Il nome di Enrico Caruso è fortemente legato alla città di Napoli, città in cui il tenore nacque, nel febbraio del 1873, e in cui esaurì la sua breve ma intensissima parabola terrena, il 2 agosto del 1921. A cento anni dalla morte, il Conservatorio di San Pietro a Majella, unendosi al coro di celebrazioni planetarie in corso, si prepara a rievocare Caruso attraverso un progetto esclusivo e molto articolato, “CARUSO 100” finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Dal 3 ottobre al 16 dicembre prossimi, il Conservatorio di Napoli svilupperà un percorso formativo e performativo in otto tappe intorno alla figura musicale e umana di Enrico Caruso. Il progetto “Caruso 100” diventa occasione adatta ad avviare una attenta riflessione sul ruolo occupato dal grande tenore all’interno del proprio contesto storico, evidenziando luci e ombre di una vicenda artistica irripetibile, esemplare e allo stesso tempo assai eccentrica, in cui l’adesione alle tendenze culturali del tempo coesiste con la digressione frequente su accidentati sentieri.
Come testimonial sontuoso di questa fitta celebrazione carusiana, il Conservatorio di Napoli sceglie il celeberrimo tenore Plácido Domingo che, domenica 3 ottobre (ore 16), per la prima volta varcherà lo storico portone del San Pietro a Majella, scoprirà i tesori della gloriosa istituzione musicale napoletana e, infine, racconterà a un pubblico di studenti e invitati il proprio rapporto privilegiato con la leggenda Caruso, ivi incluse le scelte di repertorio spazianti dal grande melodramma alla canzone napoletana. A conclusione di questa conversazione, che sarà condotta da Paologiovanni Maione (docente di Storia della musica del Conservatorio di Napoli), Domingo riceverà l’esclusivo Premio “San Pietro a Majella”, fino ad oggi attribuito solo ad Aldo Ciccolini, Roberto De Simone e Riccardo Muti.
A ottobre, dal 21 al 23, il secondo momento clou del progetto celebrativo carusiano messo a punto dal conservatorio. Prima, l’inaugurazione della mostra “Un soffio è la mia voce. Cantanti e scuole di canto a Napoli tra XVI e XIX secolo” (curata da Tommasina Boccia, Cesare Corsi, Tiziana Grande, Luigi Sisto), quindi un convegno di tre giorni (“Caruso 100”, appunto, in collaborazione con l’Università Federico II) a cura di Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione, impreziosito dalla presenza di relatori provenienti da tutto il mondo. Nello stesso arco di settantadue ore, il San Pietro a Majella accoglierà anche la proiezione di un film storico con Enrico Caruso ( My Cousin, 1918), il docufilm Enrico Caruso – The Greatest Singer in the World di Giuliana Muscio e, infine, lo spettacolo Caro Enrico… Lina Cavalieri racconta Caruso tratto dal volume Ridi pagliaccio! di Francesco Canessa, con la regia di Riccardo Canessa.
L’opera Caruso a Cuba, musica e libretto del compositore contemporaneo olandese Micha Hamel, sarà proiettata in Sala Scarlatti il 12 novembre, mentre, due settimane dopo (26 novembre) nello stesso luogo, saranno gli allievi del Dipartimento di Canto del Conservatorio a celebrare la memoria del tenore leggendario in un concerto intitolato “Il salotto di Caruso”. Il progetto carusiano del San Pietro a Majella si concluderà il 16 dicembre con una soirée vocale molto attesa: “Tre stelle per Caruso”, infatti, vedrà assieme in recital Carmen Giannattasio, Teresa Iervolino e Maria Grazia Schiavo; l’Orchestra di San Pietro a Majella sarà affidata, per l’occasione, alle cure di Francesco Ivan Ciampa e il repertorio spazierà tra le canzoni napoletane predilette da Enrico Caruso.
Con l’obiettivo di conferire spessore e visibilità internazionali all’iniziativa, il San Pietro a Majella ha inteso coinvolgere nella propria iniziativa vari partner nazionali e internazionali, volendo approfondire il fenomeno Caruso nelle sue molte possibili sfaccettature. Il progetto “Caruso 100” non mancherà di rivolgere attenzione alla dimensione discografica del grande tenore, indagando sull’evoluzione e il progressivo rafforzamento tecnico della vocalità tenorile più sfarzosa, virile e sensuale che si sia mai udita nel corso del Novecento. Una voce – quella di Caruso – dotata di un’ampiezza, un velluto, una smaltatura brunita e uno squillo tali da renderla straordinariamente fonogenica in rapporto alle tecniche di incisione dell’epoca. Uno strumento che, a onta di una formazione non accademica, risultava sostenuto da una tecnica di emissione di alta scuola, da un passaggio di registro impeccabile, dalla perfezione del legato, dalla dosatura ineccepibile dei fiati, dalla nettezza degli attacchi.
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