martedì 19 ottobre 2021

Edita Gruberova. Intervista di Pietro Acquafredda .Roma, estate 1986 ( da Piano Time, n.43, Anno IV, ottobre 1986)

-Bratislava, città natale, ambiente culturale e musicale stimolante, ma anche palestra di formazione musicale?

Ho studiato per sei anni al Conservatorio di Bratislava , debuttando al Teatro Nazionale, nella parte di Rosina (Barbiere di Siviglia). Subito dopo ho lavorato per due anni in un altro teatro cecoslovacco cantando moti ruoli in diverse opere, dai Racconti di Hofmann a My fair Lady. Una successiva audizione a Vienna fu causa del mio trasferimento nella Capitale austriaca. Ebbi un contratto che di fatto mi diede la possibilità di cantare, ma solo piccoli ruoli e per poche recite. Nel '70 ebbi un contratto definitivo che però segnò l'inizio di un lungo interminabile periodo della mia vita professionale. Non facevo che studiare alcuni ruoli, senza vedere mai la fine dello studio e l'inizio dell'attività. Posso dire di aver studiato Zerbinetta per quasi cinque anni.

-Ma poi giunse la grande occasione.

Avevo già cantato nel ruolo di 'Regina della notte' ( Il flauto magico) e di Olimpia (Racconti di Hoffman), ma solo per poche recite. Finalmente l'incontro con Bohm, per mi volle per Arianna a Nasso, settembre 1976.

- E' di regola un lungo tirocinio per chi arriva in un grande teatro come l'Opera di Vienna?

Non credo. E comunque, dopo di me, assolutamente no. Evidentemente sono stata sfortunata. Nessuno si occupava di me che, da giovane cantante, guardavo alla scoccare della mia ora con grande ansia.

- Del periodo  della sua prima attività in patria, conserva ricordi più felici? Cosa si cantava di solito?

E' curioso raccontare cosa accadeva. Si cantava il repertorio soprattutto italiano, ma in lingua slovacca, e qualche volta anche in due o tre lingue diverse contemporaneamente, a seconda della provenienza degli interpreti. Quelli ungheresi cantavano in ungherese, gli italiani in italiano. E ciò non disturbava, perché nessuno conosceva le opere italiane nella lingua originale. Era, del resto, impossibile, trovare dischi di opere italiane cantate nella lingua originale. Esisteva una sola registrazione di Butterfly con la Tebaldi, e comunque si trattava sovente di cattive registrazioni.

-Torniamo a Bohm.

E' stato per me un grande incontro. Ho avuto anche la fortuna di incontrarlo che era avanti negli anni, quando - come si dice - la vecchiaia porta consiglio.  Da giovane era, a volte, molto duro con cantanti e orchestre. Voglio raccontare un fatto curioso. Durante le prove dell'Arianna, nel corso di un'aria, in un momento in cui la voce ha qualche battuta di pausa, prima di riprendere il canto, Bohm aveva forse qualcosa da dire o da riguardare, era insomma occupato, forse distratto. Non ho ricevuto il via per la ripresa e quindi sono stata zitta. Ho saputo al termine della prova che Bohm, aveva confessato: 'mi ha atteso'. Quel particolare mi fece salire nella sua stima e nella sua considerazione. Era molto carino con me, mi amava molto. Quando espresso il desiderio di fare ancora una volta aSalisbrigo l'Arianna, mi volle come interprete, chiamandomi già allor la grande Gruberova. Per me è stato come un padre! Mi ah aiutato a costruire la mia strada.

-In Italia si guarda a Bohm come ad un maestro di grandissima esperienza ma non di altrettanto grande talento. Lei la pensa allo stesso modo?

Anche a Salisburgo vi furono delle recite magiche. Certo Bohm non era uno 'show-master' come ve ne sono molti oggi. Mi si deve allora spiegare come mai, anche negli anni della sua vecchiaia, quando era sul podio lui, tutti i i musicisti suonassero in maniera sublime. E noi cantanti, tutti senza eccezione, cantassimo come 'in trance'.

-Oggi è cambiato il modo di 'concertare' un'opera?

Se avessi incontrato Bohm od altri direttori della sua generazione dieci anni prima, forse potrei rispondere alla sua domanda. Devo però ricordare che Bohm rispettava il parere dei cantanti, con imponeva il suo. Mentre dei direttori della nuova generazione contesto le imposizioni. Non voglio fare nomi. Oggi molti direttori e registi vogliono primeggiare anche sui cantanti. Naturalmente è importante che il direttore esprima le su idee, anzi voglio che lo faccia, che lavori con orchestra e cantanti; ma talvolta sembrano preoccupati vi volere a tutti i costi 'marchiare' ogni opera, ogni personaggio, perché si dica: questa è la Traviata di... dimenticando che è di Giuseppe Verdi.

- Il regista è quello che oggi fa maggiormente discutere di un allestimento. Ne discutono soprattutto i giornali. E i cantanti?

Anche i cantanti, perché occorre uniformarsi a quanto accade in palcoscenico. E molto spesso occorre porre con forza quel che si pensa di un personaggio. E' accaduto, ad esempio, a Firenze, con il Rigoletto, per la regia di Ljubimov. Lì ho sofferto molto. Egli forse può fare bene il teatro o il cinema, ma non l'opera, e sicuramente non RigolettoForse per la sua formazione e tradizione culturale può fare spettacoli meravigliosi con le opere del repertorio russo, ma Rigoletto no!

Direttore e regista discutono nel migliore dei casi uno spettacolo, ma con i cantanti mai. Nessun cantante viene preventivamente interpellato o quantomeno ascoltato. Abbiamo rovesciato completamente la gerarchia. Anche i ciritici nelle loro recsbioni dedicano fiumi di aprole all'allestimento ed alla regia, qualche riga appena ai cantanti e, se resta ancora spazio,  una semplice menzione del direttore. Nell'opera, non dobbiamo dimenticarlo mai, che viene prima la musica.

-Perché secondo Lei, i registi talvolta paiono affermarsi per aver reso irriconoscibile un'opera che contiene già una regia?

Non lo so. Quando vado all'opera mi interessa solo come viene cantata, se viene cantata bene, non sento la mancanza di nulla, anzi questo mi basta; se male non mi interessa né la regia né l'allestimento; se, poi, malissimo, non c'è spettacolo che possa trattenermi in teatro. Quando dico 'canto' intendo voci, orchestra e direzione: la musica, in una parola.

-Rigoletto a Firenze, ora Lucia a Roma e prima Arianna alla Scala; sempre alla Scala Lucia e Ratto dal serraglio. Come si lavora in Italia?

Dell'esperienza fiorentina ho detto già: è stata del tutto negativa. Dopo questa esperienza romana mi sono resa conto che la mia voce non è fatta per i grandi spazi all'aperto (Terme di Caracalla). Alla Scala  l'esperienza mozartiana è stata entusiasmante; il lavoro con Strehler era sommamente stimolante. Mi piacerà lavorare ancora con lui; il Don Giovanni che farò prossimamente desta già una forte aspettativa in me. 

Ma ciò che non mi piace né in Italia né in qualunque altro paese è arrivare il giorno prima delle recite. Questa è routine, non arte. E io non voglio lavorare in questa maniera. Alla Scala comunque si può lavorare bene.

-Come si è ampliato ed arricchito il suo repertorio negli anni?

Per fortuna i teatri mi hanno sempre chiesto cosa volessi cantare. Ma le mie scelte sono state innanzitutto fatte badando alle mie qualità vocali. Certo che mi interessano anche personaggi come Butterfly e Jenufa e tanti altri.

-Lei perciò è buona amministratrice della sua voce.

 Credo di sì. Sono molto consapevole delle caratteristiche della mia voce, come anche dei suoi limiti. Ciò che voglio evitare ad ogni costo è il pericolo più grande per i cantanti di oggi: viaggiare e magari nella stessa serata cantare; non è sano per la voce umana.


-In Italia ha tenuto anche concerti liederistici. A Napoli, ad esempio, ha cantato Wolf.  E' stata una buona scelta?

 Perché Wolf non può essere cantato ai napoletani? Quel programma lo avevo preparato per una lunga serie di concerti. Poi, non sono d'accordo con chi pena che occorra venire a patti con il pubblico, nella scelta di un programma.

-Un'opera, un teatro, un'orchestra, un direttore, un regista? Quali vorrebbe?

Quale opera non so; il teatro vorrei che fosse bello; l'orchestra possibilmente buona ma prima di tutto mi interessa il direttore. Oggi io credo che l'unico genio nella direzione d'orchestra sia Carlos Kleiber. Con lui posso fare, in qualunque momento, un'opera qualsiasi, in qualunque teatro, con qualsiasi orchestra. Tutti i cantanti della nostra epoca possono sentirsi onorati di lavorare con lui. Chi non ha mai lavorato con Kleiber non può capire cosa voglia dire: Kleiber ascolta e rispetta i cantanti; fa di una qualunque orchestra un'orchestra meravigliosa. E' un singolare personaggio che sa contemperare, in giusta misura, fantasia e intelligenza; è il maestro che spiega tutto attingendo alla grande esperienza della vita. Ho fatto con lui Traviata a Monaco. Kleiber è il mio dio!

- Cosa canterà nei prossimi anni?

Me lo chiedo ogni giorno. Molti cantanti cambiano ruolo ogni giorno, pensando di poter adeguare ad essi, forzandola, la propria natura. Crede forse che anch'io non sia interessata, dopo molti anni di Zerbinette o Regine della notte, ad altri ruoli?

-I critici le fanno paura? Quando canta pensa a loro?

Ai critici non penso mai quando canto. All'inizio delle nostre 'strade' tutti siamo interessati al successo; se qualcuno scrive male, ci amareggia, forse ci rende infelice e può qualche volta farci dubitare della professione intrapresa: Ma dopo molti anni di lavoro tutto ciò non importa più. Naturalmente so che molti leggeranno quanto ha scritto il critico.

 Ma sono convinta che i critici all'inizio possono disturbare, mai rovinarla una carriera, ma neppure aiutano.

-Ma da dove si comincia? Impresari, dischi...

Chi si occuperebbe mai di un giovane artista, quale impresario lo prenderebbe? Quale casa discografica gli farebbe fare un disco? Sono però convinta che chi ha talento riesce.  Certo ha bisogno di fortuna. Guai se non si coglie l'attimo in cui arriva il nostro momento. Il mio è stato l'incontro con Bohm.


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