Buon ultimi, ma ancora in tempo per augurare a tutti un felice 2018. Auguriamo che porti pace al mondo, salute a tutti, e alla musica AUGURIAMO di continuare a 'consolare' l'umanità ferita e a spronare l'umanità che si affaccia alla vita.
AUGURI
domenica 31 dicembre 2017
Riflessioni di fine d'anno. Se dovessero apparirvi troppo personali, passate oltre
Rileggendo quanto andiamo scrivendo, da alcune settimane, del Concerto di Capodanno dalla Fenice, per difendere il quale siamo stati capaci anche di 'riprendere' bonariamente il Maestro Muti, al quale ci lega stima ed anche un pizzico di amicizia, siamo letteralmente sorpresi di noi stessi. Perché scopriamo di comportarci come se avessimo ancora un qualche interesse verso quell'iniziativa che, fin dalla prima edizione, abbiamo seguito e curato con passione, e con la quale da tre anni a questa parte non abbiamo più nulla da spartire. E ci domandiamo perché tanto interesse verso una creatura, anche nostra, alla quale dovremmo, se fossimo vendicativi, augurare l'insuccesso più cocente. E invece no.
Forse una qualche ragione l'abbiamo trovata, nonostante che la nostra collaborazione al Concerto veneziano si sia interrotta e non per nostra colpa (lo abbiamo detto e ridetto tante volte e i nostri lettori già conoscono la storia, che vogliamo tuttavia rinfrescare).
Tre anni fa, era il Capodanno del 2015, l'allora sovrintendente della Fenice, Cristiano Chiarot, voleva ad ogni costo che il programma (sulla cui formulazione ci aveva sempre lasciato mano libera, appoggiandoci anche quando il direttore artistico Ortombina non condivideva le nostre proposte ) in diretta televisiva del Concerto si aprisse con un nuovo pezzo che lui per il teatro diceva di aver commissionato a Giorgio Battistelli, dal titolo EXPO. Noi ci opponemmo con tutte le nostre forze a tale proposito, senza però convincere Chiarot della bontà della nostra posizione, ben sapendo egli che anche quattro minuti di musica 'inusuale' in apertura di un concerto popolare televisivo in giorno di festa, durano quanto una eternità, distogliendo i telespettatori dal proseguire nell'ascolto. Il pezzo non si fece, ma Chiarot se la legò al dito, e ritenendo la nostra posizione un atto di lesa maestà del sovrintendente che la stampa unanime celebrava come il più bravo d'Italia, fece sì che la nostra collaborazione a quel concerto, voluta dalla Rai, e che durava da oltre dieci anni, si concludesse, traumaticamente, e senza una valida ragione.
Perché allora ci va di difenderne ancora le ragioni dell' esistenza, mentre sarebbe più naturale che ne augurassimo la débacle televisiva - come in parte si sta verificando da quando pensa a tutto Fortunato Ortombina - e la conseguente obbligata cancellazione dal palinsesto di Rai 1?
Soltanto perché lo abbiamo 'allevato' con cura, passione e dedizione assolute, quel Concerto, non preoccupandoci affatto di piacere o compiacere chicchessia, dal sovrintendente al direttore artistico ai colleghi giornalisti che spesso l'hanno bistrattato senza ragione. Non l'abbiamo fatto prima e non vogliamo cominciare a farlo ora, quando ci ostiniamo a difenderlo a tutti i costi, augurandoci che continui, non sfigurato, per cento anni ancora.
Forse una qualche ragione l'abbiamo trovata, nonostante che la nostra collaborazione al Concerto veneziano si sia interrotta e non per nostra colpa (lo abbiamo detto e ridetto tante volte e i nostri lettori già conoscono la storia, che vogliamo tuttavia rinfrescare).
Tre anni fa, era il Capodanno del 2015, l'allora sovrintendente della Fenice, Cristiano Chiarot, voleva ad ogni costo che il programma (sulla cui formulazione ci aveva sempre lasciato mano libera, appoggiandoci anche quando il direttore artistico Ortombina non condivideva le nostre proposte ) in diretta televisiva del Concerto si aprisse con un nuovo pezzo che lui per il teatro diceva di aver commissionato a Giorgio Battistelli, dal titolo EXPO. Noi ci opponemmo con tutte le nostre forze a tale proposito, senza però convincere Chiarot della bontà della nostra posizione, ben sapendo egli che anche quattro minuti di musica 'inusuale' in apertura di un concerto popolare televisivo in giorno di festa, durano quanto una eternità, distogliendo i telespettatori dal proseguire nell'ascolto. Il pezzo non si fece, ma Chiarot se la legò al dito, e ritenendo la nostra posizione un atto di lesa maestà del sovrintendente che la stampa unanime celebrava come il più bravo d'Italia, fece sì che la nostra collaborazione a quel concerto, voluta dalla Rai, e che durava da oltre dieci anni, si concludesse, traumaticamente, e senza una valida ragione.
Perché allora ci va di difenderne ancora le ragioni dell' esistenza, mentre sarebbe più naturale che ne augurassimo la débacle televisiva - come in parte si sta verificando da quando pensa a tutto Fortunato Ortombina - e la conseguente obbligata cancellazione dal palinsesto di Rai 1?
Soltanto perché lo abbiamo 'allevato' con cura, passione e dedizione assolute, quel Concerto, non preoccupandoci affatto di piacere o compiacere chicchessia, dal sovrintendente al direttore artistico ai colleghi giornalisti che spesso l'hanno bistrattato senza ragione. Non l'abbiamo fatto prima e non vogliamo cominciare a farlo ora, quando ci ostiniamo a difenderlo a tutti i costi, augurandoci che continui, non sfigurato, per cento anni ancora.
sabato 30 dicembre 2017
2017. L'anno che Donald Trump ci ha fatto vivere pericolosamente
Le ripetute immagini televisive di Donald Trump, serioso anzi accigliato, mentre firma importanti risoluzioni che avranno effetti nella politica anche mondiale e che, una volta firmati, mostra gongolante a tutti la sua firma gigante in calce - come uno scolaretto che muove i primi passi nella scrittura e che mostra alla maestra quanto è stato bravo a scrivere le prime lettere su un foglio, per ottenerne un bravo! - difficilmente potranno dimenticarsi.
Perchè alcune di quelle firme, e nelle ultime settimane in numero sempre maggiore, stanno producendo effetti disastrosi nella politica mondiale.
Tralasciando le 'riforme' di Obama che in parte, una dopo l'altra, sta provando a cancellare, e fermandoci solo alle sue decisioni scellerate in fatto di politica estera, vale fissare - a futura memoria - alcune sue prese di posizione recenti.
A cominciare da quella su Gerusalemme, dove ha dichiarato di voler fissare l'Ambasciata americana , spostandola da Tel Aviv. Decisione che ha dato fuoco - letteralmente - in Medio Oriente ai mai sopiti contrasti tra Israeliani e Palestinesi, con i disordini che ne sono seguiti e che tuttora durano.
A nulla è valsa la decisa risoluzione ONU contraria alla sua decisione che ha riguardato praticamente quasi tutti i Paesi, esclusi forse una decina; mentre ha impressionato la dichiarazione della sua rappresentante presso le Nazioni Unite. Letteralmente la rappresentante, minacciosa, ha detto: ce ne ricorderemo quando questi Paesi - praticamente tutti - chiederanno aiuto agli USA.
E tanto grave è apparsa la risoluzione di Trump da convincere Papa Francesco ad intervenire, inneggiando alla vecchia inascoltata canzone: la pace in Medio Oriente regnerà solo quando riusciranno a mettersi d'accordo i due popoli, ciascuno con il proprio territorio riconosciuto; e poi Gerusalemme non è solo degli Israeliani.
Tralasciamo volutamente le dichiarazioni le accuse che, da tempo, il presidente americano indirizza al dittatore nord coreano, dal quale è immediatamente e con la stessa moneta ricambiato, dando al mondo l' idea che ambedue, si stanno comportando da irresponsabili e pazzi, e che stanno giocando alla guerra, ignorando che la guerra non può restare ancora per molto solo una minaccia, perché basta poco per farla scoppiare.
Per incendiare ancora di più il mondo, Trump nelle ultime ore ha continuato a fare dichiarazioni da irresponsabile seriale. Al governo di Teheran, il nemico eterno degli USA dopo l'accordo sul nucleare raggiunto con tanta fatica e la mediazione della UE, messo in difficoltà dalle manifestazioni di piazza contro il carovita, dalla repressione, e dalla povertà diffusa, ha mandato a dire che i governi non durano in eterno; e all'indomani della morsa del gelo che sta mettendo in difficoltà l'America, ha così ironizzato: quanto ci farebbe comodo ora un pò di quel riscaldamento globale che si vuole combattere. E solo per ribadire che la disdetta dell'America degli accordi di Parigi è sacrosanta. Ignorante di un presidente che confonde la meteorologia con il clima.
E' ormai netta la sensazione che Trump, in molti casi, non sappia e con capisca quel che dice; e che nessuno possa indurlo a pensare. Non può certamente sua moglie, Melania, che il mondo percepisce come un manichino muto sul quale si appoggiano a ritmo incalzante vestiti sempre doversi, e neppure sua figlia, Ivanka, che sembrerebbe più avveduta del genitore, ma forse occupata, assieme a suo marito, soprattutto a curare gli affari (economici) di famiglia.
Perchè alcune di quelle firme, e nelle ultime settimane in numero sempre maggiore, stanno producendo effetti disastrosi nella politica mondiale.
Tralasciando le 'riforme' di Obama che in parte, una dopo l'altra, sta provando a cancellare, e fermandoci solo alle sue decisioni scellerate in fatto di politica estera, vale fissare - a futura memoria - alcune sue prese di posizione recenti.
A cominciare da quella su Gerusalemme, dove ha dichiarato di voler fissare l'Ambasciata americana , spostandola da Tel Aviv. Decisione che ha dato fuoco - letteralmente - in Medio Oriente ai mai sopiti contrasti tra Israeliani e Palestinesi, con i disordini che ne sono seguiti e che tuttora durano.
A nulla è valsa la decisa risoluzione ONU contraria alla sua decisione che ha riguardato praticamente quasi tutti i Paesi, esclusi forse una decina; mentre ha impressionato la dichiarazione della sua rappresentante presso le Nazioni Unite. Letteralmente la rappresentante, minacciosa, ha detto: ce ne ricorderemo quando questi Paesi - praticamente tutti - chiederanno aiuto agli USA.
E tanto grave è apparsa la risoluzione di Trump da convincere Papa Francesco ad intervenire, inneggiando alla vecchia inascoltata canzone: la pace in Medio Oriente regnerà solo quando riusciranno a mettersi d'accordo i due popoli, ciascuno con il proprio territorio riconosciuto; e poi Gerusalemme non è solo degli Israeliani.
Tralasciamo volutamente le dichiarazioni le accuse che, da tempo, il presidente americano indirizza al dittatore nord coreano, dal quale è immediatamente e con la stessa moneta ricambiato, dando al mondo l' idea che ambedue, si stanno comportando da irresponsabili e pazzi, e che stanno giocando alla guerra, ignorando che la guerra non può restare ancora per molto solo una minaccia, perché basta poco per farla scoppiare.
Per incendiare ancora di più il mondo, Trump nelle ultime ore ha continuato a fare dichiarazioni da irresponsabile seriale. Al governo di Teheran, il nemico eterno degli USA dopo l'accordo sul nucleare raggiunto con tanta fatica e la mediazione della UE, messo in difficoltà dalle manifestazioni di piazza contro il carovita, dalla repressione, e dalla povertà diffusa, ha mandato a dire che i governi non durano in eterno; e all'indomani della morsa del gelo che sta mettendo in difficoltà l'America, ha così ironizzato: quanto ci farebbe comodo ora un pò di quel riscaldamento globale che si vuole combattere. E solo per ribadire che la disdetta dell'America degli accordi di Parigi è sacrosanta. Ignorante di un presidente che confonde la meteorologia con il clima.
E' ormai netta la sensazione che Trump, in molti casi, non sappia e con capisca quel che dice; e che nessuno possa indurlo a pensare. Non può certamente sua moglie, Melania, che il mondo percepisce come un manichino muto sul quale si appoggiano a ritmo incalzante vestiti sempre doversi, e neppure sua figlia, Ivanka, che sembrerebbe più avveduta del genitore, ma forse occupata, assieme a suo marito, soprattutto a curare gli affari (economici) di famiglia.
I Concerti ' di Natale' della Rai - che hanno avuto buoni ascolti - porteranno bene anche al Concerto di Capodanno dalla Fenice che da qualche anno perde pubblico?
Quando diciamo che i concerti natalizi della Rai, sono andati bene, prescindiamo dallo spot televisivo che in questi giorni si vede spesso sulle reti Rai, un spot al buio che anche quando si illumina cambia poco. Ci riferiamo, invece, ai dati di ascolto dei concerti che nel periodo delle festività natalizie la Rai, come consuetudine, manda in onda, in diretta o differita, dalla viglia di Natale alla Befana.
Cominciamo dal Concerto di Natale dal Senato, che ha avuto come protagonisti principali l'Orchestra Nazionale dei Conservatori italiani - che si fa resuscitare solo quando serve, e mai per una regolare attività concertistica, colme logico ed utile - e il direttore Alessandro Cadario, che al pari della direttrice dello scorso anno, Gianna Fratta, dimostra quanto il Senato sia lontano dal paese, non conoscendo le vere eccellenze da mettere in mostra. Comunque sempre meglio di niente, e dell'Orchestra italiana diretta da Renzo Arbore o di quell'altra orchestra con Giovanni Allevi, a nostro modesto parere, scarsino come compositore ed ancor meno come direttore, mentre come pianista non sappiamo dire, suonando egli solo 'cosucce' sue.
Il Concerto di Natale dal Senato ( Rai 1, in differita) ha tenuto, rispetto allo scorso anno, anzi ha aumentato di poco il numero dei telespettatori, passando da 2.045.000 a 2.077.000, benchè, al contrario, lo share sia sceso di qualche decimale, da 14,2 a 13,6 . Dunque bene.
Mentre la vigilia di Natale, il Concerto di Natale dalla Scala , in differita, con un programma che come sempre è quello di un normale concerto che in nulla fa riferimento alla festività e non tiene conto della trasmissione tv, ha avuto uno share del 9,2%, e 610.000 telespettatori.
Se la Scala, sia per qualche concerto particolare che per l'opera inaugurale di stagione, facesse attenzione alla particolarità della trasmisione Rai, sicuramente ne guadagnerebbe in termini di ascolto e di telespettatori. Ma, come si sa, alla Scala, hanno la testa dura - ma non solo alla Scala - e non tollerano che la tv detti legge, però poi non devono lamentarsi degli ascolti insoddisfacenti, colpa soprattutto del repertorio.
Meglio ha fatto il Concerto di Natale da Assisi, trasmesso ( Rai 1, in differita) il giorno di Natale subito dopo la benedizione papale - lo stesso orario nel quale andrà in onda il Concerto di Capodanno dalla Fenice, dopodomani. Ha acquistato quasi 500.000 telespettatori in più, rispetto al 2016, quando ne aveva inchiodati davanti al teleschermo 1.920.000: quest'anno ha raggiunto la bella cifra di 2.463.000, tornando ai livelli del 2015. Dunque è andato bene.
Possiamo dire che tale tendenza positiva toccherà anche al Concerto di Capodanno da Venezia, invertendo la vertiginosa perdita dei precedenti tre anni, essendo passato da 4.400.000 a 3.600.000 circa? Se la nostra esperienza serve a qualcosa, temiamo che ciò non avverrà - ne abbiamo spiegato le ragioni più volte in questo blog. Ma che almeno si fermi la perdita.
Cominciamo dal Concerto di Natale dal Senato, che ha avuto come protagonisti principali l'Orchestra Nazionale dei Conservatori italiani - che si fa resuscitare solo quando serve, e mai per una regolare attività concertistica, colme logico ed utile - e il direttore Alessandro Cadario, che al pari della direttrice dello scorso anno, Gianna Fratta, dimostra quanto il Senato sia lontano dal paese, non conoscendo le vere eccellenze da mettere in mostra. Comunque sempre meglio di niente, e dell'Orchestra italiana diretta da Renzo Arbore o di quell'altra orchestra con Giovanni Allevi, a nostro modesto parere, scarsino come compositore ed ancor meno come direttore, mentre come pianista non sappiamo dire, suonando egli solo 'cosucce' sue.
Il Concerto di Natale dal Senato ( Rai 1, in differita) ha tenuto, rispetto allo scorso anno, anzi ha aumentato di poco il numero dei telespettatori, passando da 2.045.000 a 2.077.000, benchè, al contrario, lo share sia sceso di qualche decimale, da 14,2 a 13,6 . Dunque bene.
Mentre la vigilia di Natale, il Concerto di Natale dalla Scala , in differita, con un programma che come sempre è quello di un normale concerto che in nulla fa riferimento alla festività e non tiene conto della trasmissione tv, ha avuto uno share del 9,2%, e 610.000 telespettatori.
Se la Scala, sia per qualche concerto particolare che per l'opera inaugurale di stagione, facesse attenzione alla particolarità della trasmisione Rai, sicuramente ne guadagnerebbe in termini di ascolto e di telespettatori. Ma, come si sa, alla Scala, hanno la testa dura - ma non solo alla Scala - e non tollerano che la tv detti legge, però poi non devono lamentarsi degli ascolti insoddisfacenti, colpa soprattutto del repertorio.
Meglio ha fatto il Concerto di Natale da Assisi, trasmesso ( Rai 1, in differita) il giorno di Natale subito dopo la benedizione papale - lo stesso orario nel quale andrà in onda il Concerto di Capodanno dalla Fenice, dopodomani. Ha acquistato quasi 500.000 telespettatori in più, rispetto al 2016, quando ne aveva inchiodati davanti al teleschermo 1.920.000: quest'anno ha raggiunto la bella cifra di 2.463.000, tornando ai livelli del 2015. Dunque è andato bene.
Possiamo dire che tale tendenza positiva toccherà anche al Concerto di Capodanno da Venezia, invertendo la vertiginosa perdita dei precedenti tre anni, essendo passato da 4.400.000 a 3.600.000 circa? Se la nostra esperienza serve a qualcosa, temiamo che ciò non avverrà - ne abbiamo spiegato le ragioni più volte in questo blog. Ma che almeno si fermi la perdita.
Le cattive abitudini fanno breccia più facilmente e più velocemente delle buone, anche nel giornalismo
Che sia una cattiva abitudine quella di introdurre nella nostra lingua termini di altre, per fare i fichi nessuno può non convenire che si tratti di abitudine cattiva.
Da molto tempo accade, e da altrettanto noi lo andiamo denunciando, che il termine con il quale si indica il direttore d'orchestra e la sua attività di direzione sia stato abbandonato per far posto ad almeno altri due che ci vengono dalla lingua inglese. 'Direttore' non piace più tanto, e invece piace 'conduttore', dall'inglese conductor. Piace a chi 'conduttore'? A qualche giornalista che vuol dimostrare di conoscere quell'insulso termine inglese - che potrebbe confondere un direttore d'orchestra con un conducente di tram - e che non riflette su quale dei due risulti più chiaro al lettore dei giornali per il quale scrive.
Oggi, ad esempio, nel suo pezzo su 'Repubblica' dedicato al Concerto di Capodanno da Vienna diretto da Riccardo Muti, Leonetta Bentivoglio,si fa un apsseggiata nel vocabolario italiano, prendendo a prestito anche gli anglismi, e nel giro di poche righe, per indicare Muti e la sua attività viennese in questo momento, usa i seguenti termini: Muti ' dirige il concerto...'; poi il concerto è 'affidato a Muti'; e ancora: ' in quasi mezzo secolo il maestro guida i Wiener; 'la fiera italianità del conduttore'.
Poi passa a citare, en passant, il Concerto dalla Fenice, ma solo per riferire dalla 'frecciata' di Muti
(di cui abbiamo parlato nel post precedente ed in un altro dei giorni scorsi, ripetendosi volutamente il Maestro) per dirci che il Concerto dalla Fenice, sarà 'guidato da Myung Whun Chung'.
In poche righe, avendo la Bentivoglio un vocabolario ricco quanto il suo eloquio, ha usato sempre termini diversi per indicare Muti e la sua attività, ricorrendo a tre verbi differenti che ha coniugato secondo necessità, e cioè: dirigere, condurre, guidare. Senza badare agli equivoci nei quali potrebbe indurre i suoi lettori che, colti ma non quanto Lei, potrebbero domandarsi se stia scrivendo sempre della stessa persona e della medesima sua attività per la quale è più conosciuto, o se stia riferendo di hobby praticati dal direttore in privato, e che ora Lei, e solo Lei che con il direttore ha familiarità, sta rendendo di pubblico dominio.
E siccome le cattive abitudini più presto delle buone fanno breccia, ecco che anche 'Il Fatto quotidiano' di Travaglio, in una 'breve' riferita al Concerto di Capodanno dalla Fenice, scrive: ' il direttore d'orchestra coreano Whun Chung guiderà il concerto... ' Qui il direttore coreano non si mette alla guida di un'orchestra ma di un concerto, e forse senza sapere ancora dove 'condurlo'. Sempre che il concerto voglia farsi guidare da un direttore di un altro paese, lontano.
Esente da tale cattiva abitudine sembra Valerio Cappelli, nell'intervista a Muti, pubblicata sul 'Corriere della Sera', sul medesimo argomento, l'altro ieri: lui scrive sempre il direttore Muti che dirige...
Cappelli è meno colto della Bentivoglio o, a differenza della collega, scrive come magna - come si dice a Roma e, in inglese, non sappiamo come tradurlo, ma che ce ne frega?
Da molto tempo accade, e da altrettanto noi lo andiamo denunciando, che il termine con il quale si indica il direttore d'orchestra e la sua attività di direzione sia stato abbandonato per far posto ad almeno altri due che ci vengono dalla lingua inglese. 'Direttore' non piace più tanto, e invece piace 'conduttore', dall'inglese conductor. Piace a chi 'conduttore'? A qualche giornalista che vuol dimostrare di conoscere quell'insulso termine inglese - che potrebbe confondere un direttore d'orchestra con un conducente di tram - e che non riflette su quale dei due risulti più chiaro al lettore dei giornali per il quale scrive.
Oggi, ad esempio, nel suo pezzo su 'Repubblica' dedicato al Concerto di Capodanno da Vienna diretto da Riccardo Muti, Leonetta Bentivoglio,si fa un apsseggiata nel vocabolario italiano, prendendo a prestito anche gli anglismi, e nel giro di poche righe, per indicare Muti e la sua attività viennese in questo momento, usa i seguenti termini: Muti ' dirige il concerto...'; poi il concerto è 'affidato a Muti'; e ancora: ' in quasi mezzo secolo il maestro guida i Wiener; 'la fiera italianità del conduttore'.
Poi passa a citare, en passant, il Concerto dalla Fenice, ma solo per riferire dalla 'frecciata' di Muti
(di cui abbiamo parlato nel post precedente ed in un altro dei giorni scorsi, ripetendosi volutamente il Maestro) per dirci che il Concerto dalla Fenice, sarà 'guidato da Myung Whun Chung'.
In poche righe, avendo la Bentivoglio un vocabolario ricco quanto il suo eloquio, ha usato sempre termini diversi per indicare Muti e la sua attività, ricorrendo a tre verbi differenti che ha coniugato secondo necessità, e cioè: dirigere, condurre, guidare. Senza badare agli equivoci nei quali potrebbe indurre i suoi lettori che, colti ma non quanto Lei, potrebbero domandarsi se stia scrivendo sempre della stessa persona e della medesima sua attività per la quale è più conosciuto, o se stia riferendo di hobby praticati dal direttore in privato, e che ora Lei, e solo Lei che con il direttore ha familiarità, sta rendendo di pubblico dominio.
E siccome le cattive abitudini più presto delle buone fanno breccia, ecco che anche 'Il Fatto quotidiano' di Travaglio, in una 'breve' riferita al Concerto di Capodanno dalla Fenice, scrive: ' il direttore d'orchestra coreano Whun Chung guiderà il concerto... ' Qui il direttore coreano non si mette alla guida di un'orchestra ma di un concerto, e forse senza sapere ancora dove 'condurlo'. Sempre che il concerto voglia farsi guidare da un direttore di un altro paese, lontano.
Esente da tale cattiva abitudine sembra Valerio Cappelli, nell'intervista a Muti, pubblicata sul 'Corriere della Sera', sul medesimo argomento, l'altro ieri: lui scrive sempre il direttore Muti che dirige...
Cappelli è meno colto della Bentivoglio o, a differenza della collega, scrive come magna - come si dice a Roma e, in inglese, non sappiamo come tradurlo, ma che ce ne frega?
Maestro Muti, per carità, non insista su certe banalissime idiozie, come quelle che va ripetendo in questi giorni a proposito dei Concerti di Capodanno da Vienna e da Venezia ed anche sul valzer viennese e sul melodramma itliano
Ancora. Quante volte dovremo sentire una simile idiozia, e cioè che il valzer viennese, specchio della fine del secolo e dell'Austria felix, sarebbe più idoneo a celebrare la fine di un anno e l'inizio di un anno nuovo, mentre i brani celebri del nostro melodramma, amatissimi anche a Vienna e nel mondo forse più del valzer viennese, sarebbero inopportuni per la stessa occasione.
Che lo dica un pincopalla qualsiasi passi, ma che a dirlo e ridirlo sia il Maestro Muti ci fa venire lo strano pensiero che il Maestro non abbia ancora mandato giù il fatto che la prima edizione del Concerto veneziano (2004) coincidesse con la precedente apparizione, la quarta, sul podio viennese, e che il Concerto del Capodanno 2018 che lo vede ancora sul podio di Vienna, avrebbe dovuto consigliare a Rai 1 di non mandare in onda in diretta quello veneziano. Secondo il pensiero dell'illustre direttore ( si dica 'direttore', che c'entra 'conduttore', 'guida'), Rai 1 doveva rescindere il contratto ormai quindicennale con La Fenice per tornare nella Sala d'oro del Musikverein, in omaggio alla sua presenza.
Non le sembra, maestro, di pretendere un pò troppo; e per uno dei rarissimi casi in cui una iniziativa musicale della nostra tv di Stato incontra il gradimento del pubblico, desiderare di affossarla?
Certo, la Rai potrebbe nei prossimi anni decidere di continuare con Venezia come anche di smetterla con il Concerto veneziano, a Capodanno, spostando le sue telecamere verso altri teatri storici italiani, di ugual peso della Fenice - come Milano o Napoli, tanto per citarne due che hanno alle spalle una storia gloriosa e secolare - e nessuno potrebbe avere nulla da ridire. Come potrebbe anche dire basta definitivamente al Concerto di Capodanno 'italiano', ma non per accontentare quei quattro snob che da anni dichiarano la loro inconsolabile vedovanza/astinenza da Vienna. Quale che sia la decisione futura ci auguriamo che si ragioni soltanto in termini di audience, e che fino a quando sarà soddisfacente - mentre purtroppo da tre anni a questa parte è sceso sensibilmente: 800.000 telespettatori in meno - nulla cambierà. Nonostante qualche maldestro tentativo di 'captatio benevolentiae' degli anni scorsi, come fece Giancarlo Leone, appena insidiato alla direzione di Rai 1; il quale, avendo ricevuto qualche 'cinguettio' da quei vedovi, 'cinguettò' anche lui, rassicurandoli che il loro pianto era stato raccolto e sarebbe stato tenuto nel debito conto. Ma poi non fece nulla. C'era da immaginarselo!
Torniamo alla diatriba ricorrente. Venezia o Vienna? Tornare al Capodanno viennese non c'era ragione per farlo ora, cogliendo l'occasione della presenza di Muti a Vienna, o per la sopraggiunta convinzione che il melodramma non è per nulla adatto alla circostanza. Perchè ambedue queste ragioni non hanno fondamento nè di opportunità, nè di logica.
Il melodramma è opportuno quanto lo fu all'inizio il valzer. Le novità non sono sempre ben accette immediatamente, con il tempo invece, sembrano le cose più naturali che si siano potute immaginare e guai a toccarle per introdurne delle altre.
Perciò si mettano l'anima in pace tutti, Muti compreso. Se un giorno la Rai vorrà tornare a Vienna o spostarsi dalla Fenice in qualche altro teatro, ha soltanto una ragione: cambiamento. Nessun' altra.
E, infine una domanda al Maestro Muti, che a Leonetta Bentivoglio, come ha fatto l'altro ieri a Valerio Cappelli, oggi ha ripetuto: " Vorrei sapere che c'entrano con la nascita del nuovo anno un coro di ebrei prigionieri e la tragedia di Violetta. Se Verdi si affacciasse dalla tomba si morderebbe le mani dalla rabbia".
Maestro ci spieghi allora che c'entrano con l'inizio del nuovo anno, la Marcia di Radetzki e il Bel Danubio blu. Non ci risponde? Rispondiamo noi per Lei. I due brani, che da sempre chiudono il concerto veneziano, Va pensiero e Libiam nei lieti calici ( così come volemmo noi dalla prima edizione in avanti), riprendono il modello dei due brani che da sempre chiudono quello viennese. Come anche sul modello viennese abbiamo da sempre tenuto il programma del concerto, finché ce ne siamo occupati.
Per assurdo, se a Vienna decidessero un giorno di fare il repertorio del melodramma italiano ed a Venezia quello del valzer viennese, il mondo non cascherebbe ed i due concerti avrebbero ciascuno ancora diritto di esistere e di farsi apprezzare da moltissimi. Se Muti e qualche altro continueranno a pensarla diversamente, dovranno farsene una ragione - come si dice in questi casi.
Che lo dica un pincopalla qualsiasi passi, ma che a dirlo e ridirlo sia il Maestro Muti ci fa venire lo strano pensiero che il Maestro non abbia ancora mandato giù il fatto che la prima edizione del Concerto veneziano (2004) coincidesse con la precedente apparizione, la quarta, sul podio viennese, e che il Concerto del Capodanno 2018 che lo vede ancora sul podio di Vienna, avrebbe dovuto consigliare a Rai 1 di non mandare in onda in diretta quello veneziano. Secondo il pensiero dell'illustre direttore ( si dica 'direttore', che c'entra 'conduttore', 'guida'), Rai 1 doveva rescindere il contratto ormai quindicennale con La Fenice per tornare nella Sala d'oro del Musikverein, in omaggio alla sua presenza.
Non le sembra, maestro, di pretendere un pò troppo; e per uno dei rarissimi casi in cui una iniziativa musicale della nostra tv di Stato incontra il gradimento del pubblico, desiderare di affossarla?
Certo, la Rai potrebbe nei prossimi anni decidere di continuare con Venezia come anche di smetterla con il Concerto veneziano, a Capodanno, spostando le sue telecamere verso altri teatri storici italiani, di ugual peso della Fenice - come Milano o Napoli, tanto per citarne due che hanno alle spalle una storia gloriosa e secolare - e nessuno potrebbe avere nulla da ridire. Come potrebbe anche dire basta definitivamente al Concerto di Capodanno 'italiano', ma non per accontentare quei quattro snob che da anni dichiarano la loro inconsolabile vedovanza/astinenza da Vienna. Quale che sia la decisione futura ci auguriamo che si ragioni soltanto in termini di audience, e che fino a quando sarà soddisfacente - mentre purtroppo da tre anni a questa parte è sceso sensibilmente: 800.000 telespettatori in meno - nulla cambierà. Nonostante qualche maldestro tentativo di 'captatio benevolentiae' degli anni scorsi, come fece Giancarlo Leone, appena insidiato alla direzione di Rai 1; il quale, avendo ricevuto qualche 'cinguettio' da quei vedovi, 'cinguettò' anche lui, rassicurandoli che il loro pianto era stato raccolto e sarebbe stato tenuto nel debito conto. Ma poi non fece nulla. C'era da immaginarselo!
Torniamo alla diatriba ricorrente. Venezia o Vienna? Tornare al Capodanno viennese non c'era ragione per farlo ora, cogliendo l'occasione della presenza di Muti a Vienna, o per la sopraggiunta convinzione che il melodramma non è per nulla adatto alla circostanza. Perchè ambedue queste ragioni non hanno fondamento nè di opportunità, nè di logica.
Il melodramma è opportuno quanto lo fu all'inizio il valzer. Le novità non sono sempre ben accette immediatamente, con il tempo invece, sembrano le cose più naturali che si siano potute immaginare e guai a toccarle per introdurne delle altre.
Perciò si mettano l'anima in pace tutti, Muti compreso. Se un giorno la Rai vorrà tornare a Vienna o spostarsi dalla Fenice in qualche altro teatro, ha soltanto una ragione: cambiamento. Nessun' altra.
E, infine una domanda al Maestro Muti, che a Leonetta Bentivoglio, come ha fatto l'altro ieri a Valerio Cappelli, oggi ha ripetuto: " Vorrei sapere che c'entrano con la nascita del nuovo anno un coro di ebrei prigionieri e la tragedia di Violetta. Se Verdi si affacciasse dalla tomba si morderebbe le mani dalla rabbia".
Maestro ci spieghi allora che c'entrano con l'inizio del nuovo anno, la Marcia di Radetzki e il Bel Danubio blu. Non ci risponde? Rispondiamo noi per Lei. I due brani, che da sempre chiudono il concerto veneziano, Va pensiero e Libiam nei lieti calici ( così come volemmo noi dalla prima edizione in avanti), riprendono il modello dei due brani che da sempre chiudono quello viennese. Come anche sul modello viennese abbiamo da sempre tenuto il programma del concerto, finché ce ne siamo occupati.
Per assurdo, se a Vienna decidessero un giorno di fare il repertorio del melodramma italiano ed a Venezia quello del valzer viennese, il mondo non cascherebbe ed i due concerti avrebbero ciascuno ancora diritto di esistere e di farsi apprezzare da moltissimi. Se Muti e qualche altro continueranno a pensarla diversamente, dovranno farsene una ragione - come si dice in questi casi.
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venerdì 29 dicembre 2017
La rete ha la memoria lunga. Nel 2009 De Masi lamentava gli strani criteri con cui il Ministero - Nastasi direttore generale - erogava fondi alle manifestazioni culturali e festival
Ravello e la costiera amalfitana penalizzate dal Governo. La cittadina della costa d’Amalfi fra gli ultimi posti fra i festival finanziati dal Ministero, penalizzata con essa anche la Campania nonostante il Festival sia fra i più conosciuti in Europa ed è polemica.
«È dal 1953, cioè da 57 anni, che abbiamo fatto una tale esperienza da trovarci in perfetta consonanza con il mondo della musica, tanto da aver meritato la denominazione ufficiale di ‘‘Ravello Città della Musica’’. Il nostro è il festival più ampio quanto a numero degli eventi, e forse anche quanto a qualità degli stessi. Eppure ci ritroviamo al 29.mo posto nella lista dei festival finanziati dallo Stato, alla pari con manifestazioni che, con tutto il rispetto, non possono vantare il nostro pedigree».
Domenico De Masi, presidente della Fondazione Ravello, allarga le braccia davanti ai dati che riguardano i fondi elargiti per il 2009 dalla Commissione Musica del Ministero, che fa capo alla direzione generale per lo spettacolo dal vivo di cui è direttore Salvatore Nastasi, commissario del Teatro San Carlo.
La tabella che pubblichiamo in questa pagina parla da sé: il Ravello Festival ha ottenuto 46 volte meno fondi del Rossini Opera Festival di Pesaro e 30 volte meno del Festival dei Due Mondi di Spoleto. E, per non fermarsi a manifestazioni comunque di gran nome e di consolidata tradizione, va aggiunto che quei 30 mila euro sono, per esempio, meno della metà di quanto è stato stanziato per il Festival delle Città Medievali di Affile (Roma). E sono la stessa cifra erogata per il Festival di Mezza Estate di Tagliacozzo (Abruzzo). E meno male che Ravello prende 5 mila euro in più rispetto all’unica altra manifestazione campana in tabella, il Festival Internazionale di Benevento, che propone cinque giorni di spettacoli attraverso l’associazione «Iside Nova » di Ceppaloni, che fa capo a Sandra Lonardo Mastella.
Della commissione fanno parte i compositori Lorenzo Ferrero e Flavio Emilio Scogna, il musicologo Piero Rattalino, il dirigente aziendale Valerio Toniolo, l’assessore del Comune di Senigallia Velia Papa, l’ex sovrintendente del Teatro di San Carlo Gioacchino Lanza Tomasi.
Come si accennava, il festival di Ravello, coi suoi 48 appuntamenti musicali nel 2009, non dovrebbe temere confronti in Italia, almeno sul piano quantitativo. Grandi numeri da esibire li ha per la verità anche il RomaEuropa Festival che però può anche vantare (vedi tabella) sovvenzioni ministeriali di tutto rispetto: 685 mila euro (20 volte più di Ravello). Ma bisogna aggiungere che per il 2009 Ravello ha subìto una riduzione del finanziamento pari al 15% circa rispetto agli anni passati, e questo benché la programmazione non sia stata diminuita. Anche in passato, dunque, non è che per Ravello il ministero si svenasse. Quest’anno, comunque, la situazione è quella che abbiamo detto: 29.mo posto su 54 manifestazioni aventi diritto. A Ravello si fa notare che essere alla pari con Tagliacozzo significa essere alla pari con un festival che ha prodotto 11 concerti con due grandi eventi: l’esibizione della Banda dei Carabinieri in apertura, e quella della Banda dei Vigili del Fuoco in chiusura. Osservazione non priva di una certa perfidia, anche se nel conto si dovrebbe mettere una comprensibile attenzione per l’Abruzzo terremotato.
Numeri alla mano, De Masi ti fa notare allora come gli eventi musicali proposti dal Festival di Spoleto siano stati 35, tra i quali vanno peraltro ricomprese anche le 6 repliche di un «Tributo a Nat King Cole» e le 3 del «Gianni Schicchi» con la regia di Woody Allen.
Il problema è dunque quello di capire i criteri con cui i finanziamenti vengono erogati. In buona sostanza, ciascun festival li richiede sulla base di una documentazione dei costi. Ravello ha richiesto un contributo di 744 mila euro e ha ottenuto 30 mila euro. «Si deve supporre», dice De Masi, «che Spoleto, per avere un milione, abbia dovuto richiedere almeno 20 milioni. Forse, però, le proporzioni non sono uguali per tutti».
Spulciando l’elenco, e andando a dare un’occhiata ai programmi, sembrerebbe proprio così. Per dire: i 190 mila euro per Città di Castello sono relativi a 12 serate (compresa un’opera commissionata a Flavio Emilio Scogna, membro della commissione ministeriale).
Alle Settimane Musicali di Stresa, i concerti sono invece 25, e solo quattro quelli sinfonici, che a Ravello sono sette, dove il finanziamento è nove volte più basso. E, naturalmente, si potrebbe continuare a lungo, mostrando in generale una prevalenza del Centro- Nord rispetto al Sud, anche se poi un trattamento di qualche riguardo sembra essere stato riservato alla Sicilia con i 240 mila euro per Taormina Arte.
Ma c’è un però: il Ravello Festival, infatti, non percepisce fondi soltanto dallo Stato. Il grosso dei finanziamenti pubblici (350 mila euro), anzi, gli arriva dalla Regione… Come la mettiamo, allora? «Ma questa», conclude De Masi, «è la stessa situazione in cui si trovano tutti gli altri festival. I finanziamenti pubblici arrivano loro dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni e da altri enti. Oltre che, per chi è stato capace come noi di coinvolgerli, dai privati. Escludo, quindi, che il riparto effettuato dalla commissione abbia tenuto conto di questo aspetto».
Francesca Gargiulo Corriere del Mezzogiorno
Catello De Martino è al Ravello Festival, dove lavora per l'Organizzazione e la realizzazione del progetto musicale
Non vi dice nulla il nome di Catello De Martino? Eppure qualcosa, anzi più di qualcosa, dovrebbe dire a tutti coloro che a vario titolo si interessano e sono informati sulle cose musicali italiane.
Lui, per fortuna, non ha mai detto, come andava dicendo il famoso Cresci: 'farò grande questo teatro', riferendosi all'Opera di Roma, benchè qualcosa di grande anche lui, come Cresci, l'ha fatto al Teatro dell'Opera di Roma, e cioè il buco di bilancio ed il dissesto economico, nonostante rassicurasse tutti, dal sindaco Alemanno, che lì lo aveva voluto, al direttore 'principale', poi 'onorario a vita', dell'epoca Riccardo Muti.
Nei giorni della disgrazia, quando dovette con la coda fra le gambe andar via dall'Opera di Roma, per far posto a Fuortes, l'artefice dei miracoli operistici del nostro paese, da Bari a Verona, a Roma, nessuno più diceva di conoscerlo, frequentarlo e di averne lodato la sana lungimirante amministrazione. Perfino Valerio Cappelli, attentissimo e durissimo cronista del Corriere della Sera che, onorato della compagnia, aveva raccontato di essere andato a Vienna con lui al Concerto di Capodanno, per dispetto a Venezia, gli voltò le spalle.
Da allora in molti si sono chiesti che fine abbia fatto, come vive, lui che era venuto via dall'Accademia di Santa Cecilia, e prima a ancora da una società petrolifera italiana, dove aveva debuttato professionalmente, uscito dalla nativa Salerno, di cui San Catello è protettore, per finire a fra danni all'Opera di Roma.
Ora, a chi lo desideri possiamo dare sue notizie, reperite per caso, sul sito del Ravello Festival, quel ricchissimo ventre musicale nel quale si sono rifugiati, per ottenerne protezione e ricca alimentazione, tanti nel corso degli anni - il che ci fa anche capire come mai Stefano Valanzuolo, a lungo nell'organizzazione, si sia strappato i capelli, quando i cambi di gestione politica, forse senz'altra ragione che questa, lo hanno estromesso.
Catello De Martino fra due giorni cesserà dall'incarico, a tempo, che gli è stato assegnato nel ventre accogliente del festival campano, e che è:l 'Organizzazione e realizzazione del progetto musicale', che l'ha tenuto occupato dal 15 maggio e fino al 31 di questo mese, con un compenso di 26.000 Euro. ma forse lo confermeranno, perchè se non si è parlato di lui è buon segno.
A rileggere la specifica del suo incarico ci viene soltanto che da ridere e da pensare come siamo messi male in Italia.
P.S. Al Ravello Festival, per non smentirsi, lavorano attualmente non uno ma tre direttori artistici. Alessio Vlad (musica), compenso oltre 60.000 Euro; Laura Valente (danza), compenso oltre 40.000 Euro; Mariapia De Vito (jazz), compenso intorno ai 40.000 Euro.
Lui, per fortuna, non ha mai detto, come andava dicendo il famoso Cresci: 'farò grande questo teatro', riferendosi all'Opera di Roma, benchè qualcosa di grande anche lui, come Cresci, l'ha fatto al Teatro dell'Opera di Roma, e cioè il buco di bilancio ed il dissesto economico, nonostante rassicurasse tutti, dal sindaco Alemanno, che lì lo aveva voluto, al direttore 'principale', poi 'onorario a vita', dell'epoca Riccardo Muti.
Nei giorni della disgrazia, quando dovette con la coda fra le gambe andar via dall'Opera di Roma, per far posto a Fuortes, l'artefice dei miracoli operistici del nostro paese, da Bari a Verona, a Roma, nessuno più diceva di conoscerlo, frequentarlo e di averne lodato la sana lungimirante amministrazione. Perfino Valerio Cappelli, attentissimo e durissimo cronista del Corriere della Sera che, onorato della compagnia, aveva raccontato di essere andato a Vienna con lui al Concerto di Capodanno, per dispetto a Venezia, gli voltò le spalle.
Da allora in molti si sono chiesti che fine abbia fatto, come vive, lui che era venuto via dall'Accademia di Santa Cecilia, e prima a ancora da una società petrolifera italiana, dove aveva debuttato professionalmente, uscito dalla nativa Salerno, di cui San Catello è protettore, per finire a fra danni all'Opera di Roma.
Ora, a chi lo desideri possiamo dare sue notizie, reperite per caso, sul sito del Ravello Festival, quel ricchissimo ventre musicale nel quale si sono rifugiati, per ottenerne protezione e ricca alimentazione, tanti nel corso degli anni - il che ci fa anche capire come mai Stefano Valanzuolo, a lungo nell'organizzazione, si sia strappato i capelli, quando i cambi di gestione politica, forse senz'altra ragione che questa, lo hanno estromesso.
Catello De Martino fra due giorni cesserà dall'incarico, a tempo, che gli è stato assegnato nel ventre accogliente del festival campano, e che è:l 'Organizzazione e realizzazione del progetto musicale', che l'ha tenuto occupato dal 15 maggio e fino al 31 di questo mese, con un compenso di 26.000 Euro. ma forse lo confermeranno, perchè se non si è parlato di lui è buon segno.
A rileggere la specifica del suo incarico ci viene soltanto che da ridere e da pensare come siamo messi male in Italia.
P.S. Al Ravello Festival, per non smentirsi, lavorano attualmente non uno ma tre direttori artistici. Alessio Vlad (musica), compenso oltre 60.000 Euro; Laura Valente (danza), compenso oltre 40.000 Euro; Mariapia De Vito (jazz), compenso intorno ai 40.000 Euro.
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giovedì 28 dicembre 2017
Musica concreta anzi concretissima. Ancora da 'Anteprima' di Giorgio Dell'Arti che riprende Pavanel sul ' Giornale'
Giuseppe Cordaro, 36 anni, ha applicato una ventosa alla pancia gravida della moglie Claudia registrando ogni tre mesi i battiti di cuore del nascituro, di nome Zeno. «A questo punto ho sfruttato la tecnologia che converte i segnali elettrici della pelle in segnali sonori che, con tutte le cautele del caso, possiamo chiamare musica». La composizione è stata venduta a un editore di Bristol specializzato in musica elettronica. «Non ci si aspettino brani allegri, tipo pop-rock e affini. Si tratta di un lavoro scuro, qualcosa che viene dal profondo, viscerale. Segnali spenti, rumori ovattati, fruscii. Con ritmo, però, quello dei 150 battiti al minuto del feto».
Qualcuno ascolta questa musica?
«Esiste un pubblico che apprezza la cosiddetta musica concreta. Inoltre piace il packaging originale che spesso accompagna questo genere di cd».
Il cd si intitola «45°12'N 72°54' E», cioè le coordinate dei crateri lunari che gli astronomi hanno battezzato Zeno, vale a dire Zenone [Pavanel, Giornale].
Qualcuno ascolta questa musica?
«Esiste un pubblico che apprezza la cosiddetta musica concreta. Inoltre piace il packaging originale che spesso accompagna questo genere di cd».
Il cd si intitola «45°12'N 72°54' E», cioè le coordinate dei crateri lunari che gli astronomi hanno battezzato Zeno, vale a dire Zenone [Pavanel, Giornale].
Riprendiamo da 'Anteprima' di Giorgio Dell'Arti, che riferisce di un articolo di Pirrelli: disinteresse generale per la valutazione economica del nostro patrimonio culturale
Valore del patrimonio artistico italiano secondo l'ultima valutazione della Ragioneria generale dello Stato (2016): 174,8 miliardi di euro. Se si aggiungono gli immobili di valore artistico, i siti archeologici ecc. si ottengono 219,3 miliardi. Confrontando col il 2012 si registra un incremento di valore dell'8,9%. La stranezza è che il valore più consistente, secondo la Ragioneria, è quello dei beni archivistici: 149,5 miliardi (+12,56%). Infatti l'Archivio di Stato di Firenze è valutato 20 miliardi, le Gallerie degli Uffizi col corridoio vasariano appena 1,9 miliardi. Spiega Antonio Tarasco, professore associato di Diritto amministrativo e dirigente della Direzione Musei del Mibact, nel libro Il patrimonio culturale. Modelli di gestione e finanza pubblica, edito nel 2017 dall’Editoriale Scientifica: «I valori dei documenti archivistici, così come dei beni librari, costituiscono un dato oggettivo, non frutto di opinabili valutazioni come, invece, nel caso dei beni archeologici, storico-artistici e architettonici. L’applicazione dei valori in alcuni casi, per libri e archivi, costituisce un mero calcolo aritmetico, in altri no. Ma alla base di tutto vi è un generale disinteresse per la valutazione economica del patrimonio culturale» [Pirrelli, cit].
La commissaria alle zone terremotate, Paola De Micheli, incapace e faccia tosta
Renzi aveva messo a guidare la ricostruzione delle zone terremotate del centro Italia, Vasco Errani, forte della sua competenza in materia, per aver egli ben gestito il dopo terremoto nella sua Emilia-Romagna.
Senonchè al momento di una delle tante sciagurate scissioni all'interno del PD, ma forse anche per candidarsi alle prossime politiche - come sicuramente accadrà , scommettiamo? - Errani alla prima scadenza del suo mandato da commissario, decide di abbandonare il campo e tornare nella sua regione. Al suo posto viene nominata una collega di partito, sottosegretaria all'Economia, dunque 'del mestiere', la quale vuole subito dimostrare che una donna può fare bene quanto un uomo, anzi meglio.
A cominciare da se stessa. E infatti veste meglio si presenta meglio di prima, è insomma meglio in tutto rispetto a quella parlamentare 'provinciale', come appariva un tempo.
Ad ogni passeggiata o visita del Capo dello Stato o del Premier in quelle zone, Lei è in prima fila, e noi ne ammiriamo le mise alla moda e il cambio, in meglio, sia del parrucchiere che del truccatore.
Sempre abilissima quando apre bocca, per farsi perdonare l'evidente incapacità. Dichiara di avere colpe - il che dispone meno peggio i suoi interlocutori inferociti - di dover acusare ritardi - alcuni indipendenti dalle sue responsabilità, perché conseguenza del destino terremotato - ma di essere impegnata, 'h 24', come dicono i burini e gli sgrammaticati dei nostri tempi.
Poi la scivolata, non reggendo più la recita, che è di queste ore. Per le zone terremotate delle tre regioni, erano state richieste 3800 casette circa che sarebbero dovute arrivare prima che iniziasse questo secondo inverno fuori casa. Ne sono arrivare solo 1900, dopo un anno, a far data dall'ultima scossa dello scorso gennaio - come ha sottolineato, giustificandosi, la commissaria 'ripulita'.
Lei, con la faccia tosta, ma con il piumino impellicciato candido come la neve che lì è già caduta abbondante, l'ha sparata grossa: il nostro 'timing' dice che il resto delle casette, cioè 1800 circa, arriveranno entro febbraio (per metà c'è voluto un anno, per l'altra metà, secondo la commissaria, basterà un mese ancora, secondo le sue parole,ndr). Ma noi abbiamo fatto meglio e di più: le restanti 1800 casette saranno consegnate entro il prossimo 8 gennaio.
Mentre i destinatari delle ultime poche casette, appena consegnate, lamentano disagi e disguidi di ogni genere. sporcizia in alcune, attacchi delle utenze fatte male, scarichi occlusi, la De Micheli chiede di credere alle sue parole.
Ma chi può credere alla commissaria che non è riuscita a fare il miracolo della consegna delle maggior parte delle casette dopo un anno, quando dice che l'altra metà mancante sarà consegnata entro una quindicina di giorni? Lei forse non si vede, ma agli occhi dei poveri allibiti terremotati si legge sul suo viso che sta dicendo il falso. Il suo nuovo look e il trucco migliorato non possono più ingannare.
Senonchè al momento di una delle tante sciagurate scissioni all'interno del PD, ma forse anche per candidarsi alle prossime politiche - come sicuramente accadrà , scommettiamo? - Errani alla prima scadenza del suo mandato da commissario, decide di abbandonare il campo e tornare nella sua regione. Al suo posto viene nominata una collega di partito, sottosegretaria all'Economia, dunque 'del mestiere', la quale vuole subito dimostrare che una donna può fare bene quanto un uomo, anzi meglio.
A cominciare da se stessa. E infatti veste meglio si presenta meglio di prima, è insomma meglio in tutto rispetto a quella parlamentare 'provinciale', come appariva un tempo.
Ad ogni passeggiata o visita del Capo dello Stato o del Premier in quelle zone, Lei è in prima fila, e noi ne ammiriamo le mise alla moda e il cambio, in meglio, sia del parrucchiere che del truccatore.
Sempre abilissima quando apre bocca, per farsi perdonare l'evidente incapacità. Dichiara di avere colpe - il che dispone meno peggio i suoi interlocutori inferociti - di dover acusare ritardi - alcuni indipendenti dalle sue responsabilità, perché conseguenza del destino terremotato - ma di essere impegnata, 'h 24', come dicono i burini e gli sgrammaticati dei nostri tempi.
Poi la scivolata, non reggendo più la recita, che è di queste ore. Per le zone terremotate delle tre regioni, erano state richieste 3800 casette circa che sarebbero dovute arrivare prima che iniziasse questo secondo inverno fuori casa. Ne sono arrivare solo 1900, dopo un anno, a far data dall'ultima scossa dello scorso gennaio - come ha sottolineato, giustificandosi, la commissaria 'ripulita'.
Lei, con la faccia tosta, ma con il piumino impellicciato candido come la neve che lì è già caduta abbondante, l'ha sparata grossa: il nostro 'timing' dice che il resto delle casette, cioè 1800 circa, arriveranno entro febbraio (per metà c'è voluto un anno, per l'altra metà, secondo la commissaria, basterà un mese ancora, secondo le sue parole,ndr). Ma noi abbiamo fatto meglio e di più: le restanti 1800 casette saranno consegnate entro il prossimo 8 gennaio.
Mentre i destinatari delle ultime poche casette, appena consegnate, lamentano disagi e disguidi di ogni genere. sporcizia in alcune, attacchi delle utenze fatte male, scarichi occlusi, la De Micheli chiede di credere alle sue parole.
Ma chi può credere alla commissaria che non è riuscita a fare il miracolo della consegna delle maggior parte delle casette dopo un anno, quando dice che l'altra metà mancante sarà consegnata entro una quindicina di giorni? Lei forse non si vede, ma agli occhi dei poveri allibiti terremotati si legge sul suo viso che sta dicendo il falso. Il suo nuovo look e il trucco migliorato non possono più ingannare.
Lo strapotere di Barbareschi 'o dell'Eliseo' e l'impotenza del ministro Franceschini, 'il romanziere'
Alla fine Barbareschi l'ha avuta vinta su tutti, complice la 'sorellina' Prestigiacomo, perfino sul ministro che ha dichiarato apertamente di avere le mani legate e di essere impotente di fronte alle decisioni parlamentari.
Il fatto e la discussione accesa che ha generato, risalgono alla scorsa primavera, al tempo della 'manovrina' cosiddetta. Quando si presentò ad alcuni parlamentari , non necessariamente del suo schieramento di una volta - e di questo Barbareschi si è successivamente vantato - per battere cassa. Ho dovuto tirar fuori alcuni milioni di tasca mia per ammodernare il teatro Eliseo che ha una programmazione intensa e di qualità - sottolineava Barbareschi - ed ora al primo secolo di storia del teatro mi trovo senza soldi in cassa per festeggiare l'importante traguardo. I parlamentari ai quali Barbareschi si rivolse ne furono coinvolti e commossi e si misero insieme, un bel gruppetto, per sostenere che all'Eliseo di Barbareschi andavano dati 8 milioni di Euro extra FUS. Ne seguì la rivoluzione generale del mondo del teatro. E lui, serafico, disse a tutti: se fate i bravi vi spiego come si fa a farsi dare altri soldi, oltre quelli che già arrivano nelle casse del mio teatro.
Naturalmente non mancò chi sottolineasse - ma si trattava di malelingue - che Barbareschi era stato parlamentare di Forza Italia, s'era occupato proprio di spettacolo in coppia con una Carlucci ( a proposito che fine ha fatto, sembra scomparsa dai radar politici) e che aveva sposato in quinte, seste o forse ventesime nozze la figlia dell'ex potente (e forse potente ancora) Ragioniere generale dello Stato, Monorchio. E. detto però sottovoce, che egli era un abile imprenditore di spettacolo.
Tutto vero, ma non al punto da giustificare questo esborso statale aggiuntivo, considerevole, e per giunta rivolto ad una istituzione di cultura sì, ma privata. La sollevazione di tutti gli altri teatri italiani che di contributo ordinario non arrivavano a ricevere la stessa somma del contributo straordinario assegnato all'Eliseo di Barbareschi, sortì l'effetto di dimezzare quel 'regalo' . E Barbareschi nulla potè opporre, quando gli si fece sapere che quattro di quegli otto milioni erano stati girati alle zone terremotate. La politica ha una tale faccia tosta che non si vergogna a tirare in ballo poveri disgraziati come i terremotati, per tacitare la propria sporchissima coscienza.
La sollevazione dei teatri ottenne di bloccare per un pò l'erogazione effettiva di parte di quei quattro milioni a cui ammontava, alla fine della protesta, l'assegnazione straordinaria all'Eliseo.
Arriviamo agli ultimi mesi dell'anno, questo: il 2017, ed alla stesura della manovra finanziaria per il 2018, e Barbareschi, non contento dei quattro milioni assegnatigli, lavora nell'ombra ed in silenzio per farsi riassegnare anche gli altri quattro milioni, destinati al tempo della manovrina ai terremotati ( chissà che non abbiano fatto la stessa fine dei fondi raccolti per gli 'indiani' della celebre barzelletta, finiti nelle tasche dei ricchi occidentali finti umanitari).
La sorellina politica di un tempo, la Prestigiacomo, la cui attività politica in tutta la legislatura è passata inosservata, a fine mandato, ha sferrato un colpo di grazia alla decenza. riuscendo con uno stratagemma del quale lei povera si è dichiarata vittima inconsapevole e manipolata, a rimettere in bilancio quei quattro milioni a favore di Barbareschi, con la complicità del presidente della Commissione Bilancio, Boccia (PD), sposata Di Girolamo ( ultimamente di nuovo FI) e di qualche altro parlamentare, fra quelli che già avevano sposato la causa di Barbareschi in primavera.. E Franceschini, il ministro prezzemolino, 'mezzo disastro' giusta la definizione di Renzi, di fronte alla decisione del Parlamento in favore di quel 'regalo' a Barbareschi, dichiara disaccordo e impotenza.
A noi viene un dubbio. E cioè che tutti quelli che oggi si dichiarano impotenti o manovrati, e mille altri aggettivi comprendenti la vasta casistica di politici impresentabili, alla fine abbiano fatto oggetto di scambio, presente o futuro, il favore a Barbareschi. Nulla ci può togliere dalla testa che è così.
Il fatto e la discussione accesa che ha generato, risalgono alla scorsa primavera, al tempo della 'manovrina' cosiddetta. Quando si presentò ad alcuni parlamentari , non necessariamente del suo schieramento di una volta - e di questo Barbareschi si è successivamente vantato - per battere cassa. Ho dovuto tirar fuori alcuni milioni di tasca mia per ammodernare il teatro Eliseo che ha una programmazione intensa e di qualità - sottolineava Barbareschi - ed ora al primo secolo di storia del teatro mi trovo senza soldi in cassa per festeggiare l'importante traguardo. I parlamentari ai quali Barbareschi si rivolse ne furono coinvolti e commossi e si misero insieme, un bel gruppetto, per sostenere che all'Eliseo di Barbareschi andavano dati 8 milioni di Euro extra FUS. Ne seguì la rivoluzione generale del mondo del teatro. E lui, serafico, disse a tutti: se fate i bravi vi spiego come si fa a farsi dare altri soldi, oltre quelli che già arrivano nelle casse del mio teatro.
Naturalmente non mancò chi sottolineasse - ma si trattava di malelingue - che Barbareschi era stato parlamentare di Forza Italia, s'era occupato proprio di spettacolo in coppia con una Carlucci ( a proposito che fine ha fatto, sembra scomparsa dai radar politici) e che aveva sposato in quinte, seste o forse ventesime nozze la figlia dell'ex potente (e forse potente ancora) Ragioniere generale dello Stato, Monorchio. E. detto però sottovoce, che egli era un abile imprenditore di spettacolo.
Tutto vero, ma non al punto da giustificare questo esborso statale aggiuntivo, considerevole, e per giunta rivolto ad una istituzione di cultura sì, ma privata. La sollevazione di tutti gli altri teatri italiani che di contributo ordinario non arrivavano a ricevere la stessa somma del contributo straordinario assegnato all'Eliseo di Barbareschi, sortì l'effetto di dimezzare quel 'regalo' . E Barbareschi nulla potè opporre, quando gli si fece sapere che quattro di quegli otto milioni erano stati girati alle zone terremotate. La politica ha una tale faccia tosta che non si vergogna a tirare in ballo poveri disgraziati come i terremotati, per tacitare la propria sporchissima coscienza.
La sollevazione dei teatri ottenne di bloccare per un pò l'erogazione effettiva di parte di quei quattro milioni a cui ammontava, alla fine della protesta, l'assegnazione straordinaria all'Eliseo.
Arriviamo agli ultimi mesi dell'anno, questo: il 2017, ed alla stesura della manovra finanziaria per il 2018, e Barbareschi, non contento dei quattro milioni assegnatigli, lavora nell'ombra ed in silenzio per farsi riassegnare anche gli altri quattro milioni, destinati al tempo della manovrina ai terremotati ( chissà che non abbiano fatto la stessa fine dei fondi raccolti per gli 'indiani' della celebre barzelletta, finiti nelle tasche dei ricchi occidentali finti umanitari).
La sorellina politica di un tempo, la Prestigiacomo, la cui attività politica in tutta la legislatura è passata inosservata, a fine mandato, ha sferrato un colpo di grazia alla decenza. riuscendo con uno stratagemma del quale lei povera si è dichiarata vittima inconsapevole e manipolata, a rimettere in bilancio quei quattro milioni a favore di Barbareschi, con la complicità del presidente della Commissione Bilancio, Boccia (PD), sposata Di Girolamo ( ultimamente di nuovo FI) e di qualche altro parlamentare, fra quelli che già avevano sposato la causa di Barbareschi in primavera.. E Franceschini, il ministro prezzemolino, 'mezzo disastro' giusta la definizione di Renzi, di fronte alla decisione del Parlamento in favore di quel 'regalo' a Barbareschi, dichiara disaccordo e impotenza.
A noi viene un dubbio. E cioè che tutti quelli che oggi si dichiarano impotenti o manovrati, e mille altri aggettivi comprendenti la vasta casistica di politici impresentabili, alla fine abbiano fatto oggetto di scambio, presente o futuro, il favore a Barbareschi. Nulla ci può togliere dalla testa che è così.
All'ASSEMBLEA REGIONALE SICILIANA VOGLIONO ELIMINARE I TETTI, PER GUARDARE IL CIELO. FIGUCCIA CONTRO MICCICHE'
Il nuovo Parlamento regionale siciliano (ARS: Assemblea Regionale Siciliana), 'destro' per colore e guidato da Musumeci di Fratelli d'Italia, non è restato con le mani in mano e si è dato da fare per svecchiare il paese che, al sud, è da svecchiare più che al nord. In molti settori. A cominciare dai tetti che al Parlamento siciliano, presidente dell'Assemblea Miccichè in testa, ritengono troppo bassi e perciò impediscono di puntare in alto e guardare, rasserenati, l'azzurro cielo di Sicilia.
Contro di lui, potente colonnello della destra in Sicilia, si è mosso un oscuro consigliere, di nome Figuccia, gentile nel nome, determinato ma impotente, al punto che, inascoltato, ha rassegnato le dimissioni, a due mesi dalla elezione e insediamento e a legislatura neppure cominciata.
Il gigante Miccichè ritiene che i tetti siano illegali perché oltre che impedire ai consiglieri di guardare il cielo dalle sale dorate di Palazzo dei Normanni, li rendano infelici, e perciò poco efficaci e poco attivi nell'azione di governo. Figuccia, che non la pensa come lui, ricorre alle dimissioni dalla giunta.
I tetti che Miccichè vuole abolire, però, sono di un genere tutto particolare. Sono i tetti agli stipendi, sui quali da tempo immemorabile, relativamente ai consiglieri siciliani, si è fatta feroce ironia.
Il tetto dei 240.000 Euro - che è poi l'appannaggio del Presidente della repubblica - è troppo asfissiante per un deputato siciliano e perciò va sfondato.Questa la tesi di Miccichè.
Ad esempio, il segretario generale dell'Assemblea, sostiene Miccichè, dove poter prendere sui 400.000 Euro, perchè se li merita, essendo il suo incarico e la mole di lavoro considerevoli, e e lui da retribuire a dovere. Se potrà guadagnare quasi il doppio del Presidente della Repubblica, sarà felice, lavorerà meglio, e la mattina quando esce di casa, canterà tutto gongolante: si va all'assemblea/ a fottere, per ora, la gente etnea/ e da sera a mane/ tutte le genti isolane.
A scendere, l'abbattimento dei tetti stipendiali riguarderanno tutti: consiglieri, dirigenti, funzionari e forse anche gli uscieri che arriveranno a guadagnare più di un professore universitario e di un primario di ospedale.
In questo accesissima discussione, il principe governatore Musumeci, politico affidabile raccomandato dalla Meloni, il quale, durante la campagna elettorale aveva detto - se la memoria nostra non ci inganna - che avrebbe messo un tetto agli emolumenti dell'Assemblea siciliana, vergognosi! appare impotente contro Miccichè. Ma il suo maggior rammarico riguarda le promesse fatte ai tanti 'muratori' isolani ai quali aveva assicurato, una volta andato al potere, che gli avrebbe dato un sacco di lavoro, costruendo tetti su tetti. Musumeci, in contrasto con Miccichè, ha detto che entro breve quei tetti in parte abbattuti da Miccichè saranno rimessi, ed i muratori , almeno loro, finalmente gioiranno, per l'atteso lavoro.
P.S. Miccichè si è dovuto arrendere di fronte alle numerose proteste ed alle dimissioni di Figuccia, assessore ai Rifiuti, al quale, giusto la posizione di Miccichè, era stato impedito di raccogliere e destinare al tritatutto sociale i rifiuti umani dell'ARS.
P.S. Miccichè si è dovuto arrendere di fronte alle numerose proteste ed alle dimissioni di Figuccia, assessore ai Rifiuti, al quale, giusto la posizione di Miccichè, era stato impedito di raccogliere e destinare al tritatutto sociale i rifiuti umani dell'ARS.
Riccardo Muti dal podio viennese del Concerto di Capodanno se la prende con il Concerto veneziano di Capodanno e con la Rai. L'arcitaliano fa l' antitaliano
A domanda risponde. Maestro Muti, la Rai antepose al suo precedente concerto viennese, nel 2004, il concerto dalla Fenice, alla prima edizione. Ora tornando lei a Vienna, non poteva tornare sui suoi passi riproponendo su Rai 1 il suo concerto, e mandando su Rai 2 il Concerto veneziano?
E il Maestro risponde: "Bisogna chiederlo ai dirigenti Rai. Tra l'altro la prima volta volta della Fenice coincise, nel 2004, con il mio precedente concerto al Musikverein. I viennesi rimasero disorientati per il fatto che, con un direttore italiano, l'Italia per la prima volta compisse una scelta autartica. Ognuno è libero di fare ciò che vuole, alla Rai ritengono sia giusto così. Certo il Concerto di Vienna è unico, non solo per la qualità dell' Orchestra ma perché quella musica a cavallo tra il sorriso e la lacrima fa parte di un periodo storico particolare e si adatta all'atmosfera del primo dell'anno, evocando desideri e sogni che non esistono in altri repertori. Non credo che i miei musicisti di Chicago sarebbero interessati al brindisi della Traviata o al Va' pensiero, e si sa quanto ami queste opere, ma con la fine dell'anno c'entrano poco".
Cominciamo dal principio, perchè la storia del Concerto della Fenice la conosciamo bene, per filo e per segno, perché fin dall'inizio ce ne siamo occupati direttamente sempre, relativamente alla formulazione del programma, e spesso anche per altro, per conto della Rai.
Sì, il primo Concerto di Capodanno da Venezia, in diretta su Rai 1, coincise con il precedente impegno di Muti a Vienna; e Muti aveva diretto il concerto inaugurale della risorta Fenice, anche quello trasmesso in diretta, appena una decina di giorni prima del Capodanno 'italiano', che Muti definisce autartico.
Muti conosce le ragioni di quella iniziativa? Eccole. La sig. Anna Elena Averardi, consulente per l'immagine del teatro veneziano, ebbe l'idea di suggerire alla direzione di Rai 1 (Fabrizio Del Noce) di trasmettere da Venezia il Concerto di Capodanno. Nelle intenzioni della sig.ra Averardi, accolte da Dal Noce, c'era il desiderio di festeggiare la ricostruzione dello storico teatro veneziano, 'dov'era, com'era'. Il Concerto, diretto da Maazel, ebbe successo, superando, per share e telespettatori, tutte le precedenti edizioni di quello viennese; e forse anche per tale manifesto gradimento, si decise di continuare - come si fa da quindici anni - a mandare in onda da allora, ininterrottamente, in diretta su Rai 1, il Concerto da Venezia, senza però cancellare quello da Vienna, che viene trasmesso su Rai 2, subito dopo quello veneziano, a partire dalle 13,30.
Questa è la storia. Negli anni il concerto è stato diretto da importanti direttori: Maazel, Pretre, il quale dopo il concerto veneziano venne invitato per la prima volta a dirigere quello viennese, Masur, Gardiner, Roberto Abbado, Harding e solo uno dei ricorrenti problemi di salute vietarono a Temirkanov di dirigerlo, sebbene annunciato e sostituito all'ultimo minuto.
Nel tempo, noi, che oltre che sulla formulazione del programma siamo stati spesso interpellati anche sulla scelta dei direttori e dei cantanti, abbiamo consigliato alcuni nomi, come ad esempio, per i direttori, quello di Tony Pappano. Al quale però i dirigenti dell'epoca si rivolsero in giugno per il successivo dicembre. La risposta di Pappano fu ovvia e piccata: c'ho da fare tra Roma e Londra. Eravamo riusciti a convincere Cagli - con il quale allora avevamo buoni rapporti - a cedere per una trasferta il suo direttore, adducendo come ragione che la visibilità della tv avrebbe giovato a Pappano, da poco in Italia. E ne avevamo parlato anche con Pappano, del quale proprio in quegli anni stavamo scrivendo la biografia, ottenendone risposta affermativa, in linea di principio.
Poi avendo spesso visto sul podio della Fenice Chailly, Chung, Gatti, avevamo consigliato al direttore artistico - l'attuale sovrintendente Ortombina - di invitarli. La risposta, sempre uguale. era: non verranno ( non verrebbero?). Senza dirci però se li aveva invitati. Lui dava per scontato che non sarebbero venuti. Perchè allora, quest'anno, Chung ha accettato?
A dire la verità non gli abbiamo mai chiesto di Muti, e perciò non possiamo dire se Ortombina l'abbia invitato e, se sì, quale sia stata la sua risposta.
Ora, dice Muti, ma suggerisce Cappelli e avrebbe desiderato il 'politico ignoto' Giro, la Rai avrebbe dovuto in occasione del ritorno suo a Vienna, scalzare Venezia da Rai 1 e rimetterci il concerto viennese. Perché, lo spiega a suo modo: perchè lui è il massimo direttore italiano vivente, perchè i Wiener sono una delle più grandi orchestre, perchè il Concerto viennese è il più visto nel mondo, perchè il programma del concerto viennese è più adatto di quello veneziano per un concerto di inizio d'anno. Insomma, dice Muti, napoletano, alla fine del suo ragionamento: la Marcia di Radestzki è meglio del brindisi della Traviata.
E' qui che non seguiamo più il maestro italiano. I valzer viennesi sono per semplice tradizione programma del Concerto di Capodanno da Vienna ; nè più e nè meno di come i brani più popolari del nostro melodramma lo sono per il Concerto dalla Fenice, da quindici anni. Dunque non spiega per quale ragione Rai 1 dovrebbe rinunciare a tale iniziativa che, per una volta, valorizza, in patria, il patrimonio musicale che il mondo ci invidia e al quale Muti dichiara il suo particolare attaccamento ed apprezzamento.
Se lo vuole qualche italiano, che Vienna cioè torni dov'era, su Rai 1, non è ragione sufficiente perchè non si dia ascolto a quei 4.400.000 telespettatori - quanti erano fino a quando noi ce ne siamo occupati, mentre ora sono scesi fino a quasi 3.600.000, ma noi tuttavia speriamo che la discesa da quest'anno si fermi - che, a rigor di cifra, sono stati sempre in numero maggiore di quelli che in ogni edizione hanno guardato ed ascoltato il Concerto da Vienna su Rai 1 e che ora possono seguirlo su Rai 2. Il passaggio da Rai 1 a Rai 2 non è da intendersi come DECLASSAMENTO, bensì come semplice SPOSTAMENTO.
Se poi gli orfani di Vienna restano comunque insoddisfatti e inconsolabili, nulla vieta che, per manifesta ritorsione, si rechino a Vienna - del resto alcuni anni fa l'aveva fatto lo stesso Cappelli, come scrisse sul 'Corriere', in compagnia ( buona quella!) di Catello De Martino, l'indimenticato sovrintendente del disastro all'Opera di Roma, al tempo di Riccardo Muti - e come potrebbe fare, perchè i mezzi ce li ha, anche Francesco Giro, ex sottosegretario alla cultura del Governo italiano che preferisce Vienna e la sua musica a Venezia ed alla musica italiana. Non si tratta di autarchia nella scelta italiana; mentre negli oppositori, si tratta di evidente stupido autolesionismo.
E il Maestro risponde: "Bisogna chiederlo ai dirigenti Rai. Tra l'altro la prima volta volta della Fenice coincise, nel 2004, con il mio precedente concerto al Musikverein. I viennesi rimasero disorientati per il fatto che, con un direttore italiano, l'Italia per la prima volta compisse una scelta autartica. Ognuno è libero di fare ciò che vuole, alla Rai ritengono sia giusto così. Certo il Concerto di Vienna è unico, non solo per la qualità dell' Orchestra ma perché quella musica a cavallo tra il sorriso e la lacrima fa parte di un periodo storico particolare e si adatta all'atmosfera del primo dell'anno, evocando desideri e sogni che non esistono in altri repertori. Non credo che i miei musicisti di Chicago sarebbero interessati al brindisi della Traviata o al Va' pensiero, e si sa quanto ami queste opere, ma con la fine dell'anno c'entrano poco".
Cominciamo dal principio, perchè la storia del Concerto della Fenice la conosciamo bene, per filo e per segno, perché fin dall'inizio ce ne siamo occupati direttamente sempre, relativamente alla formulazione del programma, e spesso anche per altro, per conto della Rai.
Sì, il primo Concerto di Capodanno da Venezia, in diretta su Rai 1, coincise con il precedente impegno di Muti a Vienna; e Muti aveva diretto il concerto inaugurale della risorta Fenice, anche quello trasmesso in diretta, appena una decina di giorni prima del Capodanno 'italiano', che Muti definisce autartico.
Muti conosce le ragioni di quella iniziativa? Eccole. La sig. Anna Elena Averardi, consulente per l'immagine del teatro veneziano, ebbe l'idea di suggerire alla direzione di Rai 1 (Fabrizio Del Noce) di trasmettere da Venezia il Concerto di Capodanno. Nelle intenzioni della sig.ra Averardi, accolte da Dal Noce, c'era il desiderio di festeggiare la ricostruzione dello storico teatro veneziano, 'dov'era, com'era'. Il Concerto, diretto da Maazel, ebbe successo, superando, per share e telespettatori, tutte le precedenti edizioni di quello viennese; e forse anche per tale manifesto gradimento, si decise di continuare - come si fa da quindici anni - a mandare in onda da allora, ininterrottamente, in diretta su Rai 1, il Concerto da Venezia, senza però cancellare quello da Vienna, che viene trasmesso su Rai 2, subito dopo quello veneziano, a partire dalle 13,30.
Questa è la storia. Negli anni il concerto è stato diretto da importanti direttori: Maazel, Pretre, il quale dopo il concerto veneziano venne invitato per la prima volta a dirigere quello viennese, Masur, Gardiner, Roberto Abbado, Harding e solo uno dei ricorrenti problemi di salute vietarono a Temirkanov di dirigerlo, sebbene annunciato e sostituito all'ultimo minuto.
Nel tempo, noi, che oltre che sulla formulazione del programma siamo stati spesso interpellati anche sulla scelta dei direttori e dei cantanti, abbiamo consigliato alcuni nomi, come ad esempio, per i direttori, quello di Tony Pappano. Al quale però i dirigenti dell'epoca si rivolsero in giugno per il successivo dicembre. La risposta di Pappano fu ovvia e piccata: c'ho da fare tra Roma e Londra. Eravamo riusciti a convincere Cagli - con il quale allora avevamo buoni rapporti - a cedere per una trasferta il suo direttore, adducendo come ragione che la visibilità della tv avrebbe giovato a Pappano, da poco in Italia. E ne avevamo parlato anche con Pappano, del quale proprio in quegli anni stavamo scrivendo la biografia, ottenendone risposta affermativa, in linea di principio.
Poi avendo spesso visto sul podio della Fenice Chailly, Chung, Gatti, avevamo consigliato al direttore artistico - l'attuale sovrintendente Ortombina - di invitarli. La risposta, sempre uguale. era: non verranno ( non verrebbero?). Senza dirci però se li aveva invitati. Lui dava per scontato che non sarebbero venuti. Perchè allora, quest'anno, Chung ha accettato?
A dire la verità non gli abbiamo mai chiesto di Muti, e perciò non possiamo dire se Ortombina l'abbia invitato e, se sì, quale sia stata la sua risposta.
Ora, dice Muti, ma suggerisce Cappelli e avrebbe desiderato il 'politico ignoto' Giro, la Rai avrebbe dovuto in occasione del ritorno suo a Vienna, scalzare Venezia da Rai 1 e rimetterci il concerto viennese. Perché, lo spiega a suo modo: perchè lui è il massimo direttore italiano vivente, perchè i Wiener sono una delle più grandi orchestre, perchè il Concerto viennese è il più visto nel mondo, perchè il programma del concerto viennese è più adatto di quello veneziano per un concerto di inizio d'anno. Insomma, dice Muti, napoletano, alla fine del suo ragionamento: la Marcia di Radestzki è meglio del brindisi della Traviata.
E' qui che non seguiamo più il maestro italiano. I valzer viennesi sono per semplice tradizione programma del Concerto di Capodanno da Vienna ; nè più e nè meno di come i brani più popolari del nostro melodramma lo sono per il Concerto dalla Fenice, da quindici anni. Dunque non spiega per quale ragione Rai 1 dovrebbe rinunciare a tale iniziativa che, per una volta, valorizza, in patria, il patrimonio musicale che il mondo ci invidia e al quale Muti dichiara il suo particolare attaccamento ed apprezzamento.
Se lo vuole qualche italiano, che Vienna cioè torni dov'era, su Rai 1, non è ragione sufficiente perchè non si dia ascolto a quei 4.400.000 telespettatori - quanti erano fino a quando noi ce ne siamo occupati, mentre ora sono scesi fino a quasi 3.600.000, ma noi tuttavia speriamo che la discesa da quest'anno si fermi - che, a rigor di cifra, sono stati sempre in numero maggiore di quelli che in ogni edizione hanno guardato ed ascoltato il Concerto da Vienna su Rai 1 e che ora possono seguirlo su Rai 2. Il passaggio da Rai 1 a Rai 2 non è da intendersi come DECLASSAMENTO, bensì come semplice SPOSTAMENTO.
Se poi gli orfani di Vienna restano comunque insoddisfatti e inconsolabili, nulla vieta che, per manifesta ritorsione, si rechino a Vienna - del resto alcuni anni fa l'aveva fatto lo stesso Cappelli, come scrisse sul 'Corriere', in compagnia ( buona quella!) di Catello De Martino, l'indimenticato sovrintendente del disastro all'Opera di Roma, al tempo di Riccardo Muti - e come potrebbe fare, perchè i mezzi ce li ha, anche Francesco Giro, ex sottosegretario alla cultura del Governo italiano che preferisce Vienna e la sua musica a Venezia ed alla musica italiana. Non si tratta di autarchia nella scelta italiana; mentre negli oppositori, si tratta di evidente stupido autolesionismo.
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Riccardo Muti, l'arciitaliano, mostri a Vienna il suo 'cuor di leone'.
Per la quinta volta Riccardo Muti dirigerà il prossimo Capodanno il concerto da Vienna, con i Wiener Philharmoniker. Al giornalista (portavoce?) del Corriere della Sera, Valerio Cappelli, ha dichiarato che lui il valzer non lo sa ballare - in questo è in compagnia di tanti altri cittadini del mondo - e che il programma - nel quale ha fatto entrare anche Rossini - lo ha scelto accuratamente facendosi aiutare e consigliare dal direttore della 'Società Johann Strauss', della quale egli è membro onorario.
Ma la dichiarazione più importante è quella di voler bandire ogni scherzo dal concerto, a differenza di quasi tutti i direttori del capodanno viennesi che con lo scherzo al momento degli auguri, hanno pensato di deliziare il pubblico in sala e quello televisivo. Tutti, salvo Karajan ed ora anche Muti. Perchè, ha spiegato, quella viennese non è musica d'intrattenimento, ma musica come tante, anzi tutte, le altre e perciò va presa sul serio, anche perchè è intrisa allo stesso tempo di felicità e senso drammatico - ha precisato - e "si sente la fine un impero che sta per crollare."
Ma c'è anche un altra ragione per cui è opportuno che Riccardo Muti, l'arcititaliano, bandisca ogni scherzo. Perché c'è poco da scherzare per i tempi che stiamo attraversando, e ancor meno c'è da scherzare a Vienna, nell'Austria che all'Italia e al mondo sta cominciando a giocare brutti, anzi drammatici scherzi.
Con l'Italia poi la ragione è duplice, dal rafforzamento dei controlli austriaci al Brennero, alla unilaterale subdola destabilizzante e non amichevole intenzione di concedere la doppia cittadinanza ai cittadini altoatesini. Al punto che per l'ennesima volta ci chiediamo come abbia potuto un paese così retrogado e reazionario nella politica ( non serve per questo citare che in passato l'Austria ha avuto come cancelliere un ex SS) - esprimere tanta bella, ed anche grandissima, musica.
Infine, per quel che riguarda l'Italia, non vorremmo mai essere testimoni delle drammatiche conseguenze che un EMBARGO TURISTICO DA PARTE DEGLI ITALIANI produrrebbe sulla economia austriaca.
Per questo consigliamo a Muti di evitare giustamente ogni scherzo o gag , ma di dire con chiarezza quattro parole a proposito, al momento di fare gli auguri.
Poi nell'intervista al 'Corriere' Muti ha detto più dì una cosa sul Concerto veneziano di Capodanno che lui non ha mai diretto - perchè non ha voluto, o perchè non è stato mai invitato? - argomento che conosciamo molto bene e sul quale torniamo sul post successivo.
Ma la dichiarazione più importante è quella di voler bandire ogni scherzo dal concerto, a differenza di quasi tutti i direttori del capodanno viennesi che con lo scherzo al momento degli auguri, hanno pensato di deliziare il pubblico in sala e quello televisivo. Tutti, salvo Karajan ed ora anche Muti. Perchè, ha spiegato, quella viennese non è musica d'intrattenimento, ma musica come tante, anzi tutte, le altre e perciò va presa sul serio, anche perchè è intrisa allo stesso tempo di felicità e senso drammatico - ha precisato - e "si sente la fine un impero che sta per crollare."
Ma c'è anche un altra ragione per cui è opportuno che Riccardo Muti, l'arcititaliano, bandisca ogni scherzo. Perché c'è poco da scherzare per i tempi che stiamo attraversando, e ancor meno c'è da scherzare a Vienna, nell'Austria che all'Italia e al mondo sta cominciando a giocare brutti, anzi drammatici scherzi.
Con l'Italia poi la ragione è duplice, dal rafforzamento dei controlli austriaci al Brennero, alla unilaterale subdola destabilizzante e non amichevole intenzione di concedere la doppia cittadinanza ai cittadini altoatesini. Al punto che per l'ennesima volta ci chiediamo come abbia potuto un paese così retrogado e reazionario nella politica ( non serve per questo citare che in passato l'Austria ha avuto come cancelliere un ex SS) - esprimere tanta bella, ed anche grandissima, musica.
Infine, per quel che riguarda l'Italia, non vorremmo mai essere testimoni delle drammatiche conseguenze che un EMBARGO TURISTICO DA PARTE DEGLI ITALIANI produrrebbe sulla economia austriaca.
Per questo consigliamo a Muti di evitare giustamente ogni scherzo o gag , ma di dire con chiarezza quattro parole a proposito, al momento di fare gli auguri.
Poi nell'intervista al 'Corriere' Muti ha detto più dì una cosa sul Concerto veneziano di Capodanno che lui non ha mai diretto - perchè non ha voluto, o perchè non è stato mai invitato? - argomento che conosciamo molto bene e sul quale torniamo sul post successivo.
mercoledì 27 dicembre 2017
Dichiarazione di Francesco Giro, ex sottosegretario alla cultura, passato inosservato, contro il Concerto dalla Fenice di Venezia: un monumento al politico ignoto
"Sarà Riccardo Muti a dirigere il concerto di Capodanno 2018 dei Wiener da Vienna. Speriamo che la Rai se ne accorga perchè anche quest’anno, come gli anni precedenti, si è consumata a viale Mazzini la vergogna del celebre concerto da Vienna trasmesso non in diretta su Rai Uno ma in differita su un canale minore. Vergogna! Con Muti su podio non dovrà accadere”.
sabato 23 dicembre 2017
Sovrintendente Fuortes basta con le cifre manipolate a proprio favore ( pubblicato il 17.8.2017) A proposito di Caracalla 2016-7
Quest'anno (2017) Caracalla ha superato ogni record di incasso, essendo aumentate le entrate del 23%, e il pubblico del 25,5%, salito da 61.650 dell'anno scorso, ai 77.600 di quest'anno; quasi 16.000 in più -ha dichiarato il sovrintendente Carlo Fuortes.
(Tanto per fare un paragone, l'anno scorso 'Luglio suona bene' all'Auditorium registrò il più basso indice di riempimento della cavea, registrando appena 77.000 spettatori, stando al comunicato ufficiale di Musica per Roma. Ora la cavea ha una capienza inferiore a Caracalla, poco più di 3000 posti, e dunque se le serate sono state pari di numero, quota 77.000 è il minimo mai registrato all'Auditorium; mentre Fuortes lo presenta come un record per Caracalla; mentre record sarebbe se il pubblico si attestasse intorno a 100.000 o più. Dunque anche questo resoconto di fine estate di Fuortes non convince).
Fuortes, che è un tecnico specializzato nell'economia della cultura e che i conti come anche i paralleli con il passato dovrebbe saperli fare, non dice che l'anno scorso a Caracalla ci sono state 25 serate, contro le 29 di quest'anno, dunque con una disponibilità di 16.000 posti in più, quest'anno:
praticamente coinciderebbe con l'aumento di pubblico registrato a Caracalla ora. Si dovrebbe quindi dire che il pubblico di quest'anno è stato pari a quello dell'anno scorso, e che l'aumento di pubblico e di incassi è semplicemente il risultato delle 4 serate in più.
Nella stagione Caracalla 2016 si sono avute 25 serate, con una disponibilità di 100.000 posti circa; ne risultarono occupati - a detta di Fuortes che ha paragonato la stagione presente a quella passata, 61.850, il che vuol dire che 38.150 restarono, nelle 25 serate, vuoti, cioè a dire 1.500 circa a sera, facendo una media.
Quest'anno, che secondo quel che dice Fuortes, è stato battuto ogni record, per le 29 serate i posti disponibili erano complessivamente 110.000. Ne sono risultati occupati, sempre secondo il sovrintendente, 77.600; perciò complessivamente sono rimasti vuoti 32.400 posti, facendo una media: oltre 1000 posti a sera sui 4000 disponibili, sono rimasti invenduti.
Allora quale grande differenza con l'estate 2016? Nessuna. Quest'anno 1000 posti circa invenduti ogni sera, l'anno scorso 1500 circa. Un miglioramento c'è stato, e di questo saremmo felici a parità di numero di spettacoli, che quest'anno sono aumentati di quattro unità.
Ma quella platea dovrebbe essere piena ogni sera; ed invece, anche quest'anno non lo è stata. Speriamo che il sovrintendente mediti sulle sue sbandierate 'vittorie di pirro/fuortes'.
Se poi vogliamo fermarci in particolare sugli incassi, anche in questo caso i conti non tornano. Fuortes ha dichiarato che quest'anno Caracalla ha incassato circa 780.000 Euro in più dell'anno scorso, quando aveva incassato circa 3.340.000 Euro, mentre quest'anno circa 4.120.000.
Ed ha specificato che il successo di stagione estiva si è avuto con Carmen, che ha fatto incassare 1.200.000 Euro, dunque 120.000 Euro circa, di media, per ciascuna delle 10 serate.
Ma se le altre 19 serate hanno fatto incassare all'incirca 3.000.000 di Euro, vorrà dire che ciascuna di quelle serate ha fatto arrivare nelle casse dell'Opera più di 150.000 Euro a sera. Naturalmente parliamo sempre di una media. E allora il successo di Caracalla 2017, quanto a incassi, non è stata Carmen, ma qualunque altro spettacolo ( opera, balletto, extra) di Caracalla 2017. Prima di sparare cifre, Fuortes rifaccia bene i conti, magari aiutandosi con una calcolatrice che sicuramente sarà molto più precisa ed esatta di lui.
(Tanto per fare un paragone, l'anno scorso 'Luglio suona bene' all'Auditorium registrò il più basso indice di riempimento della cavea, registrando appena 77.000 spettatori, stando al comunicato ufficiale di Musica per Roma. Ora la cavea ha una capienza inferiore a Caracalla, poco più di 3000 posti, e dunque se le serate sono state pari di numero, quota 77.000 è il minimo mai registrato all'Auditorium; mentre Fuortes lo presenta come un record per Caracalla; mentre record sarebbe se il pubblico si attestasse intorno a 100.000 o più. Dunque anche questo resoconto di fine estate di Fuortes non convince).
Fuortes, che è un tecnico specializzato nell'economia della cultura e che i conti come anche i paralleli con il passato dovrebbe saperli fare, non dice che l'anno scorso a Caracalla ci sono state 25 serate, contro le 29 di quest'anno, dunque con una disponibilità di 16.000 posti in più, quest'anno:
praticamente coinciderebbe con l'aumento di pubblico registrato a Caracalla ora. Si dovrebbe quindi dire che il pubblico di quest'anno è stato pari a quello dell'anno scorso, e che l'aumento di pubblico e di incassi è semplicemente il risultato delle 4 serate in più.
Nella stagione Caracalla 2016 si sono avute 25 serate, con una disponibilità di 100.000 posti circa; ne risultarono occupati - a detta di Fuortes che ha paragonato la stagione presente a quella passata, 61.850, il che vuol dire che 38.150 restarono, nelle 25 serate, vuoti, cioè a dire 1.500 circa a sera, facendo una media.
Quest'anno, che secondo quel che dice Fuortes, è stato battuto ogni record, per le 29 serate i posti disponibili erano complessivamente 110.000. Ne sono risultati occupati, sempre secondo il sovrintendente, 77.600; perciò complessivamente sono rimasti vuoti 32.400 posti, facendo una media: oltre 1000 posti a sera sui 4000 disponibili, sono rimasti invenduti.
Allora quale grande differenza con l'estate 2016? Nessuna. Quest'anno 1000 posti circa invenduti ogni sera, l'anno scorso 1500 circa. Un miglioramento c'è stato, e di questo saremmo felici a parità di numero di spettacoli, che quest'anno sono aumentati di quattro unità.
Ma quella platea dovrebbe essere piena ogni sera; ed invece, anche quest'anno non lo è stata. Speriamo che il sovrintendente mediti sulle sue sbandierate 'vittorie di pirro/fuortes'.
Se poi vogliamo fermarci in particolare sugli incassi, anche in questo caso i conti non tornano. Fuortes ha dichiarato che quest'anno Caracalla ha incassato circa 780.000 Euro in più dell'anno scorso, quando aveva incassato circa 3.340.000 Euro, mentre quest'anno circa 4.120.000.
Ed ha specificato che il successo di stagione estiva si è avuto con Carmen, che ha fatto incassare 1.200.000 Euro, dunque 120.000 Euro circa, di media, per ciascuna delle 10 serate.
Ma se le altre 19 serate hanno fatto incassare all'incirca 3.000.000 di Euro, vorrà dire che ciascuna di quelle serate ha fatto arrivare nelle casse dell'Opera più di 150.000 Euro a sera. Naturalmente parliamo sempre di una media. E allora il successo di Caracalla 2017, quanto a incassi, non è stata Carmen, ma qualunque altro spettacolo ( opera, balletto, extra) di Caracalla 2017. Prima di sparare cifre, Fuortes rifaccia bene i conti, magari aiutandosi con una calcolatrice che sicuramente sarà molto più precisa ed esatta di lui.
Qualche riflessione su Caracalla 2018 prima che Fuortes spari con il suo cannone ' a salve'.
Nel post precedente abbiamo riprodotto il comunicato che si può leggere sul sito dell'Opera di Roma, relativo al programma estivo del teatro a Caracalla. Due titoli d'opera: Carmen e Traviata ; il primo è una ripresa dello spettacolo dello scorso anno che a suo tempo dimostrammo non essere il 'successo' di stagione come Fuortes strombazzava; il secondo assolutamente inadatto agli spazi di Caracalla, la cui platea ha circa 4000 posti e acusticamente ha protezioni minori dell'Arena di Verona E già la grande sapienza programmatrice dei dirigenti dell'Opera di Roma va a farsi benedire.
Poi c'è un balletto, Romeo e Giulietta, musica di Prokofiev (e non 'sulle musiche di Prokofiev' come scriverebbe un qualunque analfabeta ma non un teatro d'opera). In tutto diciannove serate.
Poi a completamento della stagione estiva, sette serate 'EXTRA' ( 2 con Bolle, 2 con Paolo Conte, 2 con Morricone ed una con Bjork) di cui si ha notizia da tempo e prima della pubblicazione del programma completo, dove dovrebbero avere la precedenza le serate d'opera o di balletto.
Ciò detto, l'unica ragione per la quale ci sentiamo di lodare gli amministratori attuali dell'Opera di Roma è l'aver in tempo - e cioè con mezzo anno di anticipo - reso noto il calendario con titoli date e interpreti, come un teatro moderno, che però deve evitare poi di sbagliare clamorosamente nel contenuto di tale programmazione.
Le serate di spettacolo a Caracalla, la prossima estate, saranno 26, contro le 29 dell'anno passato e le 25 del 2016. E perciò nel resoconto finale che Fuortes si aggiusta sempre a modo suo, occorre tener conto di questi dati. E non fare come lui ha fatto a fine stagione 2017 quando ha proclamato di aver avuto più spettatori di sempre ( certo con un numero di serate in più rispetto all'anno precedente è più facile - ma lui questi non lo dice) e affermando che Carmen - che aveva incassato mediamente 120.000 Euro a recita - era il titolo più premiato dal pubblico. Perchè anche quella era una bugia, avendogli dimostrato, con quattro conti , attenendoci strettamente ai dati pubblicati, che tutte le altre serate ( opera, balletto e le amatissime serate EXTRA avevano fatto registrare al botteghino , mediamente, entrate per 150.000 Euro a sera.
Tutto queste falsità Fuortes la smetterebbe di dire, se solo i giornalisti non si comportassero come 'ventriloqui' del sovrintendente, economista della cultura' che inciampa sui conti.
Perchè non si pensi che stiamo dando i numeri, come sembra fare troppo spesso Fuortes, nel post successivo riprodurremo un post degli scorsi mesi, quando abbiamo fatto i conti 'in tasca' all'Opera, con le cifre fornite ufficialmente da Fuortes.
Poi c'è un balletto, Romeo e Giulietta, musica di Prokofiev (e non 'sulle musiche di Prokofiev' come scriverebbe un qualunque analfabeta ma non un teatro d'opera). In tutto diciannove serate.
Poi a completamento della stagione estiva, sette serate 'EXTRA' ( 2 con Bolle, 2 con Paolo Conte, 2 con Morricone ed una con Bjork) di cui si ha notizia da tempo e prima della pubblicazione del programma completo, dove dovrebbero avere la precedenza le serate d'opera o di balletto.
Ciò detto, l'unica ragione per la quale ci sentiamo di lodare gli amministratori attuali dell'Opera di Roma è l'aver in tempo - e cioè con mezzo anno di anticipo - reso noto il calendario con titoli date e interpreti, come un teatro moderno, che però deve evitare poi di sbagliare clamorosamente nel contenuto di tale programmazione.
Le serate di spettacolo a Caracalla, la prossima estate, saranno 26, contro le 29 dell'anno passato e le 25 del 2016. E perciò nel resoconto finale che Fuortes si aggiusta sempre a modo suo, occorre tener conto di questi dati. E non fare come lui ha fatto a fine stagione 2017 quando ha proclamato di aver avuto più spettatori di sempre ( certo con un numero di serate in più rispetto all'anno precedente è più facile - ma lui questi non lo dice) e affermando che Carmen - che aveva incassato mediamente 120.000 Euro a recita - era il titolo più premiato dal pubblico. Perchè anche quella era una bugia, avendogli dimostrato, con quattro conti , attenendoci strettamente ai dati pubblicati, che tutte le altre serate ( opera, balletto e le amatissime serate EXTRA avevano fatto registrare al botteghino , mediamente, entrate per 150.000 Euro a sera.
Tutto queste falsità Fuortes la smetterebbe di dire, se solo i giornalisti non si comportassero come 'ventriloqui' del sovrintendente, economista della cultura' che inciampa sui conti.
Perchè non si pensi che stiamo dando i numeri, come sembra fare troppo spesso Fuortes, nel post successivo riprodurremo un post degli scorsi mesi, quando abbiamo fatto i conti 'in tasca' all'Opera, con le cifre fornite ufficialmente da Fuortes.
Caracalla 2018: 19 serate tra opera e balletto, e altre 7 di Extra, vanto della gestione Fuortes che non ha ancora capito che sta all'Opera di Roma e non più all'Auditorium
Due opere e un balletto nella consueta, splendida cornice estiva del Teatro dell’Opera: La traviata in un nuovo allestimento diretto da Yves Abel e con la regia di Lorenzo Mariani, Carmendiretta da Ryan McAdams nell’allestimento applaudito lo scorso anno con la regia di Valentina Carrasco ed il balletto Romeo e Giulietta di Prokof’ev, una nuova creazione di Giuliano Peparini, che firma regia e coreografia, diretta da David Levi.
Questi i titoli della stagione stagione estiva che si svolgerà alle Terme di Caracalla dal 3 luglio al 4 agosto 2018, per un totale di diciannove serate dedicate alla grande lirica e alla danza, per la quale, alle recite del Romeo e Giulietta, si aggiungono anche due irrinunciabili appuntamenti con Roberto Bolle. Cinque Extra, per un totale complessivo di 26 serate, completano un’offerta di grande qualità, ma nello stesso tempo aperta a un larghissimo pubblico come è nella tradizione delle stagioni estive del Teatro dell’Opera di Roma.
Questi i titoli della stagione stagione estiva che si svolgerà alle Terme di Caracalla dal 3 luglio al 4 agosto 2018, per un totale di diciannove serate dedicate alla grande lirica e alla danza, per la quale, alle recite del Romeo e Giulietta, si aggiungono anche due irrinunciabili appuntamenti con Roberto Bolle. Cinque Extra, per un totale complessivo di 26 serate, completano un’offerta di grande qualità, ma nello stesso tempo aperta a un larghissimo pubblico come è nella tradizione delle stagioni estive del Teatro dell’Opera di Roma.
L’inaugurazione sarà affidata martedì 3 luglio al nuovo allestimento de La traviata di Giuseppe Verdi, con la regia di Lorenzo Mariani e la direzione d’orchestra di Yves Abel. Nel ruolo di Violetta vedremo Kristina Mkhitaryan e Valentina Varriale, Alfredo sarà interpretato da Alessandro Scotto di Luzio e Germont da Fábian Veloz. Repliche il 4, 5, 6, 7, 8, 13, 15, 20 luglio.
Da sabato 14 luglio sarà in scena Carmen di Georges Bizet, con la regia di Valentina Carrasco, nell’edizione ambientata sulla frontiera fra Messico e Stati Uniti, rappresentata con grande successo lo scorso anno; sul podio Ryan McAdams, nei panni di Carmen Ketevan Kemoklidze, Don José Andeka Gorrotxategui, Escamillo Simón Orfila. Repliche 19, 29, 31 luglio e 2 agosto.
Le due opere avranno i sottotitoli in italiano e in inglese e anche quest’anno proseguiranno gli appuntamenti alle Terme di Caracalla con le “Lezioni di opera” tenute dal maestro Giovanni Bietti.
Da sabato 14 luglio sarà in scena Carmen di Georges Bizet, con la regia di Valentina Carrasco, nell’edizione ambientata sulla frontiera fra Messico e Stati Uniti, rappresentata con grande successo lo scorso anno; sul podio Ryan McAdams, nei panni di Carmen Ketevan Kemoklidze, Don José Andeka Gorrotxategui, Escamillo Simón Orfila. Repliche 19, 29, 31 luglio e 2 agosto.
Le due opere avranno i sottotitoli in italiano e in inglese e anche quest’anno proseguiranno gli appuntamenti alle Terme di Caracalla con le “Lezioni di opera” tenute dal maestro Giovanni Bietti.
Il 27 luglio andrà in scena in prima mondiale il balletto Romeo e Giulietta, sulle note di Sergej Prokof’ev, con la nuova creazione di Giuliano Peparini, che firma regia e coreografia. La direzione d’orchestra è affidata al maestro David Levi. Il grande balletto, ispirato all’immortale vicenda narrata da Shakespeare, è molto adatto agli ampi spazi di Caracalla. Repliche il 28 luglio e l’1, 3 e 4 agosto.
Al programma si aggiungono i due appuntamenti con Roberto Bolle, martedì 17 e mercoledì 18 luglio, accompagnato da étoiles internazionali. Con i sold out di tutti i suoi spettacoli nelle scorse stagioni si è sempre riaffermato l’affetto del pubblico delle Terme di Caracalla per questa grande stella della danza.
Completano la ricca stagione gli EXTRA già annunciati: lo straordinario ritorno di Björk per un’unica data il 13 giugno, due appuntamenti con Paolo Conte il 14 e il 15 giugno, e due serate con Ennio Morricone, il 16 e 17 giugno.
Al programma si aggiungono i due appuntamenti con Roberto Bolle, martedì 17 e mercoledì 18 luglio, accompagnato da étoiles internazionali. Con i sold out di tutti i suoi spettacoli nelle scorse stagioni si è sempre riaffermato l’affetto del pubblico delle Terme di Caracalla per questa grande stella della danza.
Completano la ricca stagione gli EXTRA già annunciati: lo straordinario ritorno di Björk per un’unica data il 13 giugno, due appuntamenti con Paolo Conte il 14 e il 15 giugno, e due serate con Ennio Morricone, il 16 e 17 giugno.
Il Fatto Quotidiano e il governatore pugliese Emiliano non ammetteranno MAI le sconfitte
Cominciamo dal secondo caso che è quello più drammatico, perchè coinvolge le sorti di ventimila lavoratori circa e il futuro di una intera città, Taranto per l'affare ILVA. Quando sembrava ad un buon punto la trattativa con il gruppo indiano che la acquisterà, arriva l'IRRESPONSABILE altolà del governatore pugliese e del sindaco di Taranto che si mettono di traverso sulla strada che Calenda, il ministro per lo sviluppo economico, stava tentando di condurre in porto. E presentano un ricorso al TAR, il cui esito non è noto e potrebbe richiedere anche tempo, comunque troppo per un industriale che non comprerebbe una azienda che ha infiniti problemi, senza sapere quale sorpresa, ad acquisto avvenuto, potrebbe riservargli la sentenza del tribunale amministrativo regionale.
Calenda si reca a Taranto con il ramoscello di ulivo per gli amministratori pugliesi, Emiliano - che già per la seconda volta o la terza ( ricordate la sua candidatura alla segreteria del PD finita nel nulla sonoramente bocciata?) non vuole ammettere di aver fatto un passo falso ; anzi sembra addirittura che voglia rifarsi della precedente sconfitta, FREGANDOSENE del destino dei tarantini e dell'ILVA.
Calenda gli ha chiesto di ritirare il ricorso, la stessa cosa ha fatto Gentiloni, ma lui non sembra disposto a farlo, anzi minaccia: Calenda è un immaturo, Gentiloni ricattatore. E lui? Lui un irresponsabile. Neanche i sindacati che temono il peggio e perciò si sono schierati a favore della mediazione del Governo - memori di altre vertenze finite male, anzi malissimo, come Alitalia, quando hanno appoggiato i lavoratori che tiravano la corda senza accorgersi che stava per rompersi come poi è accaduto - sono riusciti a far desistere il corpulento governatore dalle sue posizioni bellicose ma disfattiste.
Se si rompe il negoziato con Mittal su ILVA il pericolo reale è che l'impianto venga spento entro la prima decade di gennaio, e addio sogni di lavoro ed anche di risanamento. Senza l'accordo non ci sarà lavoro, e neppure il risanamento della fabbrica che inquina. E così i tarantini moriranno per l'inquinamento ma anche per la disperazione perchè senza lavoro.
Che faranno allora i ventimila di Taranto? Andranno a casa di Emiliano, dove la tavola è sempre apparecchiata, e a Natale perfino con frutti di mare prelibati, quando in molte famiglie tarantine comincerà ad essere impresa dura mettere insieme il pranzo con la cena? Perchè Emiliano non ammette la sconfitta, ritira il ricorso al TAR e riavvia le trattative per concordare con Governo e nuovi proprietari tutte le misure possibili per assicurare ai cittadini coinvolti lavoro e salute, che lui proclama di difendere, ma SOLO A PAROLE?
Qualcosa di simile accade anche alla direzione de 'Il Fatto quotidiano', a causa della sua voracità giornalistica che non conosce limiti, e del delirio di onnipotenza ed infallibilità dei suoi vertici?
Ha dato addosso di brutto al sindaco di Mantova - anche perchè del PD di Renzi?- coinvolto in una brutta storia. Poi quando si scopre che la signora che aveva architettato questa diffamazione aveva falsificato tutto per accusare il sindaco, che viene perciò scagionato dall'accusa, non si dice soddisfatto perchè la magistratura ha sventato un imbroglio, ma ricorda che scagionato dall'accusa più infamante, ne restano contro di lui altre. Accuse che in altri casi, come quando hanno riguardato i Cinquestelle amici, hanno precisato che non tutte sono uguali, come ad esempio una di quelle rivolte al sindaco di Mantova e cioè 'abuso di ufficio'. Perchè, ha spiegato Travaglio, un amministratore è facile incorra in tale reato; e che comunque non può essere messo sullo stesso piano del reato di truffa, o di associazione o di concorso esterno in associazione mafiosa.
Allora perché alla magistratura si crede quando conviene e quando non conviene, perchè non si vuole ammettere l'errore e scusarsi, non si crede?
Calenda si reca a Taranto con il ramoscello di ulivo per gli amministratori pugliesi, Emiliano - che già per la seconda volta o la terza ( ricordate la sua candidatura alla segreteria del PD finita nel nulla sonoramente bocciata?) non vuole ammettere di aver fatto un passo falso ; anzi sembra addirittura che voglia rifarsi della precedente sconfitta, FREGANDOSENE del destino dei tarantini e dell'ILVA.
Calenda gli ha chiesto di ritirare il ricorso, la stessa cosa ha fatto Gentiloni, ma lui non sembra disposto a farlo, anzi minaccia: Calenda è un immaturo, Gentiloni ricattatore. E lui? Lui un irresponsabile. Neanche i sindacati che temono il peggio e perciò si sono schierati a favore della mediazione del Governo - memori di altre vertenze finite male, anzi malissimo, come Alitalia, quando hanno appoggiato i lavoratori che tiravano la corda senza accorgersi che stava per rompersi come poi è accaduto - sono riusciti a far desistere il corpulento governatore dalle sue posizioni bellicose ma disfattiste.
Se si rompe il negoziato con Mittal su ILVA il pericolo reale è che l'impianto venga spento entro la prima decade di gennaio, e addio sogni di lavoro ed anche di risanamento. Senza l'accordo non ci sarà lavoro, e neppure il risanamento della fabbrica che inquina. E così i tarantini moriranno per l'inquinamento ma anche per la disperazione perchè senza lavoro.
Che faranno allora i ventimila di Taranto? Andranno a casa di Emiliano, dove la tavola è sempre apparecchiata, e a Natale perfino con frutti di mare prelibati, quando in molte famiglie tarantine comincerà ad essere impresa dura mettere insieme il pranzo con la cena? Perchè Emiliano non ammette la sconfitta, ritira il ricorso al TAR e riavvia le trattative per concordare con Governo e nuovi proprietari tutte le misure possibili per assicurare ai cittadini coinvolti lavoro e salute, che lui proclama di difendere, ma SOLO A PAROLE?
Qualcosa di simile accade anche alla direzione de 'Il Fatto quotidiano', a causa della sua voracità giornalistica che non conosce limiti, e del delirio di onnipotenza ed infallibilità dei suoi vertici?
Ha dato addosso di brutto al sindaco di Mantova - anche perchè del PD di Renzi?- coinvolto in una brutta storia. Poi quando si scopre che la signora che aveva architettato questa diffamazione aveva falsificato tutto per accusare il sindaco, che viene perciò scagionato dall'accusa, non si dice soddisfatto perchè la magistratura ha sventato un imbroglio, ma ricorda che scagionato dall'accusa più infamante, ne restano contro di lui altre. Accuse che in altri casi, come quando hanno riguardato i Cinquestelle amici, hanno precisato che non tutte sono uguali, come ad esempio una di quelle rivolte al sindaco di Mantova e cioè 'abuso di ufficio'. Perchè, ha spiegato Travaglio, un amministratore è facile incorra in tale reato; e che comunque non può essere messo sullo stesso piano del reato di truffa, o di associazione o di concorso esterno in associazione mafiosa.
Allora perché alla magistratura si crede quando conviene e quando non conviene, perchè non si vuole ammettere l'errore e scusarsi, non si crede?
venerdì 22 dicembre 2017
Charles Dutoit, ottanta'nni, accusato di violenze. Anche lui, dopo James Levine
Abbiamo fatto appena in tempo a scrivere il nostro post sulle molestie o violenze che si verificano anche nel mondo musicale - che secondo Florez, nella maggior parte dei casi, sono consenzienti - che dagli Stati uniti rimbalza la notizia di altre molestie e violenze.
Questa volta sul banco degli imputati c'è un direttore d'orchestra, il secondo dopo il re del Metropolitan, James Levine, e si tratta di Charles Dutoit, già marito di Martha Argerich, stabile per molti anni a Boston, e con una carriera musicale carica di onori alle spalle.
Lo accusano di molestie e violenza sessuali, arricchite da molti particolari e circostanze, tre cantanti, di due delle quali si conosce anche il nome e che hanno denunciato senza che una sapesse dell'altra, ma che all'epoca dei fatti, ne avevano parlato confidenzialmente.
Le cantanti sono Paula Rasmussen e Sylvia McNair.
Anche per loro ci si chiede perchè abbiano denunciato solo ora. E la risposta logica è soltanto una: perchè finalmente le donne molestate o violentate hanno preso coraggio e, come in quasi tutti gli altri casi noti, non lo hanno fatto allora, temendo che la loro carriera ne fosse pregiudicata, anche perchè molti le avrebbero bollate, come provocatrici - accusa che si muove solitamente in questi casi alle donne, dimenticando l'altra faccia dell questione e cioè che gli 'approfittatori' uomini, contano sul loro potere per molestare e violentare.
Le due cantanti, sebbene in ritardo, hanno fatto comunque bene a denunciare il molestatore e violentatore Dutoit, oggi ottantunenne, al quale sono stati cancellati tutti gli impegni già programmati, facendogli pagare, come merita, quelle violenze, anche se in ritardo. Una specie di 'appestato' dal quale tutti girano alla larga, anche fingendo di non conoscerlo. E' bene, comunque, che paghi!
Adesso cosa può accadere? Può accadere che si facciano avanti altre cantanti a testimoniare la serialità dei comportamenti prevaricatori di Dutoit, se questo era, o che vengano fuori altre accusatrici, vittime di violenze, ed anche nuovi accusati.
Questa volta sul banco degli imputati c'è un direttore d'orchestra, il secondo dopo il re del Metropolitan, James Levine, e si tratta di Charles Dutoit, già marito di Martha Argerich, stabile per molti anni a Boston, e con una carriera musicale carica di onori alle spalle.
Lo accusano di molestie e violenza sessuali, arricchite da molti particolari e circostanze, tre cantanti, di due delle quali si conosce anche il nome e che hanno denunciato senza che una sapesse dell'altra, ma che all'epoca dei fatti, ne avevano parlato confidenzialmente.
Le cantanti sono Paula Rasmussen e Sylvia McNair.
Anche per loro ci si chiede perchè abbiano denunciato solo ora. E la risposta logica è soltanto una: perchè finalmente le donne molestate o violentate hanno preso coraggio e, come in quasi tutti gli altri casi noti, non lo hanno fatto allora, temendo che la loro carriera ne fosse pregiudicata, anche perchè molti le avrebbero bollate, come provocatrici - accusa che si muove solitamente in questi casi alle donne, dimenticando l'altra faccia dell questione e cioè che gli 'approfittatori' uomini, contano sul loro potere per molestare e violentare.
Le due cantanti, sebbene in ritardo, hanno fatto comunque bene a denunciare il molestatore e violentatore Dutoit, oggi ottantunenne, al quale sono stati cancellati tutti gli impegni già programmati, facendogli pagare, come merita, quelle violenze, anche se in ritardo. Una specie di 'appestato' dal quale tutti girano alla larga, anche fingendo di non conoscerlo. E' bene, comunque, che paghi!
Adesso cosa può accadere? Può accadere che si facciano avanti altre cantanti a testimoniare la serialità dei comportamenti prevaricatori di Dutoit, se questo era, o che vengano fuori altre accusatrici, vittime di violenze, ed anche nuovi accusati.
giovedì 21 dicembre 2017
A proposito dello 'Chénier' su Rai 1, a Sant'Ambrogio, interviene il 7 del Corriere della Sera
Ieri, su 7- settimanale del 'Corriere', diretto da Severgnini - è intervenuto Matteo Persivale ("che, per la prima volta , scrive di televisione", sottolinea il settimanale) per parlare della 'prima' scaligera di quest'anno, trasmessa in diretta su Rai 1, che ha avuto un buon ascolto, sopra i 2.000.000 di telespettatori - 600.000 in meno rispetto allo scorso anno quando il titolo era più popolare - ma comunque un ascolto che incoraggia a proseguire.
Contento il direttore generale, scrive Persivale, contento Teodoli, direttore di Rai 1, contenta Calandrelli, direttora di Rai Cultura, dalle cui sinergie tecniche e artistiche è scaturita la diretta.
Dunque tutti contenti? Sì e no. La Rai non si può ricordarsi dell'opera solo una volta l'anno e per il resto considerarla una penitenza alla quale non vale la pena sottoporre i poveri telespettatori. Poveri un corno. Tutto il mondo ci invidia l'opera che noi italiani abbiamo inventato agli inizi del Seicento; tutto il mondo l'apprezza al punto da frequentare i nostri teatri come facciamo noi, ma più pigramente, tutte le televisioni la trasmettono REGOLARMENTE, l'Italia no. L'anacronismo sta proprio qui, e non viene cancellato dalla diretta televisiva in occasione dell'inaugurazione di stagione alla Scala.
Teodoli, più di Orfeo, sa bene che anni fa, ormai quindici, esisteva una bella trasmissione, All'Opera!, trasmessa d'estate, per sei anni consecutivi da Rai 1 in seconda serata, in cicli di dieci titoli per volta, che teneva viva la tradizione del melodramma in Italia. Con la partecipazione di Antonio Lubrano, faceva buoni ascolti, ma mentre interessava al pubblico televisivo alla dirigenza Rai non interessava neanche un pò, così che alle prime obiezioni ha preferito cancellarla, fra mille proteste e con la promessa che sarebbe tornata. Promessa ovviamente non mantenuta.
E' chiaro che una rondine - la prima scaligera - non fa primavera neanche nel settore del melodramma. E allora che fare?
La Rai si può impegnare ad essere più sollecita e presente nel riprendere e mandare in onda altri spettacoli d'opera? Non pare; ma se, invece, ci sbagliamo, ci faccia sapere i suoi programmi 'operistici' futuri, per lo meno quelli della stagione corrente ed estiva, quando l'Italia pullula di festival anche operistici.
Ma per non far dire, a seguito di eventuali risultati poco lusinghieri, ai dirigenti Rai che 'l'opera non si addice alla tv', come sosteneva anche quel sapientone di Guglielmi, iscritto di diritto al club degli analfabeti musicali, bisogna che Rai e Rai Cultura cui sono demandate alcune decisioni in proposito, si diano da fare.
Rai Cultura deve acquisire COMPETENZA e AUTOREVOLEZZA- che evidentemente ancora non ha - per trattare con le istituzioni musicali in Italia, con le quali deve poter concordare i titoli da riprendere e trasmettere. Anche Persivale insiste sull'argomento. Non si possono trasmettere titoli sconosciuti che potrebbero far desistere per l'ennesima sciagurata volta la Rai dal trasmetterli. Insomma Rai Cultura deve andare a dire a brutto muso alla Scala. l'Attila di Verdi ( programmato per la prossima inaugurazione) non fa per noi. Volete fare Attila, nessuno ve lo proibisce, ma per carità programmatelo in altra data ( Noi questo l'abbiamo scritto su questo blog, già molti giorni fa!)
Per fare questo Rai Cultura e Rai 1 deve poter trattare con le istituzioni. Un esempio. per una decina di anni e passa, noi, per conto della Rai, abbiamo seguito la formulazione del programma del Concerto di capodanno dalla Fenice (vi abbiamo raccontato tante volte questa storia, finita senza una ragione plausibile, col risultato che i telespettatori, nel giro di tre anni sono crollati di quasi 800.000). Teodoli conosce bene questa storia perché l'ha vissuta direttamente ed anche in loco tutti questi anni!
Negli anni in oggetto abbiamo fatto una fatica del diavolo per convincere il direttore artistico e sovrintendente del teatro veneziano che certi titoli di quel programma non andavano bene, per un concerto trasmesso in tv, all'ora di pranzo, in un giorno di festa. Più o meno, ma sempre on grande fatica, ci siamo riusciti. Quando abbiamo abbandonato quell'impegno, la direzione artistica del teatro s'è data a programmare titoli assolutamente inadatti; e il risultato dell'Auditel , prevedibile, ci ha dato ragion, come attestano gli 800.000 telespettatori in meno in soli tre anni.
Vogliamo dire che Rai e Rai Cultura devono imporsi con le Istituzioni, anche con la Scala, trattando da pari, perché la trasmissione tv comporta alcune regole e questa vanno osservate anche da chi si affaccia in tv poche volte l'anno.
Adesso, invece, Rai e Rai Cultura vanno col cappello in mano alla Scala, o accettano senza fiatare il programma del Concerto di Capodanno della Fenice. Ma per cambiare musica deve dotarsi di consulenti o dirigenti all'altezza, per competenza e autorevolezza. Che ora non ha. Sia chiaro non ci stiamo candidando noi. Noi siamo in età di pensione, abbiamo già dato e fatto egregiamente il nostro lavoro; ma qualche consiglio, come questo, ancora possiamo offrirlo, augurandoci che il destinatario ne faccia tesoro.
Contento il direttore generale, scrive Persivale, contento Teodoli, direttore di Rai 1, contenta Calandrelli, direttora di Rai Cultura, dalle cui sinergie tecniche e artistiche è scaturita la diretta.
Dunque tutti contenti? Sì e no. La Rai non si può ricordarsi dell'opera solo una volta l'anno e per il resto considerarla una penitenza alla quale non vale la pena sottoporre i poveri telespettatori. Poveri un corno. Tutto il mondo ci invidia l'opera che noi italiani abbiamo inventato agli inizi del Seicento; tutto il mondo l'apprezza al punto da frequentare i nostri teatri come facciamo noi, ma più pigramente, tutte le televisioni la trasmettono REGOLARMENTE, l'Italia no. L'anacronismo sta proprio qui, e non viene cancellato dalla diretta televisiva in occasione dell'inaugurazione di stagione alla Scala.
Teodoli, più di Orfeo, sa bene che anni fa, ormai quindici, esisteva una bella trasmissione, All'Opera!, trasmessa d'estate, per sei anni consecutivi da Rai 1 in seconda serata, in cicli di dieci titoli per volta, che teneva viva la tradizione del melodramma in Italia. Con la partecipazione di Antonio Lubrano, faceva buoni ascolti, ma mentre interessava al pubblico televisivo alla dirigenza Rai non interessava neanche un pò, così che alle prime obiezioni ha preferito cancellarla, fra mille proteste e con la promessa che sarebbe tornata. Promessa ovviamente non mantenuta.
E' chiaro che una rondine - la prima scaligera - non fa primavera neanche nel settore del melodramma. E allora che fare?
La Rai si può impegnare ad essere più sollecita e presente nel riprendere e mandare in onda altri spettacoli d'opera? Non pare; ma se, invece, ci sbagliamo, ci faccia sapere i suoi programmi 'operistici' futuri, per lo meno quelli della stagione corrente ed estiva, quando l'Italia pullula di festival anche operistici.
Ma per non far dire, a seguito di eventuali risultati poco lusinghieri, ai dirigenti Rai che 'l'opera non si addice alla tv', come sosteneva anche quel sapientone di Guglielmi, iscritto di diritto al club degli analfabeti musicali, bisogna che Rai e Rai Cultura cui sono demandate alcune decisioni in proposito, si diano da fare.
Rai Cultura deve acquisire COMPETENZA e AUTOREVOLEZZA- che evidentemente ancora non ha - per trattare con le istituzioni musicali in Italia, con le quali deve poter concordare i titoli da riprendere e trasmettere. Anche Persivale insiste sull'argomento. Non si possono trasmettere titoli sconosciuti che potrebbero far desistere per l'ennesima sciagurata volta la Rai dal trasmetterli. Insomma Rai Cultura deve andare a dire a brutto muso alla Scala. l'Attila di Verdi ( programmato per la prossima inaugurazione) non fa per noi. Volete fare Attila, nessuno ve lo proibisce, ma per carità programmatelo in altra data ( Noi questo l'abbiamo scritto su questo blog, già molti giorni fa!)
Per fare questo Rai Cultura e Rai 1 deve poter trattare con le istituzioni. Un esempio. per una decina di anni e passa, noi, per conto della Rai, abbiamo seguito la formulazione del programma del Concerto di capodanno dalla Fenice (vi abbiamo raccontato tante volte questa storia, finita senza una ragione plausibile, col risultato che i telespettatori, nel giro di tre anni sono crollati di quasi 800.000). Teodoli conosce bene questa storia perché l'ha vissuta direttamente ed anche in loco tutti questi anni!
Negli anni in oggetto abbiamo fatto una fatica del diavolo per convincere il direttore artistico e sovrintendente del teatro veneziano che certi titoli di quel programma non andavano bene, per un concerto trasmesso in tv, all'ora di pranzo, in un giorno di festa. Più o meno, ma sempre on grande fatica, ci siamo riusciti. Quando abbiamo abbandonato quell'impegno, la direzione artistica del teatro s'è data a programmare titoli assolutamente inadatti; e il risultato dell'Auditel , prevedibile, ci ha dato ragion, come attestano gli 800.000 telespettatori in meno in soli tre anni.
Vogliamo dire che Rai e Rai Cultura devono imporsi con le Istituzioni, anche con la Scala, trattando da pari, perché la trasmissione tv comporta alcune regole e questa vanno osservate anche da chi si affaccia in tv poche volte l'anno.
Adesso, invece, Rai e Rai Cultura vanno col cappello in mano alla Scala, o accettano senza fiatare il programma del Concerto di Capodanno della Fenice. Ma per cambiare musica deve dotarsi di consulenti o dirigenti all'altezza, per competenza e autorevolezza. Che ora non ha. Sia chiaro non ci stiamo candidando noi. Noi siamo in età di pensione, abbiamo già dato e fatto egregiamente il nostro lavoro; ma qualche consiglio, come questo, ancora possiamo offrirlo, augurandoci che il destinatario ne faccia tesoro.
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Galeotta fu Manon, e Puccini maestro di seduzione. Sesso dietro il palcoscenico
Chiede il giornalista del Corriere, Valerio Cappelli, a Florez: Lei ha citato Salma Hayek, un’altra attrice che ha denunciato Weinstein: ci sono gli abusi sessuali nella lirica?
E Florez risponde:
«Sono tutti consenzienti. Viaggiamo tanto, siamo soli, e a volte il soprano va col tenore, il contralto col baritono. Si saltano anche i corrispettivi registri vocali, intendiamoci... Può succedere più spesso che un direttore d’orchestra abbia un flirt con una giovane cantante o strumentista a inizio carriera. Il caso sulla presunta molestia di James Levine? Mi ha sorpreso. Comunque se ci sono le prove sono sacrosante le denunce di abusi».
E Florez risponde:
«Sono tutti consenzienti. Viaggiamo tanto, siamo soli, e a volte il soprano va col tenore, il contralto col baritono. Si saltano anche i corrispettivi registri vocali, intendiamoci... Può succedere più spesso che un direttore d’orchestra abbia un flirt con una giovane cantante o strumentista a inizio carriera. Il caso sulla presunta molestia di James Levine? Mi ha sorpreso. Comunque se ci sono le prove sono sacrosante le denunce di abusi».
Il mondo della lirica non è esente da episodi di molestie e simili, ma c'è una differenza di base ,secondo Florez: le molestie e i cosiddetti abusi sessuali, nella lirica, sono in genere CONSENZIENTI, e dunque molestie non sono; e si verificano soprattutto a causa delle numerose 'repliche' e prove del melodramma che costringono i cantanti a passare molti giorni in uno stesso teatro, magari anche nello stesso albergo ed a familiarizzare.
La stessa cosa non accade agli strumentisti che solitamente, arrivano alla vigilia del concerto, fanno le repliche previste e poi scappano per l'impegno successivo in altra città, magari in altra nazione, e, in taluni casi, anche in un altro continente. Dunque non avrebbero tempo neanche per molestare od essere molestati.
Nel teatro d'opera le cose vanno, perciò, molto diversamente. Accade perfino che due cantanti che vengono magari da storie familiari sfasciate, si ritrovino, magari si molestino vicendevolmente, uno seduca l'altro, ma poi si innamorino e si sposino pure. Non sono sempre così idilliache le storie, ma qualche volta sì, come nel caso della Netrebko, che ha trovato il secondo marito, cantando con lui a Roma in Manon di Puccini, diretta da Muti.
Le cronache narrano di soprani o contralti che seducono - molestandoli, ma poi subito consenzienti - tenori baritoni o bassi, con i quali talvolta, in scena, recitano parti coinvolgenti anche fisicamente. Pensiamo a baci, carezze, abbracci ed anche sguardi 'assassini'. E anche perchè - e sarebbero le donne a far venire cattivi pensieri agli uomini - si dice che alle donne l'attività sessuale faccia bene, mentre agli uomini non altrettanto, in relazione alle successive prestazioni vocali. E perciò il soprano prova a sedurre il tenore perchè vuole primeggiare in palcoscenico sul collega, da lei messo ko a letto, dove tutto sommato sarebbe meglio parlare di 'tradimenti' o 'scappatelle', più che di molestie in senso stretto.
Ma le storie, dietro le quinte dei teatri d'opera, non si fermano ovviamente qui. Casi anomali ve ne sono e come, ed anche Florez sicuramente ne ha sentito parlare, anche se non ha voluto accennarvi.
Chi non sa di un celebre direttore d'orchestra, carismatico, che a margine del suo contratto pretendeva , in camerino, la presenza di 'signorine'? Certo non le molestava, perchè, in quelle circostanze, le signorine ingaggiate facevano il mestiere più antico del mondo, non sappiamo se per immolarsi al genio musicale o se, più prosaicamente, prezzolate a dovere.
E di un altro celebre direttore che quando si fermava in una città per una serie di concerti ed altro - è accaduto a Roma tanti anni fa, e noi stessi ne fummo testimoni - si circondava, addirittura lo pretendeva, di giovani, ma adulti, maschietti, apprendisti o assistenti cosiddetti, certamente non per recitare il rosario in gruppo, nonostante l'episodio al quale ci riferiamo sia avvenuto in Vaticano in occasione di un concerto memorabile.
E, al contrario, ci fu anche il caso in cui un vecchio notissimo direttore - tutti e tre quelli dei quali riferiamo sono morti! - al quale una avvenente anzi procace giovane violoncellista durante le prove di un concerto - se ricordiamo bene in Canada o negli USA - tentava in tutte le maniere di esporre ed offrire le sue grazie al direttore. Il quale, non gradendo, o forse non gradendo più quel genere di offerte, rispose duramente (ed anche pesantemente) alla molestia: fossi in Lei non girerei per il mondo con il violoncello fra le gambe, perchè lei ha indosso uno strumento (la chitarrina, cosiddetta ndr), più efficace e più redditizio, da suonare.
Infine, avendolo sentito con le nostre orecchie, possiamo riferirvi quello che ci disse una volta il sovrintendente di un teatro, parlando del suo direttore artistico, fisicamente repellente quasi quanto Weinstein, a proposito delle cantanti che lui scritturava: se le fa tutte! Che è canzone divera da Così fan tutte!
Via Paolo Monelli finalmente riasfaltata. Mancano sono gli alberi in sostituzione dei pini abbattuti due mesi fa. A quando?
Ora finalmente i cittadini che abitano o passano da via Paolo Monelli, a Roma, zona Bufalotta, non dovranno più temere per la loro incolumità, in passato messa in pericolo da un manto stradale dissestatissimo, né preoccuparsi più delle loro vetture o moto.
Certo l'abbattimento dei pini, undici per la precisione, in piena salute, avvenuta ai primi di ottobre esige ancora una spiegazione, ma inutile pretenderla dal Servizio 'giardini' della Capitale che troppe risposte dovrebbe dare ai cittadini e su svariati argomenti, fra i quali, certo, anche la cura del verde.
Gli operai abbattitori ed il loro capocantiere ci assicurarono, come del resto conferma anche una delibera della relativa circoscrizione - che altri alberi, che non hanno radici 'assassine' - sarebbero stati piantati. Ad oggi, ma con quasi tre mesi di ritardo s'è proceduto al rifacimento del manto stradale. Ora quanti altri mesi si dovranno attendere per rivedere la stradina nuovamente alberata?
Anche le strade intorno a Via Paolo Monelli, molto trafficate (a differenza della stradina graziata da Roma Capitale) per la intensa urbanizzazione della zona da parte di Mezzaroma & Figli (che però, a dispetto del cognome, Roma la cementificherebbero TUTTA, altro che MEZZA, se non fossero falliti) avrebbero bisogno di urgenti lavori di manutenzione dell'asfalto. Il Servizio 'viabilità' intende provvedervi in tempi decenti?
Certo l'abbattimento dei pini, undici per la precisione, in piena salute, avvenuta ai primi di ottobre esige ancora una spiegazione, ma inutile pretenderla dal Servizio 'giardini' della Capitale che troppe risposte dovrebbe dare ai cittadini e su svariati argomenti, fra i quali, certo, anche la cura del verde.
Gli operai abbattitori ed il loro capocantiere ci assicurarono, come del resto conferma anche una delibera della relativa circoscrizione - che altri alberi, che non hanno radici 'assassine' - sarebbero stati piantati. Ad oggi, ma con quasi tre mesi di ritardo s'è proceduto al rifacimento del manto stradale. Ora quanti altri mesi si dovranno attendere per rivedere la stradina nuovamente alberata?
Anche le strade intorno a Via Paolo Monelli, molto trafficate (a differenza della stradina graziata da Roma Capitale) per la intensa urbanizzazione della zona da parte di Mezzaroma & Figli (che però, a dispetto del cognome, Roma la cementificherebbero TUTTA, altro che MEZZA, se non fossero falliti) avrebbero bisogno di urgenti lavori di manutenzione dell'asfalto. Il Servizio 'viabilità' intende provvedervi in tempi decenti?
mercoledì 20 dicembre 2017
Gli strafalcioni 'musicali'' del Corriere della Sera, a firma Natalia Distefano
Una decina di righe, o poco più, ma firmate (Natalia Distefano), bastano a farci capire quanto il Corrierone tenga poco, anche niente alla musica che mette in mani che dire sciatte è poco.
Le perle: "Antonio Pappano alla direzione dell'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia sulle musiche di Georges Bizet è stato il concerto-evento degli ultimi mesi, al Parco della Musica (e non solo)"
Sintassi a parte, cosa vuol dire Pappano 'sulle musiche? Ne è sicura la Distefano, ha visto bene? Non poteva essere sotto le musiche, o magari a fianco delle musiche, ma anche 'dentro le musiche'? E poi quanti concerti ha ascoltato in giro per l'Italia la Distefano, per affermare con sicurezza che si è trattato del concerto-evento, più evento di qualunque altro? Semplicemente e correttamente:Pappano dirige le musiche. Chiaro, Distefano?
*************
" Tanto che hanno voluto accomodarsi in platea anche il Presidente della Repubblica ecc... Parterre pregiato ( da Nicola Bulgari a Fabrizio Saccomanni)".
Ahi, ahi Distefano. Siamo sicuri che Mattarella stava 'comodo' in platea? E poi Nicola Bulgari ha reso il parterre 'pregiato'? Magari era meglio 'prezioso'. Le riveliamo un segreto, anzi due. Nicola Bulgari fa parte del Consiglio di amministrazione dell'Accademia, avendo egli donato all'Accademia, assieme a suo fratello Paolo,1.200.000 Euro, distribuiti in tre anni, e Saccomanni - mecenate dell'Accademia - ha avuto anche incarichi importanti in Accademia, forse al vertice degli Amici dell'Accademia? Perciò, almeno Nicola Bulgari e Fabrizio Saccomanni frequentano con una certa regolarità i concerti di Santa Cecilia, e perciò non sono ascoltatori 'pregiati'.
**************
"La bacchetta di Pappano si è alzata per la Sinfonia in do..."
E' noto che Pappano solitamente non usa la bacchetta, e se pure l'avesse usata, chi ha un minimo di dimestichezza con i concerti, sa che l'attacco il direttore lo dà abbassando la bacchetta che, prima di iniziare, tiene in alto, per richiamare l'attenzione degli orchestrali.
*************
"Infine pioggia di applausi per le arie più amate della "Carmen" eseguite da Orchestra Coro e Voci Bianche".
Da quando in qua le arie vengono eseguite dal Coro?
Il resto del pezzo era senza errori; la Distefano ha riprodotto esattamente i nomi di autori, interpreti ed ospiti. Naturale che la riproduzione di un tale capolavoro è per il Corriere vietata.
Le perle: "Antonio Pappano alla direzione dell'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia sulle musiche di Georges Bizet è stato il concerto-evento degli ultimi mesi, al Parco della Musica (e non solo)"
Sintassi a parte, cosa vuol dire Pappano 'sulle musiche? Ne è sicura la Distefano, ha visto bene? Non poteva essere sotto le musiche, o magari a fianco delle musiche, ma anche 'dentro le musiche'? E poi quanti concerti ha ascoltato in giro per l'Italia la Distefano, per affermare con sicurezza che si è trattato del concerto-evento, più evento di qualunque altro? Semplicemente e correttamente:Pappano dirige le musiche. Chiaro, Distefano?
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" Tanto che hanno voluto accomodarsi in platea anche il Presidente della Repubblica ecc... Parterre pregiato ( da Nicola Bulgari a Fabrizio Saccomanni)".
Ahi, ahi Distefano. Siamo sicuri che Mattarella stava 'comodo' in platea? E poi Nicola Bulgari ha reso il parterre 'pregiato'? Magari era meglio 'prezioso'. Le riveliamo un segreto, anzi due. Nicola Bulgari fa parte del Consiglio di amministrazione dell'Accademia, avendo egli donato all'Accademia, assieme a suo fratello Paolo,1.200.000 Euro, distribuiti in tre anni, e Saccomanni - mecenate dell'Accademia - ha avuto anche incarichi importanti in Accademia, forse al vertice degli Amici dell'Accademia? Perciò, almeno Nicola Bulgari e Fabrizio Saccomanni frequentano con una certa regolarità i concerti di Santa Cecilia, e perciò non sono ascoltatori 'pregiati'.
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"La bacchetta di Pappano si è alzata per la Sinfonia in do..."
E' noto che Pappano solitamente non usa la bacchetta, e se pure l'avesse usata, chi ha un minimo di dimestichezza con i concerti, sa che l'attacco il direttore lo dà abbassando la bacchetta che, prima di iniziare, tiene in alto, per richiamare l'attenzione degli orchestrali.
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"Infine pioggia di applausi per le arie più amate della "Carmen" eseguite da Orchestra Coro e Voci Bianche".
Da quando in qua le arie vengono eseguite dal Coro?
Il resto del pezzo era senza errori; la Distefano ha riprodotto esattamente i nomi di autori, interpreti ed ospiti. Naturale che la riproduzione di un tale capolavoro è per il Corriere vietata.
Maria Elena Boschi, uscita 'pura siccome un angelo', per il bene comune, dovrebbe sacrficarsi, dimettendosi
Insomma c'è poco da aggiungere. Tutti hanno confermato che la ministra Boschi, all'epoca del disastro delle banche, Etruria compresa, si diede da fare per salvarle, principalmente per non far fallire la banca del suo territorio elettorale, cioè Banca Etruria. Ragione principale del suo interessamento non fu la presenza del babbo nel consiglio di amministrazione, né di suo fratello fra i funzionari della banca e neanche l'investimento dell' azionista Maria Elena, davvero esiguo. Lei lo fece per ragioni istituzionali. E non esercitò pressione alcuna con chicchessia. Capito?
Tutti coloro i quali attendevano la ministra, per spararle addosso, alle audizioni di Visco - contro il quale Renzi ed il partito dietro di lui, s'erano mossi compatti, mettendone in forse la rielezione in Bankitalia - e di Ghizzoni, ad di Unicredit, hanno dovuto riporre le armi, perché i due hanno confermato gli incontri, la richiesta di informazioni. Punto. Addirittura Visco ha detto che quando Renzi, allora capo del governo, gli chiese della banca, lui gli rispose: di questi argomenti non parlo con Lei, solo con il suo ministro Padoan. Visco sì che è un governatore con i contro...
Naturalmente tutti hanno creduto a Visco, facendo i sordi per non sentire. E la sensazione si è ripetuta anche all'audizione di Ghizzoni, oggi. Il quale Ghizzoni, in pèasato sollecitato a confermare p mneo le affermazioni di De Bortoli, rispondeva al cronist:. non parlo perchè non mi si può addossare la respoanabilità delle sorti del Foverno. Cosa voleva dire, se ricordiamo bene le sue parole, e furono proprio queste? Per quel poco che ha detto il Governo Gentiloni sarebbe potuto cadere?
I due testimoni più attesi - Visco e Ghizzoni - si è avuta la netta impressione che fossero ADDOMESTICATI , per ragioni istituzionali. Che potrebbero considerarsi validissime.
Comunque siccome occorre stare a quanto hanno dichiarato, non essendo stati accusati di falso, si deve concludere che la Boschi ne esce 'pura siccome un angelo', come canta papà Germont in Traviata, di sua figlia. Dunque Lei non è più, come ha sottolineato l'amico, Matteo, il capro espiatorio della emergenza banche, e perciò ora, se vuole, può dimettersi.
Così come si è trasferita dal gabinetto Renzi a quello Gentiloni - perchè Gentiloni, sue parole, ha tanto insistito - ora che nessuno insiste perché resti in carica e si candidi, prenda lei la decisione, autononomamente: si dimetta e dichiari di non volersi ricandidare. Dopo l'esperienza di governo, e tutti gli incontri e conoscenze istituzionali e non, per Lei, che è brava e determinata, ma anche bella, trovare un lavoro appagante ed adeguato sarà un gioco da ragazze.
Tutti coloro i quali attendevano la ministra, per spararle addosso, alle audizioni di Visco - contro il quale Renzi ed il partito dietro di lui, s'erano mossi compatti, mettendone in forse la rielezione in Bankitalia - e di Ghizzoni, ad di Unicredit, hanno dovuto riporre le armi, perché i due hanno confermato gli incontri, la richiesta di informazioni. Punto. Addirittura Visco ha detto che quando Renzi, allora capo del governo, gli chiese della banca, lui gli rispose: di questi argomenti non parlo con Lei, solo con il suo ministro Padoan. Visco sì che è un governatore con i contro...
Naturalmente tutti hanno creduto a Visco, facendo i sordi per non sentire. E la sensazione si è ripetuta anche all'audizione di Ghizzoni, oggi. Il quale Ghizzoni, in pèasato sollecitato a confermare p mneo le affermazioni di De Bortoli, rispondeva al cronist:. non parlo perchè non mi si può addossare la respoanabilità delle sorti del Foverno. Cosa voleva dire, se ricordiamo bene le sue parole, e furono proprio queste? Per quel poco che ha detto il Governo Gentiloni sarebbe potuto cadere?
I due testimoni più attesi - Visco e Ghizzoni - si è avuta la netta impressione che fossero ADDOMESTICATI , per ragioni istituzionali. Che potrebbero considerarsi validissime.
Comunque siccome occorre stare a quanto hanno dichiarato, non essendo stati accusati di falso, si deve concludere che la Boschi ne esce 'pura siccome un angelo', come canta papà Germont in Traviata, di sua figlia. Dunque Lei non è più, come ha sottolineato l'amico, Matteo, il capro espiatorio della emergenza banche, e perciò ora, se vuole, può dimettersi.
Così come si è trasferita dal gabinetto Renzi a quello Gentiloni - perchè Gentiloni, sue parole, ha tanto insistito - ora che nessuno insiste perché resti in carica e si candidi, prenda lei la decisione, autononomamente: si dimetta e dichiari di non volersi ricandidare. Dopo l'esperienza di governo, e tutti gli incontri e conoscenze istituzionali e non, per Lei, che è brava e determinata, ma anche bella, trovare un lavoro appagante ed adeguato sarà un gioco da ragazze.
martedì 19 dicembre 2017
GEDI, Gruppo Editoriale, ha scoperto uno Yeti sulle nevi di Sankt Moritz, di nome Carlo De Benedetti
Il messaggio del moderno 'uomo delle nevi' chic, Carlo De Benedetti, è giunto forte e chiaro allo società editoriale le cui sorti sono ora nelle mani di Rodolfo, suo erede, che sembra fare orecchie da mercante?
Carlo De Benedetti, che si è vantato con Aldo Cazzullo del 'Corriere', cui ha rilasciato una controversa intervista, di essere l'unico imprenditore italiano a cedere ai suoi eredi un impero, senza nulla pretendere in cambio, ha bollato il fondatore di 'Repubblica' - a proposito di una dichiarazione televisiva : 'Berlusconi o Di Maio', similitudine moderna della pilatesca 'Barabba o Gesù', con la scelta di Barabba/Berlusconi, senza che Di Maio possa considerarsi un nuovo messia - come un irresponsabile, che ormai non sa quello che dice e che, per restare in pista, nonostante anche lui sappia di essere cotto e decotto, le spara grosse, e non si rende conto di aver recato danno al quotidiano da lui fondato e sul quale ancora tiene la sua omelia domenicale ecc...
Insomma Carlo De Benedetti, lo Yeti riscoperto sulle nevi di Santk Moritz, ha tirato a colpire Scalfari e il quotidiano che aveva fondato, ' La Repubblica', arrivando anche a dire che la scelta dell'attuale amministratore di affiancare al direttore Calabresi un condirettore, Cerno, è sbagliata e lui non la condivide.
Ci è sembrato di leggere nei proclami dello Yeti al foglio nemico, alcune critiche che, altrove, sia Pansa, ex cofondatore di 'Repubblica', va muovendo all'attuale gestione del quotidiano che, a suo parere, ha perso di autorevolezza, anche perchè sono più d'uno i galli che ivi cantano; come anche Valentini, dalle pagine del 'Fatto Quotidiano', ha spesso mosso a De Benedetti, raccontando retroscena che neanche Scalfari, mentre avrebbe potuto, non ha mai rivelato.
Ancora più curioso risulta, alla luce di tutto ciò, ciò che ha scritto Padellaro che del 'Fatto Quotidiano' è presidente, in difesa di De Benedetti/Yeti, per il quale rivendica il diritto a dire quello che pensa, anche in nome della ammirazione, ' profonda e divertita ' che egli, come anche uno storico direttore del gruppo, Claudio Rinaldi, nutrivano - e lui ancora nutre - per il il comune ex amministratore delegato e padrone.
Nella disputa è dovuto intervenire anche l'erede dello Yeti, sollecitato dal CdR del quotidiano romano, per dire che il messaggio dello Yeti non corrisponde al pensiero ed alla strategia editoriale degli attuali amministratore del gruppo, ai quali, non interessa cosa pensa lo Yeti, dove sembra di leggervi, per la legge del contrappasso, qualcosa di assai simile a ciò che Carlo De Benedetti ha detto di Scalfari.
Lotte al vertice, profonde diversità di vedute, gioco delle parti, spinte in avanti per non arretrare troppo'? Le ipotesi su questo gioco 'di ruolo' sono tante. E, forse, non una sola, ma tutte sono da tirare in ballo.
Carlo De Benedetti, che si è vantato con Aldo Cazzullo del 'Corriere', cui ha rilasciato una controversa intervista, di essere l'unico imprenditore italiano a cedere ai suoi eredi un impero, senza nulla pretendere in cambio, ha bollato il fondatore di 'Repubblica' - a proposito di una dichiarazione televisiva : 'Berlusconi o Di Maio', similitudine moderna della pilatesca 'Barabba o Gesù', con la scelta di Barabba/Berlusconi, senza che Di Maio possa considerarsi un nuovo messia - come un irresponsabile, che ormai non sa quello che dice e che, per restare in pista, nonostante anche lui sappia di essere cotto e decotto, le spara grosse, e non si rende conto di aver recato danno al quotidiano da lui fondato e sul quale ancora tiene la sua omelia domenicale ecc...
Insomma Carlo De Benedetti, lo Yeti riscoperto sulle nevi di Santk Moritz, ha tirato a colpire Scalfari e il quotidiano che aveva fondato, ' La Repubblica', arrivando anche a dire che la scelta dell'attuale amministratore di affiancare al direttore Calabresi un condirettore, Cerno, è sbagliata e lui non la condivide.
Ci è sembrato di leggere nei proclami dello Yeti al foglio nemico, alcune critiche che, altrove, sia Pansa, ex cofondatore di 'Repubblica', va muovendo all'attuale gestione del quotidiano che, a suo parere, ha perso di autorevolezza, anche perchè sono più d'uno i galli che ivi cantano; come anche Valentini, dalle pagine del 'Fatto Quotidiano', ha spesso mosso a De Benedetti, raccontando retroscena che neanche Scalfari, mentre avrebbe potuto, non ha mai rivelato.
Ancora più curioso risulta, alla luce di tutto ciò, ciò che ha scritto Padellaro che del 'Fatto Quotidiano' è presidente, in difesa di De Benedetti/Yeti, per il quale rivendica il diritto a dire quello che pensa, anche in nome della ammirazione, ' profonda e divertita ' che egli, come anche uno storico direttore del gruppo, Claudio Rinaldi, nutrivano - e lui ancora nutre - per il il comune ex amministratore delegato e padrone.
Nella disputa è dovuto intervenire anche l'erede dello Yeti, sollecitato dal CdR del quotidiano romano, per dire che il messaggio dello Yeti non corrisponde al pensiero ed alla strategia editoriale degli attuali amministratore del gruppo, ai quali, non interessa cosa pensa lo Yeti, dove sembra di leggervi, per la legge del contrappasso, qualcosa di assai simile a ciò che Carlo De Benedetti ha detto di Scalfari.
Lotte al vertice, profonde diversità di vedute, gioco delle parti, spinte in avanti per non arretrare troppo'? Le ipotesi su questo gioco 'di ruolo' sono tante. E, forse, non una sola, ma tutte sono da tirare in ballo.
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lunedì 18 dicembre 2017
Maria Elena, sii bbuona, dimettiti!
Il cerchio intorno a Maria Elena Boschi, detta 'la zarina', per incoronazione ufficiale dell'amico Matteo Renzi , va sempre più stringendosi e, prima o poi, si trasformerà, inevitabilmente, in una sorta di cappio che ne strangolerà la carriera politica, già ormai compromessa, anche prescindendo dalle dichiarazioni che si attendono oggi e domani dai testimoni convocati dalla Commissione parlamentare di indagine sulle banche, e cioè il Governatore di Bankitalia, Visco, e Ghizzoni, ex numero uno di Unicredit.
Ieri l'ennessimo colpo alla sua credibilità inferto dal sempre discreto e misurato ministro dell'Economia Padoan. Nessun ministro - ha detto, e poi anche precisato in un comunicato ufficiale del suol Ministero - è stato mai da noi autorizzato ad occuparsi delle banche, né autorizzazione è stata mai chiesta. Delle banche si occupa il ministro competente, cioè Padoan, d'accordo con il capo del Governo, Renzi o Gentiloni ed il Governatore di Bankitalia, Visco. Più chiaro di così!
Dunque se Maria Elena sia intervenuta, come sembra sempre più evidente, lo ha fatto a titolo personale, senza averne diritto, incarico e delega di chicchessia.
Allora Renzi la smetta di difenderla a spad, tratta tirando in ballo che l'offensiva ormai generale contro la zarina sia conseguenza della ricerca di un 'capro espiatorio'. Lei si è messa in questo casino e Renzi sicuramente ne era a conoscenza, Padoan no (o forse anche lui, senza poter agire, conoscendo i rapporti tra la ministra ed il capo del governo); e forse negli attacchi a Visco, accusato di scarsa vigilanza, si potrebbe celare qualche opposizione alla zarina e a Renzi, lo zar, alle loro richieste di aiuto per la banca nella quale vice presidente era il 'babbo' della Maria Elena.
Senza dimenticare che se scarsa vigilanza c'è stata, ammesso che ci sia stata da parte di Bankitalia, chi ha potuto agire tranquillamente sono stati i vertici delle banche che si sono comportati nei confronti dei comuni cittadini, come degli imbroglioni e ladri professionisti. Non vorranno Matteo e Maria Elena, farci credere che la storia delle 'guardie e dei ladri', va riscritta a ruoli inversi? No, non siamo idioti fino a questo punto, da bere la loro versione.
Il Governo e la magistratura devono scovare i ladri, far tirar loro fuori il malloppo che hanno nascosto o in paradisi fiscali o attribuendone la titolarità a parenti, e fargli pagare in solido e da dietro le sbarre.
E Maria Elena? E Matteo? Maria Elena dovrebbe dimettersi da subito. E Matteo non dovrebbe ricandidarla. A meno che non abbia deciso fin d'ora che lui ed il suo partito debbano uscire con le ossa rotte dalla prossima competizione elettorale nazionale. Perchè così finirà la storia se non cambiano le cose. Le sorti della zarina non valgono le sorti future di un partito come il PD. Consigli alla sua amica, se non lo fa lei 'sua sponte', di dimettersi. Subito.
Ieri l'ennessimo colpo alla sua credibilità inferto dal sempre discreto e misurato ministro dell'Economia Padoan. Nessun ministro - ha detto, e poi anche precisato in un comunicato ufficiale del suol Ministero - è stato mai da noi autorizzato ad occuparsi delle banche, né autorizzazione è stata mai chiesta. Delle banche si occupa il ministro competente, cioè Padoan, d'accordo con il capo del Governo, Renzi o Gentiloni ed il Governatore di Bankitalia, Visco. Più chiaro di così!
Dunque se Maria Elena sia intervenuta, come sembra sempre più evidente, lo ha fatto a titolo personale, senza averne diritto, incarico e delega di chicchessia.
Allora Renzi la smetta di difenderla a spad, tratta tirando in ballo che l'offensiva ormai generale contro la zarina sia conseguenza della ricerca di un 'capro espiatorio'. Lei si è messa in questo casino e Renzi sicuramente ne era a conoscenza, Padoan no (o forse anche lui, senza poter agire, conoscendo i rapporti tra la ministra ed il capo del governo); e forse negli attacchi a Visco, accusato di scarsa vigilanza, si potrebbe celare qualche opposizione alla zarina e a Renzi, lo zar, alle loro richieste di aiuto per la banca nella quale vice presidente era il 'babbo' della Maria Elena.
Senza dimenticare che se scarsa vigilanza c'è stata, ammesso che ci sia stata da parte di Bankitalia, chi ha potuto agire tranquillamente sono stati i vertici delle banche che si sono comportati nei confronti dei comuni cittadini, come degli imbroglioni e ladri professionisti. Non vorranno Matteo e Maria Elena, farci credere che la storia delle 'guardie e dei ladri', va riscritta a ruoli inversi? No, non siamo idioti fino a questo punto, da bere la loro versione.
Il Governo e la magistratura devono scovare i ladri, far tirar loro fuori il malloppo che hanno nascosto o in paradisi fiscali o attribuendone la titolarità a parenti, e fargli pagare in solido e da dietro le sbarre.
E Maria Elena? E Matteo? Maria Elena dovrebbe dimettersi da subito. E Matteo non dovrebbe ricandidarla. A meno che non abbia deciso fin d'ora che lui ed il suo partito debbano uscire con le ossa rotte dalla prossima competizione elettorale nazionale. Perchè così finirà la storia se non cambiano le cose. Le sorti della zarina non valgono le sorti future di un partito come il PD. Consigli alla sua amica, se non lo fa lei 'sua sponte', di dimettersi. Subito.
Oh, IMAIE vestita di nuovo
Cosa sia l'IMAIE, artisti interpreti ed esecutori, che ne sono soci, lo sanno benissimo, come sanno anche che l'IMAIE (vecchia) è stata messa in liquidazione il 14 luglio 2009, quando emerse chiaramente che 'artisti o sedicenti tali' - come li ha bollati il presidente della rinata società, l'avv. Andrea Miccichè - misero in atto un 'tentativo di truffa' ai danni dell'Istituto ( IMAIE sta per Istituto Mutualistico per Artisti, Interpreti, Esecutori).
In questi giorni, conclusa la gestione della vecchia IMAIE , e cioè quella che arriva alla data in cui la vecchia IMAIE fu messa in liquidazione, verranno distribuiti quasi 35.000.000 di Euro agli 80.000 circa aventi diritto.
L'IMAIE è, per gli interpreti una sorta di banca/salvadanaio - si potrebbe dire la consorella della SIAE che , invece, tutela i diritti degli autori ed editori - che si alimenta dalla riscossione dei diritti di interpretazione od esecuzione, a partire dall'audiovisivo. La quale banca, nei primi anni di vita, fu gestita da ladroni travestiti da artisti, smascherati dagli uffici dell'Istituto.
Ora la nuova IMAIE continuerà a difendere i diritti degli artisti esecutori ed interpreti, ai quali poi distribuirà, in percentuale, quanto ricavato, assistendoli anche 'mutualisticamente'. Scorrendo gli organi attuali di governance dell'IMAIE alta agli occhi l'assenza totale negli organi di gestione di qualunque artista del settore musicale classico, sia esso direttore,strumentista o cantante.
E' bene rammentare che il diritto degli interpreti, in ogni campo, è stato riconosciuto, dopo infinite lotte, ed ora finalmente accettato pacificamente.
D ella 'nuova' IMAIE abbiamo appreso accidentalmente leggendo il bando del 72° Concorso 'Comunità Europea' per giovani cantanti lirici, organizzato dal Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, che si svolgerà l'anno venturo, e la cui giuria sarà presieduta da Edda Moser, nel quale si annuncia che la società che difende gli interpreti, l'IMAIE, ha creato un apposito premio che va al vincitore del Concorso, e che ammonta a 15.000 Euro. E' un bel gesto che unisce idealmente gli interpreti in attività a quelli futuri, fra i quali ci si augura possano esserci ancora i prossimi vincitori del concorso spoletino che ha una lunga, importante e gloriosa tradizione di artisti scoperti e 'laureati'.
In questi giorni, conclusa la gestione della vecchia IMAIE , e cioè quella che arriva alla data in cui la vecchia IMAIE fu messa in liquidazione, verranno distribuiti quasi 35.000.000 di Euro agli 80.000 circa aventi diritto.
L'IMAIE è, per gli interpreti una sorta di banca/salvadanaio - si potrebbe dire la consorella della SIAE che , invece, tutela i diritti degli autori ed editori - che si alimenta dalla riscossione dei diritti di interpretazione od esecuzione, a partire dall'audiovisivo. La quale banca, nei primi anni di vita, fu gestita da ladroni travestiti da artisti, smascherati dagli uffici dell'Istituto.
Ora la nuova IMAIE continuerà a difendere i diritti degli artisti esecutori ed interpreti, ai quali poi distribuirà, in percentuale, quanto ricavato, assistendoli anche 'mutualisticamente'. Scorrendo gli organi attuali di governance dell'IMAIE alta agli occhi l'assenza totale negli organi di gestione di qualunque artista del settore musicale classico, sia esso direttore,strumentista o cantante.
E' bene rammentare che il diritto degli interpreti, in ogni campo, è stato riconosciuto, dopo infinite lotte, ed ora finalmente accettato pacificamente.
D ella 'nuova' IMAIE abbiamo appreso accidentalmente leggendo il bando del 72° Concorso 'Comunità Europea' per giovani cantanti lirici, organizzato dal Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, che si svolgerà l'anno venturo, e la cui giuria sarà presieduta da Edda Moser, nel quale si annuncia che la società che difende gli interpreti, l'IMAIE, ha creato un apposito premio che va al vincitore del Concorso, e che ammonta a 15.000 Euro. E' un bel gesto che unisce idealmente gli interpreti in attività a quelli futuri, fra i quali ci si augura possano esserci ancora i prossimi vincitori del concorso spoletino che ha una lunga, importante e gloriosa tradizione di artisti scoperti e 'laureati'.
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