Ogni giorno ce n'è una. Quella di oggi? Che gli stipendi dei dipendenti dell'Opera di Roma Capitale non sono stati pagati interamente. Che succede? Le casse del teatro sono vuote? O è una sorta di ricatto per piegare gli irriducibili? Niente e tutto. Sta di fatto che ogni giorno dobbiamo leggere invenzioni contraddittorie dettate dalla doppia anima del teatro, nel quale si fronteggiano uno stuolo di dipendenti che non vuole capire che la musica è definitivamente cambiata ed un nuovo amministratore che arranca fra mille difficoltà per salvare la baracca. Lo stuolo non ha più i giornali a favore,come un tempo; il nuovo sovrintendente che, invece, riesce a trovare ancora molti giornali amici, provenienti dal giro di Musica per Roma, i quali però le tentano tutte per non farlo annegare nel difficile mare che ora governa.
E, per far questo - immaginiamo consigliati da quella volpe del giornalismo che è Filippo Arriva alloggiato all'Ufficio stampa del teatro - sparano ogni giorno cifre che si smentiscono da sole.
Insomma il teatro, da un lato non ha soldi per pagare gli stipendi - ma è stata data assicurazione che verranno pagati immediatamente a seguito della revoca degli scioperi e della riapertura conseguente di credito delle banche - dall'altro vanta biglietti venduti ed incassi da far concorrenza all'Arena di Verona dove i posti sono oltre 10.000, e a Caracalla 4000, che non sono pochi.
Leggiamo oggi su 'Repubblica' che in due sole recite 'Il barbiere' ha fatto 13.000 biglietti venduti - su una platea che conta 4.000 posti - facendo incassare al botteghino quasi 600.000 Euro - a quanto hanno venduto i biglietti? E' evidente a chiunque che si tratta di cifre così alte e irraggiungibili che non meritano neanche una smentita. Semmai soltanto una risata.
Ciò diciamo senza che ci riempiamo di gioia. Saremmo felici che ogni sera a Caracalla si facesse un bello spettacolo, che la platea fosse piena zeppa e che gli incassi altrettanto soddisfacenti. Ma se così ancora non è, non c'è bisogno di trasformare i desideri in realtà.
Poi c'è anche la storia del referendum. Insomma si doveva fare fra giovedì e venerdì, e non si è fatto più, perché gran parte del personale dell'Opera non potrebbe votare, è già in vacanza. Ma il teatro, per la stagione di Caracalla non è aperto a tutti gli effetti? E, se è già in vacanza, come ha fatto a pronunciarsi 400 su 460, a favore del referendum approvativo del risanamento proposto da Fuortes?
Altra anomalia. Per mettere una toppa, che finisce come una torta in faccia alla CGIL, dicono che sia stata proprio la CGIL a non volerlo, per non beccare la torta in faccia del risultato, per gli scioperi che l'hanno vista a fianco della CISNAL.
Ultima dall'Opera. Il Corriere di oggi pubblica una lettera di Salvatore Accardo a difesa della spalla dell'Orchestra del Teatro, Bolognese - di cognome - che nei giorni scorsi aveva fatto delle dichiarazioni poco piaciute, e poi era venuto fuori che nei primi sei mesi aveva lavorato in tutto 60 giorni lavorativi ma aveva percepito lo stipendio dei sei mesi per 26 giorni lavorativi al mese. Accardo lo difende, dicendo che Bolognese, che lui conosce, ha osservato il suo contratto, e che quei 60 giorni di lavoro effettivo ne hanno alle spalle altrettanti almeno di studio personale. Va bene, prendiamo come oro colato quel che dice Accardo, restano sempre altri due mesi. E, comunque, resta anche il fatto che occorre lavorare di più, anche se lavorare stanca e che, nel caso dell'Opera di Roma, non ci saranno aumenti di retribuzione. Per troppo tempo hanno lavorato poco rispetto a quel troppo che hanno percepito come stipendio. E non vale la giustificazione che le orchestre devono avere un organico superiore a quello necessario ogni giorno per la buca, per avere gente sempre fresca ecc... e tutti gli altri sono fresconi?
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