Confermare la confisca dei soldi, quei 49 milioni che per il Tribunale di Genova sono stati acquisiti con la presentazione di bilanci falsi. È da respingere, quindi, secondo il sostituto procuratore generale Marco Dall’Olio il ricorso di Matteo Salvini, presentato in Cassazione in qualità di segretario della Lega, contro l’ordinanza del Riesame di Genova che lo scorso 5 settembre aveva confermato per la seconda volta la decisione del Tribunale. I giudici del Riesame, in realatà avevano recepito una precedente decisione della Suprema corte (3 luglio 2018) in cui gli ermellini ribadivano che il denaro andasse cercato ovunque fosse. Il pg Dall’Olio ha sottolineato nella sua requisitoria la “correttezza” della decisione del Tribunale del Riesame del capoluogo ligure che aveva recepito le indicazioni della Cassazione sull’ampiezza del sequestro fino al raggiungimento della cifra di 49 milioni di euro, su qualunque conto e presso chiunque fossero rinvenuti.
Cosa aveva sostenuto il Riesame di GenovaIl tribunale del Riesame di Genova “aveva il dovere di adeguarsi al principio stabilito dalla Cassazione” e così il collegio, presieduto da Roberto Cascini anche estensore del provvedimento, aveva nuovamente accolto il ricorso della procura sul tesoretto. Nelle motivazione si leggeva che “il partito ha direttamente percepito le somme qualificate in sentenza come profitto del reato in quanto oggettivamente confluite sui conti correnti e non può ora invocarsi l’estraneità del soggetto politico rispetto alla percezione delle somme confluite sui suoi conti e delle quali ha direttamente tratto un concreto e consistente vantaggio patrimoniale”.
“Siccome la Lega Nord ha direttamente percepito le somme qualificate in sentenza come profitto del reato in quanto oggettivamente confluite sui conti correnti – motivavano i magistrati – non può ora invocarsi l’estraneità del soggetto politico rispetto alla percezione delle somme confluite sui suoi conti e delle quali ha direttamente tratto un concreto e consistente vantaggio patrimoniale”. Ma non solo per i giudici “deve rammentarsi che non solo non esiste alcuna norma che stabilisca ipotesi di immunità per i reati commessi dai dirigenti dei partiti politici, ma anzi esiste una precisa disposizione di legge che impone la confisca addirittura come obbligatoria nel caso in esame” ovvero per la truffa aggravara “senza quindi consentire al giudice della cautela alcuno spazione di disapplicazione della norma stessa per i dirigenti pro tempore di un partito politico che commettano reati rispetto alle posizioni di ogni altro imputato“. Sequestrare i soldi quindi non è un atto arbitrario, si tratta di “un atto obbligatorio e non discrezionale” anche perché “ha il fine di ristabilire l’equilibrio economico alterato dalla condotta illecita per cui non è subordinato alla verifica che le somme provengano dal delitto in quanto il denaro deve solo equivalere all’importo che corrisponde al profitto del reato, non sussistendo alcun vincolo pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare“.
Cosa ha già sostenuto la CassazioneA luglio gli ermellini avevano già motivato la legittimità del provvedimento (del 12 aprile 2018) sostenendo che il tesoretto andasse sequestrato ovunque, visto che secondo i magistrati è stato accumulato grazie a una truffa sui fondi parlamentari. Nelle motivazioni, redatte dal giudice Giovanna Verga (presidente Matilde Cammino), si sosteneva che il sequestro dei soldi deve andare avanti fino a raggiungere i quasi 49 milioni. E questo deve avvenire dovunque siano o vengano trovati i soldi riferibili al Carroccio: su conti bancari, libretti, depositi. Salvini, però, ha sempre sostenuto che quei soldi non ci sono più: sarebbero già sono stati spesi.
Ad avviso dei Supremi giudici, la Guardia di Finanza può procedere al blocco dei conti della Lega in forza del decreto di sequestro, emesso il 4 settembre 2017 dalla Procura di Genova, senza necessità di un nuovo provvedimento per eventuali somme trovate su conti in momenti successivi al decreto. Quando gli uomini delle Fiamme Gialle eseguirono il decreto di confisca trovarono su conti e depositi del Carroccio poco più 1 milione e 651mila euro e chiesero al Tribunale di precisare se l’esecuzione del decreto avesse dovuto riguardare solo le somme giacenti sui conti al momento della notifica ed esecuzione o anche le somme depositate successivamente. La risposta fu che bisogna fermarsi al presente e non alle somme “depositande”. Il ricorso della Procura – che chiedeva di estendere l’esecuzione del sequestro anche alle somme depositate dopo la notifica del decreto – fu respinto dal Tribunale che sosteneva che bisognava dimostrare “un nesso di pertinenzialità trai reati e le somme da apprendere e che tale nesso è interrotto dalla intervenuta esecuzione del sequestro”. A questo punto i pm genovesi si erano rivolti prima al Riesame, che aveva respinto l’istanza della Procura, e poi alla Cassazione. Innescando questa lunga serie di ricorsi.
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