Che la liturgia non potesse e neppure dovesse fare a meno della musica, atteneva alla più profonda convinzione di un famoso giurista tedesco, A.F. Justus Thibaud, professore ad Heidelberg per quasi tutta la prima metà dell'Ottocento, che ebbe allievo anche Robert Schumann, prima che abbandonasse gli studi giuridici per dedicarsi alla musica); del resto, convintissimi lo sono ancora oggi molti e noi con loro, mentre - e qui sta il problema, annoso e tuttora irrisolto,del rapporto Musica-Liturgia - non lo è la Chiesa medesima, seppure la disciplina, meglio l'attenzione subisca variazioni considerevoli in linea teorica, scarsissime in linea pratica, a seconda dei pontefici regnanti: netta la differenza di opinione ed anche di attenzione fra Benedetto XVI e i due papi prima e dopo di lui, Giovanni Paolo II e Papa Francesco.
Non tanto la riflessione sulla 'purezza della musica' in generale, quanto sulle qualità e lo stile della musica sacra, è l'argomento vero della riflessione del noto giurista ottocentesco, dilettante in materia e tuttavia entusiasta difensore della musica 'sacra' classica (più degli stessi musicisti, che a suo dire prestavano troppa attenzione alle sirene della modernità) che egli riteneva somma e non doversi perciò mai abbandonare: la grande polifonia sacra rinascimentale 'a cappella' che in Palestrina ebbe il massimo esponente, e nella Cappella Sistina il suo luogo di elezione, e che proprio l'Ottocento consacrò come 'esemplare' per la musica sacra, e per ogni musica destinata al duplice scopo di accompagnare la liturgia ed elevare lo spirito di chi la praticava o l'ascoltava.
Con l'entusiasmo del neofita egli si dedicò a raccogliere tutta la musica possibile della grande stagione rinascimentale - la sua collezione tuttora conservata, desta ancora grande ammirazione - e a diffonderla attraverso la formazione di un coro di 'amateur' che riuniva regolarmente e col quale eseguiva e faceva conoscere nuovamente quei capolavori.
La riflessione sulla cosiddetta 'purezza' della musica, ovvero la discussione sulla caratteristiche della musica sacra, non era una novità del tempo, e continuerà ad esserlo anche dopo le acute riflessioni ed annotazioni di carattere storico sulle grandi epoche della musica sacra, che Thibaud individua oltre che in quella 'rinascimentale' nella grande stagione del canto monodico cristiano, gregoriano ed ambrosiano. E per capire come tale riflessione non si fosse esaurita con Thibaud, basti pensare all'impegno che mise Rossini per farsi riconoscere dalla Chiesa ufficiale il carattere di 'profonda religiosità' di quel suo capolavoro degli ultimi anni che è la Petite messe sollennelle . La storia, certo, avrebbe fatto inorridire Thibaud che si sarebbe, se avesse potuto esprimersi quarant'anni dopo quel suo trattato, sicuramente schierato con le posizioni della Chiesa, che ritenne, nonostante l'insistenza contraria del musicista, 'profana' quella Messa, per alcuni elementi secondari e di semplice tradizione: la presenza di strumenti 'profani, come i pianoforti' e di voci femminili.
Thibaud crede così tanto nella grande musica ' a cappella' rinascimentale e nella sua esclusiva efficacia, da scagliarsi contro coloro i quali ai suoi tempi, ad esempio, nelle diverse confessioni protestanti, non rinunciavano per nessuna ragione al 'corale' - che pure egli apprezzava in ragione delle sue qualità musicali innanzitutto - a favore della polifonia 'palestriniana'. Eppure la storia ci racconta che al tempo di Lutero, prima che il nuovo repertorio musicale si formasse, i fedeli cantavano ancora il gregoriano e chissà, forse anche la polifonia coeva. Al tempo di Thibaud evidentemente no.
Echi polemici contro l'invadente melodramma e la musica strumentale imperante non mancano, ovvio, nel suo trattato, che ora finalmente possiamo leggere in lingua italiana.
Il volume curato da Elisabetta Fava, ed edito da Leo S. Olschki, si compone di tre parti. La prima, interamente occupata dalla lunga puntuale introduzione della curatrice e traduttrice del trattato del Thibaud, che nel corso ha anche arricchito di note esplicative , e che oseremmo definire preziosa ed argomentata quanto il trattato stesso; la seconda , che comprende il trattato , nella seconda edizione del 1826, mentre la prima è di due anni precedente ed è diversa in più parti dalla seconda, più ricca, e ritoccata a causa delle vivacissime discussioni che la prima aveva suscitato, senza però che Thibaud facesse marcia indietro sui punti fondamentali a seguito delle critiche, come egli stesso sottolinea nella prefazione seconda - e la terza che ripropone la prefazione 'prima' e i testi della 'prima' che nella seconda risultano modificati od anche soppressi.
Il trattato, infine, risulta articolarsi - nella seconda edizione ( molte volte ripubblicata nell'Ottocento) - in una prefazione e dieci capitoli, così di seguito intitolati: Sul corale - Sulla musica sacra, a con eccezione del corale - Sui canti popolari - Sulla formazione attraverso l'esempio - Sull'effetto - Sul modo di strumentare - Sull'accurata comparazione delle opere dei grandi maestri - Sulla varietà - Sul degrado dei testi - Sulle società corali.
( A. F. Justus Thibaud e la 'Purezza della Musica' - prima versione italiana. A cura di Elisabetta Fava. Leo S. Olschki Editore. Firenze. Volume pubblicato con il contributo di 'Arianna per la musica' Pagg. 119. Euro 26.00)
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