venerdì 29 ottobre 2021

A RICCARDO MUTI. Lettera aperta al grande direttore che il 20 novembre sarà al Cairo

Caro maestro, 

le notizie relative alla sua prossima tournée con i Wiener Philharmoniker  in Giappone, Corea ed Egitto dove si concluderà, il 20 novembre, con il concerto da Lei diretto,  per l'inaugurazione nella Capitale, il Cairo, della nuova New Concert Hall of the City of Arts and Culture, mi spingono a scriverle, anche se so bene che  sicuramente non ve ne sarebbe bisogno, conoscendo la sua sensibilità. 

 E' del tutto evidente che un 'suo' concerto al Cairo di

 questi tempi, e non certamente  a causa della pandemia, non è simile a mille altri che si sono tenuti in passato o che si terranno in futuro, quando le cose, di cui sto per dirle, cambieranno.

Lei, alla testa dei Wiener, accetta di dirigere in un paese al cui vertice siede un dittatore che calpesta le più elementari norme del vivere civile,  come è chiaro ormai al mondo intero, e che si è macchiato di due gravi delitti che riguardano direttamente il nostro paese, e  che portano i nomi di  Giulio Regeni e Patrick Zaki.

 Il primo, italiano, ricercatore, torturato e ucciso barbaramente, senza ragione e per infondati sospetti, i cui carnefici quella dittatura protegge sotto ali macchiate di sangue; ed il secondo,  egiziano, allievo in Italia dell'Università di Bologna, tenuto in carcere da quasi due anni senza che sia  accusato di un delitto meritevole di tale condanna. Aveva semplicemente scritto  delle persecuzione che quel regime infligge ai cristiani, di rito maronita.

Nonostante le numerose e dure proteste di molti paesi, quel regime dittatoriale non demorde. E il Governo del nostro paese, che pure protesta a parole, senza ottenere risposta, continua a fare affari con quel regime.

I casi presenti ci fanno venire in mente quel che accadeva in Sudafrica, al tempo dell'apartheid. Il mondo della cultura si era diviso in due : c'era chi sosteneva che non si dovesse mettere piede in quel paese fino a quando non fosse finita quella incivile discriminazione; e chi, invece, in quel paese ci andava, convinto che comunque non serviva abbandonarlo a se stesso,  e affiancava alle manifestazioni ufficiali visite e manifestazioni parallele nei ghetti in cui i neri erano segregati. Da allora sono passati decenni ed il mondo almeno sotto il profilo della sensibilità civile è notevolmente cambiato, in meglio per fortuna.

Ora, Lei, caro Maestro, non può arrivare al Cairo, dove ancora è detenuto ingiustamente Zaki, e dove è stato barbaramente trucidato Regeni, salire sul podio, dirigere il concerto in quella nuova sala dedicata 'alle Arti ed alla Cultura', stringere magari la mano di qualche  alto rappresentante di quel governo dittatoriale e poi ripartire senza aprir bocca.

 Non può.  Deve dire pubblicamente qualcosa su questi due casi tuttora irrisolti, e se non lo fa, il suo silenzio verrà sicuramente interpretato come complice. Non può nascondersi dietro la scusa, troppe volte accampata, che 'la musica non può fare politica' ;  fare politica no, ma difendere la civiltà e la cultura sì.

 Sono convinto - e nessuno mi toglie dalla testa che lo sia anche Lei - che un suo intervento sarebbe più ascoltato di tanti altri.

 In fondo sarebbe nella scia  dei grandi ideali che in questi anni l'hanno condotta per le 'Vie dell'amicizia' in molte parti martoriate del mondo.

 Lo faccia, non se ne pentirà, e sarà il suo più bel regalo all'Italia, che l'ha festeggiato,  nell'anno del suo ottantesimo compleanno.

                                             Con stima e affetto

                                             Pietro Acquafredda

 

  

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