Che gli assessori alla cultura della grandi città possano in breve tempo estinguersi non è timore infondato. E non perchè tali assessorati nelle gradi città vengono per lo più affidati a gente che non ha le carte in regola e nessuna esperienza pregressa - a Roma l'ultima assessora, dopo l'uscita dalla giunta di Luca Bergamo, è stata una compagna di liceo della sindaca Raggi esperta di 'burlesque '- e neanche perchè assessorati ritenuti praticamente 'senza portafoglio'. Tutt'altro.
Lo stesso discorso, almeno fino a non molto tempo fa, si faceva per il Ministro dei 'Beni e delle Attività culturali', sempre l'ultimo ad essere nominato tanta poca era la considerazione in cui i governi tenevano quel dicastero. Fino a Franceschini, il quale un pò per darsi importanza e un pò perchè ha capito che si trattava di un ministero prezioso che in Italia era addirittura preziosissimo, lo ha definito il Ministero di più grande peso nel nostro Paese.
Sembra scomparire l'Assessorato alla cultura, ricalcando quanto sta avvenendo nelle Fondazioni Lirico-sinfoniche, dove il sovrintendente azzera l'alter ego rappresentato dal direttore artistico e assume per sè anche quella carica, popolando anzi affollando poi la cosiddetta 'segreteria artistica', senza la quale sbaglierebbe anche le attribuzioni di opere - come fa nel Padrino Parte III, Al Pacino che attribuisce Cavalleria Rusticana a Puccini.
In effetti un tempo quella diarchia ai vertici delle istituzioni serviva solo per consentire l'esercizio del potere alle due forze in campo: governo e opposizione, tramutando per questa ragione le Istituzioni musicali in un campo di battaglia. Ora al vertice c'è uno solo che comanda, il Sovrintendente, il quale, se vuole, nomina un direttore artistico, altrimenti anche tale carica la tiene per sè. Non rendendosi conto del danno che procura, perchè sovrintendenza e direzione artistica sono attività distinte, anche se parallele, è l'assenza di una delle due, reca danno all'altra. E non è vero che fa risparmiare lo stipendio del direttore artistico assente.
Fatto salvo il caso di Milano il cui sindaco Sala riconfermato, chiama addirittura dal Comune di Firenze Tommaso Sacchi che era assessore della Giunta Nardella, in sostituzione di Filippo del Corno che dopo due mandati da assessore alla cultura ha preferito tornare a fare, soi disant, il compositore e l'insegnante, mentre invece è stato chiamato a Roma da Enrico Letta a fare il 'responsabile della cultura del partito' ( per intenderci, avrebbe preso il posto che fu di Luigi Pestalozza nel PCI, il quale, spesso, si comportò come Khrennikov nel PCUS), in molti altri comuni si ha l'impressione che i nuovi sindaci vogliano tenere per sè la delega alla cultura, ben sapendo quanto questa influisca sull'immagine del governo cittadino dentro e fuori il Comune.
Lo ha fatto lo stesso Nardella, dopo l'uscita di Sacchi, sembra lo voglia fare Lepore a Bologna, a Roma si parla di assessori ma non di quello dalla cultura (che a Roma con l'avvento di Raggi ha cambiato nome in 'assessorato alla crescita culturale' e che noi, ironicamente, abbiamo cambiato in 'ricrescita culturale', come fossero capelli che, si sa una volta caduti non ricrescono più); a Torino la era novità, unica in questo panorama: il sindaco nomina asessora Rosanna Purchia che ha appena terminato il suo mandato di commissaria al Teatro Regio; e a Napoli il nuovo sindaco Manfredi, sembra non voler turbare i sogni di grandezza del Governatore De Luca (fa testo quella montagna di soldi che spende per l'Estate da re', spettacoli alla Reggia di Caserta, dove forse in un prossimo futuro intende insediarsi, assumendola come residenza .
Nella migliore delle ipotesi - che è poi la peggiore - quell'assessorato finirà nelle mani di qualche amico o conoscente che vanta un dilettantismo culturale, come nel caso della giunta Raggi.
Eppure quell'assessorato nella mani giuste può rivoltare 'come un pedalino' una città. Accadde a Roma con Renato Nicolini e dopo, ma mai come allora, con Borgna.
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