Ancora del programma del prossimo Concerto di Capodanno, trasmesso in diretta su Rai 1, nessuna traccia. E siamo già a fine ottobre. Benchè ora Fortunato Ortombina, può lavorare alla scelta degli artisti ospiti ed alla formulazione del programma in piena autonomia, senza più la nostra 'vigilanza', per conto della Rai, che lui non ha mai digerito, ritenendola una intrusione irrispettosa delle sue capacità.
Ma come può nascondere a se stesso che proprio la nostra intrusione ha fatto sì che per i dieci anni in cui abbiamo avuto la corresponsabilità del programma, gli ascolti tv sono andati benissimo, sempre in crescita, lenta ma costante, mentre da quando, nel 2014, lui ha lavorato in totale autonomia, in sole tre edizioni, il concerto ha perso ben 800.000 telespettatori dei 4.400.000 circa dei nostri anni?
E' da qualche tempo che andiamo a guardare il sito della Fenice per vedere quale programma Ortombina ha pensato per la prossima edizione del Concerto di Capodanno. Nulla, a fine ottobre, nella convinzione che lo spettatore e più ancora il telespettatore compri a scatola chiusa' fidandosi ciecamente delle scelte del teatro che - lo ripetiamo - negli ultimi anni si sono rivelate disastrose in fatto di ascolti, a causa di programmi inadatti al tipo di concerto ed alla sua collocazione nella programmazione Rai.
Quando a giugno Chiarot, che ancora teneva il piede in due scarpe, distanti l'una dall'altra - una a Firenze e l'altra a Venezia - ha presentato, assieme a Ortombina, il programma della stagione ed anche i nomi degli artisti ospiti del Concerto di Capodanno 2018, ha annunciato la presenza di un terzetto niente male. Chung sul podio, e solisti di canto Maria Agresta e Francesco Meli.
Poi verso la fine di ottobre già vengono annunciati cambiamenti: non ci sarà più Meli, al suo posto Michael Fabiano. Allegato all'annuncio del Concerto, sul sito del teatro, un comunicato che, invece, è quello di giugno, dove è stato sostituito solo il nome di Meli. Ma, nella fretta (?) - salvo che non ci sia un ulteriore ripensamento - è sparito il nome della Agresta. Sarà sostituita anche lei? E magari alla viglia del Concerto, anche Chung?
E, il programma, quando?
lunedì 30 ottobre 2017
Com'è la storia delle plateali - ma anche sospette - dimissioni del 'rasputin' della sindaca Appendino, a Torino?
Annunciate e strombazzate dal Movimento di Grillo, che ha sempre mal sopportato la sua presenza in Comune a Torino, alle dimissioni del capo di gabinetto e consigliere speciale ed insostituibile della sindaca Appendino, per aver egli raccomandato un suo amico presso il capo dei vigili perchè gli togliesse una multa di poche decine di Euro, possiamo crederci davvero?
No, è assai difficile credere a questa storia, e l'altro ieri Natalia Aspesi, su Repubblica, da vera maestra, ne ha dato alcune ragioni che condividiamo in pieno, e alle quali noi vogliamo aggiungerne, umilmente, solo qualche altra, che le sue stesse riflessioni ci hanno suggerito a formulare. Oltre naturalmente a quella di base, che le due sindachesse, in fatto di scelta di collaboratori, fanno acqua da tutte le parti.
Noi, nei panni del 'rasputin' della Appendino. trattandosi di una somma irrilevante, gliel'avremmo pagata, la multa, di tasca nostra, risparmiandoci quella imbarazzante telefonata; oppure gli avremmo consigliato di rivolgersi, ad esempio, ad uno degli enti caritatevoli, come la 'Fondazione per la cultura' torinese, presieduta ancora - per grazia anche del 'rasputin' torinese - da quell'Angela La Rotella che, in coppia con suo marito Valter Vergnano, di soldi a casa ogni mese ne portano un bel po'. Perchè magari si trattava di un intellettuale squattrinato, e perciò poteva rientrare negli scopi statutari della fondazione torinese.
Ma noi continuiamo a sentire odore di bruciato in quelle sospette dimissioni, che secondo Di Maio, hanno giustamente sanzionato in sole due ore un atto illecito, che le regole morali del Movimento non tollerano, per quanto irrilevante , sotto molti punti di vista, la materia dell'illecito, ad eccezione della ingenuità del 'raspuntin'.
E ci vien da pensare che il Movimento, e Di Maio per tutti, l'abbiano enfatizzato, proprio perchè irrilevante, per coprire comportamenti molto più gravi e rilevanti non vengono sanzionati con altrettanta determinazione e tempismo( Raggi, dice qualcosa?). Il quale comportamento dovrebbe indurre i suoi simpatizzanti - troppi per tutti gli errori che i suoi amministratori commettono ogni giorno! - a convincersi che se il Movimento non è ancora intervenuto per sanzionare ed invitare alle dimissioni la Raggi, è solo perchè, a conoscenza dei fatti, non ritiene trattarsi di comportamenti sanzionabili, della sindaca di Roma. Capito?
No, è assai difficile credere a questa storia, e l'altro ieri Natalia Aspesi, su Repubblica, da vera maestra, ne ha dato alcune ragioni che condividiamo in pieno, e alle quali noi vogliamo aggiungerne, umilmente, solo qualche altra, che le sue stesse riflessioni ci hanno suggerito a formulare. Oltre naturalmente a quella di base, che le due sindachesse, in fatto di scelta di collaboratori, fanno acqua da tutte le parti.
Noi, nei panni del 'rasputin' della Appendino. trattandosi di una somma irrilevante, gliel'avremmo pagata, la multa, di tasca nostra, risparmiandoci quella imbarazzante telefonata; oppure gli avremmo consigliato di rivolgersi, ad esempio, ad uno degli enti caritatevoli, come la 'Fondazione per la cultura' torinese, presieduta ancora - per grazia anche del 'rasputin' torinese - da quell'Angela La Rotella che, in coppia con suo marito Valter Vergnano, di soldi a casa ogni mese ne portano un bel po'. Perchè magari si trattava di un intellettuale squattrinato, e perciò poteva rientrare negli scopi statutari della fondazione torinese.
Ma noi continuiamo a sentire odore di bruciato in quelle sospette dimissioni, che secondo Di Maio, hanno giustamente sanzionato in sole due ore un atto illecito, che le regole morali del Movimento non tollerano, per quanto irrilevante , sotto molti punti di vista, la materia dell'illecito, ad eccezione della ingenuità del 'raspuntin'.
E ci vien da pensare che il Movimento, e Di Maio per tutti, l'abbiano enfatizzato, proprio perchè irrilevante, per coprire comportamenti molto più gravi e rilevanti non vengono sanzionati con altrettanta determinazione e tempismo( Raggi, dice qualcosa?). Il quale comportamento dovrebbe indurre i suoi simpatizzanti - troppi per tutti gli errori che i suoi amministratori commettono ogni giorno! - a convincersi che se il Movimento non è ancora intervenuto per sanzionare ed invitare alle dimissioni la Raggi, è solo perchè, a conoscenza dei fatti, non ritiene trattarsi di comportamenti sanzionabili, della sindaca di Roma. Capito?
Spoleto 60. La versione di Giorgio. Dal duca Menotti a Ferrara il riformista
Ieri sera, nell'ambito della Festa del Cinema di Roma, al Maxxi - che a fatica abbiamo raggiunto, aiutandoci con la lucetta del telefonino, onde evitare le sorprese lasciate con tanta generosità dai nostri amici a quattro zampe sui marciapiedi, perché la strada, frequentatissima, via Guido Reni, anche nei giorni di festival a due passi da lì, era praticamente al buio - si proiettava per la prima volta nel piccolo auditorium, non così piccolo da apparire 'esaurito', il film 'Spoleto 60 anni di festival', voluto da Giorgio Ferrara, da dieci direttore del festival ed ancora per altri tre almeno, affidato a Benoit Jacquot, il quale essendo molto occupato, si è avvalso della collaborazione del documentarista Gérard Caillat che l'ha, di conseguenza, firmato con lui.
Giunti nell'auditorium ci siamo più volte guardati intorno in cerca di due necessarie e fondamentali presenze alla proiezione: Giuliano Ferrara e Adriana Asti, ma non c'erano né l'uno né l'altra. C'erano, invece, i rispettivi consorti: Giorgio Ferrara, marito della notissima attrice Adriana Asti, e Anselma Dell'Olio, critico cinematografico, presenza fissa nel club notturno di Marzullo, moglie di Giuliano Ferrara. E tanti invitati - ospiti, collaboratori o mecenati del festival - a cominciare dalle sorelle Fendi a Quirino Conti a Corrado Augias, giovanilissimo a dispetto dell'età, al punto da farsi, all'uscita, un giovanile selfie con altri.
Il film, che saltellava, senza logica evidente, da una edizione all'altra da uno spettacolo all'altro, era interamente costruito su immagini di repertorio, alcune risalenti ai primi anni, mai viste, in b/n, ed era tenuto insieme dal racconto, sempre partigiano ed autocelebrativo, a volte anche distorto ed irrispettoso nei confronti del fondatore Menotti, dell'attuale timoniere Giorgio Ferrara, insediato nel suo studio, situato nel complesso del Teatro Nuovo ( ora intitolato a Menotti, almeno quello!), con accesso indipendente in teatro, ove gli era riservato un palco, dal quale seguire il lavoro degli artisti o assistere agli spettacoli: "i quasi duecento che lavorano ogni anno al festival da qui, da questo studio, devono passare".
Una annotazione a margine. Se si legge il lungo l'elenco dei 'produttori' del film-documentario si resta davvero sorpresi, trattandosi di un prodotto costruito quasi esclusivamente su immagini di repertorio vecchie e nuove e quindi da un costo ridotto. perchè allora ha dovuto intervenire con soldi anche la Fondazione del Festival di Spoleto, presieduta dallo stesso Ferrara, e perfino il Ministero di Franceschini che l'ha confermato ancora per un triennio?
A noi, però, interessa precisare alcune cose del racconto di Ferrara che non ci sono piaciute e non ci hanno convinto, riguardanti gli anni precedenti la sua gestione, quando a Spoleto eravamo ospiti abituali, per ragioni professionali innanzitutto, ma anche per sentire il profumo che, con il suo stile, l'inventiva, il genio e lo charme diffondeva Menotti, e Ferrara no.
Ferrara ha voluto puntualizzare, anzi contraddire una dichiarazione del fondatore che aveva affermato, sornione, che lui a Spoleto presentava anche spettacoli che non condivideva fino in fondo, per offrire una visione di ciò che accadeva nel mondo. Ferrara ha ribattuto: io non lo farò mai, presento solo spettacoli che mi piacciono.
Poi il riformista Ferrara ha raccontato che quando gli venne fatta la proposta di dirigere Spoleto, egli in cuor suo non aveva nessuna intenzione di accettare, tanto il festival era disastrato economicamente ed artisticamente: una bugia grossa come una casa. Uno che, torna in Italia, dopo gli anni parigini , ed è a spasso, non coglie al volo una simile opportunità di prestigio, una sfida ma ben retribuita, o addirittura non la sollecita, facendosi avanti e proponendosi? Alla fine, vuol far credere Ferrara, la croce l'ha presa ed ha deciso di portarla sulle sue spalle. Occorre riconoscergli, comunque, che dal punto di vista artistico sì è fatto aiutare da due bravissimi cirenei, sempre gli stessi in dieci anni: Bob Wilson e Luca Ronconi, due nomi sacri nell'olimpo della scena.
Già il teatro. Comincia da lì il riformismo di Ferrara. Menotti ospitava sempre : opera, concerti, danza, teatro. Ferrara s'è chiesto quale di queste arti è quella più popolare? E la risposta che si è data è stata: il teatro. E allora ha deciso che il teatro dovesse avere il ruolo più importante nel festival; l'opera la danza e la musica passati in secondo piano. Ma non precisa che il teatro era l'unico campo che egli conosceva e basta, e le successive prime incursioni nel campo dell 'opera gliele ha procurate, per ricambiarlo dell'impiego a Spoleto, Alessio Vlad, all'Opera di Roma.
Come dimentica di ammettere che Menotti frequentava con acume, intuito e competenza tutti questi campi, tanto da pescare in tutto il mondo per Spoleto i giovani artisti appena si affacciavano alla ribalta internazionale, cosa che Ferrara non saprebbe fare e non fa anche per pigrizia e proprio comodo, perchè non gira, non vede, non invita nessuno al di fuori della cerchia delle sue ridotte conoscenze. Lui potrebbe ribattere che andato fino in Cina. Sì, c'era Mattarella.
Poi ha raccontato, mentendo, che lui ha portato a Spoleto i grandi registi ( che sarebbero pochissimi altri oltre i due fissi), mentre Menotti no, dimostrando di non conoscere o non voler riconoscere la storia di Spoleto prima di lui, che ne è una minima parte. E Ken Russel, Luchino Visconti, Carlos Saura - alcuni che ricordiamo in regie d'opera che anche noi abbiamo visto - chi li aveva invitati?
Ferrara ha dovuto operare una rivoluzione generale a Spoleto, come ha raccontato. Via i 'due mondi' dalla dicitura, perché Spoleto è 'di tutto il mondo'; basta con il festival snob e chic di Menotti e via al festival di tutti ecc... ostinamdosi a ricordarci che lui, ogni anno, nei giorni infrasettimanali invita le 'orchestre' dei corpi militari (pure la terminologia ha incerta ed imprecisa. I corpi militari hanno 'bande musicali' o 'fanfare', e semmai 'orchestre di fiati', non 'orchestre').
E la storia dei pochi soldi a disposizione rispetto a quelli, tanti, di Menotti? Anche qui ha omesso di dire che Menotti i soldi sapeva procurarseli con gli sponsor europei ed americani; mentre lui li ha in massima parte dallo Stato ( che non sono pochi, e con apposita legge) ma anche da lungimiranti e generosi mecenati, come Carla Fendi, da poco scomparsa che, per la Spoleto di Ferrara ha fatto molto, istituendo anche un premio a suo nome, andato - indovinate - negli anni scorsi, ad Adriana Asti e a Giorgio Ferrara, e portando al festival il bel mondo di una volta.
Ferrara ha accennato anche alle 'sue' regie d'opera - discutibilissime!!!! - che ora girano il mondo, ha detto - dove sono state riprese?- e che possono, ha aggiunto, andare alla Scala e all'Opera di Roma - ma ci sono andate?- mentre ai tempi di Menotti uno spettacolo nasceva e moriva a Spoleto, con un enorme dispendio di mezzi.
E, più grave di ogni altra cosa, il colpevole, voluto, silenzio su Menotti. Neanche una immagine della sua casa in Piazza Duomo che se non ci avesse pensato una casa olearia delle zona, sarebbe stata venduta ad estranei, e l'archivio del festival disperso.
Ferrara pur di non parlare di Menotti e per non riconoscergli i meriti - infiniti! - ha preferito usare un'altra icona per il festival, il direttore Thomas Schippers che 'era anche bello'- ha sottolineato.
E Menotti, non fosse stato costretto a mettere a capo del festival, negli ultimi anni di vita, quel confusionario del figlio adottivo Francis, sarebbe rimasto l'unico grande vero benefattore della musica e di Spoleto che per questo l'ha incoronato suo 'duca'.
Giunti nell'auditorium ci siamo più volte guardati intorno in cerca di due necessarie e fondamentali presenze alla proiezione: Giuliano Ferrara e Adriana Asti, ma non c'erano né l'uno né l'altra. C'erano, invece, i rispettivi consorti: Giorgio Ferrara, marito della notissima attrice Adriana Asti, e Anselma Dell'Olio, critico cinematografico, presenza fissa nel club notturno di Marzullo, moglie di Giuliano Ferrara. E tanti invitati - ospiti, collaboratori o mecenati del festival - a cominciare dalle sorelle Fendi a Quirino Conti a Corrado Augias, giovanilissimo a dispetto dell'età, al punto da farsi, all'uscita, un giovanile selfie con altri.
Il film, che saltellava, senza logica evidente, da una edizione all'altra da uno spettacolo all'altro, era interamente costruito su immagini di repertorio, alcune risalenti ai primi anni, mai viste, in b/n, ed era tenuto insieme dal racconto, sempre partigiano ed autocelebrativo, a volte anche distorto ed irrispettoso nei confronti del fondatore Menotti, dell'attuale timoniere Giorgio Ferrara, insediato nel suo studio, situato nel complesso del Teatro Nuovo ( ora intitolato a Menotti, almeno quello!), con accesso indipendente in teatro, ove gli era riservato un palco, dal quale seguire il lavoro degli artisti o assistere agli spettacoli: "i quasi duecento che lavorano ogni anno al festival da qui, da questo studio, devono passare".
Una annotazione a margine. Se si legge il lungo l'elenco dei 'produttori' del film-documentario si resta davvero sorpresi, trattandosi di un prodotto costruito quasi esclusivamente su immagini di repertorio vecchie e nuove e quindi da un costo ridotto. perchè allora ha dovuto intervenire con soldi anche la Fondazione del Festival di Spoleto, presieduta dallo stesso Ferrara, e perfino il Ministero di Franceschini che l'ha confermato ancora per un triennio?
A noi, però, interessa precisare alcune cose del racconto di Ferrara che non ci sono piaciute e non ci hanno convinto, riguardanti gli anni precedenti la sua gestione, quando a Spoleto eravamo ospiti abituali, per ragioni professionali innanzitutto, ma anche per sentire il profumo che, con il suo stile, l'inventiva, il genio e lo charme diffondeva Menotti, e Ferrara no.
Ferrara ha voluto puntualizzare, anzi contraddire una dichiarazione del fondatore che aveva affermato, sornione, che lui a Spoleto presentava anche spettacoli che non condivideva fino in fondo, per offrire una visione di ciò che accadeva nel mondo. Ferrara ha ribattuto: io non lo farò mai, presento solo spettacoli che mi piacciono.
Poi il riformista Ferrara ha raccontato che quando gli venne fatta la proposta di dirigere Spoleto, egli in cuor suo non aveva nessuna intenzione di accettare, tanto il festival era disastrato economicamente ed artisticamente: una bugia grossa come una casa. Uno che, torna in Italia, dopo gli anni parigini , ed è a spasso, non coglie al volo una simile opportunità di prestigio, una sfida ma ben retribuita, o addirittura non la sollecita, facendosi avanti e proponendosi? Alla fine, vuol far credere Ferrara, la croce l'ha presa ed ha deciso di portarla sulle sue spalle. Occorre riconoscergli, comunque, che dal punto di vista artistico sì è fatto aiutare da due bravissimi cirenei, sempre gli stessi in dieci anni: Bob Wilson e Luca Ronconi, due nomi sacri nell'olimpo della scena.
Già il teatro. Comincia da lì il riformismo di Ferrara. Menotti ospitava sempre : opera, concerti, danza, teatro. Ferrara s'è chiesto quale di queste arti è quella più popolare? E la risposta che si è data è stata: il teatro. E allora ha deciso che il teatro dovesse avere il ruolo più importante nel festival; l'opera la danza e la musica passati in secondo piano. Ma non precisa che il teatro era l'unico campo che egli conosceva e basta, e le successive prime incursioni nel campo dell 'opera gliele ha procurate, per ricambiarlo dell'impiego a Spoleto, Alessio Vlad, all'Opera di Roma.
Come dimentica di ammettere che Menotti frequentava con acume, intuito e competenza tutti questi campi, tanto da pescare in tutto il mondo per Spoleto i giovani artisti appena si affacciavano alla ribalta internazionale, cosa che Ferrara non saprebbe fare e non fa anche per pigrizia e proprio comodo, perchè non gira, non vede, non invita nessuno al di fuori della cerchia delle sue ridotte conoscenze. Lui potrebbe ribattere che andato fino in Cina. Sì, c'era Mattarella.
Poi ha raccontato, mentendo, che lui ha portato a Spoleto i grandi registi ( che sarebbero pochissimi altri oltre i due fissi), mentre Menotti no, dimostrando di non conoscere o non voler riconoscere la storia di Spoleto prima di lui, che ne è una minima parte. E Ken Russel, Luchino Visconti, Carlos Saura - alcuni che ricordiamo in regie d'opera che anche noi abbiamo visto - chi li aveva invitati?
Ferrara ha dovuto operare una rivoluzione generale a Spoleto, come ha raccontato. Via i 'due mondi' dalla dicitura, perché Spoleto è 'di tutto il mondo'; basta con il festival snob e chic di Menotti e via al festival di tutti ecc... ostinamdosi a ricordarci che lui, ogni anno, nei giorni infrasettimanali invita le 'orchestre' dei corpi militari (pure la terminologia ha incerta ed imprecisa. I corpi militari hanno 'bande musicali' o 'fanfare', e semmai 'orchestre di fiati', non 'orchestre').
E la storia dei pochi soldi a disposizione rispetto a quelli, tanti, di Menotti? Anche qui ha omesso di dire che Menotti i soldi sapeva procurarseli con gli sponsor europei ed americani; mentre lui li ha in massima parte dallo Stato ( che non sono pochi, e con apposita legge) ma anche da lungimiranti e generosi mecenati, come Carla Fendi, da poco scomparsa che, per la Spoleto di Ferrara ha fatto molto, istituendo anche un premio a suo nome, andato - indovinate - negli anni scorsi, ad Adriana Asti e a Giorgio Ferrara, e portando al festival il bel mondo di una volta.
Ferrara ha accennato anche alle 'sue' regie d'opera - discutibilissime!!!! - che ora girano il mondo, ha detto - dove sono state riprese?- e che possono, ha aggiunto, andare alla Scala e all'Opera di Roma - ma ci sono andate?- mentre ai tempi di Menotti uno spettacolo nasceva e moriva a Spoleto, con un enorme dispendio di mezzi.
E, più grave di ogni altra cosa, il colpevole, voluto, silenzio su Menotti. Neanche una immagine della sua casa in Piazza Duomo che se non ci avesse pensato una casa olearia delle zona, sarebbe stata venduta ad estranei, e l'archivio del festival disperso.
Ferrara pur di non parlare di Menotti e per non riconoscergli i meriti - infiniti! - ha preferito usare un'altra icona per il festival, il direttore Thomas Schippers che 'era anche bello'- ha sottolineato.
E Menotti, non fosse stato costretto a mettere a capo del festival, negli ultimi anni di vita, quel confusionario del figlio adottivo Francis, sarebbe rimasto l'unico grande vero benefattore della musica e di Spoleto che per questo l'ha incoronato suo 'duca'.
Spoleto. 60 anni di festival. Film da un'idea di Giorgio Ferrara, da dieci anni direttore
«L’idea di raccontare in un film il Festival di Spoleto, giunto alla sua 60/a edizione, per descriverne il suo inimitabile spirito cosmopolita e multidisciplinare – spiega Giorgio Ferrara – è stata una scelta naturale, come un omaggio dovuto per un anniversario importante, un omaggio alla bellezza dell’arte come nutrimento e cura. Ho affidato alla regia raffinata di Benoît Jacquot e all’esperienza da documentarista di Gérard Caillat il compito di far conoscere ancor meglio la ricchezza della storia di questo Festival, la straordinarietà dei suoi protagonisti, la sua sapiente vocazione che, tra glamour e provocazione, prime teatrali storiche e graffianti interpretazioni d’avanguardia, contribuisce alla crescita e allo scambio culturale del mondo intero. Il montaggio del film, “allegro”, non è mai cronologico. Si naviga senza posa tra il passato e il presente per creare un’armonia tra i materiali d’archivio e le immagini più attuali».
domenica 29 ottobre 2017
Conflitti e raccomandazioni. Giovanni Minoli ne è esente
Sul Corriere di oggi, Aldo Cazzullo vice direttore del giornale di proprietà RCS - Cairo editore! - intervista Giovanni Minoli che, a giorni, torna con il suo programma - alla seconda edizione - su La7- Cairo editore. Il quale può vantare anche un critico televisivo come Aldo Grasso, che nessuno si azzarderebbe a criticare, neppure quando non critica - e come potrebbe? - o critica benevolmente - potrebbe fare altrimenti? - i programmi della tv del suo editore, che un bel gruppetto di suoi giornalisti ha piazzato e piazza in molte trasmissioni a qualunque ora del giorno. E non solo a La 7.
Ma adesso non ci interessa parlare della tv di Cairo o di Grasso, bensì di Giovanni Minoli, l'intervistato speciale del Corriere. Il quale, sollecitato da Cazzullo, racconta - non per la prima volta - la sua storia professionale. Soffermandosi anche su un punto sul quale chissà quante altre volte è stato pizzicato, quello delle raccomandazioni, sia attive che passive.
Dando ad intenderci che lui mai e poi mai si sarebbe fatto raccomandare, smentito da Luigi Gubitosi direttore generale della Rai che dichiarò che non ricordava più, tanto era lungo, l'elenco di coloro che lo avevano raccomandato, prima di incontralo. Lui non si sarebbe mai fatto raccomandare e tutti quelli che lo hanno raccomandato, l'hanno fatto evidentemente, 'a sua insaputa'; e l'essersi sposato con Matilde Bernabei, figlia di uno, Ettore, che non ha mai avuto nessun potere in Italia ed in Rai, non gli è stato mai di aiuto, semmai il contrario. E, proseguendo, forte di questa educazione, lui non ha mai raccomandato a se stesso sua figlia, Giulia, portandosela a lavorare in Rai, come, invece, ha fatto Piero Angela con suo figlio Alberto, che - ammette Minoli - è bravo. Se avesse fatto altrettanto l'avrebbero fucilato sulla pubblica piazza. Un momento.
Sua figlia Giulia, figlia anche di Matilde Bernabei e nipote di Ettore, anche a Lei quel doppio cognome è stato di ostacolo alla carriera, prima che lo rimuovesse, dopo che ha lasciato il tetto di famiglia, Salvo Nastasi, che, invece, essendo anche lui un signor nessuno - come signori 'nessuno' sono Giovanni Minoli, Matilde ed Ettore Bernabei, ha finalmente fatto valere e mettere a frutto le sue capacità, senza bisogno di aiutini. Andiamoci piano.
Giovanni Minoli, in arte 'Mixer', fa entrare nel mondo del lavoro, sua figlia Giulia, in occasione del terremoto aquilano, quando convince l'allora capo della protezione civile, Bertolaso, il quale coinvolge Nastasi, a dare agli aquilani terremotati anche cibo e nutrimento per le loro anime, ottenendo anche che fra le mani incaricate di porgere tale cibo spirituale, ci fosero anche quelle immacolate della giovane Giulia. In quello stesso periodo, ma non ricordiamo con esattezza se prima dopo o durante, la giovane Giulia, preso il volo, fonda una società dal titolo significativo, ma in inglese che però noi traduciamo: ' La crisi è una opportunità'. Inutile ironizzare sui destinatari di tale opportunità, che certamente erano i terremotati ma anche la giovane Minoli.
Le rovine aquilane e la disperazione e disgregazione dei cittadini furono l'occasione perchè Salvo incontrasse Giulia, e Giulia Salvo, i due si innamorassero e successivamente si sposassero, a Filicudi, testimone di nozze Gianni Letta che di Nastasi è padrino riconosciuto. Anche noi fummo testimoni della loro passione aquilana, della quale da subito si accorsero i più assidui frequentatoti dei due in quei giorni.
Una volta preso il volo, Giulia, senza nessun aiuto del padre e della madre e neppure del nonno - mai l'avrebbero aiutata, è contro la loro morale! - al fianco di Nastasi, si afferma come una grande imprenditrice di se stessa, anche attraverso quella sua società. Girerà, in seguito, per i teatri con uno spettacolo di educazione civica, con la regia della brava Emanuela Giordano, che fa parte per suo merito, della corte di Nastasi. Il quale è inviato a Napoli a commissariare il Teatro San Carlo nella bufera (in verità la storia della bufera che aveva investito il San Carlo ha ancora lati oscuri, perchè proprio Nastasi, negli anni di commissariamento, affermava che il sovrintendente Lanza Tomasi, mandato a casa dai venti di bufera, era stato un ottimo o grande addirittura sovrintendente. E se lo diceva lui che aveva guardato nelle pieghe della bufera occorreva credergli!).
Senonchè la sposina Giulia soffre della lontananza del maritino Salvo costretto a Napoli per molto tempo, tutto quello necessario per calmare le acque, che, una volta calmate, non sopportando più la lontananza della mogliettina, e non avendo più tanto da fare, si inventò un Museo del Teatro. Anche qui non si è mai chiarito da dove Nastasi prendesse i soldi per il Museo, visto che era stato mandato a sanare il buco di bilancio del teatro (oltre venti milioni di euro?). Fatto sta che, per non far più soffrire Giulia della lontananza, la chiamò a dirigere il Museo (coordinatrice e responsabile dei progetti speciali).
Da dove era venuta a Giulia la passione per l'arte? Ma come? Da suo padre che era stato nominato dallo stesso ministero dal quale dipendeva Nastasi (ne era direttore generale, in verità) direttore del Museo di Rivoli, in Piemonte?
Comunque Giulia viene assunta al San Carlo con uno stipendio - si disse - di seimila Euro circa mensili, con i quali elle doveva pagarsi viaggi e vitto e alloggio a Napoli, dove la vita costa molto e a lei in tasca restava ben poco.
Senonchè ad un certo punto quella nomina suscitò uno scandalo, per invidia!, e Nastasi amministratore correttissimo e la stessa Giulia, che non aveva certo bisogno di quel lavoro e neppure della raccomandazione del maritino, come anche di quei soldi, essendo ricca di suo, lasciarono Napoli.
Ora , per fortuna nostra e per mettere definitivamente a tacere le chiacchiere, Giulia e Salvo sono a Roma, dove hanno molto da fare con biberon e pappette. Auguri!
Chiuso il capitolo raccomandazioni, Giovanni Minoli apre quello delle sue scoperte da manager e giornalista. L'elenco che sciorina e che lo mette allo stesso livello di Pippo Baudo che in Rai ha scoperto praticamente tutti, termina con Sveva Sagramola, che da oltre vent'anni - sottolinea Minoli - fa da traino, la domenica, al TG 3 serale. Viva Minoli, abbasso le raccomandzioni.
Ma adesso non ci interessa parlare della tv di Cairo o di Grasso, bensì di Giovanni Minoli, l'intervistato speciale del Corriere. Il quale, sollecitato da Cazzullo, racconta - non per la prima volta - la sua storia professionale. Soffermandosi anche su un punto sul quale chissà quante altre volte è stato pizzicato, quello delle raccomandazioni, sia attive che passive.
Dando ad intenderci che lui mai e poi mai si sarebbe fatto raccomandare, smentito da Luigi Gubitosi direttore generale della Rai che dichiarò che non ricordava più, tanto era lungo, l'elenco di coloro che lo avevano raccomandato, prima di incontralo. Lui non si sarebbe mai fatto raccomandare e tutti quelli che lo hanno raccomandato, l'hanno fatto evidentemente, 'a sua insaputa'; e l'essersi sposato con Matilde Bernabei, figlia di uno, Ettore, che non ha mai avuto nessun potere in Italia ed in Rai, non gli è stato mai di aiuto, semmai il contrario. E, proseguendo, forte di questa educazione, lui non ha mai raccomandato a se stesso sua figlia, Giulia, portandosela a lavorare in Rai, come, invece, ha fatto Piero Angela con suo figlio Alberto, che - ammette Minoli - è bravo. Se avesse fatto altrettanto l'avrebbero fucilato sulla pubblica piazza. Un momento.
Sua figlia Giulia, figlia anche di Matilde Bernabei e nipote di Ettore, anche a Lei quel doppio cognome è stato di ostacolo alla carriera, prima che lo rimuovesse, dopo che ha lasciato il tetto di famiglia, Salvo Nastasi, che, invece, essendo anche lui un signor nessuno - come signori 'nessuno' sono Giovanni Minoli, Matilde ed Ettore Bernabei, ha finalmente fatto valere e mettere a frutto le sue capacità, senza bisogno di aiutini. Andiamoci piano.
Giovanni Minoli, in arte 'Mixer', fa entrare nel mondo del lavoro, sua figlia Giulia, in occasione del terremoto aquilano, quando convince l'allora capo della protezione civile, Bertolaso, il quale coinvolge Nastasi, a dare agli aquilani terremotati anche cibo e nutrimento per le loro anime, ottenendo anche che fra le mani incaricate di porgere tale cibo spirituale, ci fosero anche quelle immacolate della giovane Giulia. In quello stesso periodo, ma non ricordiamo con esattezza se prima dopo o durante, la giovane Giulia, preso il volo, fonda una società dal titolo significativo, ma in inglese che però noi traduciamo: ' La crisi è una opportunità'. Inutile ironizzare sui destinatari di tale opportunità, che certamente erano i terremotati ma anche la giovane Minoli.
Le rovine aquilane e la disperazione e disgregazione dei cittadini furono l'occasione perchè Salvo incontrasse Giulia, e Giulia Salvo, i due si innamorassero e successivamente si sposassero, a Filicudi, testimone di nozze Gianni Letta che di Nastasi è padrino riconosciuto. Anche noi fummo testimoni della loro passione aquilana, della quale da subito si accorsero i più assidui frequentatoti dei due in quei giorni.
Una volta preso il volo, Giulia, senza nessun aiuto del padre e della madre e neppure del nonno - mai l'avrebbero aiutata, è contro la loro morale! - al fianco di Nastasi, si afferma come una grande imprenditrice di se stessa, anche attraverso quella sua società. Girerà, in seguito, per i teatri con uno spettacolo di educazione civica, con la regia della brava Emanuela Giordano, che fa parte per suo merito, della corte di Nastasi. Il quale è inviato a Napoli a commissariare il Teatro San Carlo nella bufera (in verità la storia della bufera che aveva investito il San Carlo ha ancora lati oscuri, perchè proprio Nastasi, negli anni di commissariamento, affermava che il sovrintendente Lanza Tomasi, mandato a casa dai venti di bufera, era stato un ottimo o grande addirittura sovrintendente. E se lo diceva lui che aveva guardato nelle pieghe della bufera occorreva credergli!).
Senonchè la sposina Giulia soffre della lontananza del maritino Salvo costretto a Napoli per molto tempo, tutto quello necessario per calmare le acque, che, una volta calmate, non sopportando più la lontananza della mogliettina, e non avendo più tanto da fare, si inventò un Museo del Teatro. Anche qui non si è mai chiarito da dove Nastasi prendesse i soldi per il Museo, visto che era stato mandato a sanare il buco di bilancio del teatro (oltre venti milioni di euro?). Fatto sta che, per non far più soffrire Giulia della lontananza, la chiamò a dirigere il Museo (coordinatrice e responsabile dei progetti speciali).
Da dove era venuta a Giulia la passione per l'arte? Ma come? Da suo padre che era stato nominato dallo stesso ministero dal quale dipendeva Nastasi (ne era direttore generale, in verità) direttore del Museo di Rivoli, in Piemonte?
Comunque Giulia viene assunta al San Carlo con uno stipendio - si disse - di seimila Euro circa mensili, con i quali elle doveva pagarsi viaggi e vitto e alloggio a Napoli, dove la vita costa molto e a lei in tasca restava ben poco.
Senonchè ad un certo punto quella nomina suscitò uno scandalo, per invidia!, e Nastasi amministratore correttissimo e la stessa Giulia, che non aveva certo bisogno di quel lavoro e neppure della raccomandazione del maritino, come anche di quei soldi, essendo ricca di suo, lasciarono Napoli.
Ora , per fortuna nostra e per mettere definitivamente a tacere le chiacchiere, Giulia e Salvo sono a Roma, dove hanno molto da fare con biberon e pappette. Auguri!
Chiuso il capitolo raccomandazioni, Giovanni Minoli apre quello delle sue scoperte da manager e giornalista. L'elenco che sciorina e che lo mette allo stesso livello di Pippo Baudo che in Rai ha scoperto praticamente tutti, termina con Sveva Sagramola, che da oltre vent'anni - sottolinea Minoli - fa da traino, la domenica, al TG 3 serale. Viva Minoli, abbasso le raccomandzioni.
sabato 28 ottobre 2017
Alla scuola italiana serve altro
Continua a rimestare nel torbido anche l'attuale ministro dell'istruzione, Fedeli, per non prendere di petto le uniche pochissime cose di cui la scuola avrebbe veramente bisogno.
L'ultima idiozia di cui si discute è se ad attendere i ragazzi delle medie all'uscita da scuola debba esserci un parente che li prende in consegna., o se possono andare a scuola e tornarsene a casa da soli. Come si è fatto finora? Il problema si pone in egual maniera sia per i paesini che per le città medie o grandi? Occorre che il Parlamento o il Consiglio dei ministri si pronunci anche su questo?
Di recente s'è anche discusso sul tema fondamentale: tablet sì, tablet no, anche in classe - tanto a casa viene usato. Quale utilità avrebbe anche in classe? Non potrebbe isolare gli studenti e renderli impermeabili alla presenza degli insegnanti, e magari anche distrarli, occupandoli in faccende che con la scuola non hanno a che vedere?
E ancora: se portare la scuola secondaria superiore a quattro anni contro gli attuali cinque - per far entrare nel mondo del lavoro prima i giovani. E, contemporaneamente, anche dell'utilità per i giovani di fare esperienza di lavoro già negli anni di studio (gli ultimi, s'intende).
Non parliamo poi dell'introduzione più massiccia dell'inglese, anche a danno dell'italiano che viene sempre meno e peggio parlato e compreso dai giovani, di tutti gli ordini di scuola: dalla primaria all'università. E, in tale occasione, è emersa anche la difficoltà dei giovani di effettuare una sintesi del pensiero, lavoro al quale l'avrebbe disabituato l'antipensiero 'debole' dei messaggi, tramite telefonini. E, di conseguenza, la totale incapacità di dar forma verbale ad un pensiero, anche semplice.
Problemi questi, che a noi sembrano finti e devianti, per non affrontare e risolvere quei pochi problemi, annosi, ben noti a tutti ed irrisolti.
A cominciare dalla sicurezza delle scuole - gli edifici non sono sicuri, ma si attende il morto od un incidente per occuparsene, o far finta di farlo; la vivibilità delle medesime. I nostri ricordi ci fanno pensare con angoscia a quelle aule sporche, mezze diroccate nelle quali ogni giorno i giovani sono costretti ad entrare per passarvi tante ore della loro vita. Come si può sperare che siano ben disposti gli studenti, futuri cittadini, a rispettare i beni comuni, se sono abituati a vederli in quelle condizioni? E poi non è neppure salutare passare ore ed ore in posti cosi brutti. E dotare le scuole di tutti gli strumenti idonei ad agevolare l' istruzione e la formazione,
E, da ultimo, gli insegnanti che sono la vera spina dorsale della formazione dei giovani. Del loro reclutamento nessuno si occupa, a pagarli meglio per ottenere il massimo nessuno si è mai veramente impegnato, nonostante che tutti si riempiano la bocca con vuoti slogan: la scuola, i giovani che rappresentano il nostro futuro sono in cima ai nostri pensieri... A noi, in verità, sembrano sotto i piedi, non in cima ai pensieri di chi governa.
L'ultima idiozia di cui si discute è se ad attendere i ragazzi delle medie all'uscita da scuola debba esserci un parente che li prende in consegna., o se possono andare a scuola e tornarsene a casa da soli. Come si è fatto finora? Il problema si pone in egual maniera sia per i paesini che per le città medie o grandi? Occorre che il Parlamento o il Consiglio dei ministri si pronunci anche su questo?
Di recente s'è anche discusso sul tema fondamentale: tablet sì, tablet no, anche in classe - tanto a casa viene usato. Quale utilità avrebbe anche in classe? Non potrebbe isolare gli studenti e renderli impermeabili alla presenza degli insegnanti, e magari anche distrarli, occupandoli in faccende che con la scuola non hanno a che vedere?
E ancora: se portare la scuola secondaria superiore a quattro anni contro gli attuali cinque - per far entrare nel mondo del lavoro prima i giovani. E, contemporaneamente, anche dell'utilità per i giovani di fare esperienza di lavoro già negli anni di studio (gli ultimi, s'intende).
Non parliamo poi dell'introduzione più massiccia dell'inglese, anche a danno dell'italiano che viene sempre meno e peggio parlato e compreso dai giovani, di tutti gli ordini di scuola: dalla primaria all'università. E, in tale occasione, è emersa anche la difficoltà dei giovani di effettuare una sintesi del pensiero, lavoro al quale l'avrebbe disabituato l'antipensiero 'debole' dei messaggi, tramite telefonini. E, di conseguenza, la totale incapacità di dar forma verbale ad un pensiero, anche semplice.
Problemi questi, che a noi sembrano finti e devianti, per non affrontare e risolvere quei pochi problemi, annosi, ben noti a tutti ed irrisolti.
A cominciare dalla sicurezza delle scuole - gli edifici non sono sicuri, ma si attende il morto od un incidente per occuparsene, o far finta di farlo; la vivibilità delle medesime. I nostri ricordi ci fanno pensare con angoscia a quelle aule sporche, mezze diroccate nelle quali ogni giorno i giovani sono costretti ad entrare per passarvi tante ore della loro vita. Come si può sperare che siano ben disposti gli studenti, futuri cittadini, a rispettare i beni comuni, se sono abituati a vederli in quelle condizioni? E poi non è neppure salutare passare ore ed ore in posti cosi brutti. E dotare le scuole di tutti gli strumenti idonei ad agevolare l' istruzione e la formazione,
E, da ultimo, gli insegnanti che sono la vera spina dorsale della formazione dei giovani. Del loro reclutamento nessuno si occupa, a pagarli meglio per ottenere il massimo nessuno si è mai veramente impegnato, nonostante che tutti si riempiano la bocca con vuoti slogan: la scuola, i giovani che rappresentano il nostro futuro sono in cima ai nostri pensieri... A noi, in verità, sembrano sotto i piedi, non in cima ai pensieri di chi governa.
venerdì 27 ottobre 2017
L'insegnamento della musica nella tempesta. Un'inchiesta del Corriere della Sera.
Dopo aver letto l'inchiesta di oggi sul Corriere, a firma Pierluigi Panza, dal titolo 'LA MUSICA SENZA REGOLE' relativa alla confusione normativa dei cConservatori di Musica, i cui problemi, vecchi e ben noti vanno "dalla babele del reclutamento dei docenti alla mancanza di criteri esterni di valutazione", fino ai "timori per la proposta di legge che prevede l'accorpamento degli istituti" come si legge nell'inchiesta del Corriere, dobbiamo confessare di non aver capito molto, perfino noi che nei Conservatori italiani abbiamo passato una trentina d'anni da insegnante. E temiamo che anche Pierluigi Panza, autore dell'inchiesta, si sia trovato nella nostra stessa situazione, seppure obbligato a spiegare l'attuale situazione.
Ad aumentare la confusione ci ha pensato anche un sindacato, l'UNAMS, che nei Conservatori ha sèguito, e che noi ricordiamo come foriero di guai, ogni volta che è intervenuto, salvo quando è riuscito a strappare qualche aumento salariale; ma, come si sa , l'ultimo data almeno una ventina di anni fa. E nel frattempo che ha fatto?
I guai dei Conservatori - recita la vulgata - sarebbero cominciati quando da pochi che erano in tutta Italia alla fine della seconda guerra mondiale, si sono moltiplicati di numero, più per decisione - a scopo elettorale - dei vari ras politici che per reali necessità, almeno in un primo momento. Ora sono oltre cinquanta quelli statali e quelli non statali una ventina, servono una utenza di allievi pari a quarantamila unità circa, e danno da vivere a 5.400 insegnanti circa. Dunque grandi numeri anche se non grandissimi, e per questo i vari ministri, assolutamente a digiuno della materia, e totalmente disinteressati alla causa, possono giocarseli come vogliono, come del resto stanno tentando anche gli attuali.
All'inizio della loro crescita numerica non rispondevano precisamente ad una richiesta effettiva; ma col tempo la richiesta si è ampliata, un pò per partenogenesi, un pò per inseminazione artificiale indotta e forzosa. Ma anche per un altra ragione. La mancanza di insegnamento musicale nelle scuole, per cui il Conservatorio da scuola di alta specializzazione musicale come era alla sua fondazione, divenne il luogo in cui si davano risposte a tutte le richieste di formazione musicale del paese, a qualunque livello.
Il problema del reclutamento degli insegnanti è diventato col tempo un problema nel problema, a causa dello zampino del sindacato, non UNAMS in questo caso, se ricordiamo bene. E Panza cita il caso di un musicista famoso, come Riccardo Muti, che se volesse insegnare in un Conservatorio forse non avrebbe i titoli; perchè la chiara fama non basta.
Un vero e proprio scandalo si aggiunse, per colpa del sindacato, in questo caso CGIL, sempre che la memoria ci assista. Si svuotarono i Conservatori di validissimi musicisti che esercitavano in orchestra, per il famigerato 'doppio impiego' che avrebbe dovuto essere, al contrario, considerato una 'mano santa' per la stessa ragione per cui veniva vietato, perchè - viene da chiedersi ancora oggi, e ciò vale anche per Muti - come si fa ad insegnare una materia musicale senza aver avuto, in molti casi, nessuna occasione per esercitarla? Insomma chi meglio di Muti potrebbe insegnare, ammesso che lo voglia e che si appassioni all'insegnamento, la direzione d'orchestra? E invece lui non potrebbe essere assunto.
Un esempio. Qualche anno fa, recandoci nella Biblioteca del Conservatorio di S.Cecilia, a Roma, per ragioni di studio, in attesa che ci venisse consegnato un volume, ci siamo fermati a leggere l'elenco degli insegnanti di ruolo di quel Conservatorio. Non ricordiamo un solo nome di musicista in esercizio attivo; nessuno dei tanti bravi musicisti che esercitano in Italia, compariva in quell'elenco. Il problema si pone anche per i direttori degli istituti, eletti fra gli insegnanti dagli insegnanti. Abbiamo sotto gli occhi, e in altre occasioni abbiamo fatto nomi e cognomi, direttori che rappresentano il nulla 'vestito', sia musicalmente che amministrativamente.
E, ciò nonostante, dai Conservatori escono ancora bravi musicisti. Che vuol dire che bravi insegnanti ve ne sono e allievi dotati e impegnati pure. Nonostante i problemi, che non sono finiti.
Poi arrivano i Licei musicali istituti da quel genio di Mariastella Gelmini, un centinaio circa, i quali avrebbero dovuto coprire la prima fascia di studi musicali, dai quali si accedeva poi al Conservatorio che tornava ad essere la scuola 'professionale' in senso stretto. E che ti fa quel genio? Li fa sorgere in molte città in cui esistevano già i Conservatori statali o parificati, mettendo gli uni contro gli altri in aperta concorrenza nell'accaparramento degli allievi. Creando un ulteriore problema, perchè se ai Conservatori fosse stata tolta la 'fascia di studi' inferiore, lasciandovi solo quella superiore (livello universitario) i Conservatori si sarebbero in parte svuotati. Di recente, l'altro genio della Fedeli ha tolto alcuni ore settimanali di insegnamento di 'strumento' nei Licei ad indirizzo musicale, sostituendole con incontri di gruppo fra due o tre studenti, uno dei quali suona e gli altri lo ascoltano e, eventualmente, correggono. Come si fa a dare credito ad un ministro che pensa simili idiozie?
Insomma per l'acume di quel genio ministro, proprio quando si voleva dare un impulso alla formazione e all'insegnamento musicale in Italia si faceva un casino generale.
Gli altrettanti geniali successori della Gelmini, hanno proseguito sulla medesima strada della confusione. Il cammino della riforma non sì è ancor concluso, per la mancanza di molti decreti attuativi e chiarificatori (ad esempio sui 'diplomi' dei Conservatori. diplomi di laurea a tutti gli effetti?) ed ora si parla di un nuova rivoluzione confusionaria e, siamo sicuri, distruttrice. Vogliono accorparli i Conservatori, dimezzandoli nel numero e creando i 'Politecnici della Arti'. La ragione non detta? Per risparmiare quattro soldi, continuando però a riempirsi la bocca con l'impegno pubblico sulla scuola dove si formano i futuri cittadini e professionisti. Da dove hanno importato il format?
Facciamo fatica a capire, come pensiamo abbia fatto anche Pierluigi Panza. A questo punto ci consola solo il fatto che siamo in pensione e con simili rivoluzioni peggiorative non dobbiamo più combattere
Ad aumentare la confusione ci ha pensato anche un sindacato, l'UNAMS, che nei Conservatori ha sèguito, e che noi ricordiamo come foriero di guai, ogni volta che è intervenuto, salvo quando è riuscito a strappare qualche aumento salariale; ma, come si sa , l'ultimo data almeno una ventina di anni fa. E nel frattempo che ha fatto?
I guai dei Conservatori - recita la vulgata - sarebbero cominciati quando da pochi che erano in tutta Italia alla fine della seconda guerra mondiale, si sono moltiplicati di numero, più per decisione - a scopo elettorale - dei vari ras politici che per reali necessità, almeno in un primo momento. Ora sono oltre cinquanta quelli statali e quelli non statali una ventina, servono una utenza di allievi pari a quarantamila unità circa, e danno da vivere a 5.400 insegnanti circa. Dunque grandi numeri anche se non grandissimi, e per questo i vari ministri, assolutamente a digiuno della materia, e totalmente disinteressati alla causa, possono giocarseli come vogliono, come del resto stanno tentando anche gli attuali.
All'inizio della loro crescita numerica non rispondevano precisamente ad una richiesta effettiva; ma col tempo la richiesta si è ampliata, un pò per partenogenesi, un pò per inseminazione artificiale indotta e forzosa. Ma anche per un altra ragione. La mancanza di insegnamento musicale nelle scuole, per cui il Conservatorio da scuola di alta specializzazione musicale come era alla sua fondazione, divenne il luogo in cui si davano risposte a tutte le richieste di formazione musicale del paese, a qualunque livello.
Il problema del reclutamento degli insegnanti è diventato col tempo un problema nel problema, a causa dello zampino del sindacato, non UNAMS in questo caso, se ricordiamo bene. E Panza cita il caso di un musicista famoso, come Riccardo Muti, che se volesse insegnare in un Conservatorio forse non avrebbe i titoli; perchè la chiara fama non basta.
Un vero e proprio scandalo si aggiunse, per colpa del sindacato, in questo caso CGIL, sempre che la memoria ci assista. Si svuotarono i Conservatori di validissimi musicisti che esercitavano in orchestra, per il famigerato 'doppio impiego' che avrebbe dovuto essere, al contrario, considerato una 'mano santa' per la stessa ragione per cui veniva vietato, perchè - viene da chiedersi ancora oggi, e ciò vale anche per Muti - come si fa ad insegnare una materia musicale senza aver avuto, in molti casi, nessuna occasione per esercitarla? Insomma chi meglio di Muti potrebbe insegnare, ammesso che lo voglia e che si appassioni all'insegnamento, la direzione d'orchestra? E invece lui non potrebbe essere assunto.
Un esempio. Qualche anno fa, recandoci nella Biblioteca del Conservatorio di S.Cecilia, a Roma, per ragioni di studio, in attesa che ci venisse consegnato un volume, ci siamo fermati a leggere l'elenco degli insegnanti di ruolo di quel Conservatorio. Non ricordiamo un solo nome di musicista in esercizio attivo; nessuno dei tanti bravi musicisti che esercitano in Italia, compariva in quell'elenco. Il problema si pone anche per i direttori degli istituti, eletti fra gli insegnanti dagli insegnanti. Abbiamo sotto gli occhi, e in altre occasioni abbiamo fatto nomi e cognomi, direttori che rappresentano il nulla 'vestito', sia musicalmente che amministrativamente.
E, ciò nonostante, dai Conservatori escono ancora bravi musicisti. Che vuol dire che bravi insegnanti ve ne sono e allievi dotati e impegnati pure. Nonostante i problemi, che non sono finiti.
Poi arrivano i Licei musicali istituti da quel genio di Mariastella Gelmini, un centinaio circa, i quali avrebbero dovuto coprire la prima fascia di studi musicali, dai quali si accedeva poi al Conservatorio che tornava ad essere la scuola 'professionale' in senso stretto. E che ti fa quel genio? Li fa sorgere in molte città in cui esistevano già i Conservatori statali o parificati, mettendo gli uni contro gli altri in aperta concorrenza nell'accaparramento degli allievi. Creando un ulteriore problema, perchè se ai Conservatori fosse stata tolta la 'fascia di studi' inferiore, lasciandovi solo quella superiore (livello universitario) i Conservatori si sarebbero in parte svuotati. Di recente, l'altro genio della Fedeli ha tolto alcuni ore settimanali di insegnamento di 'strumento' nei Licei ad indirizzo musicale, sostituendole con incontri di gruppo fra due o tre studenti, uno dei quali suona e gli altri lo ascoltano e, eventualmente, correggono. Come si fa a dare credito ad un ministro che pensa simili idiozie?
Insomma per l'acume di quel genio ministro, proprio quando si voleva dare un impulso alla formazione e all'insegnamento musicale in Italia si faceva un casino generale.
Gli altrettanti geniali successori della Gelmini, hanno proseguito sulla medesima strada della confusione. Il cammino della riforma non sì è ancor concluso, per la mancanza di molti decreti attuativi e chiarificatori (ad esempio sui 'diplomi' dei Conservatori. diplomi di laurea a tutti gli effetti?) ed ora si parla di un nuova rivoluzione confusionaria e, siamo sicuri, distruttrice. Vogliono accorparli i Conservatori, dimezzandoli nel numero e creando i 'Politecnici della Arti'. La ragione non detta? Per risparmiare quattro soldi, continuando però a riempirsi la bocca con l'impegno pubblico sulla scuola dove si formano i futuri cittadini e professionisti. Da dove hanno importato il format?
Facciamo fatica a capire, come pensiamo abbia fatto anche Pierluigi Panza. A questo punto ci consola solo il fatto che siamo in pensione e con simili rivoluzioni peggiorative non dobbiamo più combattere
La EUYO abiterà stabilmente in Italia, in due case: una a Ferrara (Teatro Abbado) e l'altra a Roma ( Rai). E' una buona notizia?
Dopo Brexit troverà casa in Italia la European Union Youth Orchestra (Euyo) che trasferirà le sedi operativa e legale nel Teatro Abbado di Ferrara e nel palazzo Rai di via Asiago a Roma. Lo annuncia il ministro della cultura Dario Franceschini, precisando che la prestigiosa orchestra giovanile fondata da Claudio Abbado, nata nel 1976 con una risoluzione del Parlamento europeo e finora basata a Londra, "ha accettato l'offerta del Governo italiano e verrà ospitata nel nostro Paese".
Diretta oggi da Vassily Petrenko, la Euyo è composta da 160 musicisti provenienti dai 28 Paesi dell'Unione europea. In quarant'anni di attività ha formato oltre 3mila allievi e lavorato con i maggiori musicisti internazionali, da Rostropovich a Bernstein, da Barenboim a von Karajan, esibendosi in oltre 400 teatri in quattro continenti. Tra i suoi direttori, il fondatore Claudio Abbado e Vladimir Ashkenazy. La Rai è l'unico sostenitore tra i servizi pubblici Ue e contribuisce alle selezioni nella sede storica della Radio.
Diretta oggi da Vassily Petrenko, la Euyo è composta da 160 musicisti provenienti dai 28 Paesi dell'Unione europea. In quarant'anni di attività ha formato oltre 3mila allievi e lavorato con i maggiori musicisti internazionali, da Rostropovich a Bernstein, da Barenboim a von Karajan, esibendosi in oltre 400 teatri in quattro continenti. Tra i suoi direttori, il fondatore Claudio Abbado e Vladimir Ashkenazy. La Rai è l'unico sostenitore tra i servizi pubblici Ue e contribuisce alle selezioni nella sede storica della Radio.
Renzi, zitto e mosca su Visco, propone Gentiloni e nomina Mattarella
Oggi, come già anticipato, il Consiglio dei Ministri proporrà al Presidente della Repubblica la riconferma per il secondo mandato di Visco a Governatore di Bankitalia, riconferma avversata ferocemente dall'ex zar, Renzi, e dalla sempre zarina, Boschi, che, nelle vesti di Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio parteciperà di diritto alla riunione del gabinetto Gentiloni, e con scorno, neppure tanto dissimulato, dovrà ingoiare la riconferma del Governatore, gradita anche alla BCE di Draghi.
Tale nomina segna lo smarcamento del Presidente Gentiloni dal suo predecessore che, da segretario del partito al governo, intende continuare a fare da balia - fino ad ora, almeno - al suo successore e a dettare legge sull'azione di governo.
Gentiloni ha potuto disubbidire ed ha disubbidito, anche perchè oggi si sente più forte, avendo constatato che il suo gradimento presso i cittadini è abbastanza alto, e comunque molto più alto di Renzi, il quale scalpita. E, non contento dello scompiglio in cui stava gettando, consigliato anche dalla zarina, una delle istituzioni più importanti del paese, ha perso l'occasione di tacere anche dopo la decisione annunciata di Gentiloni, dichiarando che lui Visco non lo avrebbe riconfermato. Ma lui non è, attualmente, Presidente del Consiglio, dunque zitto e mosca!; perchè a nessuno frega sapere che cosa avrebbe fatto lui.
Tale nomina segna lo smarcamento del Presidente Gentiloni dal suo predecessore che, da segretario del partito al governo, intende continuare a fare da balia - fino ad ora, almeno - al suo successore e a dettare legge sull'azione di governo.
Gentiloni ha potuto disubbidire ed ha disubbidito, anche perchè oggi si sente più forte, avendo constatato che il suo gradimento presso i cittadini è abbastanza alto, e comunque molto più alto di Renzi, il quale scalpita. E, non contento dello scompiglio in cui stava gettando, consigliato anche dalla zarina, una delle istituzioni più importanti del paese, ha perso l'occasione di tacere anche dopo la decisione annunciata di Gentiloni, dichiarando che lui Visco non lo avrebbe riconfermato. Ma lui non è, attualmente, Presidente del Consiglio, dunque zitto e mosca!; perchè a nessuno frega sapere che cosa avrebbe fatto lui.
giovedì 26 ottobre 2017
Fratelli d'Italia diventa inno nazionale ufficiale definitivo, proprio mentre nascono diverse spinte autonomiste
All'indomani della seconda guerra mondiale Fratelli d'Italia (testo di Goffredo Mameli, musica di Michele Novaro) fu assunto, anche a seguito dell'uso che se ne cominciò a fare nelle manifestazioni ufficiale, come inno nazionale italiano PROVVISORIO. E tale è rimasto per tutti questi anni, anche dopo che i vari Presidenti della repubblica, e Ciampi più di tutti, hanno dato un grande impulso perchè diventasse, attraverso apposita legge, definitivamente inno nazionale. Senza riuscirci.
Ogni volta che il problema veniva affrontato, come nelle occasioni di concomitanti ricorrenze nazionali legate all'unità del paese, c'era sempre qualche poveretto che non trovava argomento migliore per impegnare le sue ridotte capacità intellettive, se non quello di proporre come alternativa a Fratelli d'Italia, ora O sole mio, ora Va pensiero, e perfino l'ipotesi di domandare ad un musicista vivente di scriverne uno. Sia il testo che la musica ovviamente. Per fortuna che quest'ultima proposta non ha mai avuto sbocco reale, perchè altrimenti avrebbe riacceso il carosello delle discussioni intorno al testo ed alla musica e sarebbero passati, nel frattempo, forse altri settant'anni
Le ipotesi alternative, per fortuna, ma dopo lunghissime discussioni, sono state bocciate da una analisi un pò meno becera delle proposte. Riccardo Muti è intervenuto per far capire a quei sapientoni delle Lega, maggiori ma inconsapevoli sostenitori del coro verdiano, che Va pensiero è un canto di nostalgia di un popolo schiavo in esilio. E a quel punto agli italiani che non lesinano mai autocritiche, il proporci anche agli occhi del mondo come popolo di schiavi, bastonati, ed esiliati, è parso troppo.
O sole mio è stato giustamente accantonato per non perpetuare l'idiota mito dell'Italia paese del sole e degli spaghetti - ma anche della mafia, avrebbero sicuramente aggiunto i nostri cugini vicini e lontani che non perdono occasione per denigrarci - qualche volta non senza ragione.
Dunque l'attenzione si è focalizzata sul tanto vituperato Fratelli d'Italia che alla fine, anche perchè adottato ormai universalmente nel nostro paese, è diventato di fatto l'inno nazionale, il cui riconoscimento nessuno più mette in discussione.
E così ,forse, con il passaggio definitivo al Senato che si attende nelle prossime ore, Fratelli d'Italia diverrà definitivamente, per legge, il nostro Inno nazionale. Si sono dovuti attendere appena una settantina d'anni, durante i quali il Parlamento e l'opinione pubblica ha avuto molto altro da fare.
Il destino, però, ha giocato un bruto scherzo a tale tardiva decisione (ammesso che la legge passi al Senato). E cioè che la sua assunzione definitiva arriva proprio quando cominciano a manifestarsi spinte autonomiste. Hanno cominciato il Veneto e la Lombardia; alle quali rischia di accodarsi anche la Puglia del governatore Emiliano.
E non è da scartare l'idea che quelle regioni un giorno possano chiedere, insieme a tanto altro allo Stato centrale, che Fratelli d'Italia, nelle manifestazioni ufficiali dei rispettivi territori, venga sostituito da O mia bela Madunina o da La biondina in gondoleta. In Italia, mai dire mai, in qualunque settore e per qualunque caso.
Ogni volta che il problema veniva affrontato, come nelle occasioni di concomitanti ricorrenze nazionali legate all'unità del paese, c'era sempre qualche poveretto che non trovava argomento migliore per impegnare le sue ridotte capacità intellettive, se non quello di proporre come alternativa a Fratelli d'Italia, ora O sole mio, ora Va pensiero, e perfino l'ipotesi di domandare ad un musicista vivente di scriverne uno. Sia il testo che la musica ovviamente. Per fortuna che quest'ultima proposta non ha mai avuto sbocco reale, perchè altrimenti avrebbe riacceso il carosello delle discussioni intorno al testo ed alla musica e sarebbero passati, nel frattempo, forse altri settant'anni
Le ipotesi alternative, per fortuna, ma dopo lunghissime discussioni, sono state bocciate da una analisi un pò meno becera delle proposte. Riccardo Muti è intervenuto per far capire a quei sapientoni delle Lega, maggiori ma inconsapevoli sostenitori del coro verdiano, che Va pensiero è un canto di nostalgia di un popolo schiavo in esilio. E a quel punto agli italiani che non lesinano mai autocritiche, il proporci anche agli occhi del mondo come popolo di schiavi, bastonati, ed esiliati, è parso troppo.
O sole mio è stato giustamente accantonato per non perpetuare l'idiota mito dell'Italia paese del sole e degli spaghetti - ma anche della mafia, avrebbero sicuramente aggiunto i nostri cugini vicini e lontani che non perdono occasione per denigrarci - qualche volta non senza ragione.
Dunque l'attenzione si è focalizzata sul tanto vituperato Fratelli d'Italia che alla fine, anche perchè adottato ormai universalmente nel nostro paese, è diventato di fatto l'inno nazionale, il cui riconoscimento nessuno più mette in discussione.
E così ,forse, con il passaggio definitivo al Senato che si attende nelle prossime ore, Fratelli d'Italia diverrà definitivamente, per legge, il nostro Inno nazionale. Si sono dovuti attendere appena una settantina d'anni, durante i quali il Parlamento e l'opinione pubblica ha avuto molto altro da fare.
Il destino, però, ha giocato un bruto scherzo a tale tardiva decisione (ammesso che la legge passi al Senato). E cioè che la sua assunzione definitiva arriva proprio quando cominciano a manifestarsi spinte autonomiste. Hanno cominciato il Veneto e la Lombardia; alle quali rischia di accodarsi anche la Puglia del governatore Emiliano.
E non è da scartare l'idea che quelle regioni un giorno possano chiedere, insieme a tanto altro allo Stato centrale, che Fratelli d'Italia, nelle manifestazioni ufficiali dei rispettivi territori, venga sostituito da O mia bela Madunina o da La biondina in gondoleta. In Italia, mai dire mai, in qualunque settore e per qualunque caso.
mercoledì 25 ottobre 2017
Denunciamo AMA, Virginia Raggi e Pinuccia Montanari per la monnezza Roma
Ogni giorno passando nelle vicinanze di via Diego Fabbri ( dove si trovano gli Uffici INAIL) e DE' Stefani, che affacciano sulla Nomentana, all'altezza del mercato rionale coperto, non posso non notare come lo slargo dove sono stati posizionati i cassonetti per la raccolta dei rifiuti, siano diventati il regno di piccioni, gabbiani e topi. I cassonetti, rotti e schifosi, puzzolenti, sono pieni fino all'orlo e vomitano monnezza; tutt'intorno ancora monnezza, al punto che forse i camion che devono effettuare la raccolta - E NON LA EFFETTUANO DA TEMPO - si troverebbero nella impossibilità di effettuare la raccolta non potendosi avvicinare ai cassonetti come dovrebbero.
Ma cumuli di immondizia e rifiuti di ogni genere che si vedono normalmente dappertutto, sono di quantità superiore nelle vicinanze di esercizi commerciali di generi alimentari e di ristoranti e trattorie.
Insomma, comunque la si gira, Roma è diventata il regno della immondizia. Mentre i grillini, interpellati sull'argomento, continuano a dire: ma dove eravate, voi romani, negli anni precedenti il nostro governo? Vivevate in Svizzera? No, Raggi e Montanari, vivevamo sempre a Roma, ma uno schifo come in questi mesi non sì era mai visto neppure durante le peggiori amministrazioni capitoline.
Adesso voi direttamente, e i vostri supporter indirettamente, ci venite a dire che state lavorando e che nel giro di TRE ANNI l'emergenza rifiuti non ci sarà più.
Si, forse, anche se non vi crediamo. Ma, nel frattempo - ci preme chiedervi - cosa facciamo,anzi cosa fate con i rifiuti, ce li teniamo? Intanto noi vi denunciamo. E vorremmo che tutti i cittadini di Roma lo facessero. Prima alle autorità sanitarie, poi alla polizia ed infine alla magistratura.
DENUNCIAMOLI!
Ma cumuli di immondizia e rifiuti di ogni genere che si vedono normalmente dappertutto, sono di quantità superiore nelle vicinanze di esercizi commerciali di generi alimentari e di ristoranti e trattorie.
Insomma, comunque la si gira, Roma è diventata il regno della immondizia. Mentre i grillini, interpellati sull'argomento, continuano a dire: ma dove eravate, voi romani, negli anni precedenti il nostro governo? Vivevate in Svizzera? No, Raggi e Montanari, vivevamo sempre a Roma, ma uno schifo come in questi mesi non sì era mai visto neppure durante le peggiori amministrazioni capitoline.
Adesso voi direttamente, e i vostri supporter indirettamente, ci venite a dire che state lavorando e che nel giro di TRE ANNI l'emergenza rifiuti non ci sarà più.
Si, forse, anche se non vi crediamo. Ma, nel frattempo - ci preme chiedervi - cosa facciamo,anzi cosa fate con i rifiuti, ce li teniamo? Intanto noi vi denunciamo. E vorremmo che tutti i cittadini di Roma lo facessero. Prima alle autorità sanitarie, poi alla polizia ed infine alla magistratura.
DENUNCIAMOLI!
Il Fatto Quotidiano anticipa il nuovo libro di Tomaso Montanari e Vincenzo Trione: CONTRO LE MOSTRE. E contro la Biennale guidata da Baratta
Fa bene il quotidiano diretto da Travaglio a pubblicare alcuni estratti del nuovo libro a firma Montanari-Trione, dedicato lal mondo dell'arte, dal significativo e chiarissimo titolo Contro le mostre.
Dove si comincia dall'analisi impietosa di Mario Vargas Llosa della Biennale veneziana, che, da qualche anno, accoglie "molta più frode e imbroglio, che serietà,che profondità", offrendo uno spettacolo talvolta "noioso, addirittura "farsesco e desolato", rivelando la " terribile orfanità di idee, di cultura... di abilità artigianale, di autenticità, di integrità, che caratterizza buona parte dell'attività artistica di oggi".
Strano verrebbe da dire a Vargas Llosa, se poi tanti giornalisti, anche autorevoli, addirittura mitici, autentici monumenti - e penso alla Aspesi , tanto per fare un nome, ma non è l'unica - si prodigano in panegirici delle mostre, dei suoi direttori, e del suo suo presidente, Paolo Baratta, riconfermato per troppe volte dai ministri della sua stessa compagnia di giro, nonostante che lo Statuto preveda che il presidente non possa andare oltre i due mandati, e Baratta è invece al quarto o quinto.
Penserete: che c'entra il presidente con i direttori delle sezioni e con i loro progetti? C'entra perchè i direttori li nomina lui, e all'unisono con loro è responsabile dei progetti. Ed è responsabile al punto che pur essendo arrivato ancora ad un'altra scadenza del suo mandato, l'ennesima, ha prorogato i direttori di alcune sezioni, nel timore che il suo successore ne nomini altri; e si è spinto anche a nominarne di nuovi anche per gli anni in cui non ci dovrebbe essere più lui a guidare la istituzione veneziana.
Inutile sottolineare che Baratta gode del favore e della copertura di Franceschini, con il quale - ed anche forse con Renzi - è perfettamente allineato ideologicamente, e diciamo, più banalmente, anche politicamente.
Noi andiamo scrivendo da molto tempo, senza entrare nel merito che lasciamo a chi, come Montanari se ne intende più di noi, che un paese di sessanta milioni di abitanti che non riesce a trovare un sostituto di Baratta, come di altri dinosauri che scorrazzano nei territori della cultura da troppi anni, quando si sa che la permanenza a lungo in uno stesso incarico per molti anni genera molti vizi e nessuna virtù - non è un paese normale.
Ma, evidentemente, le ragioni per cui Baratta non lo si fa schiodare da Venezia sono tante e più convincenti di quelle che consiglierebbero un normale avvicendamento. E Montanari scrive, a proposito, che lui e Franceschini di favori vicendevoli se ne fanno. Baratta ha presieduto le commissioni per la scelta dei direttori dei musei italiani più importanti. Criticatissime per il sistema con cui sono avvenute le selezioni, al punto che l'espertissimo Baratta, ha dichiarato idonei facendoli poi insediare da Franceschini, studiosi che, prima di giungere in Italia, non avevano avuto altrove e in nessun altro caso esperienze di lavoro in istituzioni di pari grado o addirittura di grado superiore. Insomma Baratta, lascia intendere Montanari, d'accordo con Franceschini, ha promosso persone con titoli ed esperienze NON adeguati. Perchè? Vallo a sapere... ma forse un giorno lo si saprà.
Del resto della tecnica di nomina che se ne fotte di capacità, professionalità ed esperienza, il ministero di Franceschini (e dei suoi predecessori), è maestro. Basta scorrere i nomi dei componenti le commissioni consultive dei vari settori del Ministero per averne una prova lampante. Il Ministero fa un bando e poi fra coloro che hanno inviato il curriculum nomina quelli meno idonei ma più docili e succubi. E, per questo, la mancanza di esperienza, di professionalità e della capacità di giudizio diventano punti a loro favore.
La giusta risposta a tale promozione immeritata l'ha data di recente il direttore del più importante museo italiano, gli Uffizi di Firenze, il quale ha già annunciato che alla fine del suo mandato triennale - che sarà nel 2019 (?) - lascerà Firenze per andare a dirigere il Museo statale di Vienna, certamente meno importante degli Uffizi.
E così quel direttore degli Uffizi, 'graziato' da Baratta e Franceschini, gli volta le spalle e se ne va: giusta ricompensa che ben gli sta!
Dove si comincia dall'analisi impietosa di Mario Vargas Llosa della Biennale veneziana, che, da qualche anno, accoglie "molta più frode e imbroglio, che serietà,che profondità", offrendo uno spettacolo talvolta "noioso, addirittura "farsesco e desolato", rivelando la " terribile orfanità di idee, di cultura... di abilità artigianale, di autenticità, di integrità, che caratterizza buona parte dell'attività artistica di oggi".
Strano verrebbe da dire a Vargas Llosa, se poi tanti giornalisti, anche autorevoli, addirittura mitici, autentici monumenti - e penso alla Aspesi , tanto per fare un nome, ma non è l'unica - si prodigano in panegirici delle mostre, dei suoi direttori, e del suo suo presidente, Paolo Baratta, riconfermato per troppe volte dai ministri della sua stessa compagnia di giro, nonostante che lo Statuto preveda che il presidente non possa andare oltre i due mandati, e Baratta è invece al quarto o quinto.
Penserete: che c'entra il presidente con i direttori delle sezioni e con i loro progetti? C'entra perchè i direttori li nomina lui, e all'unisono con loro è responsabile dei progetti. Ed è responsabile al punto che pur essendo arrivato ancora ad un'altra scadenza del suo mandato, l'ennesima, ha prorogato i direttori di alcune sezioni, nel timore che il suo successore ne nomini altri; e si è spinto anche a nominarne di nuovi anche per gli anni in cui non ci dovrebbe essere più lui a guidare la istituzione veneziana.
Inutile sottolineare che Baratta gode del favore e della copertura di Franceschini, con il quale - ed anche forse con Renzi - è perfettamente allineato ideologicamente, e diciamo, più banalmente, anche politicamente.
Noi andiamo scrivendo da molto tempo, senza entrare nel merito che lasciamo a chi, come Montanari se ne intende più di noi, che un paese di sessanta milioni di abitanti che non riesce a trovare un sostituto di Baratta, come di altri dinosauri che scorrazzano nei territori della cultura da troppi anni, quando si sa che la permanenza a lungo in uno stesso incarico per molti anni genera molti vizi e nessuna virtù - non è un paese normale.
Ma, evidentemente, le ragioni per cui Baratta non lo si fa schiodare da Venezia sono tante e più convincenti di quelle che consiglierebbero un normale avvicendamento. E Montanari scrive, a proposito, che lui e Franceschini di favori vicendevoli se ne fanno. Baratta ha presieduto le commissioni per la scelta dei direttori dei musei italiani più importanti. Criticatissime per il sistema con cui sono avvenute le selezioni, al punto che l'espertissimo Baratta, ha dichiarato idonei facendoli poi insediare da Franceschini, studiosi che, prima di giungere in Italia, non avevano avuto altrove e in nessun altro caso esperienze di lavoro in istituzioni di pari grado o addirittura di grado superiore. Insomma Baratta, lascia intendere Montanari, d'accordo con Franceschini, ha promosso persone con titoli ed esperienze NON adeguati. Perchè? Vallo a sapere... ma forse un giorno lo si saprà.
Del resto della tecnica di nomina che se ne fotte di capacità, professionalità ed esperienza, il ministero di Franceschini (e dei suoi predecessori), è maestro. Basta scorrere i nomi dei componenti le commissioni consultive dei vari settori del Ministero per averne una prova lampante. Il Ministero fa un bando e poi fra coloro che hanno inviato il curriculum nomina quelli meno idonei ma più docili e succubi. E, per questo, la mancanza di esperienza, di professionalità e della capacità di giudizio diventano punti a loro favore.
La giusta risposta a tale promozione immeritata l'ha data di recente il direttore del più importante museo italiano, gli Uffizi di Firenze, il quale ha già annunciato che alla fine del suo mandato triennale - che sarà nel 2019 (?) - lascerà Firenze per andare a dirigere il Museo statale di Vienna, certamente meno importante degli Uffizi.
E così quel direttore degli Uffizi, 'graziato' da Baratta e Franceschini, gli volta le spalle e se ne va: giusta ricompensa che ben gli sta!
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lunedì 23 ottobre 2017
Tony Pappano, ancora ragazzo, da Londra si trasferì a Bridgeport, negli USA. Nessuno lo sapeva, prima che ce lo rivelasse - OGGI - Valerio Cappelli
Valerio Cappelli, valente firma del Corriere, ci racconta da tempo tutte le tournée dell'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia guidata da Pappano. E' da tutti noi riconosciuto ufficialmente come il giornalista italiano 'al seguito', sia a Roma che nel mondo, dell' Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia. Le cui vicende e gesta, da quando Pappano è arrivato a Roma, nel 2005 ( ma a partire dal 2003 le sue presenze s'erano già fatte frequenti) ha raccontato in centinaia, forse migliaia di articoli - se consideriamo che sono trascorsi una quindicina d'anni.
E' evidente che non c'è niente più di Pappano che i suoi lettori del Corriere non sappiamo. Vero, e però lui trova ogni volta qualcosa di nuovo da rivelare.
In questi giorni Pappano con l'Orchestra ceciliana è in USA, dove mancava da quasi mezzo secolo, e Cappelli con loro. Li ha ascoltati alla Carnegie Hall, ha sentito gli applausi americani - chissà se hanno un suono diverso da quelli italiani; forse Cappelli ce lo dirà nella prossima corrispondenza - e ha visto una luce spendere sul viso di Pappano che tornando a New York è come se fosse tornato a casa - lui di patrie ne ha ormai almeno tre: Italia, Inghilterra, America. Lì ha potuto incontrare anche sua madre che, anche dopo la morte del marito, è voluta restare a vivere dove ha trascorso gran parte della sua vita.
Ma Cappelli ha colto l'occasione ' americana' per raccontarci, per la prima volta, la storia dell'emigrazione in America della famiglia Pappano, originaria del beneventano trasferitasi a Londra, con la puntualità e la precisione del grande narratore, Cappelli, finalmente, ci ha detto tutto, per filo e per segno, quando, perché, e dove sul trasferimento americano.
Trattandosi di un racconto mai udito nè letto prima, Cappelli gli ha dedicato buona parte della sua corrispondenza da New York, lasciando che i lettori immaginassero il resto - tanto quello si conosceva in anticipo: calorosa accoglienza, applausi interminabili, richiesta di bis 'O sole mio'. Che Pappano ha subito concesso sedendosi al pianoforte.
E se questo, Cappelli non lo racconta per filo e per segno, per noi fa lo stesso; mentre per il racconto della vita di Pappano, prima che diventasse quel direttore che è, e che andava raccontato con tutti i particolari, trattandosi di una prima volta, noi lo ringraziamo di cuore.
domenica 22 ottobre 2017
Viaggio in USA di Beppe Severgnini alla ricerca dei giornali perduti
Beppe Severgnini nell'articolo di copertina del Sette, che dirige, ci racconta del suo viaggio in Usa - dove comunque è di casa e le cose che scrive le conosceva anche prima di attraversare l'oceano - alla scoperta dei giornali 'perduti'. Delle copie cartacee della stampa quotidiana che battono in ritirata, mentre avanzano quelle elettroniche digitali, computabili attraverso gli abbonamenti. Dice anche della convinzione di alcuni, secondo i quali la carta stampata è destinata a scomparire, a favore della sua sorella elettronica , e denuncia il caso ben noto del calo anche della pubblicità sulla medesima stampa cartacea. Fin qui l'America.
E in Italia? Nel giro di una decina d'anni i lettori giornalieri della stampa quotidiana si sono letteralmente dimezzati negli ultimi dieci anni - da 4 milioni circa a 2 - e calata è anche la pubblicità sulla carta stampata, a favore di tv ed altri mezzi di comunicazione, mentre dal governo si vuole mettere un freno a tale ultimo calo con un credito di imposta, a certe condizioni, per la pubblicità sulla carta stampata. Ciò che oggi differenzia l'Italia dall 'America per la situazione dei giornali , è che da noi la perdita delle copie cartacee vendute non è stata compensata dagli abbonamenti digitali agli stessi.
Italia o America, che ne sarà della stampa fra dieci anni, si domanda il celebre giornalista? La copie digitali, in abbonamento, cresceranno, senza dubbio, quelle cartacee diminuiranno e via dicendo fino a scomparire del tutto? Su questa previsione catastrofica sono in tanti - e noi, modestamente, fra questi - a nutrire dubbi. Unendoci a quanti già negli anni scorsi profetizzavano la morte del libro cartaceo, e il dominio assoluto di quello digitale, e quella loro catastrofica profezia non s'è avverata.
perchè il libro cartaceo ha pregi e caratteristiche che difficilmente potranno essere rimpiazzati da altri mezzi.
Sarà - o potrebbe essere - la stessa cosa per i giornali? Forse, ma ad una condizione, conclude Severgnini, dopo aver esaminato con cura ed acume la differenza fra chi si informa attraverso la lettura dei giornali e chi ricorre alla rete per procurarsi l'informazione che gli serve in quel momento e basta. Il lettore dei giornali - che certamente non ha il massimo di percentuale fra i giovani - è una persona che si informa sul come va il mondo, anche su questioni che la momento sembrano non riguardarci, per arrivare poi a coltivare ed approfondire ciò verso cui ha interessi personali ed professionali.
Insomma, comunque la si metta, il lettore dei giornali cartacei è persona più colta, più responsabile, più matura di chi applica all'informazione la stessa logica e impiega i medesimi tempi del cosiddetto 'mangiar veloce ', per dirla all'italiana.
La condizione che Severgnini individua come fondamentale per la sopravvivenza dei giornali cartacei è la loro UTILITA' . Se i giornali si incammineranno per la strada che li allontana sempre più dagli interessi dei lettori, sia per gli argomenti trattai che per il modo in cui lo fanno, la scomparsa dei giornali, pur lenta, sarà inevitabile e sicura. E già da oggi i giornali devono fare attenzione a coltivare ed accrescere la loro utilità.
Non come hanno fatto nelle passate settimane due importanti testate in un settore che noi per ragioni professionali seguiamo da sempre molto da vicino, quello della musica.
Nella stessa giornata di domenica 15 c.m. L'Espresso e Repubblica hanno pubblicato due interviste a due note star del mondo musicale, ambedue inutili e viziate nel fondo. L'Espresso, a firma Lenzi, una intervista a Cecilia Bartoli, nelle quale oltre la solita canzona sulla sua assenza dall'Italia ed altre banalità, mista anche a qualche evidente falsità, ci informa che sta uscendo un suo nuovo disco - che è poi l'unica ragione dell'intervista, che ha avuto luogo seguendo questa banale trafila. La casa discografica della diva chiama il giornalista per annunciare l'uscita del disco, sperando che il giornalista si appassioni alla grande rivoluzionaria novità e decida di dedicare all'artefice qualche pagina. Il giornalista abbocca (ubbidisce) e la Bartoli può raccontare all'assorto, avido lettore, per filo e per segno, quel che ci voleva dire sul nuovo disco, e nient'altro. A noi, che aggrappandoci a tutte le nostre forze, siamo arrivati fino alla fine nella lettura, ci ha solo procurato qualche sbadiglio, perchè la notizia dell'uscita del nuovo disco non ci appassiona affatto, nè ci interessa come invece interessa sia alla Bartoli che alla sua casa discografica.
Anni fa provammo un giorno a telefonare alla casa discografica della Bartoli per manifestare la nostra volontà di intervistarla, senza che ci fosse la spinta dell'uscita di un nuovo disco o di una sua pur rara tournée in Italia, per la quale, diversamente da sempre, trova il tempo se deve reclamizzare un nuovo disco. Passarono la nostra richiesta alla Bartoli, e la sua risposta fu no.Secco. Le ragioni le lasciamo immaginare.
Ma domenica scorsa anche Repubblica ha pubblicato una lunga intervista di Gnoli a Pappano, alla vigilia della tournée con la sua orchestra in America, che si sta svolgendo proprio in questi giorni.
Pappano, sollecitato da Gnoli che molte volte ci offre interviste che leggiamo con grande interesse, racconta per l'ennesima volta la storia da 'libro cuore' della sua infanzia e del suo ingresso nel mondo della musica, patrocinata da suo padre che si era trasferito in Inghilterra dal Beneventano, dove aveva lavorato come cameriere ma coltivando sempre la sua passione per il canto che aveva iniettato nel figlio.
La sua storia, precedente ai suoi successi - la gavetta, la povertà, la passione e l'impegno - Pappano l'ha raccontata già infinite volte, e poi, a noi è ben nota avendo scritto del celebre direttore la prima biografia, ormai dieci anni fa. Dunque nessuna ragione di novità per raccontarla ancora una volta oggi ai lettori di giornali che la conoscono anche loro abbastanza bene, anche se non come noi.
Ma allora perchè fondare per intero l'intervista su quel lacrimevole, e pur veritiero, racconto? Se Gnoli ci dicesse che quel racconto era, comunque anche se non nuovo, di grande effetto o che nulla di nuovo o di altrettanto interessante aveva Pappano a raccontare, non gli diremmo: perchè allora intervistarlo? Per dirci della tournée americana bastava un semplice trafiletto o un articolino.
Ecco se anche giornali importanti proseguono sulla strada dell' inutile, forse anche noi, lettori accaniti e fedelissimi, potremmo deciderci a smettere, fin d'ora, di comprare ogni giorno, come facciamo da oltre trent'anni, dai due ai tre giornali. In questo siamo d'accordo con Severgnini.
E in Italia? Nel giro di una decina d'anni i lettori giornalieri della stampa quotidiana si sono letteralmente dimezzati negli ultimi dieci anni - da 4 milioni circa a 2 - e calata è anche la pubblicità sulla carta stampata, a favore di tv ed altri mezzi di comunicazione, mentre dal governo si vuole mettere un freno a tale ultimo calo con un credito di imposta, a certe condizioni, per la pubblicità sulla carta stampata. Ciò che oggi differenzia l'Italia dall 'America per la situazione dei giornali , è che da noi la perdita delle copie cartacee vendute non è stata compensata dagli abbonamenti digitali agli stessi.
Italia o America, che ne sarà della stampa fra dieci anni, si domanda il celebre giornalista? La copie digitali, in abbonamento, cresceranno, senza dubbio, quelle cartacee diminuiranno e via dicendo fino a scomparire del tutto? Su questa previsione catastrofica sono in tanti - e noi, modestamente, fra questi - a nutrire dubbi. Unendoci a quanti già negli anni scorsi profetizzavano la morte del libro cartaceo, e il dominio assoluto di quello digitale, e quella loro catastrofica profezia non s'è avverata.
perchè il libro cartaceo ha pregi e caratteristiche che difficilmente potranno essere rimpiazzati da altri mezzi.
Sarà - o potrebbe essere - la stessa cosa per i giornali? Forse, ma ad una condizione, conclude Severgnini, dopo aver esaminato con cura ed acume la differenza fra chi si informa attraverso la lettura dei giornali e chi ricorre alla rete per procurarsi l'informazione che gli serve in quel momento e basta. Il lettore dei giornali - che certamente non ha il massimo di percentuale fra i giovani - è una persona che si informa sul come va il mondo, anche su questioni che la momento sembrano non riguardarci, per arrivare poi a coltivare ed approfondire ciò verso cui ha interessi personali ed professionali.
Insomma, comunque la si metta, il lettore dei giornali cartacei è persona più colta, più responsabile, più matura di chi applica all'informazione la stessa logica e impiega i medesimi tempi del cosiddetto 'mangiar veloce ', per dirla all'italiana.
La condizione che Severgnini individua come fondamentale per la sopravvivenza dei giornali cartacei è la loro UTILITA' . Se i giornali si incammineranno per la strada che li allontana sempre più dagli interessi dei lettori, sia per gli argomenti trattai che per il modo in cui lo fanno, la scomparsa dei giornali, pur lenta, sarà inevitabile e sicura. E già da oggi i giornali devono fare attenzione a coltivare ed accrescere la loro utilità.
Non come hanno fatto nelle passate settimane due importanti testate in un settore che noi per ragioni professionali seguiamo da sempre molto da vicino, quello della musica.
Nella stessa giornata di domenica 15 c.m. L'Espresso e Repubblica hanno pubblicato due interviste a due note star del mondo musicale, ambedue inutili e viziate nel fondo. L'Espresso, a firma Lenzi, una intervista a Cecilia Bartoli, nelle quale oltre la solita canzona sulla sua assenza dall'Italia ed altre banalità, mista anche a qualche evidente falsità, ci informa che sta uscendo un suo nuovo disco - che è poi l'unica ragione dell'intervista, che ha avuto luogo seguendo questa banale trafila. La casa discografica della diva chiama il giornalista per annunciare l'uscita del disco, sperando che il giornalista si appassioni alla grande rivoluzionaria novità e decida di dedicare all'artefice qualche pagina. Il giornalista abbocca (ubbidisce) e la Bartoli può raccontare all'assorto, avido lettore, per filo e per segno, quel che ci voleva dire sul nuovo disco, e nient'altro. A noi, che aggrappandoci a tutte le nostre forze, siamo arrivati fino alla fine nella lettura, ci ha solo procurato qualche sbadiglio, perchè la notizia dell'uscita del nuovo disco non ci appassiona affatto, nè ci interessa come invece interessa sia alla Bartoli che alla sua casa discografica.
Anni fa provammo un giorno a telefonare alla casa discografica della Bartoli per manifestare la nostra volontà di intervistarla, senza che ci fosse la spinta dell'uscita di un nuovo disco o di una sua pur rara tournée in Italia, per la quale, diversamente da sempre, trova il tempo se deve reclamizzare un nuovo disco. Passarono la nostra richiesta alla Bartoli, e la sua risposta fu no.Secco. Le ragioni le lasciamo immaginare.
Ma domenica scorsa anche Repubblica ha pubblicato una lunga intervista di Gnoli a Pappano, alla vigilia della tournée con la sua orchestra in America, che si sta svolgendo proprio in questi giorni.
Pappano, sollecitato da Gnoli che molte volte ci offre interviste che leggiamo con grande interesse, racconta per l'ennesima volta la storia da 'libro cuore' della sua infanzia e del suo ingresso nel mondo della musica, patrocinata da suo padre che si era trasferito in Inghilterra dal Beneventano, dove aveva lavorato come cameriere ma coltivando sempre la sua passione per il canto che aveva iniettato nel figlio.
La sua storia, precedente ai suoi successi - la gavetta, la povertà, la passione e l'impegno - Pappano l'ha raccontata già infinite volte, e poi, a noi è ben nota avendo scritto del celebre direttore la prima biografia, ormai dieci anni fa. Dunque nessuna ragione di novità per raccontarla ancora una volta oggi ai lettori di giornali che la conoscono anche loro abbastanza bene, anche se non come noi.
Ma allora perchè fondare per intero l'intervista su quel lacrimevole, e pur veritiero, racconto? Se Gnoli ci dicesse che quel racconto era, comunque anche se non nuovo, di grande effetto o che nulla di nuovo o di altrettanto interessante aveva Pappano a raccontare, non gli diremmo: perchè allora intervistarlo? Per dirci della tournée americana bastava un semplice trafiletto o un articolino.
Ecco se anche giornali importanti proseguono sulla strada dell' inutile, forse anche noi, lettori accaniti e fedelissimi, potremmo deciderci a smettere, fin d'ora, di comprare ogni giorno, come facciamo da oltre trent'anni, dai due ai tre giornali. In questo siamo d'accordo con Severgnini.
sabato 21 ottobre 2017
Un partito di sinistra (PD) ed il suo segretario (Renzi) non possono stare dalla parte dei banchieri, ma dei consumatori. Ma anche dei cattivi amministratori e dei ladri?
Ha ragione Renzi, ed il suo partito con lui, quando dice che la sinistra non può stare dalla parte dei banchieri, ma da quella dei consumatori; e rivendica, con i decreti del suo governo, di aver salvato - il salvabile - dei risparmi dei piccoli investitori truffati ed imbrogliati dalle banche. E si spera che prosegua su questa strada.
Ma del crac delle banche, compresa Banca Etruria, quella nella quale è stato Vice presidente il padre della sottosegretaria Boschi, Renzi ( Maria Elena Boschi) e il suo partito non possono incolpare Visco e la Banca d'Italia per omessa o negligente vigilanza. Perchè, nel caso la Banca centrale fosse stata negligente, o quanto meno indulgente, verso i banchieri, non si può non ammettere che gli imbrogli e i furti, veri e propri, siano stati perpetrati dai banchieri a danno dei consumatori e risparmiatori, non da Bankitalia.
E allora perchè quella mozione di sfiducia - in seconda battuta ridotta a 'lecita espressione di parere o di critica' - nei confronti di Banca Italia e del governatore Visco, alla vigilia della scadenza del suo mandato, quando tutto lasciava prevedere che sarebbe stato riconfermato dal Governo e dal Presidente Mattarella?
C'entra qualcosa in questa accelerazione di sfiducia la sottosegretaria Boschi che, a detta del Fatto Quotidiano è l'estensore materiale di quella mozione, definita da molti atto irresponsabile e forse anche vendetta personale della Boschi contro Visco, a causa della Banca del papà?
Può una giovane sottosegretaria creare problemi ad una delle istituzioni più prestigiose e di garanzia del nostro paese? Perchè adesso, dopo quella mozione di sfiducia, ogni cosa riguardante la Banca d'Italia ed anche il suo prestigio internazionale potrebbe essere messa in discussione..
Se il Governo e Mattarella confermassero Visco, lo metterebbero in una situazione di vulnerabilità, nella quale, dato il suo ruolo non potrebbe tirare avanti a lungo; se non lo confermassero, tutti direbbero che Governo e Mattarella sono stati ostaggio della 'zarina', la vendicatrice Boschi, assecondata da Renzi che, pur scalzato dal suo trono, continua a regnare per mezzo di Gentiloni.
Una lettura 'benevola' ed 'annacquata' della mozione, con la quale si intende discolpare la Boschi da una responsabilità che Lei evidentemente ha più di tutti, la considera come il modo per non farsi scavalcare dai Cinquestelle che hanno presentato analoga mozione di sfiducia per Visco e la sua riconferma.
Come se ne esce? Non è facile immaginare una via di uscita. Al momento onorevole soprattutto per Visco il cui mandato scade fra pochi giorni.. Mentre una via d'uscita che rimetta ordine ed equilibrio fra i poteri ci sarebbe se la si volesse percorrere: Maria Elena Boschi riconosce il suo tragico errore e si dimette, subito, senza attendere neanche un minuto.
La Commissione parlamentare indaga svelta sul crac, ascolta Visco, legge i documenti che la Banca d'Italia le ha fornito a prova della sua non omessa vigilanza - e quindi discolpa sia il Governatore che Bankitalia - e condanna, anche in solido, i veri responsabili. Fra i quali c'è anche il padre della sottosegretaria Boschi, a questo punto ex.
Solo dopo, Bankitalia ed il suo Governatore - anche Visco, perchè no - potrebbero tronare a svolgere con autorevolezza il loro ruolo di vigilanza e di garanzia, nazionale ed internazionale. Ma la Boschi, a quel punto, deve essere già partita per una lunga vacanza.
Ma del crac delle banche, compresa Banca Etruria, quella nella quale è stato Vice presidente il padre della sottosegretaria Boschi, Renzi ( Maria Elena Boschi) e il suo partito non possono incolpare Visco e la Banca d'Italia per omessa o negligente vigilanza. Perchè, nel caso la Banca centrale fosse stata negligente, o quanto meno indulgente, verso i banchieri, non si può non ammettere che gli imbrogli e i furti, veri e propri, siano stati perpetrati dai banchieri a danno dei consumatori e risparmiatori, non da Bankitalia.
E allora perchè quella mozione di sfiducia - in seconda battuta ridotta a 'lecita espressione di parere o di critica' - nei confronti di Banca Italia e del governatore Visco, alla vigilia della scadenza del suo mandato, quando tutto lasciava prevedere che sarebbe stato riconfermato dal Governo e dal Presidente Mattarella?
C'entra qualcosa in questa accelerazione di sfiducia la sottosegretaria Boschi che, a detta del Fatto Quotidiano è l'estensore materiale di quella mozione, definita da molti atto irresponsabile e forse anche vendetta personale della Boschi contro Visco, a causa della Banca del papà?
Può una giovane sottosegretaria creare problemi ad una delle istituzioni più prestigiose e di garanzia del nostro paese? Perchè adesso, dopo quella mozione di sfiducia, ogni cosa riguardante la Banca d'Italia ed anche il suo prestigio internazionale potrebbe essere messa in discussione..
Se il Governo e Mattarella confermassero Visco, lo metterebbero in una situazione di vulnerabilità, nella quale, dato il suo ruolo non potrebbe tirare avanti a lungo; se non lo confermassero, tutti direbbero che Governo e Mattarella sono stati ostaggio della 'zarina', la vendicatrice Boschi, assecondata da Renzi che, pur scalzato dal suo trono, continua a regnare per mezzo di Gentiloni.
Una lettura 'benevola' ed 'annacquata' della mozione, con la quale si intende discolpare la Boschi da una responsabilità che Lei evidentemente ha più di tutti, la considera come il modo per non farsi scavalcare dai Cinquestelle che hanno presentato analoga mozione di sfiducia per Visco e la sua riconferma.
Come se ne esce? Non è facile immaginare una via di uscita. Al momento onorevole soprattutto per Visco il cui mandato scade fra pochi giorni.. Mentre una via d'uscita che rimetta ordine ed equilibrio fra i poteri ci sarebbe se la si volesse percorrere: Maria Elena Boschi riconosce il suo tragico errore e si dimette, subito, senza attendere neanche un minuto.
La Commissione parlamentare indaga svelta sul crac, ascolta Visco, legge i documenti che la Banca d'Italia le ha fornito a prova della sua non omessa vigilanza - e quindi discolpa sia il Governatore che Bankitalia - e condanna, anche in solido, i veri responsabili. Fra i quali c'è anche il padre della sottosegretaria Boschi, a questo punto ex.
Solo dopo, Bankitalia ed il suo Governatore - anche Visco, perchè no - potrebbero tronare a svolgere con autorevolezza il loro ruolo di vigilanza e di garanzia, nazionale ed internazionale. Ma la Boschi, a quel punto, deve essere già partita per una lunga vacanza.
venerdì 20 ottobre 2017
Il padre della sottosegretaria Maria Elena Boschi, ex vicepresidente di Banca Etruria, è attualmente INCAPIENTE, come i numerosi piccoli investitori, imbrogliati dalla sua banca e finiti sul lastrico
Non sappiamo se quello che abbiamo letto oggi sul Fatto Quotidiano, a proposito della 'sfiducia' cosiddetta, a Visco, Governtaore di Bankitalia, corrisponda al vero oppure no. Noi lo prendiamo per vero, sia per il peso delle affermazioni riguardanti l'ex vice presidente di Banca Etruria, padre della sottosegretaria Boschi, e sia anche perché se vere non fossero, quelli del Fatto questa volta una bella denuncia se la beccherebbero dalla Boschi, diversamente da quello che ha fatto con De Bortoli, contro il quale, per lo stesso caso, una denuncia l'aveva annunciata e mai presentata.
Abbiamo letto che al padre della sottosegretaria, alto dirigente e per un periodo anche vice presidente di Banca Etruria, sono state comminate da Bankitalia, delle multe, tre in tutto per un valore di poco sotto 500.000 Euro, per il pagamento delle quali, egli si è dichiarato INCAPIENTE. Aggettivo che noi, prima di leggere il Fatto, ad orecchio, spiegavamo come di uno 'che non capisce'. E invece no, il termine sta ad indicare che il padre della sottosegretaria, che ovviamente ha capito tutto, non ha i soldi per pagare quelle multe. Insomma è un nullatenente.
La cosa suona strana, per diverse ragioni. La prima è che, nonostante i numerosi inviti di Bankitalia - come risulta da alcuni documenti che Visco ha consegnato alla Commissione parlamentare - i dirigenti della Banca toscana non si tagliarono stipendi ed emolumenti ed anche premi, perfino negli anni in cui alla Vigilanza appariva chiaro che la banca navigasse in bruttissine acque. Loro, tra i quali anche il padre della Boschi, continuavano a festeggiare alla faccia dei risparmiatori che avevano truffato facendo loro acquistare titoli che poi si sono rivelati carta straccia. Dunque quei soldi dove li ha nascosti il padre della Boschi? Che c'ha fatto per averli spesi tutti tanto da non poter pagare appena 500.000 Euro?
E l'altra ragione è che, già qualche settimana fa, i giornali avevano rivelato che negli ultimi tempi, i dirigenti della Banca toscana, ma non solo loro - si pensi al caso di Zonin - avevano passato la proprietà di beni immobili ed anche mobili ad altri membri della famiglia che non potevano essere ritenuti responsabili dei reati commessi dai diretti interessati. E così avrebbero messo al sicuro i loro patrimoni, parte dei quali guadagnati sicuramente attraverso veri e propri furti.
Inoltre il Commissario di Banca Etruria ha chiesto a diversi amministratori dell'Istituto di credito di restituire alcuni milioni di Euro, del cui ammanco, a danno dei risparmiatori, li ha ritenuti responsabili.
E comunque non hanno i Boschi una bella villa, dove abitano, come si conviene ad un banchiere ed alla famiglia di un politico in vista? E non è la stessa cosa nel caso della lussuosa residenza in cui vive Zonin, la cui proprietà egli ha passato ai suoi famigliari?
Perchè la magistratura persegue con sollecitudine e tenacia piccoli delinquenti e ladruncoli, e non è altrettanto sollecita e decisa nel perseguire, una volta individuati, ladroni e delinquenti abituali in doppiopetto?
Abbiamo letto che al padre della sottosegretaria, alto dirigente e per un periodo anche vice presidente di Banca Etruria, sono state comminate da Bankitalia, delle multe, tre in tutto per un valore di poco sotto 500.000 Euro, per il pagamento delle quali, egli si è dichiarato INCAPIENTE. Aggettivo che noi, prima di leggere il Fatto, ad orecchio, spiegavamo come di uno 'che non capisce'. E invece no, il termine sta ad indicare che il padre della sottosegretaria, che ovviamente ha capito tutto, non ha i soldi per pagare quelle multe. Insomma è un nullatenente.
La cosa suona strana, per diverse ragioni. La prima è che, nonostante i numerosi inviti di Bankitalia - come risulta da alcuni documenti che Visco ha consegnato alla Commissione parlamentare - i dirigenti della Banca toscana non si tagliarono stipendi ed emolumenti ed anche premi, perfino negli anni in cui alla Vigilanza appariva chiaro che la banca navigasse in bruttissine acque. Loro, tra i quali anche il padre della Boschi, continuavano a festeggiare alla faccia dei risparmiatori che avevano truffato facendo loro acquistare titoli che poi si sono rivelati carta straccia. Dunque quei soldi dove li ha nascosti il padre della Boschi? Che c'ha fatto per averli spesi tutti tanto da non poter pagare appena 500.000 Euro?
E l'altra ragione è che, già qualche settimana fa, i giornali avevano rivelato che negli ultimi tempi, i dirigenti della Banca toscana, ma non solo loro - si pensi al caso di Zonin - avevano passato la proprietà di beni immobili ed anche mobili ad altri membri della famiglia che non potevano essere ritenuti responsabili dei reati commessi dai diretti interessati. E così avrebbero messo al sicuro i loro patrimoni, parte dei quali guadagnati sicuramente attraverso veri e propri furti.
Inoltre il Commissario di Banca Etruria ha chiesto a diversi amministratori dell'Istituto di credito di restituire alcuni milioni di Euro, del cui ammanco, a danno dei risparmiatori, li ha ritenuti responsabili.
E comunque non hanno i Boschi una bella villa, dove abitano, come si conviene ad un banchiere ed alla famiglia di un politico in vista? E non è la stessa cosa nel caso della lussuosa residenza in cui vive Zonin, la cui proprietà egli ha passato ai suoi famigliari?
Perchè la magistratura persegue con sollecitudine e tenacia piccoli delinquenti e ladruncoli, e non è altrettanto sollecita e decisa nel perseguire, una volta individuati, ladroni e delinquenti abituali in doppiopetto?
Pini di Roma. I pini di via Paolo Monelli, sani, sono stati abbattuti a tempo di record; mentre quelli malati si attende che cadano da soli magari uccidendo cittadini o danneggiando macchine
Sui 'Pini di Roma' - non quelli 'musicali' di Ottorino Respighi, bensi quelli 'reali' al tempo di Virginia Raggi - abbiamo scritto più volte nelle ultime settimane, per denunciare lo scempio che di 11 pini secolari, in buona salute, è stato fatto dal 'Servizio Giardini', a Roma, in via Paolo Monelli ( Bufalotta), causa: unico rimedio per sistemare un piano stradale dissestato che aveva procurato ai cittadini della viuzza qualche danno, e problemi quotidiani.
Il taglio completo è avvenuto i primissimi giorni di ottobre; da una delibera del Municipio interessato leggiamo che sono stati abbattuti perché deve essere, per le ragioni suddette, sistemato il dissestato piano stradale, i cui lavori sarebbero stati effettuati nella 'seconda metà di ottobre'. Siamo al venti del mese ed ancora non v'è traccia di inizio lavori, mentre si vedono i tronchi ridotti a ceppi, circondati da protezioni che rendono ancor più visibile agli occhi dei passanti la gravità dello scempio.
Viene da chiedersi perché tanta celerità nell'abbatterli. Sono bastati due giorni, di conseguenza avrebbero potuto abbatterli a ridosso dell'inizio del lavori stradali. E magari cominciare con lo sbancamento del manto stradale, vedere la situazione delle radici e decidere, de visu, se l'abbattimento dei pini secolari - 11 pini, per neppure una cinquantina di metri di strada dissestata - era l'unica soluzione possibile. Adesso, anche si accorgessero che le radici potevano essere in parte segate e rifatto il manto stradale, senza abbattere i pini - come faranno in Via Cristoforo Colombo per risolvere un identico problema, perché allora non anche in via Paolo Monelli? - non potrebbero più rimediarvi , perché i pini sono già stati ridotti a legna da bruciare.
In questa faccenda colpisce la celerità con cui il 'Servizio Giardini' ha proceduto all'abbattimento, senza verificare la possibilità di adottare altre soluzione che potevano salvare quei pini secolari sanissimi - UNDICI!- una volta scoperte le radici.
E tale celerità colpisce ancora di più se si pensa che in tutta Roma vi sono - come ci racconta la cronaca quasi giornaliera - pini malati che andrebbero abbattuti prima che cadano su cittadini o macchine e case, creando danni, irreparabili in alcuni casi. Beh, quei pini il 'Servizio Giardini' non provvede nè a censirli e tanto meno ad abbatterli con la stessa celerità, con cui l'ha fatto in Via Paolo Monelli, avventandosi su UNDICI PINI SECOLARI SANISSIMI.
Per questo ci viene il sospetto che in quella viuzza, seminascosta, in una delle ville superprotette che vi si affacciano, abiti qualcuno che conta e che può ordinare l'abbattimento anche di UNDICI PINI SECOLARI SANISSIMI.
Il taglio completo è avvenuto i primissimi giorni di ottobre; da una delibera del Municipio interessato leggiamo che sono stati abbattuti perché deve essere, per le ragioni suddette, sistemato il dissestato piano stradale, i cui lavori sarebbero stati effettuati nella 'seconda metà di ottobre'. Siamo al venti del mese ed ancora non v'è traccia di inizio lavori, mentre si vedono i tronchi ridotti a ceppi, circondati da protezioni che rendono ancor più visibile agli occhi dei passanti la gravità dello scempio.
Viene da chiedersi perché tanta celerità nell'abbatterli. Sono bastati due giorni, di conseguenza avrebbero potuto abbatterli a ridosso dell'inizio del lavori stradali. E magari cominciare con lo sbancamento del manto stradale, vedere la situazione delle radici e decidere, de visu, se l'abbattimento dei pini secolari - 11 pini, per neppure una cinquantina di metri di strada dissestata - era l'unica soluzione possibile. Adesso, anche si accorgessero che le radici potevano essere in parte segate e rifatto il manto stradale, senza abbattere i pini - come faranno in Via Cristoforo Colombo per risolvere un identico problema, perché allora non anche in via Paolo Monelli? - non potrebbero più rimediarvi , perché i pini sono già stati ridotti a legna da bruciare.
In questa faccenda colpisce la celerità con cui il 'Servizio Giardini' ha proceduto all'abbattimento, senza verificare la possibilità di adottare altre soluzione che potevano salvare quei pini secolari sanissimi - UNDICI!- una volta scoperte le radici.
E tale celerità colpisce ancora di più se si pensa che in tutta Roma vi sono - come ci racconta la cronaca quasi giornaliera - pini malati che andrebbero abbattuti prima che cadano su cittadini o macchine e case, creando danni, irreparabili in alcuni casi. Beh, quei pini il 'Servizio Giardini' non provvede nè a censirli e tanto meno ad abbatterli con la stessa celerità, con cui l'ha fatto in Via Paolo Monelli, avventandosi su UNDICI PINI SECOLARI SANISSIMI.
Per questo ci viene il sospetto che in quella viuzza, seminascosta, in una delle ville superprotette che vi si affacciano, abiti qualcuno che conta e che può ordinare l'abbattimento anche di UNDICI PINI SECOLARI SANISSIMI.
giovedì 19 ottobre 2017
RAI/MEDIASET. Prova generale di 'grosse koalition' tv. A Guida MEDIASET
Rai e Mediaset da tempo non si fanno guerra a vicenda; e se una qualche guerra fanno, sia Rai che Mediaset la fanno al buon senso, al gusto e agli interessi della società.
Non solo non si fanno più guerra ma si aiutano a vicenda, anche prestandosi le star, per dire a tutti che la pace è scoppiata. Come altro leggere il 'prestito' di Maria De Filippi a Rai 1, per Sanremo 2017, che è stato fatto andare a vele spiegate nel mare tv?
Un tempo non solo non c'erano prestiti, ma una rete, con una controprogrammazione, faceva azione di distrurbo nei riguardi dell'altra.
Ora la pace è così solida e duratura, che viene spesso da chiedersi, guardando contemporaneamente la programmazione Rai-Mediaset, se a lavorare per alcuni programmi di ambedue le emittenti non sia lo stesso gruppo di autori.
Prendiamo la domenica pomeriggio. Premettendo che la D'Urso non la frega nessuno, perchè lei ha un talento naturale per il 'trash' e la 'tv del dolore' - domenica scorsa, abbiamo voluto vedere, per la prima volta, la 'Domenica in' di Rai 1, a conduzione 'sorelle Gori'.
Chi s'era illuso che almeno la domenica avrebbe potuto evitare la dose di ricette e chef, s'è dovuto subito ricredere, quando Benedetta - la Gori giovane - ha aperto la sua cucina e ci ha fatto la prima delle sue torte. Ha minacciato tutti che ne farà una a settimana e, una volta cotta, la darà al pubblico in studio. Una novità assoluta per Rai 1 e per la tv in generale.
Che si fa, allora, a seguito della minaccia della 'Gorina'? Si prova a cambiare canale per vedere che c'è dalla Barbarella malandrina. Per fortuna che c'è Chiambretti con sua madre che ci fa un pò ridere; risate che, però, scontiamo con il momento di commozione del biricchino presentatore quando parla di sua figlia. per lo meno abbiamo per qualche minuto riso di gusto.
Ma dopo arriva, in base all'armistizio, da 'Ballando con le stelle' una giurata, la cattiva. La quale porta un messaggio delle 'sorelle Carlucci' alla Barbarella. Devi venire a 'Ballando' ospite per una puntata, le dice. Lei finge di non sapere nulla, ma di essere lusingata per l'invito, e via dicendo. Intanto si balla, ballano tutti, compreso Chiambretti, la D'Urso e l'ex ballerina ora giurata a Rai 1.
Cambiamo, di nuovo, canale per vedere se in 'Casa Gori' c'è qualcosa di meglio dopo la torta. E che vediamo? Vediamo che la Gori 'matura', Cristina, sta parlando di danza, avendo invitato nientemeno che Carla Fracci. E lo fa negli stessi minuti in cui lo fa anche la D'Urso, dall'altra parte, con la ex ballerina, ora giudice. Ma su Rai 1 Gori ' matura', Cristina, trova il modo per dare una notizia, attinta direttamente a 'Casa Gori', e cioè che a Bergamo, dove i Gori sono di casa e di Comune: alla Fracci è stato affidato un progetto per i giovani, da un diversamente giovane, Giorgio Gori.
A questo punto, visto che tanto dall'una come dall'altra parte viene servita la stessa minestra, che per noi è indigesta e si piazza sullo stomaco, decidiamo di proseguire con la lettura dei giornali che avevamo interrotto per vedere che aria tirava a 'Casa Gori' su Rai 1.
P.S. Notizia dell'ultimo minuto è che su Rai 2 potrebbe parcheggiare la sua motocicletta il terzo ed ultimo componente di 'Casa Gori', il fratello delle due sorelle - e così finisce la schiatta. Faceva, a Mediaset, un programma in motocicletta; pare che la Dallatana, prima di andar via, l'abbia prenotato per Rai 2. Il programma, da quel che si legge sui social a firma 'fratello Gori', dovrebbe sbarcare in Rai a gennaio 2018. La Rai, per la vergogna, smentisce, comunicando che nessun programma è previsto con il terzo di 'Casa Gori'. Bastano e avanzano già le due sorelle, quanto a bruttezza di programma e calo di ascolti.
Non solo non si fanno più guerra ma si aiutano a vicenda, anche prestandosi le star, per dire a tutti che la pace è scoppiata. Come altro leggere il 'prestito' di Maria De Filippi a Rai 1, per Sanremo 2017, che è stato fatto andare a vele spiegate nel mare tv?
Un tempo non solo non c'erano prestiti, ma una rete, con una controprogrammazione, faceva azione di distrurbo nei riguardi dell'altra.
Ora la pace è così solida e duratura, che viene spesso da chiedersi, guardando contemporaneamente la programmazione Rai-Mediaset, se a lavorare per alcuni programmi di ambedue le emittenti non sia lo stesso gruppo di autori.
Prendiamo la domenica pomeriggio. Premettendo che la D'Urso non la frega nessuno, perchè lei ha un talento naturale per il 'trash' e la 'tv del dolore' - domenica scorsa, abbiamo voluto vedere, per la prima volta, la 'Domenica in' di Rai 1, a conduzione 'sorelle Gori'.
Chi s'era illuso che almeno la domenica avrebbe potuto evitare la dose di ricette e chef, s'è dovuto subito ricredere, quando Benedetta - la Gori giovane - ha aperto la sua cucina e ci ha fatto la prima delle sue torte. Ha minacciato tutti che ne farà una a settimana e, una volta cotta, la darà al pubblico in studio. Una novità assoluta per Rai 1 e per la tv in generale.
Che si fa, allora, a seguito della minaccia della 'Gorina'? Si prova a cambiare canale per vedere che c'è dalla Barbarella malandrina. Per fortuna che c'è Chiambretti con sua madre che ci fa un pò ridere; risate che, però, scontiamo con il momento di commozione del biricchino presentatore quando parla di sua figlia. per lo meno abbiamo per qualche minuto riso di gusto.
Ma dopo arriva, in base all'armistizio, da 'Ballando con le stelle' una giurata, la cattiva. La quale porta un messaggio delle 'sorelle Carlucci' alla Barbarella. Devi venire a 'Ballando' ospite per una puntata, le dice. Lei finge di non sapere nulla, ma di essere lusingata per l'invito, e via dicendo. Intanto si balla, ballano tutti, compreso Chiambretti, la D'Urso e l'ex ballerina ora giurata a Rai 1.
Cambiamo, di nuovo, canale per vedere se in 'Casa Gori' c'è qualcosa di meglio dopo la torta. E che vediamo? Vediamo che la Gori 'matura', Cristina, sta parlando di danza, avendo invitato nientemeno che Carla Fracci. E lo fa negli stessi minuti in cui lo fa anche la D'Urso, dall'altra parte, con la ex ballerina, ora giudice. Ma su Rai 1 Gori ' matura', Cristina, trova il modo per dare una notizia, attinta direttamente a 'Casa Gori', e cioè che a Bergamo, dove i Gori sono di casa e di Comune: alla Fracci è stato affidato un progetto per i giovani, da un diversamente giovane, Giorgio Gori.
A questo punto, visto che tanto dall'una come dall'altra parte viene servita la stessa minestra, che per noi è indigesta e si piazza sullo stomaco, decidiamo di proseguire con la lettura dei giornali che avevamo interrotto per vedere che aria tirava a 'Casa Gori' su Rai 1.
P.S. Notizia dell'ultimo minuto è che su Rai 2 potrebbe parcheggiare la sua motocicletta il terzo ed ultimo componente di 'Casa Gori', il fratello delle due sorelle - e così finisce la schiatta. Faceva, a Mediaset, un programma in motocicletta; pare che la Dallatana, prima di andar via, l'abbia prenotato per Rai 2. Il programma, da quel che si legge sui social a firma 'fratello Gori', dovrebbe sbarcare in Rai a gennaio 2018. La Rai, per la vergogna, smentisce, comunicando che nessun programma è previsto con il terzo di 'Casa Gori'. Bastano e avanzano già le due sorelle, quanto a bruttezza di programma e calo di ascolti.
mercoledì 18 ottobre 2017
Guardie e ladri. Banca d'Italia e le altre banche. Il famoso film Renzi e i suoi vogliono riscriverlo a modo loro
Nella storia che agita la politica in queste ultime or: rinnovo e sostituzione di Visco, attuale governatore della Banca d'Italia, si sono inseriti con una irruenza spropositata il PD di Renzi ed i suoi luogotenenti, Maria Elena Boschi fra i primi.
Al Parlamento il PD ha fatto approvare una mozione di sfiducia nei confronti di Visco, mettendo una ipoteca sul suo rinnovo alla testa della Banca, che vigila sull'intero sistema bancario italiano . C'è stato chi ha fatto notare che il PD e il Parlamento non hanno competenza sull'argomento, che invece spetta al Presidente della Repubblica ed al Governo. Ma non è sfuggita a nessuno la gravità di tale sfiducia che indirettamente si rivolge anche al Governo, cioè a Gentiloni che del PD è espressione, su concessione di Renzi, che decide la sua azione ed anche i tempi della sua permanenza.
Gentiloni ancor anon si esprime, attende che Renzi e le sue truppe gli dicano apertamente se deve restare o andarsene, si fa sentire, invece, Mattarella che invita tutti a farsi i c... propri - naturalmente la Presidenza dell Repubblica non usa questa espressione, ma la sostanza del discorso è la stessa.
Renzi e la zarina in prima fila rimproverano a Visco di non aver vigilato abbastanza bene, a tempo debito, e come avrebbe dovuto, onde evitare il crac di alcuni istituti di credito. E forse potrebbero aver ragione.
Ma dove non hanno ragione è quando vogliono riscrivere dall'inizio alla fine la storia che il famoso film 'Guardie e Ladri' raccontava. Dove, come accade nella realtà, spesso i ladri sono più solerti delle guardie, le quali per arrivare ad acciuffarli ci mettono sempre un pò, perchè spesso sbagliano obiettivo.
Ciò che Renzi, ma in questo caso soprattutto la zarina, vogliono farci credere che le guardie (Visco e Banca Italia) sono diventati essi stessi ladri, e che i ladri- che hanno nomi e cognomi - dal padre della Boschi a Zonin, tanto per farne un paio soltanto- che sono poi i ladri veri e gli imbroglioni - dovrebbero nel film riscritto fare la parte di poveri cittadini inermi che non sono riusciti a difendere i loro risparmi.
Questo vorrebbero farci credere. Che gli amministratori non hanno rubato, mentre lo hanno fatto ( come di mostrano anche le recenti richieste di danni che forse finiranno a puttane come accade spesso in questo paese), anche e forse perchè la Banca d'Italia non è riuscita a smascherarli prima.
Ma la realtà è che i ladri sono ladri e le guardie giardie. Se poi in casi particolari gli uni sono più svelti degli altri...
Al Parlamento il PD ha fatto approvare una mozione di sfiducia nei confronti di Visco, mettendo una ipoteca sul suo rinnovo alla testa della Banca, che vigila sull'intero sistema bancario italiano . C'è stato chi ha fatto notare che il PD e il Parlamento non hanno competenza sull'argomento, che invece spetta al Presidente della Repubblica ed al Governo. Ma non è sfuggita a nessuno la gravità di tale sfiducia che indirettamente si rivolge anche al Governo, cioè a Gentiloni che del PD è espressione, su concessione di Renzi, che decide la sua azione ed anche i tempi della sua permanenza.
Gentiloni ancor anon si esprime, attende che Renzi e le sue truppe gli dicano apertamente se deve restare o andarsene, si fa sentire, invece, Mattarella che invita tutti a farsi i c... propri - naturalmente la Presidenza dell Repubblica non usa questa espressione, ma la sostanza del discorso è la stessa.
Renzi e la zarina in prima fila rimproverano a Visco di non aver vigilato abbastanza bene, a tempo debito, e come avrebbe dovuto, onde evitare il crac di alcuni istituti di credito. E forse potrebbero aver ragione.
Ma dove non hanno ragione è quando vogliono riscrivere dall'inizio alla fine la storia che il famoso film 'Guardie e Ladri' raccontava. Dove, come accade nella realtà, spesso i ladri sono più solerti delle guardie, le quali per arrivare ad acciuffarli ci mettono sempre un pò, perchè spesso sbagliano obiettivo.
Ciò che Renzi, ma in questo caso soprattutto la zarina, vogliono farci credere che le guardie (Visco e Banca Italia) sono diventati essi stessi ladri, e che i ladri- che hanno nomi e cognomi - dal padre della Boschi a Zonin, tanto per farne un paio soltanto- che sono poi i ladri veri e gli imbroglioni - dovrebbero nel film riscritto fare la parte di poveri cittadini inermi che non sono riusciti a difendere i loro risparmi.
Questo vorrebbero farci credere. Che gli amministratori non hanno rubato, mentre lo hanno fatto ( come di mostrano anche le recenti richieste di danni che forse finiranno a puttane come accade spesso in questo paese), anche e forse perchè la Banca d'Italia non è riuscita a smascherarli prima.
Ma la realtà è che i ladri sono ladri e le guardie giardie. Se poi in casi particolari gli uni sono più svelti degli altri...
domenica 15 ottobre 2017
Virginia Raggi non è più la 'sindaca di sfondamento'. Ora è la 'palla al piede' del movimento che la vuole 'oscurata' fino alle prossime politiche
Cosa voglia ora il Movimento e la sua ditta al comando, 'Grillo & Casaleggio Associati', dalla sindaca Raggi, non è del tutto chiaro. Perché le incognite sul suo futuro sono tante, e potrebbero tutte danneggiare più che favorire il Movimento.
Di Maio, sperando che nulla avvenga nel frattempo, volendosi presentare come il tutore e garante della legge, interna (ed esterna) del Movimento che l'ha candidato a premier nelle prossime politiche, ha assicurato che se ci fosse per la Raggi una condanna, a seguito dell'accusa di 'falso' per la quale la Procura di Roma l'ha indagata, Lei deve dimettersi, seduta stante. Già, facile a dirsi, molto difficile a realizzarsi senza colpi durissimi inferti al Movimento, alla vigilia della campagna elettorale che si annuncia giù infuocata, nonostante manchi ancora un semestre circa alle elezioni.
Se la Procura di Roma concludesse il processo con la condanna della sindaca, mettiamo verso i primi mesi dell'anno prossimo od anche verso la fine di questo, e la sindaca si dimettesse, salvo ripensamenti del garante dello statuto dei grillini, che ne sarebbe delle mire a governare del Movimento e di Di Maio? Quelle dimissioni sferrerebbero il colpo di grazia a Di Maio? Per vincere le elezioni il Movimento, se riesce a sopravvivere deve attendere la prossima tornata? E se, invece, la condanna - eventuale - arrivasse dopo le elezioni, mentre in piena campagna elettorale si svolgesse il processo? Sarebbe più o meno la stessa cosa, perchè comunque il dibattimento porterebbe di nuovo a 'lavare in piazza i panni sporchi' del gabinetto Raggi a Roma?
La ragione per cui la ditta 'Casaleggio& Grillo Associati' - l'ordine di titolazione negli assetti societari cambia a seconda di chi conta di più in quel momento e per quello specifico caso - ha pregato la Raggi di non farsi sentire, di non prendere nessuna decisione, di fare come se non esistesse fino alle prossime elezioni politiche, ha proprio il senso della volontà di proteggersi da qualunque sommovimento che l'azione della Raggi - l'anno e mezzo di permanenza in Campidoglio lo ha dimostrato - produrrebbe.
La sindaca che doveva essere la prova provata della buona amministrazione grillina nella Capitale, si è rivelata, in ogni momento, come la sua 'caporetto'. Non ne ha azzeccata una, si potrebbe dire: o non fa nulla di concreto e di risolutivo per i numerosi problemi della città, o quando fa qualcosa sbaglia.
Le hanno fatto recitare anche la parte della sorellastra, un tempo cattiva diventata buonissima, quando l'hanno costretta, a Marino, con Grillo che le ha puntato la pistola alla schiena, ad abbracciare la Lombardi, candidata a governatore della Regione Lazio, sua nemica da sempre. Vogliono insomma che Lei stia buona e pregano perchè la Procura non dia inizio al processo prima della prossima primavera quando, secondo previsione, si terranno le elezioni politiche. Dopo, la Raggi può anche cadere, perchè se vince il Movimento, il fatto non preoccuperebbe più di tanto.
Ma il Movimento vincerà? E la Procura di Roma attenderà, per processare Raggi, che siano passate le elezioni? E, soprattutto, la Raggi, osserverà la consegna grillina di non governare Roma ( finora è stata bravissima per questo), anzi di restare muta e immobile, per non fare danni?
Le incognite sono tante; ma la più grande di tutte è il gradimento ed il consenso che, secondo i sondaggi, la 'ggente' dà ai grillini ed ai loro governanti, definiti 'Incapaci' anche da Colomban, messo a vigilare a Roma sulle partecipate (ed anche sulla Raggi) dalla 'Grillo & Casaleggio Associati', l'altro ieri, alla vigilia di lasciare il suo incarico.
Di Maio, sperando che nulla avvenga nel frattempo, volendosi presentare come il tutore e garante della legge, interna (ed esterna) del Movimento che l'ha candidato a premier nelle prossime politiche, ha assicurato che se ci fosse per la Raggi una condanna, a seguito dell'accusa di 'falso' per la quale la Procura di Roma l'ha indagata, Lei deve dimettersi, seduta stante. Già, facile a dirsi, molto difficile a realizzarsi senza colpi durissimi inferti al Movimento, alla vigilia della campagna elettorale che si annuncia giù infuocata, nonostante manchi ancora un semestre circa alle elezioni.
Se la Procura di Roma concludesse il processo con la condanna della sindaca, mettiamo verso i primi mesi dell'anno prossimo od anche verso la fine di questo, e la sindaca si dimettesse, salvo ripensamenti del garante dello statuto dei grillini, che ne sarebbe delle mire a governare del Movimento e di Di Maio? Quelle dimissioni sferrerebbero il colpo di grazia a Di Maio? Per vincere le elezioni il Movimento, se riesce a sopravvivere deve attendere la prossima tornata? E se, invece, la condanna - eventuale - arrivasse dopo le elezioni, mentre in piena campagna elettorale si svolgesse il processo? Sarebbe più o meno la stessa cosa, perchè comunque il dibattimento porterebbe di nuovo a 'lavare in piazza i panni sporchi' del gabinetto Raggi a Roma?
La ragione per cui la ditta 'Casaleggio& Grillo Associati' - l'ordine di titolazione negli assetti societari cambia a seconda di chi conta di più in quel momento e per quello specifico caso - ha pregato la Raggi di non farsi sentire, di non prendere nessuna decisione, di fare come se non esistesse fino alle prossime elezioni politiche, ha proprio il senso della volontà di proteggersi da qualunque sommovimento che l'azione della Raggi - l'anno e mezzo di permanenza in Campidoglio lo ha dimostrato - produrrebbe.
La sindaca che doveva essere la prova provata della buona amministrazione grillina nella Capitale, si è rivelata, in ogni momento, come la sua 'caporetto'. Non ne ha azzeccata una, si potrebbe dire: o non fa nulla di concreto e di risolutivo per i numerosi problemi della città, o quando fa qualcosa sbaglia.
Le hanno fatto recitare anche la parte della sorellastra, un tempo cattiva diventata buonissima, quando l'hanno costretta, a Marino, con Grillo che le ha puntato la pistola alla schiena, ad abbracciare la Lombardi, candidata a governatore della Regione Lazio, sua nemica da sempre. Vogliono insomma che Lei stia buona e pregano perchè la Procura non dia inizio al processo prima della prossima primavera quando, secondo previsione, si terranno le elezioni politiche. Dopo, la Raggi può anche cadere, perchè se vince il Movimento, il fatto non preoccuperebbe più di tanto.
Ma il Movimento vincerà? E la Procura di Roma attenderà, per processare Raggi, che siano passate le elezioni? E, soprattutto, la Raggi, osserverà la consegna grillina di non governare Roma ( finora è stata bravissima per questo), anzi di restare muta e immobile, per non fare danni?
Le incognite sono tante; ma la più grande di tutte è il gradimento ed il consenso che, secondo i sondaggi, la 'ggente' dà ai grillini ed ai loro governanti, definiti 'Incapaci' anche da Colomban, messo a vigilare a Roma sulle partecipate (ed anche sulla Raggi) dalla 'Grillo & Casaleggio Associati', l'altro ieri, alla vigilia di lasciare il suo incarico.
Sul modo di intendere l'alternanza scuola lavoro. La protesta degli studenti
Quando la Giannini la introdusse, la novità di far passare agli studenti, alcuni periodi, durante gli anni studio, in luoghi di lavoro, fu salutata come non solo utile ma sacrosanta. Far mettere il naso fuori dalle aule agli studenti fu considerata una giusta decisione. La legge e la Giannini dimenticarono, però, di considerare alcune cose che avrebbero dovuto prevedere per porvi rimedio. E cioè che mentre tale alternanza ha un senso per le scuole professionali, qualora si riesca a far andare gli studenti nelle fabbriche più adatte alla loro specializzazione, ha poco senso se si mandano gli studenti a fare lavori che a loro praticamente nulla insegnano, e a farli gratuitamente. Se va a fare il cameriere, o le pulizie, o lavora in un call center, il liceale - o lo studente, in generale - imparerà soltanto che c'è chi lavora, che fa lavori talvolta umili ecc... ma allo stesso tempo imparerà a sue spese che si può essere sfruttati, come nel loro caso. Che esista il mondo del lavoro lo sanno, specie quelli i cui genitori fanno lavori duri mal pagati.
Se uno vuol fare una esperienza lavorativa, in senso lato, cioè una qualunque, la può fare durante le vacanze - come fanno già molti studenti - seguendo orari e regole, ma facendosi pagare.
Come abbiamo fatto anche noi, con un gruppo di amici, alla fine degli studi liceali, quando andammo a lavorare in una fabbrica metallurgica, in Germania, a Offenbach. Lavorammo sodo, con turni massacranti, giornalieri o notturni alternativamente, vivendo in baracche nel vero senso della parola. In Germania, gli studenti che lavoravano d'estate, non pagavano tasse, perciò alla fine del periodo di lavoro che durò all'incirca un mese e mezzo, guadagnammo bei soldini ( marchi -quando il marco era molto forte) e con quelli ci facemmo un bel viaggio in Europa, riuscendo a portare a casa anche qualche soldo rimastoci.
Noi pensavamo che quell'esperienza non ci sarebbe servita dal punto di vista lavorativo - speravamo di non essere costretti a fare quel lavoro massacrante che tanti fanno - ma solo per farci capire che significasse lavorare e lavorare duro. E ci servì.
La Giannini deve spiegarci perché la scuola deve prestare ad imprenditori di ogni genere dei giovani studenti, gratuitamente. Per ora non ce lo ha spiegato e soprattutto non l'hanno spiegato, nè Lei nè la Fedeli, agli studenti .
Per questo siamo d'accordo con la protesta degli studenti. Se alternanza ci deve essere fra scuola e lavoro, deve essere pensata, studiata ed organizzata per renderla utile ed efficace. Mentre ora, stando alle denunce degli studenti essa è stata casuale, inutile e priva di senso.
La protesta degli studenti ci ha fatto venire in mente ciò che avviene nel mondo della musica con le cosiddette orchestre 'giovanili' o orchestre 'di formazione'. Che sono modi per sfruttare i giovani musicisti, il più delle volte senza dare loro nulla in cambio.
Che sia utile per gli studenti di Conservatorio fare esperienza di orchestra, per la maggior parte delle classi di strumento, non c'è neppure bisogno di sottolinearlo, visto che una simile esperienza - utilissima e di grande valore formativo - in Conservatorio non si fa. E che la formazione di tali orchestre abbia finalità tutt'altro che formative è altrettanto chiaro.
Si fa un bando per reclutare giovani, si forma alla bell'e meglio un'orchestra, la si fa lavorare per una manifestazione che magari dura nel tempo, e alla fine, saluti e baci, chi s'è visto s'è visto. I giovani musicisti hanno goduto di vitto e alloggio, qualche volta in condizioni di autentico sfruttamento e, terminata l'esperienza, tornano ai loro studi senza nulla di nuovo e di meglio per cui ricordare quell'esperienza. Perché poi, nella maggior parte dei casi queste orchestre giovanili vengono affidate a direttori che considerarli tali è un insulto alla professione; oppure a direttori alle prime armi che hanno loro bisogno di imparare e, di conseguenza, nulla possono ancora insegnare ai giovani loro affidati. Il caso di una giovanissima direttrice alla quale viene affidata la direzione di un 'giovane' complesso, a Napoli, ne è esempio lampante.
Ci viene in mente, al contrario, l'esperienza esaltante che molti giovani d'Europa, italiani compresi, vissero negli anni in cui nacque e fu attiva la ECYO - poi divenuta EUYO - e cioè l'Orchestra giovanile della Comunità (poi Unione) Europea. Come la sua filiazione più diretta, la Mahler, fondata e diretta da Abbado o la 'Divan' fondata ed affidata a Barenboim, la 'Cherubini' di Muti e, secondo noi, anche la 'Mozart' di Abbado, finita miseramente con la morte del direttore, e che ora fra mille difficoltà, sta tentando di risorgere.
(Il contrario di ciò che avviene, ad esempio, con l'Orchestra Nazionale dei Conservatori Italiani, della cui esistenza ogni tanto arriva qualche segno positivo e subito dopo un segno opposto, che viene montata ogni volta che serve - quasi mai per ragioni musicali! - affidata sia per la gestione che per la direzione a mani assolutamente inesperte e la cui attività, circoscritta nel tempo, nessun segno lascerà nei giovani musicisti).
Beh, in quei primi anni di vita della ECYO, i selezionatissimi giovani musicisti, per qualche mese, solitamente d'estate, lavoravano prima 'a sezioni', e poi affidati alla direzione di grandissimi - quelli veri- direttori ( Bernstein, Karajan ecc... se ricordiamo bene), giravano il mondo, ricavandone benefici, dagli stessi, anche a distanza di tempo, riconosciuti. E per i quali sono, anche da adulti e dopo molti anni, grati per quell'esperienza.
Anche quei giovani musicisti non ricevevano il becco di un quattrino; ma vuoi mettere i frutti di quell'esperienza, maggiori di qualunque compenso?
Se uno vuol fare una esperienza lavorativa, in senso lato, cioè una qualunque, la può fare durante le vacanze - come fanno già molti studenti - seguendo orari e regole, ma facendosi pagare.
Come abbiamo fatto anche noi, con un gruppo di amici, alla fine degli studi liceali, quando andammo a lavorare in una fabbrica metallurgica, in Germania, a Offenbach. Lavorammo sodo, con turni massacranti, giornalieri o notturni alternativamente, vivendo in baracche nel vero senso della parola. In Germania, gli studenti che lavoravano d'estate, non pagavano tasse, perciò alla fine del periodo di lavoro che durò all'incirca un mese e mezzo, guadagnammo bei soldini ( marchi -quando il marco era molto forte) e con quelli ci facemmo un bel viaggio in Europa, riuscendo a portare a casa anche qualche soldo rimastoci.
Noi pensavamo che quell'esperienza non ci sarebbe servita dal punto di vista lavorativo - speravamo di non essere costretti a fare quel lavoro massacrante che tanti fanno - ma solo per farci capire che significasse lavorare e lavorare duro. E ci servì.
La Giannini deve spiegarci perché la scuola deve prestare ad imprenditori di ogni genere dei giovani studenti, gratuitamente. Per ora non ce lo ha spiegato e soprattutto non l'hanno spiegato, nè Lei nè la Fedeli, agli studenti .
Per questo siamo d'accordo con la protesta degli studenti. Se alternanza ci deve essere fra scuola e lavoro, deve essere pensata, studiata ed organizzata per renderla utile ed efficace. Mentre ora, stando alle denunce degli studenti essa è stata casuale, inutile e priva di senso.
La protesta degli studenti ci ha fatto venire in mente ciò che avviene nel mondo della musica con le cosiddette orchestre 'giovanili' o orchestre 'di formazione'. Che sono modi per sfruttare i giovani musicisti, il più delle volte senza dare loro nulla in cambio.
Che sia utile per gli studenti di Conservatorio fare esperienza di orchestra, per la maggior parte delle classi di strumento, non c'è neppure bisogno di sottolinearlo, visto che una simile esperienza - utilissima e di grande valore formativo - in Conservatorio non si fa. E che la formazione di tali orchestre abbia finalità tutt'altro che formative è altrettanto chiaro.
Si fa un bando per reclutare giovani, si forma alla bell'e meglio un'orchestra, la si fa lavorare per una manifestazione che magari dura nel tempo, e alla fine, saluti e baci, chi s'è visto s'è visto. I giovani musicisti hanno goduto di vitto e alloggio, qualche volta in condizioni di autentico sfruttamento e, terminata l'esperienza, tornano ai loro studi senza nulla di nuovo e di meglio per cui ricordare quell'esperienza. Perché poi, nella maggior parte dei casi queste orchestre giovanili vengono affidate a direttori che considerarli tali è un insulto alla professione; oppure a direttori alle prime armi che hanno loro bisogno di imparare e, di conseguenza, nulla possono ancora insegnare ai giovani loro affidati. Il caso di una giovanissima direttrice alla quale viene affidata la direzione di un 'giovane' complesso, a Napoli, ne è esempio lampante.
Ci viene in mente, al contrario, l'esperienza esaltante che molti giovani d'Europa, italiani compresi, vissero negli anni in cui nacque e fu attiva la ECYO - poi divenuta EUYO - e cioè l'Orchestra giovanile della Comunità (poi Unione) Europea. Come la sua filiazione più diretta, la Mahler, fondata e diretta da Abbado o la 'Divan' fondata ed affidata a Barenboim, la 'Cherubini' di Muti e, secondo noi, anche la 'Mozart' di Abbado, finita miseramente con la morte del direttore, e che ora fra mille difficoltà, sta tentando di risorgere.
(Il contrario di ciò che avviene, ad esempio, con l'Orchestra Nazionale dei Conservatori Italiani, della cui esistenza ogni tanto arriva qualche segno positivo e subito dopo un segno opposto, che viene montata ogni volta che serve - quasi mai per ragioni musicali! - affidata sia per la gestione che per la direzione a mani assolutamente inesperte e la cui attività, circoscritta nel tempo, nessun segno lascerà nei giovani musicisti).
Beh, in quei primi anni di vita della ECYO, i selezionatissimi giovani musicisti, per qualche mese, solitamente d'estate, lavoravano prima 'a sezioni', e poi affidati alla direzione di grandissimi - quelli veri- direttori ( Bernstein, Karajan ecc... se ricordiamo bene), giravano il mondo, ricavandone benefici, dagli stessi, anche a distanza di tempo, riconosciuti. E per i quali sono, anche da adulti e dopo molti anni, grati per quell'esperienza.
Anche quei giovani musicisti non ricevevano il becco di un quattrino; ma vuoi mettere i frutti di quell'esperienza, maggiori di qualunque compenso?
venerdì 13 ottobre 2017
Beppe Grillo, che vuole riprendere a pieno ritmo il lavoro di comico, a Roma ha dato buca al pubblico. Poco numeroso!
L'ex comico, ora non più 'ex' , Beppe Grillo, nei giorni scorsi è calato a Roma, insediandosi nel suo camerino dell'Hotel Forum, dove ha ricevuto le visite di numerosi suoi ammiratori, ai quali ha dispensato solo autografi. Ma quando s'è trattato di uscire sul palcoscenico e iniziare lo show previsto, in Piazza Montecitorio, che era poi la ragione della sua calata a Roma, non si è fatto vedere ed ha rimandato, forse cancellato, lo show. Perchè davanti al suo palcoscenico, di fronte alla Camera dei Deputati, c'era poca gente.
Un comico, però, dovrebbe sapere, che uno spettacolo in programma si deve fare comunque anche se in sala c'è un solo spettatore pagante, come è accaduto tantissime volte - se ne ricordano episodi storici.
Davanti al palcoscenico allestito per l'occasione per lui in Piazza Montecitorio di spettatori ce n'erano più d'uno ma non in numero sufficiente a soddisfare le mire di un comico, non più ex, che pensava di rientrare alla grande, davanti ad un mare di folla, a svolgere la sua antica professione, smessa solo per un pò, per correre dietro alla illusione di poter diventare da comico capopopolo.
E allora al suo posto sono stati costretti ad esibirsi, a più riprese, molti membri della sua compagnia. Perfino Virginia Raggi che, per una migliore sorte, avrebbe dovuto nascondersi dietro le quinte. Ma lei, che ha anche imparato il mestiere della sfacciataggine meglio di quello di sindaca, è andata sul palco, ha preso il microfono ed ha fatto la sua recitina. Vergognosa.
"Non si cambia così la legge elettorale" - ha arringato la folla, guadagnandosi applausi e cori di approvazione, più per il governo di Roma che per il suo discorso improvvisato. "E' un metodo vergognoso. Il Parlamento è stato imbavagliato e la volontà dei cittadini ignorata".
E poi giù dal palco le strette di mano e selfie. Ma dove ha preso tanto fiato per arringare la folla, mentre quotidianamente non riesce a dire una sola parola sulla sua inefficienza di amministratrice, sottolineata ancora ieri da un altro pezzo della sua squadra che va via, Colomban (addetto, per volontà della ditta Grillo&Casaleggio alle Partecipate del Comune), che, salutandoli, ha accusato i Cinquestelle di incapacità a governare?
Un comico, però, dovrebbe sapere, che uno spettacolo in programma si deve fare comunque anche se in sala c'è un solo spettatore pagante, come è accaduto tantissime volte - se ne ricordano episodi storici.
Davanti al palcoscenico allestito per l'occasione per lui in Piazza Montecitorio di spettatori ce n'erano più d'uno ma non in numero sufficiente a soddisfare le mire di un comico, non più ex, che pensava di rientrare alla grande, davanti ad un mare di folla, a svolgere la sua antica professione, smessa solo per un pò, per correre dietro alla illusione di poter diventare da comico capopopolo.
E allora al suo posto sono stati costretti ad esibirsi, a più riprese, molti membri della sua compagnia. Perfino Virginia Raggi che, per una migliore sorte, avrebbe dovuto nascondersi dietro le quinte. Ma lei, che ha anche imparato il mestiere della sfacciataggine meglio di quello di sindaca, è andata sul palco, ha preso il microfono ed ha fatto la sua recitina. Vergognosa.
"Non si cambia così la legge elettorale" - ha arringato la folla, guadagnandosi applausi e cori di approvazione, più per il governo di Roma che per il suo discorso improvvisato. "E' un metodo vergognoso. Il Parlamento è stato imbavagliato e la volontà dei cittadini ignorata".
E poi giù dal palco le strette di mano e selfie. Ma dove ha preso tanto fiato per arringare la folla, mentre quotidianamente non riesce a dire una sola parola sulla sua inefficienza di amministratrice, sottolineata ancora ieri da un altro pezzo della sua squadra che va via, Colomban (addetto, per volontà della ditta Grillo&Casaleggio alle Partecipate del Comune), che, salutandoli, ha accusato i Cinquestelle di incapacità a governare?
Non accusate di conflitto di interessi Francesco Bonifazi, lo sa anche lui, per la presenza nella Commissione che indaga sulle banche
Speriamo di non sbagliarci. Ci sembra di ricordare bene di aver letto che Francesco Bonifazi, avvocato, parlamentare ed attuale tesoriere del PD (un tempo anche accompagnatore/autista abituale di Renzi, tanto da essere soprannominato 'BONITAXI' ) querelerà chiunque lo accusi di conflitto di interessi, per la sua nomina a membro della Commissione parlamentare presieduta da Pierferdi, ed incaricata di condurre un'inchiesta approfondita sulle banche fallite (Veneto, Toscana e Marche), mettendo in mezzo alla strada tanti piccoli investitori, ingannati dagli istituti di credito incriminati, e i cui risparmi investiti, ora sono andati in fumo. Pierferdi ha comunicato che l'esame comincerà non da Banca Etruria, quella più chiacchierata per via della presenza ai vertici del papà di Maria Elena Boschi, e i qualche modo salvata dal Governo come MPS, ma dalle banche venete.
In ogni caso, il problema, grosso come una casa, si pone per Bonifazi a proposito di Banca Etruria.
Bonifazi, avvocato e parlamentare - non sappiamo se particolarmente esperto di diritto commerciale e finanziario; ma è meglio non toccare il tasto delle competenze, perchè allora di Pierferdi cosa dovremmo dire? - ha tutto il diritto di stare in una commissione di indagine parlamentare. Lo avrebbe, se non fosse in evidente conflitto di interessi, per il caso Banca Etruria. Perchè'? Per i suoi diversi legami, sentimentali o professionali, con membri della famiglia dell'ex vice presidente della banca, Boschi, rinviato a giudizio, con richiesta di danni, da parte del Commissario della Banca.
Non molto tempo fa, forse due estati fa, i giornali mostrarono foto di una vacanza ( o viaggio?) di Bonifazi con la star della famiglia Boschi, la attraente e determinata Maria Elena. Una relazione, supposta o passeggera che fosse, ma che comunque avrebbe dovuto far decidere a Bonifazi di non far parte di quella commissione.
E non è tutto. Nello studio legale fiorentino di Bonifazi lavora anche il fratello della Maria Elena. Anche questo secondo intreccio - questa volta professionale - con la famiglia Boschi, non avrebbe dovuto consigliare a Bonifazi pubbliche dimissioni? Entrando nella Commissione anche lui si getterà alla spalle conoscenze e legami con la famiglia Boschi? Come credergli? Non sa che la carne è debole ed al cuor non si può non dare ascolto?
Tanto valeva mettere nella commissione come esperto, magari esterno, direttamente lo stesso papà della Boschi, ex vicepresidente di Banca Etruria: lui sì che le cose della banca le conosce molto bene e potrebbe spiegarle ai membri della Commissione.
Ma Bonifazi no, non può restare in quella Commissione. Querelerà anche noi, nonostante siamo qui ad offrigli, gratuitamente e senza alcun vincolo di nessun genere con lui, un saggio consiglio?
In ogni caso, il problema, grosso come una casa, si pone per Bonifazi a proposito di Banca Etruria.
Bonifazi, avvocato e parlamentare - non sappiamo se particolarmente esperto di diritto commerciale e finanziario; ma è meglio non toccare il tasto delle competenze, perchè allora di Pierferdi cosa dovremmo dire? - ha tutto il diritto di stare in una commissione di indagine parlamentare. Lo avrebbe, se non fosse in evidente conflitto di interessi, per il caso Banca Etruria. Perchè'? Per i suoi diversi legami, sentimentali o professionali, con membri della famiglia dell'ex vice presidente della banca, Boschi, rinviato a giudizio, con richiesta di danni, da parte del Commissario della Banca.
Non molto tempo fa, forse due estati fa, i giornali mostrarono foto di una vacanza ( o viaggio?) di Bonifazi con la star della famiglia Boschi, la attraente e determinata Maria Elena. Una relazione, supposta o passeggera che fosse, ma che comunque avrebbe dovuto far decidere a Bonifazi di non far parte di quella commissione.
E non è tutto. Nello studio legale fiorentino di Bonifazi lavora anche il fratello della Maria Elena. Anche questo secondo intreccio - questa volta professionale - con la famiglia Boschi, non avrebbe dovuto consigliare a Bonifazi pubbliche dimissioni? Entrando nella Commissione anche lui si getterà alla spalle conoscenze e legami con la famiglia Boschi? Come credergli? Non sa che la carne è debole ed al cuor non si può non dare ascolto?
Tanto valeva mettere nella commissione come esperto, magari esterno, direttamente lo stesso papà della Boschi, ex vicepresidente di Banca Etruria: lui sì che le cose della banca le conosce molto bene e potrebbe spiegarle ai membri della Commissione.
Ma Bonifazi no, non può restare in quella Commissione. Querelerà anche noi, nonostante siamo qui ad offrigli, gratuitamente e senza alcun vincolo di nessun genere con lui, un saggio consiglio?
E' un paese normale quello in cui gli studenti devono scendere in piazza per domandare SCUOLE SICURE?
Le due parole d'ordine dei numerosi cortei, ieri, degli studenti italiani erano: vogliamo scuole sicure e l'alternanza scuola-lavoro è un imbroglio. E sia per l'una che per l'altra richiesta avevano ragione.
Cominciamo dalla richiesta riguardante la sicurezza delle scuole, dove incidenti ogni tanto si verificano, e fra i tanti , quello del crollo di una parte del tetto dell'ANTICO Liceo Virgilio di Roma, in via Giulia, che per poco non procurava una strage, non è che l'utlimo.
Ha sorpreso anche noi la inconsistente dichiarazione della ministra Fedeli: faremo sentire la nostra - SUA - voce al governo per avere fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici scolastici. E' chiaro quel che ha detto? Non ha detto ecco subito dei fondi per la manutenzione, almeno quella straordinaria, come nel caso del Liceo Virgilio. No. Farà sentire la sua voce: vox clamantis in deserto' all'indirizzo di sordi!
Tante volte si è parlato in Italia - anche durante l'ultimo governo Renzi - dello stanziamento di fondi, consistenti, per la messa a norma e in sicurezza degli edifici scolastici ( quasi sempre dopo incidenti più o meno gravi). Nei quali ogni giorno i nostri giovani, ragazzi ed anche i bambini passano molte ore, ignari dei rischi che corrono.
Sarebbe stato opportuno che il piano di messa a norma e in sicurezza degli edifici scolastici venisse attuato durante i mesi estivi, già due anni fa. Perchè non è accaduto? Forse c'entra anche l'abolizione delle Province cui competeva la responsabilità degli edifici scolastici e la loro manutenzione? Forse non hanno avuto più fondi a disposizione? Il fatto è che siamo sempre al punto di partenza, e i lavori in tutta Italia, per dare agli studenti scuole almeno decenti, oltre che sicure naturalmente, non si avviano ancora.
Quale che sia la causa, onde evitare ancora disastri e gravi incidenti, occorre mettere mano al piano di manutenzione e messa in sicurezza degli edifici scolastici, senza attendere un minuto in più.
Anche perchè non è educativo per un ragazzo ed un giovane entrare ogni giorno, lasciando la propria abitazione, spesso confortevole, per la durata delle ore scolastiche, in edifici che mettono tristezza forse anche angoscia, oltre che pericolosi.
Noi che abbiamo insegnato per tutta la nostra vita lavorativa - dal 1972 al 2013 ininterrottamente - possiamo attestare che in quasi tutti i casi abbiamo frequentato edifici per lo più inadatti, adibiti provvisoriamente a scuole, e nella maggioranza dei casi, sporchi, 'sgarrupati', qualche volta anche fatiscenti, come se fossero stati la notte prima visitati da vandali o ladri. Non stiamo esagerando. E spesso ci siamo chiesti: come facevano quegli studenti ad essere normali, come si poteva loro insegnare a rispettare aule e suppellettili, se le aule erano sporche, vergognosamente sporche, ed imbrattate - e le suppellettili sembravano quelle di un paese in guerra?
Un breve elenco delle numerose scuole nelle quali abbiamo insegnato. A Roma, sia il Liceo 'Castelnuovo' che l'Istituto tecnico 'Fermi' erano allocati in edifici in disarmo. Vecchi, sporchi, come in procinto di essere abbattuti. In particolare, del Castelnuovo ricordiamo ancora i vistosi buchi sulle pareti divisorie delle classi e sulle porte delle aule, alcune delle quali con una scritta, solo quella spiritosa: FORO ITALICO; per il resto non c'era che da angosciarsi. Il Fermi, dove ci siamo recati recentemente, giaceva ancora nelle stesse penose condizioni di quarantant'anni fa! Del Liceo De Sanctis, in via dell'Acqua traversa a Roma, ricordiamo solo che era ospitato , provvisoriamente in una palazzina non nata per ospitare una scuola, non ricordiamo altro, se non che quel Liceo, era assediato da fascisti anche pericolosi: il notissimo picchiatore Procopio, ad esempio; e che vi insegnava il prof. Signorelli: un incubo!
A poca distanza dal Castelnuovo, abbiamo insegnato in un altro Liceo, indicato solo con un numero progressivo XXII ospitato in un prefabbricato, liceo 'sperimentale' la cui sperimentazione è durata anni e forse decenni; di quell'esperienza ricordiamo solo la bravura, in blocco, del corpo docente.
Poi siamo passati ad insegnare nei Conservatori di Roma, Perugia, Firenze, L'Aquila.
Nessuno di questi istituti musicali aveva una sede idonea, decente. In quasi tutti, ancora oggi ospitati in edifici storici, l' ultima manutenzione datava forse ad una ventina d'anni prima. Uno schifo, una v vergogna, locali deprimenti! Non sappiamo se in alcuni di essi le cose sono migliorate. A Roma certamente no! A Firenze non sappiamo; a Perugia , invece, dove siamo tornati una decina di anni fa, abbiamo constatato un miracolo: l'edificio era stato restaurato così bene che non credevamo ai nostri occhi:la biblioteca sembrava addirittura un salotto, invitante allo studio; merito della direzione di Giuliano Silveri.
Il paradosso a L'Aquila, dove abbiamo insegnato per molto tempo, ma dove solo negli ultimi cinque anni avevamo a disposizione un edificio idoneo, costruito ex novo dopo il terremoto, in pochi mesi ( il terremoto era stato in aprile del 2009, in estate è cominciata la costruzione, il nuovo edificio - provvisorio ancora oggi - inaugurato per le vacanze natalizie, alla presenza di Riccardo Muti e di Salvo Nastasi, oltre che del Commissario Bertolaso e dell'allora prefetto Gabrielli). Senza terremoto e senza l'impegno dell'allora direttore, Bruno Carioti, per ottenere una sede nuova in tempi brevi, gli studenti starebbero ancora in una sede storica di grande prestigio ( nel Convento, adiacente alla basilica di Collemaggio), ma certo non nata per ospitare una scuola di musica.
Dunque, tirando le somme, della decina di scuole in cui abbiamo insegnato, gli edifici idonei erano soltanto un paio. Hanno ragione o no gli studenti per protestare?
Cominciamo dalla richiesta riguardante la sicurezza delle scuole, dove incidenti ogni tanto si verificano, e fra i tanti , quello del crollo di una parte del tetto dell'ANTICO Liceo Virgilio di Roma, in via Giulia, che per poco non procurava una strage, non è che l'utlimo.
Ha sorpreso anche noi la inconsistente dichiarazione della ministra Fedeli: faremo sentire la nostra - SUA - voce al governo per avere fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici scolastici. E' chiaro quel che ha detto? Non ha detto ecco subito dei fondi per la manutenzione, almeno quella straordinaria, come nel caso del Liceo Virgilio. No. Farà sentire la sua voce: vox clamantis in deserto' all'indirizzo di sordi!
Tante volte si è parlato in Italia - anche durante l'ultimo governo Renzi - dello stanziamento di fondi, consistenti, per la messa a norma e in sicurezza degli edifici scolastici ( quasi sempre dopo incidenti più o meno gravi). Nei quali ogni giorno i nostri giovani, ragazzi ed anche i bambini passano molte ore, ignari dei rischi che corrono.
Sarebbe stato opportuno che il piano di messa a norma e in sicurezza degli edifici scolastici venisse attuato durante i mesi estivi, già due anni fa. Perchè non è accaduto? Forse c'entra anche l'abolizione delle Province cui competeva la responsabilità degli edifici scolastici e la loro manutenzione? Forse non hanno avuto più fondi a disposizione? Il fatto è che siamo sempre al punto di partenza, e i lavori in tutta Italia, per dare agli studenti scuole almeno decenti, oltre che sicure naturalmente, non si avviano ancora.
Quale che sia la causa, onde evitare ancora disastri e gravi incidenti, occorre mettere mano al piano di manutenzione e messa in sicurezza degli edifici scolastici, senza attendere un minuto in più.
Anche perchè non è educativo per un ragazzo ed un giovane entrare ogni giorno, lasciando la propria abitazione, spesso confortevole, per la durata delle ore scolastiche, in edifici che mettono tristezza forse anche angoscia, oltre che pericolosi.
Noi che abbiamo insegnato per tutta la nostra vita lavorativa - dal 1972 al 2013 ininterrottamente - possiamo attestare che in quasi tutti i casi abbiamo frequentato edifici per lo più inadatti, adibiti provvisoriamente a scuole, e nella maggioranza dei casi, sporchi, 'sgarrupati', qualche volta anche fatiscenti, come se fossero stati la notte prima visitati da vandali o ladri. Non stiamo esagerando. E spesso ci siamo chiesti: come facevano quegli studenti ad essere normali, come si poteva loro insegnare a rispettare aule e suppellettili, se le aule erano sporche, vergognosamente sporche, ed imbrattate - e le suppellettili sembravano quelle di un paese in guerra?
Un breve elenco delle numerose scuole nelle quali abbiamo insegnato. A Roma, sia il Liceo 'Castelnuovo' che l'Istituto tecnico 'Fermi' erano allocati in edifici in disarmo. Vecchi, sporchi, come in procinto di essere abbattuti. In particolare, del Castelnuovo ricordiamo ancora i vistosi buchi sulle pareti divisorie delle classi e sulle porte delle aule, alcune delle quali con una scritta, solo quella spiritosa: FORO ITALICO; per il resto non c'era che da angosciarsi. Il Fermi, dove ci siamo recati recentemente, giaceva ancora nelle stesse penose condizioni di quarantant'anni fa! Del Liceo De Sanctis, in via dell'Acqua traversa a Roma, ricordiamo solo che era ospitato , provvisoriamente in una palazzina non nata per ospitare una scuola, non ricordiamo altro, se non che quel Liceo, era assediato da fascisti anche pericolosi: il notissimo picchiatore Procopio, ad esempio; e che vi insegnava il prof. Signorelli: un incubo!
A poca distanza dal Castelnuovo, abbiamo insegnato in un altro Liceo, indicato solo con un numero progressivo XXII ospitato in un prefabbricato, liceo 'sperimentale' la cui sperimentazione è durata anni e forse decenni; di quell'esperienza ricordiamo solo la bravura, in blocco, del corpo docente.
Poi siamo passati ad insegnare nei Conservatori di Roma, Perugia, Firenze, L'Aquila.
Nessuno di questi istituti musicali aveva una sede idonea, decente. In quasi tutti, ancora oggi ospitati in edifici storici, l' ultima manutenzione datava forse ad una ventina d'anni prima. Uno schifo, una v vergogna, locali deprimenti! Non sappiamo se in alcuni di essi le cose sono migliorate. A Roma certamente no! A Firenze non sappiamo; a Perugia , invece, dove siamo tornati una decina di anni fa, abbiamo constatato un miracolo: l'edificio era stato restaurato così bene che non credevamo ai nostri occhi:la biblioteca sembrava addirittura un salotto, invitante allo studio; merito della direzione di Giuliano Silveri.
Il paradosso a L'Aquila, dove abbiamo insegnato per molto tempo, ma dove solo negli ultimi cinque anni avevamo a disposizione un edificio idoneo, costruito ex novo dopo il terremoto, in pochi mesi ( il terremoto era stato in aprile del 2009, in estate è cominciata la costruzione, il nuovo edificio - provvisorio ancora oggi - inaugurato per le vacanze natalizie, alla presenza di Riccardo Muti e di Salvo Nastasi, oltre che del Commissario Bertolaso e dell'allora prefetto Gabrielli). Senza terremoto e senza l'impegno dell'allora direttore, Bruno Carioti, per ottenere una sede nuova in tempi brevi, gli studenti starebbero ancora in una sede storica di grande prestigio ( nel Convento, adiacente alla basilica di Collemaggio), ma certo non nata per ospitare una scuola di musica.
Dunque, tirando le somme, della decina di scuole in cui abbiamo insegnato, gli edifici idonei erano soltanto un paio. Hanno ragione o no gli studenti per protestare?
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Angelo Teodoli direttore di Rai 1. Complimenti per la promozione e preghiera: rimetta in riga il 'Concerto di Capodanno' dalla Fenice
Angelo Teodoli, dirigente di lungo corso che ha fatto la sua carriera tutta all'interno della Rai, ha raggiunto ora il traguardo più alto al quale poteva aspirare, quello cioè di dirigere la rete ammiraglia della televisione pubblica. Noi, che lo abbiamo conosciuto e visto a Venezia, tutti gli anni (dal 2005 al 2015) in cui abbiamo avuto la 'consulenza artistica' Rai sul Concerto di Capodanno dalla Fenice - il concerto che su Rai 1 ha preso il posto che un tempo era del Concerto da Vienna - occupandoci direttamente della formulazione del programma del concerto, intendiamo rivolgergli una richiesta riguardante proprio il Concerto di Capodanno dalla Fenice, che possiamo considerare anche 'nostro', per alcune caratteristiche che gli abbiamo impresso fin dall'inizio, nonostante che la dirigenza del teatro veneziano non si sia mai voluta adeguare pacificamente.
La tipologia del programma: brani brevi, di diverso carattere, con prevalenza di brani leggeri e allegri (se così si può dire) alternando solisti, sola orchestra e coro e orchestra, e i due pezzi d'obbligo finali - Va pensiero e brindisi dalla Traviata - noi l'abbiamo difesa sempre a denti stretti, contro la direzione artistica del teatro che anche per la singolare occasione del concerto del primo dell'anno, voleva somministrare al pubblico italiano una lezione di musicologia. Ma anche - senza mai dirlo apertamente - perchè mal digeriva la nostra ingombrante 'consulenza', con la quale la Rai intendeva ribadire che quel concerto era un concerto del tutto speciale e secondo tale principio andava formulato il programma. Negli anni in cui avevamo quella consulenza 'artistica', siamo sempre riusciti, più o meno, a far valere le nostre ragioni, anche con qualche concessione, per evitare addirittura la rottura con la dirigenza.
Poi , verso la fine del 2014, la rottura ci fu. E la causa fu proprio il programma. Cristiano Chiarot, sovrintendente, ci chiese di aprire il programma del concerto trasmesso in diretta da Rai 1, con un brano di Giorgio Battistelli, di breve durata, dal titolo 'EXPO'. Noi gli dicemmo, prima con le buone, poi anche a muso duro che non era il caso. Lui se la prese e, passando sopra la nostra testa, si rivolse direttamente al direttore di Rai 1 dell'epoca, Giancarlo Leone, il quale cedette alle richieste del sovrintendente (Giancarlo Leone, con coraggio da coniglio a dispetto del suo cognome, cedette alle pressioni del sovrintendente Chiarot, ignorando di fatto il nostro contratto che lui stesso aveva autorizzato e firmato. E, di fronte ai risultati, per la prima volta deludenti in fatto di telespettatori e share, disse che comunque il Concerto era rimasto al disopra dei 4.000.000; sugli oltre 250.000 telespettatori persi in una sola botta, chiuse gli occhi, considerandoli irrilevanti, e ancora irrilevanti considerò anche il calo degli anni successivi).
Il brano di Giorgio Battistelli non fu trasmesso ( non abbiamo mai saputo se Battistelli lo avesse già scritto, nè mai capito per quale ragione Chiarot tenesse tanto a Battistelli), ma per la prima volta il concerto non portò più anche la nostra firma. E i risultati furono, PER LA PRIMA VOLTA, deludenti sotto il profilo dell'audience televisiva: in un solo anno 250.000 telespettatori in meno.
Fatto sta che da quell'anno, dal Capodanno 2015, con una concezione del programma che non si atteneva più ai principi da noi seguiti, i principi che lo avevano imposto anche agli 'orfani di Vienna', fino a farlo diventare il 'concerto in assoluto più seguito della televisione italiana', anche più seguito dello stesso concerto viennese - strano a dirsi, ma vero! - il concerto cominciò a perdere telespettatori e share.
In soli tre anni, dal 2015 al 2017 quel Concerto che quando l'abbiamo lasciato noi ( Capodanno 2014) faceva 4.400.000 telespettatori circa, con uno share del 27%, ha perso la bellezza di 800.000 telespettatori circa, calando anche lo share fino al 24% .
La ragione, in tutta evidenza, sta nel programma che la direzione della Fenice ha voluto seguisse una strada diversa da quella da noi tracciata, e che aveva assicurato al concerto veneziano una crescita lenta ma costante di pubblico televisivo e di share. Un esempio, per spiegarci. In un concerto di 45 minuti di musica, su un durata totale di un'ora circa, non si può inserire un brano che dura, da solo, oltre dieci minuti, come è accaduto quando il direttore artistico ha osato far eseguire: 'Che gelida manina' e 'mi chiamano Mimì' di seguito, da Bohème di Puccini. Brani notissimi, certo, ma inadatti a Capodanno, in giorno di festa e all'ora di pranzo.
Quest'anno, almeno per gli interpreti - come del resto in parecchie altre edizioni - il concerto promette bene, ma temiamo fortemente che proseguendo con un programma inadatto all'occasione, come è stato quello degli ultimi tre anni, il Concerto continui a perdere pubblico televisivo. Il calo che ha portato quel pubblico da 4.400.000 a 3.600.000, in tre anni - un calo consistente e continuo - non è da prendere sottogamba, anche perché se si prosegue sulla stessa linea, intrapresa dalla direzione della Fenice, il pubblico continuerà ancora a calare. Ma fino a quando Rai 1 è disposta, di fronte al calo costante, a mantenerlo in palinsesto, e a non ritornare a Vienna che comunque paga e trasmette, su Rai 2?
A Teodoli che questi problemi li conosce benissimo, come abbiamo detto per aver egli seguito le vicende del concerto dai primi anni, e perchè ogni anno, per svariate ragioni, accadeva che lo informassimo delle discussione sempre accese avute con i dirigenti della Fenice per far accettare le nostre scelte - CHE SI SONO SEMPRE RIVELATE VINCENTI - chiediamo una sola cosa, nell'interesse stesso della rete che ora è andato a dirigere e per l'affetto che nutriamo verso quel concerto al cui successo negli anni abbiamo contribuito.
Non certo di ridarci quella consulenza - non si preoccupi il direttore - ma che almeno riporti il concerto veneziano, per il programma, nuovamente sulla strada che noi avevamo tracciato e che lo ha imposto all'attenzione del pubblico televisivo italiano. Possiamo fargli il lavoro anche gratuitamente, se lo desidera e ce lo chiede.
Se il Teatro La Fenice con quel concerto, amplificato dalla diretta televisiva, ci guadagna - perché lo replica tre o quattro volte, i biglietti non sono a buon mercato e i posti sono sempre esauriti - non è una ragione sufficiente per disinteressarsi anche del suo successo televisivo che del successo economico per il teatro è la principale causa.
La tipologia del programma: brani brevi, di diverso carattere, con prevalenza di brani leggeri e allegri (se così si può dire) alternando solisti, sola orchestra e coro e orchestra, e i due pezzi d'obbligo finali - Va pensiero e brindisi dalla Traviata - noi l'abbiamo difesa sempre a denti stretti, contro la direzione artistica del teatro che anche per la singolare occasione del concerto del primo dell'anno, voleva somministrare al pubblico italiano una lezione di musicologia. Ma anche - senza mai dirlo apertamente - perchè mal digeriva la nostra ingombrante 'consulenza', con la quale la Rai intendeva ribadire che quel concerto era un concerto del tutto speciale e secondo tale principio andava formulato il programma. Negli anni in cui avevamo quella consulenza 'artistica', siamo sempre riusciti, più o meno, a far valere le nostre ragioni, anche con qualche concessione, per evitare addirittura la rottura con la dirigenza.
Poi , verso la fine del 2014, la rottura ci fu. E la causa fu proprio il programma. Cristiano Chiarot, sovrintendente, ci chiese di aprire il programma del concerto trasmesso in diretta da Rai 1, con un brano di Giorgio Battistelli, di breve durata, dal titolo 'EXPO'. Noi gli dicemmo, prima con le buone, poi anche a muso duro che non era il caso. Lui se la prese e, passando sopra la nostra testa, si rivolse direttamente al direttore di Rai 1 dell'epoca, Giancarlo Leone, il quale cedette alle richieste del sovrintendente (Giancarlo Leone, con coraggio da coniglio a dispetto del suo cognome, cedette alle pressioni del sovrintendente Chiarot, ignorando di fatto il nostro contratto che lui stesso aveva autorizzato e firmato. E, di fronte ai risultati, per la prima volta deludenti in fatto di telespettatori e share, disse che comunque il Concerto era rimasto al disopra dei 4.000.000; sugli oltre 250.000 telespettatori persi in una sola botta, chiuse gli occhi, considerandoli irrilevanti, e ancora irrilevanti considerò anche il calo degli anni successivi).
Il brano di Giorgio Battistelli non fu trasmesso ( non abbiamo mai saputo se Battistelli lo avesse già scritto, nè mai capito per quale ragione Chiarot tenesse tanto a Battistelli), ma per la prima volta il concerto non portò più anche la nostra firma. E i risultati furono, PER LA PRIMA VOLTA, deludenti sotto il profilo dell'audience televisiva: in un solo anno 250.000 telespettatori in meno.
Fatto sta che da quell'anno, dal Capodanno 2015, con una concezione del programma che non si atteneva più ai principi da noi seguiti, i principi che lo avevano imposto anche agli 'orfani di Vienna', fino a farlo diventare il 'concerto in assoluto più seguito della televisione italiana', anche più seguito dello stesso concerto viennese - strano a dirsi, ma vero! - il concerto cominciò a perdere telespettatori e share.
In soli tre anni, dal 2015 al 2017 quel Concerto che quando l'abbiamo lasciato noi ( Capodanno 2014) faceva 4.400.000 telespettatori circa, con uno share del 27%, ha perso la bellezza di 800.000 telespettatori circa, calando anche lo share fino al 24% .
La ragione, in tutta evidenza, sta nel programma che la direzione della Fenice ha voluto seguisse una strada diversa da quella da noi tracciata, e che aveva assicurato al concerto veneziano una crescita lenta ma costante di pubblico televisivo e di share. Un esempio, per spiegarci. In un concerto di 45 minuti di musica, su un durata totale di un'ora circa, non si può inserire un brano che dura, da solo, oltre dieci minuti, come è accaduto quando il direttore artistico ha osato far eseguire: 'Che gelida manina' e 'mi chiamano Mimì' di seguito, da Bohème di Puccini. Brani notissimi, certo, ma inadatti a Capodanno, in giorno di festa e all'ora di pranzo.
Quest'anno, almeno per gli interpreti - come del resto in parecchie altre edizioni - il concerto promette bene, ma temiamo fortemente che proseguendo con un programma inadatto all'occasione, come è stato quello degli ultimi tre anni, il Concerto continui a perdere pubblico televisivo. Il calo che ha portato quel pubblico da 4.400.000 a 3.600.000, in tre anni - un calo consistente e continuo - non è da prendere sottogamba, anche perché se si prosegue sulla stessa linea, intrapresa dalla direzione della Fenice, il pubblico continuerà ancora a calare. Ma fino a quando Rai 1 è disposta, di fronte al calo costante, a mantenerlo in palinsesto, e a non ritornare a Vienna che comunque paga e trasmette, su Rai 2?
A Teodoli che questi problemi li conosce benissimo, come abbiamo detto per aver egli seguito le vicende del concerto dai primi anni, e perchè ogni anno, per svariate ragioni, accadeva che lo informassimo delle discussione sempre accese avute con i dirigenti della Fenice per far accettare le nostre scelte - CHE SI SONO SEMPRE RIVELATE VINCENTI - chiediamo una sola cosa, nell'interesse stesso della rete che ora è andato a dirigere e per l'affetto che nutriamo verso quel concerto al cui successo negli anni abbiamo contribuito.
Non certo di ridarci quella consulenza - non si preoccupi il direttore - ma che almeno riporti il concerto veneziano, per il programma, nuovamente sulla strada che noi avevamo tracciato e che lo ha imposto all'attenzione del pubblico televisivo italiano. Possiamo fargli il lavoro anche gratuitamente, se lo desidera e ce lo chiede.
Se il Teatro La Fenice con quel concerto, amplificato dalla diretta televisiva, ci guadagna - perché lo replica tre o quattro volte, i biglietti non sono a buon mercato e i posti sono sempre esauriti - non è una ragione sufficiente per disinteressarsi anche del suo successo televisivo che del successo economico per il teatro è la principale causa.
giovedì 12 ottobre 2017
Le arie di Mahler
Da oggi il Trovaroma, allegato di 'Repubblica' al giovedì, per i lettori di Roma e provincia, ha una nuova veste.Torna all'antico nel formato, a quello dei settimanali, mentre per molti anni è stato quello dei classici 'tascabili'. Quali ragioni avranno indotto l'editore a tornare al vecchio formato non è stato spiegato; si suppone principalmente per ragioni di carattere pubblicitario, essendo il formato tascabile poco praticato.
Per il resto nulla è cambiato, o almeno così sembra; o forse solo i caratteri dei titoli che sembrano diventati più grandi, mentre quelli del testo sono rimasti i medesimi.
E non è cambiato neppure il gusto per la titolistica. Già da questo primo numero, grazie al Trovaroma, abbiamo scoperto una cosa alla quale non avevamo mai fatto caso, per nostra colpevole distrazione, e cioè alle arie di Mahler. Altrimenti per quale altra ragione recondita avrebbe titolato, a proposito del concerto mahleriano all'Accademia di Santa Cecilia, diretto da Pappano, che, il celebrato direttore va: 'sulle arie di Mahler'?
Dunque anche Mahler si dava delle arie. Mentre noi abbiamo sempre sperato che almeno lui fosse immune dal vizio comune a molte star, quello delle ARIE.
Per il resto nulla è cambiato, o almeno così sembra; o forse solo i caratteri dei titoli che sembrano diventati più grandi, mentre quelli del testo sono rimasti i medesimi.
E non è cambiato neppure il gusto per la titolistica. Già da questo primo numero, grazie al Trovaroma, abbiamo scoperto una cosa alla quale non avevamo mai fatto caso, per nostra colpevole distrazione, e cioè alle arie di Mahler. Altrimenti per quale altra ragione recondita avrebbe titolato, a proposito del concerto mahleriano all'Accademia di Santa Cecilia, diretto da Pappano, che, il celebrato direttore va: 'sulle arie di Mahler'?
Dunque anche Mahler si dava delle arie. Mentre noi abbiamo sempre sperato che almeno lui fosse immune dal vizio comune a molte star, quello delle ARIE.
Un dubbio amletico travaglia il mondo di Twitter: 140 o 280 caratteri?
Non una notte senza incubi da tempo, esattamente da quando per la prima volta siamo stati messi di fronte all'alternativa che cambierebbe vita ed abitudini di miliardi di persone, ed anche la nostra - che però non usiamo Twitter, non sapendo come si fa. Il dubbio riguarda la comunicazione più usata oggi da giovani e non, intelligenti ed idioti, colti e semianalfabeti, ricchi e poveri: passiamo a 280 caratteri per i 'cinguettii' in rete, o restiamo ai 140?
Partecipano anche Nobel, scienziati, politici, industriali ; tutti, insomma, si schierano chi con una delle ipotesi chi con l'altra.
A favore della permanenza dei 140 caratteri si dicono colori i quali non hanno bisogno di esprimere con i loro cinguetti un pensiero, ammesso che l'abbiano, ma semplicemente mandare un messaggio ripetere un detto, mettere sul chi va là qualcuno. Insomma tutti quelli che sono a favore del pensiero 'debole', anzi 'corto', 'lapidario'.
Per passare, al contrario, ai 280 caratteri si spendono tutti coloro i quali, non apprezzando la sintesi eccessiva di un pensiero che i 140 caratteri impongono, preferirebbero che nella comunicazione anche in rete, non si lanciassero parole al vento, prive di un nesso sintattico, ma si usasse una espressione di senso compiuto in grado, alla bisogna, non solo di inviare un messaggio 'telegrafico'- dunque qualcosa di analogo esisteva già, come dimostra questo aggettivo entrato nell'uso comune - ma anche qualcos'altro.
A favore e in difesa dei 140 caratteri si è espressa e spesa - come dimostrerebbero alcune sue dichiarazioni - anche l'ex ministro Stefania Giannini, linguista e già Rettore dell'Università per stranieri di Perugia. Ha pesato, in tale decisione, il suo incarico di rettore in una università per stranieri, i quali, non completamente a loro agio nella nostra lingua, si esprimono quando parlano, con frasi fatte, brevissime, senza alcuna articolazione grammaticale e tanto meno sintattica, e, di conseguenza fanno altrettanto anche quando 'cinguettano' in rete?
Per non esser accusata di contentarsi di poco non potendo ottenere molto, lei tira in ballo l'efficacia comunicativa dei 140 caratteri che abituerebbero alla sintesi, utilissima, ma assai difficile oggi. Solo che non dice che la difficoltà della sintesi nasce dalla incapacità di comprendere un discorso articolato e di conseguenza di sintetizzarlo - che è il vero problema. Da una ricerca recente è emerso che anche gli studenti universitari hanno difficoltà a capire un testo, ad esprimersi nella lingua nazionale e, di conseguenza, a sintetizzarlo con esattezza.
E, comunque, mentre ferve la discussione ed il dubbio non è stato ancora sciolto, noi continuiamo a passare notti insonni e a vivere giornate travagliate, chiedendoci continuamente, pur non sapendo usare Twitter: meglio 140 o 280 caratteri? Per questo, preghiamo chiunque di avvertirci, quando la questione sarà risolta, perché vogliamo riprendere quanto prima a vivere senza angosce, e a dormire sonni tranquilli.
Partecipano anche Nobel, scienziati, politici, industriali ; tutti, insomma, si schierano chi con una delle ipotesi chi con l'altra.
A favore della permanenza dei 140 caratteri si dicono colori i quali non hanno bisogno di esprimere con i loro cinguetti un pensiero, ammesso che l'abbiano, ma semplicemente mandare un messaggio ripetere un detto, mettere sul chi va là qualcuno. Insomma tutti quelli che sono a favore del pensiero 'debole', anzi 'corto', 'lapidario'.
Per passare, al contrario, ai 280 caratteri si spendono tutti coloro i quali, non apprezzando la sintesi eccessiva di un pensiero che i 140 caratteri impongono, preferirebbero che nella comunicazione anche in rete, non si lanciassero parole al vento, prive di un nesso sintattico, ma si usasse una espressione di senso compiuto in grado, alla bisogna, non solo di inviare un messaggio 'telegrafico'- dunque qualcosa di analogo esisteva già, come dimostra questo aggettivo entrato nell'uso comune - ma anche qualcos'altro.
A favore e in difesa dei 140 caratteri si è espressa e spesa - come dimostrerebbero alcune sue dichiarazioni - anche l'ex ministro Stefania Giannini, linguista e già Rettore dell'Università per stranieri di Perugia. Ha pesato, in tale decisione, il suo incarico di rettore in una università per stranieri, i quali, non completamente a loro agio nella nostra lingua, si esprimono quando parlano, con frasi fatte, brevissime, senza alcuna articolazione grammaticale e tanto meno sintattica, e, di conseguenza fanno altrettanto anche quando 'cinguettano' in rete?
Per non esser accusata di contentarsi di poco non potendo ottenere molto, lei tira in ballo l'efficacia comunicativa dei 140 caratteri che abituerebbero alla sintesi, utilissima, ma assai difficile oggi. Solo che non dice che la difficoltà della sintesi nasce dalla incapacità di comprendere un discorso articolato e di conseguenza di sintetizzarlo - che è il vero problema. Da una ricerca recente è emerso che anche gli studenti universitari hanno difficoltà a capire un testo, ad esprimersi nella lingua nazionale e, di conseguenza, a sintetizzarlo con esattezza.
E, comunque, mentre ferve la discussione ed il dubbio non è stato ancora sciolto, noi continuiamo a passare notti insonni e a vivere giornate travagliate, chiedendoci continuamente, pur non sapendo usare Twitter: meglio 140 o 280 caratteri? Per questo, preghiamo chiunque di avvertirci, quando la questione sarà risolta, perché vogliamo riprendere quanto prima a vivere senza angosce, e a dormire sonni tranquilli.
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