Che ragione ha avuto Macciardi, ex violinista, e da tempo sovrintendente/ direttore artistico del Teatro Comunale di Bologna, che da qualche ora ha aggiunto una freccia-donna ( la direttrice Lyniv) al suo arco artistico, per esprimere il desiderio di annettersi il Teatro Regio di Parma, ora risorto, e il cui Festival Verdi ha ripreso lo smalto che meritava, imponendosi come uno dei teatri più importanti ed attivi del paese, senza essere una Fondazione lirica?
Diciamo 'ha ripreso smalto' perchè per anni è montata la polemica sul Regio - ed anche sulla sua orchestra per qualche ducetto/mercante, in quel caso interno alla orchestra medesima, che voleva appropriarsene (anche noi sulla rivista Music@ ne parlammo a suo tempo e lo ha fatto sul suo Blog anche Luigi Boschi, ben noto a Parma); e che è poi quel che vorrebbe Macciardi - senza che si smorzasse neppure sotto la gestione dei 'supereroi' Fontana-Arcà.
Ora che, sotto la gestione Meo del Teatro ed anche del Festival, Parma, che sembra essere risorta, fa gola ad uno, come Macciardi.
Dal Regio di Parma è arrivata dura la risposta:' NON SE NE PARLA'., che ci fa capire quanto ambiziose fossero le mire di Macciardi. Lo deduciamo, anche senza aver letto la Gazzetta di Parma che ne ha parlato , unica fino a questo momento.
Ci sembra riemersa una polemica di tanti anni fa, alla quale anche Pavarotti ci pare di ricordare abbia dato il suo contributo non ininfluente. Come si può pensare di tenere in vita - diceva il tenore - in una sola regione un numero considerevole di teatri: Bologna- unica Fondazione lirica - Parma, Modena, Ferrara, Reggio Emilia, Piacenza. Son troppi, si fanno concorrenza. Sarà anche vero ma sarebbe come dire: come si fa a tenere in ordine la grandi piazze dell'Emilia Romagna? costa. Allora in qualcuna costruiamoci dei palazzi, renderanno di più e non saranno più concorrenziali con la Piazza 'grande' di Bologna.
L'Italia nell'Ottocento, non nel Medio Evo, aveva centinaia di teatri, ogni cittadina con un minimo di vita culturale aveva il suo, che sosteneva anche economicamente, e difendeva dalla chiusura che certamente per alcuni di essi si sarà prospettata in certi periodi di crisi.
Poi arrivano i barbari - che sono sempre esistiti, anche oggi - e che dicono che bisogna chiuderne la gran parte perché non possiamo permetterceli. Fosse vero, ma non può esserlo, in un paese famoso oltre che per teatri a cattedrali, soprattutto per sprechi, ruberie, ed 'incompiute'; e dunque invocare la chiusura di teatri per sanare le casse delle varie amministrazioni è un alibi per tanti analfabeti ed anche furfanti ladruncoli amministratori.
Il caso del Regio di Parma è sintomatico di un altro vizio: il grande che si muove come un pachiderma, viaggia sicuro del suo status e si da poco da fare; e che quando intravede il piccolo vivace, e quindi per questo potenziale nemico, come fa un coccodrillo 'd'annata' nella palude, si lancia per mangiarselo.
E no. Il Regio di Parma, se vogliamo dirla tutta, provi lui a mangiarsi il Teatro Comunale di Bologna e non viceversa, perchè se è vero che il Comunale ha una storia antica, c'è anche da dire che negli ultimi decenni con una dirigenza non proprio all'altezza, sembra come una vecchia signora decadente la cui belelzza resta solo un ricordo; mentre il Regio di Parma ha una storia, seppure recente, ma opposta. Dopo l'uscita dei 'supereroi', con Anna Maria Meo è tornato a rispendere. Allora chiarisca Macciardi che cosa voleva dire e semmai faccia mea culpa per essersi spinto oltre il ragionevole ed il decente.
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