva smesso di scrivere musica per i critici e i colleghi ed aveva ‘tentato di stabilire intorno a sé un contatto umano’ ( antenati dei cosiddetti neoromantici, neomelodici, neotonali?). Paragallo sta lontano dall’uno e l’altro schieramento, quando scrive ‘La gita in campagna’, come annota Mila, nella presentazione dell’opera:” Peragallo si è accostato nuovamente all’opera musicale, con la volontà di farsi capire e seguire, e nello stesso tempo di non abdicare a quella decenza di stile cui dovrebbe restar fedele ogni musicista onesto. Proprio nella difficoltà di tale tentativo, concludeva Mila, v’ha cercata la ragione per cui Peragallo s’è mantenuto nel ristretto cerchio dell’atto unico, meno rischioso, rientrando nel mondo dell’opera quasi in punta di piedi; ha voluto lanciare un segnale nella speranza che qualche altro musicista lo colga, evitando, perfino, di raccogliere ‘le insinuazioni di amarezza sarcastica' che erano implicite nel racconto di Moravia”.
Luigi Pestalozza su ‘Il Verri’ ( n.4, dicembre 1958), scriverà anni dopo, al tempo della ripresa romana, per la Filarmonica, nel 1958, dopo che l’opera era stata ben accolta all’estero, che “La gita in campagna ha rappresentato l’unico tentativo serio della musica italiana di inserirsi, e di prendere posizione, sulle questioni di fondo, sui conflitti umani che segnano i nostri giorni…”. E ancora, che Peragallo “ ha saputo conciliare l’engagement sociale con l’avanguardismo musicale, ed è approdato ad un risultato di comunicazione, di espressione, di stile e dunque di originalità”, il che – spiega - vuol dire che Peragallo ha compiuto “un tentativo, fuori d’ogni demagogico semplicismo di ricondurre la nostra musica, il nostro teatro musicale ad una tematica realistica”. Fin qui pareri e reazioni degli addetti ai lavori. E il pubblico come reagì? Ci vengono in aiuto alcune cronache anche autorevoli di quei giorni milanesi. Pasquale Festa Campanile (La Fiera Letteraria) va a sentire lo stesso Moravia, che di lì a pochi giorni avrebbe assistito a quello che egli considerava il suo vero debutto drammatico, con ‘Commedia tragica’( da 'La mascherata'), regia di Strehler, al Piccolo Teatro. E ne scrive nel suo pezzo, intitolato ‘Due ciabatte a teatro’.
“E’ andata malissimo - gli disse tranquillamente Moravia - peggio di così non poteva certamente andare. Debbo dire, comunque, che quello della Scala è un pubblico provinciale. Esso si è comportato male perché è venuto a teatro con l’idea preconcetta di far giustizia sommaria. Hanno tirato due ciabatte sul palcoscenico: quindi le ciabatte se le erano portate da casa. Forse su questo comportamento hanno influito le idee politiche e le scene di Guttuso per esempio. Forse è stata l’irritazione per un argomento sgradevole, neorealistico direi. La presenza di due poveri sulla scena ha fatto pensare che si trattasse di un’opera di sinistra, mentre era semplicemente un grottesco. A mio avviso non c’era motivo per una protesta così violenta e, in ogni caso, si poteva aspettare la fine dello spettacolo. A me personalmente la musica dodecafonica di Peragallo è piaciuta come del resto è piaciuta a tutti coloro che se ne intendono”.
Per la cronaca della serata, Festa Campanile annotò: “ Fu forse la presenza sulla scena di una macchina vera - una Topolino A. balestra lunga ( e alla Scala non s’era mai vista una cosa del genere) - a sconcertare il pubblico fin dall’inizio. Oppure fu l’apertura sociale intravista da qualcuno e sottolineata dalle scene di Guttuso; o, in effetti, la musica di Peragallo. Certo è, per la cronaca, che alla fine dello spettacolo il pubblico mostrò i pugni tesi agli autori e si mise a scandire ‘Buffoni,buffoni’. Sul palcoscenico arrivarono perfino due ciabatte, lanciate dal loggione. Il giorno successivo, in sede di resoconto, un quotidiano spingeva la sua critica al punto di scrivere:’Quanti milioni sarà costato l’allestimento di quest’opera alla Scala? A proposito di aperture sociali, non sarebbe stato meglio offrirli, per esempio, al soccorso invernale?”.
Certamente quanto accadde quella sera alla Scala non incoraggiò successivamente Moravia a intrecciare altre volte la sua opera al melodramma; ma, forse, più semplicemente nella sua attività di scrittore si sentiva estraneo al mondo dell’opera, che pure ammirava, come dichiarò in seguito: “ per me l'opera lirica ha il valore che poteva avere cento o duecent'anni or sono. E' vero che sembra essere morta o quasi dal momento che si scrivono e rappresentano pochissime opere liriche nuove oggi; ma è anche vero che la particolare esperienza culturale e artistica dell'opera lirica è sempre quella e non è cambiata, ed è insostituibile e inconfondibile. Con questo voglio dire che l'opera ha le sue ragioni d'esistenza eterne e sempreverdi come la tragedia greca o il dramma elisabettiano; e che chiunque riesca a 'vivere' a fondo queste ragioni,non possa non trovarsi a suo agio nell'atmosfera dell'opera lirica” .( Sipario, 1964, n.224)
Ma forse una qualche colpa dell’esito disastroso della serata l’ebbero i dirigenti scaligeri, come faceva notare fin dal titolo in una acuta recensione della serata, intitolata ‘Un trittico forzoso’, Emilia Zanetti, ancor dalle pagine de ‘ La Fiera Letteraria’.
“Concentrare tre primizie in una sola serata - come ha fatto la Scala per il secondo ed ultimo spettacolo di novità liriche offerte dal cartellone di quest’anno - è cosa alquanto inusuale quando non si tratti di festivals e di stagioni d’eccezione. Ma ci permetteremo di considerare ottimistica quella interpretazione che ha esaltato il procedimento come una sorta di giustizia economica a beneficio dei compositori contemporanei. Continuando questi a preferire l’atto unico è anche spiegabile che gli organizzatori finiscano col provvedere per proprio conto ad associarli in una rappresentazione di durata normale. Quanto al vantaggio che ne ricaverebbero i compositori stessi è più esatto negarlo, sia per la difficoltà che incontra la preparazione artistica, sia per la ricettività del pubblico messa a troppo dura prova dal contrasto di stili e di tendenze che, intrinseco alla situazione operistica di oggi, non può non sottolinearsi quando si mettano tre autori a contatto di gomito”.
E, proseguendo: “Del clamoroso rifiuto che gli ha opposto il pubblico della Scala, si è sufficientemente letto sui quotidiani per tornare a riferirne. Pittoresco a vedersi e candidamente sproporzionato alla portata del fatto, esso ha inoltre molte probabilità di venire smentito in altre sedi meno ‘storiche’ o un po’ più spregiudicate ed ospitali alle voci d’oggi. Il che non significa che vogliamo dipingere Peragallo nelle spoglie dell’agnello innocente…”.
E, infatti, quando nel 1958 l'opera di Peragallo/Moravia fu ripresa a Roma (trasmessa anche alla radio), per iniziativa della Filarmonica, al Teatro Eliseo, in un ambiente molto più consono alle dimensioni 'cameristiche' dell'opera di Peragallo, considerata alla stregua di un antico 'intermezzo', e non più davanti ad un pubblico come quello della Scala, considerato tradizionalista e provinciale, l'opera fu accolta bene, come del resto era già accaduto nelle numerose riprese che si ebbero, dopo la Scala, in Germania e America. A Roma l'opera fu diretta da Bruno Bartoletti, sul podio dell'Orchestra della RAI di Roma, ed ebbe la regia di Luigi Squarzina.
Da allora e fino ad oggi non si ricordano altre più recenti riprese.
Dal cinema all'opera
Gli esempi di melodrammi 'cinematografici ' sono ormai numerosi. Tralasciando Philip Glass, il più illustre fra quelli che hanno pescato nel cinema, nella fattispecie quello di Cocteau, per un trittico di ‘opera con film’ non privo di originalità (Orphée, La belle et la bete, Parents terribles), se ci limitiamo a casa nostra, dopo il caso di Bussotti, anni Ottanta, rimasto senza seguito, con L’ispirazione - debutto a Firenze, regista Derek Jarmann - la lunga lista delle opere ‘cinematografiche', reca sempre una sola firma: Giorgio Battistelli. Tale lista, troppo lunga per non destare sospetti, non accenna a concludersi: Prova d’orchestra, Miracolo a Milano, Teorema, Divorzio all’italiana, Il fiore delle mille e una notte, Una scomoda verità, (attesa per l’Expo 2015, dal film documentario di Al Gore); e Il medico dei pazzi, (debutto italiano alla Fenice, la prossima stagione) dall’omonimo film di Mario Mattòli, Totò protagonista, a sua volta derivato dalla celebre commedia di Eduardo Scarpetta.
Marco Tutino, nuovo in questo genere di imprestiti ‘cinematografici’, prima de ‘La ciociara’, che a San Francisco avrà libretto italiano ma titolo americano (Two Women, come il titolo americano del film di De Sica), è tuttavia abbastanza navigato nel melodramma, dove ha sempre privilegiato il campo della favolistica ( Pinocchio, Il gatto con gli stivali, La bella e la bestia, Peter Pan, Peter Uncino) o del fumetto, con Dylan Dog; favolistica e fumetto dal quale il cinema ha attinto a piene mani.
Philip Glass ha motivato le sue 'opere con film' con il bisogno di cogliere ispirazione anche da altre forme di espressione della creatività contemporanea, fra le quali il cinema è la più recente e ricca. E, comunque, compiuto l'esperimento del trittico da Cocteau, ha voltato pagina. Diverso il caso di Battistelli che persegue ostinatamente in questo filone di imprestiti creativi, per i quali viene da domandarsi se lo fa perchè non trova altrove soggetti interessanti o perchè spera che il successo cinematografico di un soggetto e di un titolo si riversi sul palcoscenico del teatro d’opera, considerato abbastanza marginale nella creatività contemporanea, o perchè individuata una formula fortunata intende sfruttarla all'infinito