lunedì 30 ottobre 2017

Spoleto 60. La versione di Giorgio. Dal duca Menotti a Ferrara il riformista

Ieri sera,  nell'ambito della Festa del Cinema di Roma, al Maxxi - che a fatica abbiamo raggiunto, aiutandoci con la lucetta del telefonino, onde evitare le sorprese lasciate con tanta generosità dai nostri amici a quattro zampe sui marciapiedi, perché la strada, frequentatissima,  via Guido Reni, anche nei giorni di festival a due passi da lì, era praticamente  al buio - si proiettava per la prima volta nel piccolo auditorium, non così piccolo da apparire 'esaurito', il film 'Spoleto 60 anni di festival', voluto da Giorgio Ferrara, da dieci direttore del festival ed ancora per altri tre almeno, affidato a Benoit Jacquot, il quale essendo molto occupato, si è avvalso della collaborazione del documentarista Gérard Caillat che l'ha, di conseguenza, firmato con lui.

Giunti nell'auditorium ci siamo più volte guardati intorno in cerca di due  necessarie e fondamentali presenze alla proiezione: Giuliano Ferrara e Adriana Asti, ma non c'erano né l'uno né l'altra. C'erano, invece, i rispettivi consorti: Giorgio Ferrara, marito della notissima attrice Adriana Asti, e Anselma Dell'Olio, critico cinematografico, presenza fissa nel club notturno di Marzullo, moglie di Giuliano Ferrara.  E tanti invitati - ospiti, collaboratori o mecenati del festival - a cominciare dalle sorelle Fendi a Quirino Conti a Corrado Augias, giovanilissimo a dispetto dell'età, al punto da farsi, all'uscita, un  giovanile selfie con altri.

Il film, che saltellava, senza  logica evidente, da una edizione all'altra da uno spettacolo all'altro, era interamente costruito su immagini di repertorio, alcune risalenti  ai primi anni, mai viste, in b/n, ed  era tenuto insieme dal racconto,  sempre partigiano ed autocelebrativo,  a volte anche distorto ed irrispettoso nei confronti del fondatore Menotti, dell'attuale timoniere Giorgio Ferrara, insediato nel suo studio, situato nel complesso del Teatro Nuovo ( ora intitolato a Menotti, almeno quello!), con accesso indipendente in teatro, ove gli era riservato un palco, dal quale seguire il lavoro degli artisti o assistere agli spettacoli: "i quasi duecento che lavorano ogni anno al festival da qui, da questo studio, devono passare".

Una annotazione a margine. Se si legge il lungo l'elenco dei 'produttori' del film-documentario si resta davvero sorpresi, trattandosi di un prodotto costruito quasi esclusivamente su immagini di repertorio vecchie e nuove e quindi da un costo ridotto. perchè allora ha dovuto intervenire con soldi anche la Fondazione del Festival di Spoleto, presieduta dallo stesso Ferrara, e perfino il Ministero di Franceschini che l'ha confermato ancora per un  triennio?

A noi, però, interessa precisare alcune cose del racconto di Ferrara  che non ci sono piaciute e non ci hanno convinto, riguardanti gli anni precedenti la sua gestione, quando a Spoleto eravamo ospiti abituali, per ragioni professionali innanzitutto, ma anche per sentire il profumo che, con il suo stile,  l'inventiva, il genio e lo charme diffondeva Menotti, e  Ferrara no.

Ferrara ha voluto puntualizzare, anzi contraddire una dichiarazione del fondatore che  aveva affermato, sornione, che lui a Spoleto presentava anche spettacoli che non condivideva fino in fondo, per  offrire una visione di ciò che accadeva nel mondo. Ferrara ha ribattuto: io non lo farò mai, presento solo spettacoli che mi piacciono.

Poi il riformista Ferrara ha raccontato che quando gli venne fatta la proposta di dirigere Spoleto, egli in cuor suo non aveva nessuna intenzione di accettare, tanto il festival era disastrato economicamente ed artisticamente: una bugia grossa come una casa. Uno che, torna in Italia, dopo gli anni parigini , ed è a spasso, non coglie al volo una simile opportunità di prestigio, una sfida ma  ben retribuita, o  addirittura non la sollecita, facendosi avanti e proponendosi?  Alla fine, vuol far credere Ferrara,  la croce  l'ha presa ed ha deciso di portarla sulle sue spalle. Occorre riconoscergli, comunque, che dal punto di vista artistico sì è fatto aiutare da due bravissimi cirenei, sempre gli stessi in dieci anni: Bob Wilson e Luca Ronconi, due nomi sacri nell'olimpo della scena.

Già il teatro. Comincia da lì il riformismo di Ferrara. Menotti ospitava sempre : opera, concerti, danza, teatro. Ferrara s'è chiesto quale di queste arti è quella più popolare? E la risposta che si è data è stata: il teatro. E allora ha deciso che il teatro dovesse avere il ruolo più importante nel festival; l'opera la danza e la musica passati in secondo piano. Ma non precisa che il teatro era l'unico campo che egli conosceva e basta, e  le successive prime incursioni nel campo dell 'opera gliele ha procurate, per ricambiarlo dell'impiego a Spoleto, Alessio Vlad, all'Opera di Roma.

 Come dimentica di ammettere che Menotti frequentava  con acume, intuito e competenza tutti questi campi, tanto da pescare in tutto il mondo per Spoleto i giovani artisti appena si affacciavano alla ribalta internazionale, cosa che Ferrara non saprebbe fare e non  fa anche per pigrizia e proprio comodo, perchè non gira, non vede, non invita nessuno al di fuori della cerchia delle sue ridotte conoscenze. Lui  potrebbe ribattere che andato  fino in Cina. Sì, c'era Mattarella.

Poi ha raccontato, mentendo, che lui ha portato a Spoleto i grandi registi ( che sarebbero pochissimi altri oltre i due fissi), mentre Menotti no, dimostrando di  non conoscere o non voler riconoscere la storia di Spoleto prima di lui, che ne è una minima parte. E Ken Russel, Luchino Visconti, Carlos Saura - alcuni che ricordiamo in regie d'opera che anche noi abbiamo visto - chi li aveva invitati?

Ferrara ha dovuto operare una rivoluzione generale a Spoleto, come ha raccontato. Via i 'due mondi' dalla dicitura, perché Spoleto è 'di tutto il mondo'; basta con il festival snob e chic di Menotti  e via al festival di tutti ecc...  ostinamdosi a ricordarci che lui, ogni anno, nei giorni infrasettimanali invita le 'orchestre' dei corpi militari (pure la terminologia ha incerta ed imprecisa. I corpi militari hanno 'bande musicali' o 'fanfare', e semmai 'orchestre di fiati', non 'orchestre').

E la storia dei pochi soldi a disposizione rispetto a quelli, tanti, di Menotti? Anche qui  ha omesso di dire che Menotti i soldi sapeva procurarseli con gli sponsor europei ed americani; mentre lui li ha in massima parte dallo Stato ( che  non sono pochi, e con apposita legge) ma anche da lungimiranti e generosi  mecenati, come Carla Fendi, da poco scomparsa che, per la Spoleto di Ferrara ha fatto molto, istituendo anche un premio a suo nome, andato - indovinate - negli anni scorsi, ad Adriana Asti e a Giorgio Ferrara, e portando al festival il bel mondo di una volta.

Ferrara  ha accennato anche alle 'sue' regie d'opera - discutibilissime!!!! - che ora girano il mondo, ha detto - dove sono state riprese?-  e che possono, ha aggiunto, andare alla Scala e all'Opera di Roma - ma ci sono andate?- mentre ai tempi di Menotti uno spettacolo nasceva e moriva a Spoleto, con un enorme dispendio di mezzi.

E, più grave di ogni  altra cosa,  il colpevole, voluto, silenzio  su Menotti. Neanche una immagine della sua casa in Piazza Duomo che se non ci avesse pensato una casa olearia delle zona, sarebbe stata venduta ad estranei, e l'archivio del festival disperso.
 Ferrara pur di non parlare di Menotti e per non riconoscergli i meriti - infiniti! - ha preferito usare un'altra icona per il festival, il direttore Thomas Schippers che 'era anche bello'- ha  sottolineato.

E Menotti, non fosse stato costretto a mettere a capo del festival, negli ultimi anni di vita,  quel confusionario del figlio adottivo Francis, sarebbe rimasto l'unico grande vero benefattore della musica e di Spoleto che per questo l'ha incoronato suo 'duca'. 

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