Strano destino i concorsi musicali. Si ritiene che la vittoria in uno di essi apra immediatamente le porte della carriera al musicista laureato, ed invece non è così, almeno non lo è sempre. E il Paganini?
Benchè dipenda tutto anche dall'importanza e dalla storia del concorso, non è che i concorsi riescano a laureare sempre il migliore. Ci raccontava Gyorgy Sandor che oggi c'è un genere di pianisti: 'da concorso', i quali vanno di concorso in concorso sperando di guadagnare qualche premio in denaro in alcuni di essi, anche non arrivando primi, e comunque acquisendo una disinvoltura a suonare in pubblico e davanti ad una giuria. Il che fa sì che il pianista 'da concorso' deve assicurare uno standard, senza il quale non viene preso in considerazione, ed anzi viene scartato. Insomma uno con forte personalità di interprete - come fu nel caso di Pogorelich, giovanissimo, a Varsavia, per il Concorso Chopin - difficilmente vince. Ma in quel caso la mancata vittoria e le proteste della giurata Argerich, segnò per lui l'avvio di una trionfale carriera. Ci sembra di ricordare che fece invece una grande impressione al Casagrande di Terni, dove impressionò enormemente - come ebbe a confessarci- il giurato Giorgio Vidusso.
Ci sono anche casi assai curiosi, come quello di Bruno Aprea che aveva iniziato una brillante carriera di pianista, passando alla direzione d'orchestra (allievo di Franco Ferrara), che vinse in America il prestigiosissimo Premio Koussevitzky, prima di lui solo Claudio Abbado. E che in Italia non ha avuto la carriera che quel premio gli avrebbe meritato. Se fosse rimasto in America avrebbe certamente assaporato i frutti di quella meritata e prestigiosa vittoria. E c'è anche il caso di Mario Brunello, anch'egli vincitore di un concorso altrettanto prestigioso, il Ciaikovskij di Mosca, per il violoncello. Brunello finge di non ricordarlo, ma fummo proprio noi, dopo quella vittoria a suonare la sveglia, dalle pagine di Piano Time, alle istituzioni musicali italiane che stentarono prima di aprirgli le loro porte, oggi spalancatissime per lui.
Per tornare al Premio Paganini, l' edizione n.56 si è appena conclusa, e il suo 'albo d'oro' squaderna i più bei nomi del violinismo internazionale; ma ha laureato rarissime volte violinisti italiani. Il vincitore di questa edizione, il quarto italiano in tutta la storia del 'Paganini', è il ventenne salernitano Giuseppe Gibboni. Prima di lui l'avevano vinto altri tre: Accardo, principe dei violinisti italiani e maestro di generazioni di violinisti, che lo vinse nel 1958; 33anni dopo Massimo Quarta, e soli sei anni dopo Giovanni Angeleri.
Basterebbero questi tre nomi per capire quanto il destino dei vincitori di uno dei premi violinistici più prestigiosi, non sia il medesimo per tutti: Accardo più di tutti ma anche Quarta hanno fatto carriera, mentre pur scavando nella nostra memoria, non ricordiamo il nome di Angeleri legato ad una carriera quale uno ci si attende dopo un Premio Paganini.
Sorprende, infine, constatare che quattro nostre eccellenti violiniste, quasi tutte 'allevate' anche da Accardo: Marzadori, Borrani, Tifu, Dego non abbiano vinto il Paganini. Di esse non sappiamo - ad eccezione di Francesca Dego, che uno dei premi del Paganini, non il primo, lo ha vinto e che era fra i giurati della edizione 2021 - se vi hanno mai partecipato. Chissà. Mentre leggiamo fra i vincitori dei premi dal secondo al sesto, i nomi di Bonucci, Carmignola, Pieranunzi, Angeleri ( che vi partecipò altre volte prima di aggiudicarsi il Primo Premio), Manacorda, Tchakerian ( italiana nonostante il cognome).
La scommessa è sulla carriera di Gibboni che ora si perfeziona al Mozarteum di Salisburgo.
Nessun commento:
Posta un commento