Dopo trent'anni è tornato alla Scala, nella serata inaugurale di stagione per giunta, il capolavoro di Umberto Giordano, musicista foggiano, emigrato a Milano, ed approdato alla verdissima età di 29 anni, quanti ne aveva quando il suo Chenier, alla Scala di Milano, alla fine dell'Ottocento. L'ultima volta al Piermarini 32 anni fa, e sul podio anche quella volta c'era Riccardo Chailly.
Si fa fatica a comprendere perchè mai un titolo come quello di Giordano, popolare ed abbastanza conosciuto, abbia fatto questa lunghissima anticamera, interrotta solo dalla determinazione di Chailly che da quando è rientrato a Milano, ha tentato di rimettere un pò d'ordine almeno per il repertorio - modificato a proprio discapito dalla gestione Lissner-Barenboim, durata dieci anni, nel corso dei quali Puccini era stato bandito e Verdi era venuto secondo dopo Wagner, anche nel bicentenario dalla nascita dei due musicisti, nel 2013.
Chenier ha avuto il successo che si meritava, con una compagnia di canto senza defaillances, un coro attrezzatissimo ed una orchestra abilissima e malleabile nella mani di Chailly, aiutato da una regia per una volta 'modernissima' - come ha scritto alla vigilia, Natalia Aspesi, ancora vedova inconsolabile di Lissner - perché 'senza stravolgimenti' curata da Martone, che in fatti di rivoluzioni e ghigliottine è di casa. L'opera si fa incandescente nella seconda parte, che comprendeva i due atti conclusivi, dei quattro totali, da quando il grande affresco sulla rivoluzione francese ed il brutto clima del momento, si restringe in un quadro con pochi protagonisti, lasciando la Parigi del terrore sullo sfondo, o quanto meno più sfuocata. I tre protagonisti sono all'altezza dei loro compiti, non facili, ed alla fine il successo meritato l'ottengono, suggellato dai lunghi applausi meritati.
La diretta televisiva su Rai 1 è stata condotta da una coppia - la solita 'bella e bestia', scherziamo!- formata da Di Bella - non fatevi fuorviare dal cognome - e Carlucci, la quale proprio per dimostrare che Lei all'opera non ci va, ma che ha semplicemente risposto all'appello ( ha sparato un 'Otello di Zeffirelli', con il quale si inaugurò negli anni Settanta la tradizione delle prime scaligere trasmesse in diretta, come poteva sapere la poverina che di Otello ve ne è più d'uno, di Verdi e Rossini per cominciare, e che Zeffirelli e numerosissimi altri registi sarebbe stati gli autori, a suo dire , della celebre storia del 'moro'. Non l'hanno neanche informata che la sera della prima La Scala mette in cassa un ricavo di 2.000.000 di Euro, e che perciò parlare di 2000 invitati, come ha fatto Lei, è un falso storico), e con la sua chiacchiera a vuoto, ha fatto perfino miglior figura di Di Bella, apparso intimidito dalla regina del ballo, con e sotto le stelle. Ieri sera, a dare una mano a Pereira, che alla fine della prima parte non sembrava ancora convinto del successo finale, è arrivato Fortunato Ortombina, già alla Scala ed ora sovrintendente della Fenice, che ha promosso a pieni voti il 'suo' teatro di un tempo.
A breve l'aspetta il 'Concerto di Capodanno' su Rai 1 che, da quando se ne occupa lui e lui solo, senza aiuti esterni, 'benedetti', per la formulazione del programma, ha perso in tre anni oltre 800.000 telespettatori; speriamo che abbia capito l'antifona e faccia le cose come fino a quattro anni fa, quando il Concerto viaggiava su 4.400.000 telespettatori, mentre ora è caduto fino a 3.600.000.
Questa mattina conosceremo anche il verdetto dell'Auditel, interessante, visto lo sforzo che la Rai, 'perfetta analfabeta musicale', ha fatto per questa 'prima', addirittura spostando il telegiornale delle 20.30. Ma non c'è da attendersi un risultato esaltante, perché non si può pretendere da una Rai, che semel in anno fa questo sforzo, che ottenga risultati che ben altro impegno ma anche convinzione e costanza richiederebbero.
Comunque qualcosa da dire anche sul repertorio ci sarebbe, dopo i 32 anni di attesa dello Chenier e i 150 de La gazza ladra di Rossini.
In Italia ci sono, attive tutto l'anno, finanziate con denaro pubblico in massima parte, 14 fondazioni liriche, ed anche alri teatri oltre a festival che si cimentano nel melodramma. Fermandoci alle 14 fondazioni liriche, più o meno programmano una decina di titoli a stagione, e perciò in una decina di stagioni propongono un centinaio di titoli. Dunque nel giro di una decina di anni ciascuna potrebbe , anzi DOVREBBE, presentare TUTTI i titoli del grande repertorio, senza precludersi epoche , generi ed autori - come non fanno mentre dovrebbero, anche lasciando spazio una volta per stagione a novità del presente od a riprese del passato.
Così facendo terrebbero sempre viva la memoria del grande repertorio, evitando che, ad esempio, quel capolavoro del Barbiere rossiniano manchi dai palcoscenici italiani per troppo tempo. E tale importante compito - la conservazione del repertorio e della sua tradizione interpretativa - deve esser , soprattutto per La Scala, il compito primario. Che sia Lissner che Barenboim, il quale a Berlino dirigeva opere che a Milano non ha mai fatto (d'accordo con Lissner) hanno negletto. Colpevolmente.
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