La censura è morta. Evviva la censura. Dichiarata deceduta - o decaduta - non più tardi di sei mesi fa dal ministro della cultura Dario Franceschini torna in auge a furor di Direzione generale cinema del suddetto dicastero. Altro che sepolta, insomma. È viva, vivissima. E ieri ha battuto un colpo, sollevando un vespaio.
La scure è caduta su La scuola cattolica, il film di Stefano Mordini, presentato fuori concorso a Venezia all'ultima Mostra, non senza qualche tirata d'orecchie da parte della critica. E proprio al Lido, non più tardi di un mesetto fa, era stato vietato ai minori di 14 anni. Niente affatto, ha pensato bene la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche. Il film, che tocca il delicatissimo tasto della strage del Circeo, va vietato ai 18. E così sarà, da domani, quando la tragedia di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti risorgerà indimenticata dalle coscienze italiane.
Nel '75 fu un dramma che sconvolse tutti, oggi fa perfino ribrezzo pensare che allora era stato catalogato come «reato contro la morale». E si è dovuto attendere fino al '96 per correggerlo in «crimine contro la persona». Tanto per inquadrare i risvolti sociali di quel delitto infame concepito dalla Roma bene dell'epoca.
E forse proprio qui sta il punto, perché la mannaia della Direzione cinema ha alzato il tetto d'età proibita in considerazione del fatto che «la narrazione ha come punto centrale la sostanziale equiparazione di vittima e carnefice. I protagonisti, pur partendo da situazioni sociali diverse, finiscono per apparire incapaci di comprendere la situazione in cui si trovano coinvolti».
In buona sostanza, un'omogeneità incomprensibile visto che il fatto di cronaca ha rivoluzionato anche l'ordinamento giuridico. Nello specifico, una scena ha particolarmente irritato i censori. Nella prima parte un professore, soffermandosi su un dipinto della Flagellazione, fornisce ai ragazzi, tra i quali gli omicidi del Circeo, un'interpretazione in cui gli stessi, Cristo e i flagellanti vengono sostanzialmente messi sullo stesso piano.
Decisamente troppo in anni di femminicidi e #Metoo con rischi e pericoli annessi e connessi. Una valutazione messa in discussione però dal regista che ha puntualizzato quanto sia «esattamente il contrario di quello che racconta il film, e cioè che, provenendo dalla stessa cultura, è sempre possibile compiere una scelta e non deviare verso il male». E spiega di aver fatto un film di adolescenti interpretato da adolescenti come lo era allora una delle vittime.
In fin dei conti, La scuola cattolica ha ricevuto anche l'ok di Letizia Lopez e Roberto Colasanti, sorella e fratello delle due ragazze scomparse, che per bocca del loro legale Stefano Chiriatti si sono sorpresi davanti al divieto ai minori di 18, interpretando quelle scene dolorose come un monito futuro per le nuove generazioni.
«Non trovo ragioni valide per questa censura e, se mi sforzo di trovarle mi inquietano» ha chiosato il regista Mordini, ripreso dal presidente di Anica, Francesco Rutelli, in quello che sembra un pasticciaccio tutto interno al Pd. «C'è qualcosa che non va, se si pensa di far votare i sedicenni ma gli si impedisce di vedere un film, tratto dal romanzo di Edoardo Albinati che vinse il premio Strega» ha detto l'ex sindaco di Roma sottolineando come «gli annunci di abolizione della censura non hanno trovato riscontro in una procedura - spero per poche settimane - ancora in vigore».
Su un aspetto sembra difficile dargli torto. Un divieto a giovanissimi, che hanno libero accesso sul web a contenuti violenti e spesso veramente indegni sia nel versante ludico sia in quello fin troppo spregiudicato del dibattito, sembra anacronistico e fuori dal tempo, ma tant'è l'italico costume. Uno scoglio che fa inciampare perfino lo stupore della Warner, casa produttrice del film. Le motivazioni del divieto, secondo l'azienda, sono inerenti all'impianto tematico e valutazioni artistico-espressive, entrambe al di fuori dell'ambito di competenza che la legge ammette in merito di revisione cinematografica. Il contrario di quanto Franceschini proclamò esultante in aprile: «Abolita la censura e quel sistema di controlli che consentiva allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti». Come non detto.
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