Le primizie del Genio. L’indagine tra le carte di Vincenzo Bellini è un cantiere che, anno dopo anno, si arricchisce di sempre nuovi tasselli: frutto di approfondimenti critici, certo, ma anche di nuovi sondaggi in territori spesso ammantati da una mitografia, stancamente ripetuta nel tempo. È il caso del periodo catanese, i diciotto anni che intercorrono tra la nascita e la partenza alla volta di Napoli (1801-1819), sul quale le notizie sono state sempre scarse, soprattutto per l’assenza di elementi utili nell’epistolario. Già l’anno scorso Maria Rosa De Luca, nel suo volume Gli spazi del talento, pubblicato per i tipi di Olschki, si era soffermata sul primo Bellini, ricostruendone la parabola giovanile per spazi e nel tempo, approfondendo i luoghi che presumibilmente aveva la possibilità di frequentare, il repertorio proposto e, dunque, il serbatoio di conoscenze al quale poteva attingere durante il suo apprendistato. Impresa improba, a tutta prima, ma che ha permesso due risultati di assoluto rilievo: circoscrivere il campo al piccolo, ma significativo pacchetto di composizioni, che faranno parte del suo bagaglio in vista del trasferimento nella capitale del Regno; e tessere una fitta trama di influenze, artistiche ma precipuamente musicali, che costituirono fertilissima humus nella formazione dell’artista.
È dunque da salutare con favore il concerto che ha avuto luogo ieri sera nella Basilica Cattedrale di Catania, nell’ambito del Festival Tributo a Vincenzo Bellini, frutto di un’esemplare sinergia tra l’attività di ricerca dell’Ateneo catanese e quella performativa dell’Orchestra dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “Vincenzo Bellini” di Catania, diretta da Giuseppe Romeo, e del Coro del Teatro Massimo Bellini, sotto la guida di Luigi Petrozziello. Di pregio è l’esecuzione della rarissima Messa in la minore per soli, coro e orchestra, che può essere ascritta alla categoria delle cosiddette “messe di gloria”. La data di composizione non è nota ma gli studiosi concordano nel farla risalire agli anni in cui Bellini studiò a Napoli. Il manoscritto autografo della partitura, attualmente custodito al Museo Civico Belliniano di Catania, è mutilo; pertanto questa composizione sacra è tramandata nella sua interezza solamente nell’edizione a stampa che Tito Ricordi pubblicò per la prima volta nel 1844. Con la partecipazione del tenore Riccardo Palazzo, solisti dell’esecuzione saranno tre artisti provenienti dalle file del Conservatorio etneo, il soprano Ludovica Bruno, il mezzosoprano Roberta Celano e il basso Graziano D’Urso.
Merita una menzione particolare, tuttavia, la prima parte del concerto, che si apre infatti con l’esecuzione – in prima assoluta in tempi moderni – di tre delle dieci composizioni del periodo catanese di Bellini, frutto dell’apprendistato musicale condotto sotto l’egida del padre Rosario e del nonno Vincenzo Tobia. Si tratta, in particolare, di Tre Tantum ergo (in fa maggiore, in si bemolle maggiore e in sol maggiore), per la prima volta trascritti da Maria Rosa De Luca a partire dagli autografi oggi custoditi nella Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella a Napoli, donati nel 1868 da Francesco Florimo. Bibliotecario dell’istituzione musicale partenopea nonché amico fraterno del musicista, questi rese noto nei suoi saggi come Bellini fosse arrivato a Napoli «già iniziato allo studio dei partimenti e del contropunto»; ma era stato suo interesse segnalare come proprio Napoli fosse stata culla della sua formazione, dove «ricominciare da capo tutti i suoi studi». Furono anni particolarmente intensi, sotto la guida di Giovanni Furno, Carlo Conti e Giacomo Tritto, quindi finalmente del più esperto Nicola Zingarelli: ma il cursus studiorum di Bellini fu anche di breve durata, sei anni invece dei dieci normalmente previsti, a conferma di un talento eccezionale ma anche, probabilmente, di una formazione di base già scaltrita.
Da qui l’interesse per l’ascolto di queste tre pagine giovanili, che se da un lato riportano correzioni dovute al nonno Vincenzo Tobia, dall’altro seguono uno schema formale – articolato in due movimenti di carattere contrastante – esemplato su quello di analoghe composizioni di Giuseppe Geremia, ma soprattutto di un unico Tantum ergo di Rosario Bellini, padre del compositore, in cui Maria Rosa De Luca, musicologa e docente all’Università di Catania, ha rilevato significativi elementi di somiglianza nella condotta delle parti come nella sezione conclusiva, l’Amen posto a suggello dell’inno composto da Tommaso d’Aquino. Bellini tornerà a cimentarsi con il medesimo testo sacro durante gli studi napoletani, quattro volte nel 1823 e altre due in epoca imprecisata, in due componimenti pubblicati postumi da Francesco Paolo Frontini. Ma il seme era gettato già nella sua città natale e sarebbe stato fecondo dei ben più noti, brillanti esiti.
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