Cominciamo
da Vergnano. Nonostante abbia le stesse iniziali, non fa parte della
gloriosa compagnia di Wolter Veltroni - o sì, a nostra insaputa? -
nella quale hanno militato e dalla quale sono usciti anche Walter Verini e
Von Struppen ed altri, allevati e sostenuti per semplice identità di
iniziali, fra nome e cognome, con il capo partito d'una volta, il Wolter nazionale che la sua compagnia l'ha sistemata dal primo
all'ultimo.
Vergnano
no, è stato allevato e poi sostenuto dal barone Agnello, in casa
CIDIM, da dove ha preso il volo, per volere del barone, e allo
stesso modo con cui il Wolter ha sostenuto i suoi. Le ragioni,
ciniche, delle scelte dei collaborati da parte del barone, secondo
un nostro personalissimo parere, preferiamo non metterle in piazza.
Quando lo lascia libero, Agnello gli fa fare la carriera alla quale
solo un manager di valore potrebbe aspirare. In questi giorni si va
dicendo che ha mantenuto i conti in ordine. Davvero? Se l'anno scorso
o due anni fa non fosse intervenuto il Comune di Torino- del partito amico - uno
sprofondo, impossibile da colmare, si sarebbe aperto nel patrimonio
della Fondazione. E' evidente, a seguito di ciò, che oggi egli
reclami la correttezza della gestione economica del teatro, alla
vigilia della scadenza del suo quarto o quinto mandato - superato in
durata solo da Cagli a Santa Cecilia - e nella speranza di essere
rieletto. Ancora? E che si opponga alla tournée americana del teatro
che costerebbe più di quanto farebbe incassare, e di ciò dà la
colpa a Noseda, accusandolo di non badare alla tenuta dei conti del
teatro quanto alla sua carriera, è diretta conseguenza dell'unico
merito che forse crede di poter accampare, quello di buon amministratore.
Fassino
che farà? Altra incognita. L'Orchestra del Regio torinese vuole che
Noseda resti, per la ragione che la notorietà che oggi s'è
guadagnata la deve alla presenza di Noseda, non certo a Vergnano che
potrebbe far qualunque altro mestiere. Fassino vorrebbe mettere pace fra i due, ma sembra impresa
impossibile, neppure con l'intervento miracoloso della Sindone
torinese.
E
Noseda? Noseda, del quale agli inizi della sua carriera pensavamo
tutto il grigiore possibile, perchè lo davamo sostenuto
eccessivamente da Gergiev, del quale era stato per qualche tempo
assistente, s'è rivelato invece un buon direttore, che ha fatto fare
grandi passi all'orchestra del suo teatro, conducendola in tournée
internazionali ed anche in qualche buon festival italiano, e
portandola a registrare dischi. Di lui i giornali hanno parlato
sempre piuttosto bene.
Sembra
una storia abbastanza simile a quella dell'Accademia di Santa
Cecilia, dove la presenza di un direttore come Pappano ha alzato il
livello dell' orchestra, già buono - cosa che non si poteva dire
dell'orchestra di Torino - e dove regna da secoli un sovrintendente
che certamente non è l'artefice del miracolo ceciliano, ma che certo
non può essere paragonato, con tutto il male che si possa pensare di
lui, Cagli, al sovrintendente torinese, Vergnano.
Roma
e Torino hanno di molto simile una cosa: se andasse via da Roma
Pappano, e, mutatis mutandis, Noseda da Torino, l' una e l'altra
orchestra ne avrebbero a soffrire molto.
Dunque
saggia decisione sarebbe quella di sostituire - al di là di meriti e
demeriti, solo perchè sarebbe ora, dopo tanti anni - i due
sovintendenti, lasciandovi invece i direttori. Non si pensi che
questa storia ricalchi quella della Scala. No, assolutamente; perchè
lì il dissidio che aveva opposto direttore e sovrintendente, Muti e
Fontana, oppose insanabilmente anche direttore e orchestra, dunque
impossibile da ricomporsi, anche a distanza di anni, il che spiega
come mai Muti, ad ogni accenno di invito a tornare a dirigere alla
Scala i suoi orchestrali di un tempo, faccia orecchie da mercante.
Ma
il peggio, per il Regio viene ora, a proposito dei nomi dei papabili
alla direzione artistica che hanno opposto Vergnano e Noseda. Il
quale ultimo vorrebbe Carmelo Di Gennaro, un tempo al Sole 24 Ore,
poi assistente alla direzione artistica in Portogallo, al seguito di
un direttore italiano, musicologo veneziano, e in Spagna e, infine,
Spagna per Spagna, direttore dell'Istituto culturale italiano di
Madrid. Un critico musicale, legami anche con le case discografiche (
forse per questo lo conosce Noseda; poco, no?) del giro di
Musica/Realtà ( Luigi Pestalozza) e che non è facile capire perchè
lo stimi tanto Noseda, al punto da volerlo come direttore artistico.
Lui la fama, quel po' di fama che ha, se l'è cercata e forse anche
guadagnata all'estero, dunque lontano da occhi attenti ed oggi, per
grazia di Noseda, arriva ad aspirare alla grande rentrée.
Vergnano,
che non sappiamo come possa avere competenze tecniche nella scelta di
un direttore artistico, vorrebbe Francesco Micheli, regista milanese
- al quale anche noi su Music@ demmo uno spazio per farci raccontare
l'esperienza con la Filarmonica scaligera della musica per bambini
fatta da bambini, e che ora ha fatto parlare tout le monde di sé,
per quella fesseria di aver portato a Macerata , sul palcoscenico
dello Sferisterio, più donne di quante ne circolino nella cittadina
marchigiana. Donne in scena, in orchestra, sul podio, fra le
maschere e la biglietteria, ad eccezione dello stesso Micheli che
s'è riservato una regia, benedetto fra le donne. Per un
sovrintendente come Vergnano, è il segno che il giovane regista sa
far parlare di sé , e dunque una valida ragione per chiamarlo a
lavorare a Torino. Ma sembra che non goda della stima di Noseda, il
quale si oppone alla sua nomina, voluta da Vergnano. Ma nessuno dei
due sa bene perchè volerlo o non volerlo.
E,
infine, fra i possibili candidati c'è anche Cesare Mazzonis. Ancora?
Sì proprio lui, andato in pensione a Firenze, per ragioni di età,
ha cominciato a lavorare più di prima, dappertutto, a Rovereto, già
negli anni fiorentini per un festival mozartiano (un niente per l'ex
direttore artistico della Scala e del Maggio, ma sui soldi non si
sputa!) a Bologna con Abbado, alla Filarmonica romana, ed ora alla
Orchestra Rai di Torino, e perciò già di casa.
Mazzonis
potrebbe non abbandonare l'incarico Rai - che lui tiene solo per
ragioni affettive e non per altro (avendo cominciato il suo lavoro a
fianco di Siciliani, proprio in Rai, quando vide sfumare la sua carriera di
baritono, della quale si ricorda ancora una sua presenza all'Oratorio
del Gonfalone in una 'Passione', se non andiamo errati di Telemann!)
e realizzare, senza volerlo, il sogno che va accarezzando Marino -
aquila, romana - di riunire Opera e Santa Cecilia, in un unico ente.
Che risparmio! Con la musica che va in malora!
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