Rileggendo quanto andiamo scrivendo, da alcune settimane, del Concerto di Capodanno dalla Fenice, per difendere il quale siamo stati capaci anche di 'riprendere' bonariamente il Maestro Muti, al quale ci lega stima ed anche un pizzico di amicizia, siamo letteralmente sorpresi di noi stessi. Perché scopriamo di comportarci come se avessimo ancora un qualche interesse verso quell'iniziativa che, fin dalla prima edizione, abbiamo seguito e curato con passione, e con la quale da tre anni a questa parte non abbiamo più nulla da spartire. E ci domandiamo perché tanto interesse verso una creatura, anche nostra, alla quale dovremmo, se fossimo vendicativi, augurare l'insuccesso più cocente. E invece no.
Forse una qualche ragione l'abbiamo trovata, nonostante che la nostra collaborazione al Concerto veneziano si sia interrotta e non per nostra colpa (lo abbiamo detto e ridetto tante volte e i nostri lettori già conoscono la storia, che vogliamo tuttavia rinfrescare).
Tre anni fa, era il Capodanno del 2015, l'allora sovrintendente della Fenice, Cristiano Chiarot, voleva ad ogni costo che il programma (sulla cui formulazione ci aveva sempre lasciato mano libera, appoggiandoci anche quando il direttore artistico Ortombina non condivideva le nostre proposte ) in diretta televisiva del Concerto si aprisse con un nuovo pezzo che lui per il teatro diceva di aver commissionato a Giorgio Battistelli, dal titolo EXPO. Noi ci opponemmo con tutte le nostre forze a tale proposito, senza però convincere Chiarot della bontà della nostra posizione, ben sapendo egli che anche quattro minuti di musica 'inusuale' in apertura di un concerto popolare televisivo in giorno di festa, durano quanto una eternità, distogliendo i telespettatori dal proseguire nell'ascolto. Il pezzo non si fece, ma Chiarot se la legò al dito, e ritenendo la nostra posizione un atto di lesa maestà del sovrintendente che la stampa unanime celebrava come il più bravo d'Italia, fece sì che la nostra collaborazione a quel concerto, voluta dalla Rai, e che durava da oltre dieci anni, si concludesse, traumaticamente, e senza una valida ragione.
Perché allora ci va di difenderne ancora le ragioni dell' esistenza, mentre sarebbe più naturale che ne augurassimo la débacle televisiva - come in parte si sta verificando da quando pensa a tutto Fortunato Ortombina - e la conseguente obbligata cancellazione dal palinsesto di Rai 1?
Soltanto perché lo abbiamo 'allevato' con cura, passione e dedizione assolute, quel Concerto, non preoccupandoci affatto di piacere o compiacere chicchessia, dal sovrintendente al direttore artistico ai colleghi giornalisti che spesso l'hanno bistrattato senza ragione. Non l'abbiamo fatto prima e non vogliamo cominciare a farlo ora, quando ci ostiniamo a difenderlo a tutti i costi, augurandoci che continui, non sfigurato, per cento anni ancora.
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