Nel suo editoriale domenicale, intitolato 'Il silenzio degli indecenti' Marco Travaglio ne ha per tutti, da Alfano ad Orlando, a Grasso, ma non staremo qui a riferire della singola razione di vaffa... riservato a ciascuno, mentre salva il procuratore siciliano che ha avanzato i suoi sospetti, anche senza portare le prove, mentre dovrebbe averle sempre a portata di mano ogni volta che muove un'accusa.
Ci interessa, invece, riferire come conclude la sua invettiva, perché la conclude davvero male.
Scrive:" Dunque quando i pm fanno una retata di criminali da strada o di mafiosi o di spacciatori, si astengano dal farsi belli nelle conferenze stampa, altrimenti sono fuori dall'ordinamento e dalle competenze di magistrati: ci diranno tutto a fine indagini ( nel frattempo congiunti ed amici degli arrestati avvertiranno Chi l'ha visto?). E se, per dire, un pm scopre che in una delle terre dei fuochi sparse per l'Italia i cittadini mangiano e bevono prodotti radioattivi e cancerogeni, non lanci alcun allarme e non avverta le pubbliche autorità: sarebbe fuori dai suoi poteri, anzi dell'ordinamento. Quindi si tenga tutto per sè un paio d'anni, sino al termine dell'indagine. Poi però se arriva in tempo potrà parlarne ai funerali".
Lui sa mettere sempre il pepe sulla coda al suo discorso, quale che sia l'occasione o quali che siano i protagonisti. Il veleno per il morso finale - ne parleranno ai funerali.. - lui l'ha sempre pronto, ne ha anche una boccetta di riserva.
Però. Il pm che scopre delle irregolarità le scopre perché la polizia, su sua richiesta od indicazione, ha fatto indagini, che, nella ipotesi di lavoro di Travaglio, si sono tradotte in analisi sul terreno e sugli alimenti. Fatte le quali, e riferito ai magistrati, questi devono immediatamente proseguire ed approfondire le indagini per trovare i colpevoli dell'avvelenamento della popolazione; e scovatili, metterli al sicuro dietro le sbarre. Questo il loro compito. E dopo parlare. Perchè se lo fanno prima possono anche destare i sospetti che abbiano voluto dare una mano ai malavitosi 'amici' o 'amici degli amici'.
Che effetto e rilevanza può avere se annuncia anzitempo alla popolazione ciò che i corpi di polizia, dietro sua indicazione, hanno scoperto - e che riferiranno oltre che alla magistratura alle autorità pubbliche - ma senza che lui abbia individuato i responsabili? Perchè compito della magistratura è scoprire i responsabili del malaffare per farlo cessare. Neanche Travaglio può negare a se stesso che a volte ( troppe volte?) i magistrati colgono alcune occasioni di indagine, anche sacrosante, per mettersi in mostra.
domenica 30 aprile 2017
Renzi, dal palcoscenico del Nazareno: non è una rivincita, ma un nuovo cammino. Lo sapremo presto, noi vorremmo credergli
La zarina, Maria Elena, anche se non incoronata per la seconda volta dallo zar rimesso in trono Matteo - e non sappiamo e ciò accadrà prima o poi - ha comunque tirato fuori dalla scarpiera il 'tacco 12'. Matteo, salendo sul palcoscenico improvvisato, non l'ha salutata come avrebbe fatto un tempo, e neppure l'ha ringraziata nel suo discorso di investitura, mentre ha ringraziato tutti gli altri. Compreso Guerini, che ha retto il partito nei mesi di vacanza della segreteria, che comunque si è rivelato come l'uomo che 'annuisce' anche col capo, ad ogni respiro del rieletto segretario. Alla maniera del consueto codazzo di 'sostenitori' che i politici si portano in tv e che fanno piazzare, ben visibile dalle telecamere, alle loro spalle.
Non è una rivincita, ha chiarito dal palcoscenico lo zar rimesso in trono, è la partenza di un nuovo cammino, come un foglio bianco interamente da riscrivere, nel segno dell'unità. C'è da credergli? Con le dichiarazioni della viglia ed i confronti televisivi anche se non aspri, qualche dubbio viene. Non lo stesso dubbio che è venuto a quel genio del trasformismo che è la De Girolamo che ha commentato: visto quello che succede nel PD, meglio - come facciamo noi - le primarie meglio non farle.
I rappresentanti delle altre due mozioni sconfitti alle primarie, e cioè Orlando ed Emiliano, hanno sottolineato il calo dei partecipanti. Hanno ragione, ma alla vigilia si pensava che un milione circa sarebbe andato ai gazebo, e che un milione di partecipanti sarebbe stato un successo comunque. E se ai gazebo sono andati quasi il doppio? Un successone. Loro non lo dicono, anche se devono riconoscere la vittoria schiacciante di Renzi. Mentre ciò che si attenderebbe si sentir dire e cioè che avendo vinto Renzi, loro due , pur con le loro ragioni, lavoreranno al fianco del segretario, senza fargli mancare il pungolo della loro idea di partito e degli obiettivi politici da perseguire, non esce dalle loro bocche.
Questo si sarebbe voluto sentirgli dire, ma non l'hanno detto. Ed allora il cammino di Renzi verso le prossime scadenze elettorali ( comunali, siciliane e poi politiche, quando saranno) diventa ancora più arduo, perchè si prospetta la possibilità di un vincitore che gli elettori successivamente potrebbero azzoppare per le troppe divisioni interne.
Comunque ora è tempo di programma/i, con un occhio alle periferie ed ai ceti deboli (ma anche all'Europa che così non può andare, all'economia ed alla sicurezza che l'emigrazione sta minacciando) fra i quali vanno cercati molti di coloro che non sono andati a votare alle primarie, perché sentono il PD ancora molto lontano da loro.
Renzi non ripeta gli errori del passato, come quello di trasferire a Roma una vagonata di amici e conoscenti fiorentini per i quali, onde disciplinarne il traffico, s'è portato appresso anche la capa dei vigili, Manzione (ora premiata con il Consiglio di Stato) piazzandola a Palazzo Chigi, per un dopolavoro, a smistare le leggi, dove ha fatto non poca confusione, seconda solo a 'madonna' Madia
Avremo un nuovo Renzi, come ha assicurato mentre gustava la vittoria schiacciante? Non dovremo attendere le prossime tornate elettorali per saperlo, basteranno le prossime settimane, anzi i prossimi giorni.
Non è una rivincita, ha chiarito dal palcoscenico lo zar rimesso in trono, è la partenza di un nuovo cammino, come un foglio bianco interamente da riscrivere, nel segno dell'unità. C'è da credergli? Con le dichiarazioni della viglia ed i confronti televisivi anche se non aspri, qualche dubbio viene. Non lo stesso dubbio che è venuto a quel genio del trasformismo che è la De Girolamo che ha commentato: visto quello che succede nel PD, meglio - come facciamo noi - le primarie meglio non farle.
I rappresentanti delle altre due mozioni sconfitti alle primarie, e cioè Orlando ed Emiliano, hanno sottolineato il calo dei partecipanti. Hanno ragione, ma alla vigilia si pensava che un milione circa sarebbe andato ai gazebo, e che un milione di partecipanti sarebbe stato un successo comunque. E se ai gazebo sono andati quasi il doppio? Un successone. Loro non lo dicono, anche se devono riconoscere la vittoria schiacciante di Renzi. Mentre ciò che si attenderebbe si sentir dire e cioè che avendo vinto Renzi, loro due , pur con le loro ragioni, lavoreranno al fianco del segretario, senza fargli mancare il pungolo della loro idea di partito e degli obiettivi politici da perseguire, non esce dalle loro bocche.
Questo si sarebbe voluto sentirgli dire, ma non l'hanno detto. Ed allora il cammino di Renzi verso le prossime scadenze elettorali ( comunali, siciliane e poi politiche, quando saranno) diventa ancora più arduo, perchè si prospetta la possibilità di un vincitore che gli elettori successivamente potrebbero azzoppare per le troppe divisioni interne.
Comunque ora è tempo di programma/i, con un occhio alle periferie ed ai ceti deboli (ma anche all'Europa che così non può andare, all'economia ed alla sicurezza che l'emigrazione sta minacciando) fra i quali vanno cercati molti di coloro che non sono andati a votare alle primarie, perché sentono il PD ancora molto lontano da loro.
Renzi non ripeta gli errori del passato, come quello di trasferire a Roma una vagonata di amici e conoscenti fiorentini per i quali, onde disciplinarne il traffico, s'è portato appresso anche la capa dei vigili, Manzione (ora premiata con il Consiglio di Stato) piazzandola a Palazzo Chigi, per un dopolavoro, a smistare le leggi, dove ha fatto non poca confusione, seconda solo a 'madonna' Madia
Avremo un nuovo Renzi, come ha assicurato mentre gustava la vittoria schiacciante? Non dovremo attendere le prossime tornate elettorali per saperlo, basteranno le prossime settimane, anzi i prossimi giorni.
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Il Procuratore di Catania, con le sue dichiarazioni sui migranti, dimostra che sta proprio 'fuori', almeno della sua professione
Da tempo si ascoltano, a seguito di qualche iscrizione nel registro degli indagati di varie procure italiane, i politici affermare, anche senza troppa convinzione: ' lasciamo i magistrati lavorare in pace; le indagini le devono fare i magistrati, spetta a loro emettere sentenze'. Mentre i politici possono lanciare allarmi, segnalare possibili irregolarità ai magistrati perché indaghino a fondo.
E' accaduto invece, al Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, di prendere la parola e sostituirsi nel loro ruolo ai politici, quando ha segnalato possibili irregolarità, ipotesi di traffici che accomunerebbero le ong e gli scafisti, senza averne ancora le prove, anzi ad inizio indagini, causa sospetti. Mentre i politici, a ruoli invertiti, hanno emesso le sentenze, al posto del procuratore di Catania che forse non si è reso ancora conto del suo 'fuorigioco' e neppure dei guai che ha combinato.
Politici a frotte, dai pentastellati ( Di Maio sempre più in frenetica attività divinatoria), ai leghisti ( Salvini ci è andato a nozze, ma non alle sue!), cui si sono uniti i giornali, alcuni dei quali prima hanno detto di andarci cauti poi invece che i sospetti su alcune ong sarebbero fondati e dunque il procuratore indaghi; ed anche alcuni membri del governo: Alfano difende il procuratore, siciliano come lui, mentre Orlando gli avrebbe consigliato di essere più cauto e di provvedere, prima di parlare, a fare e concludere le necessarie indagini.
Tutti contro tutti. Ad oggi il problema esiste, o c'è solo il sospetto, seppure fondato, che possa esistere? Questo il Procuratore non lo sa ancora.
Ecco perchè, quale che sarà la conclusione, il procuratore di Catania avrebbe fatto bene a tacere, a condurre le indagini nella segretezza richiesta, e, solo ad indagini concluse, a parlare. Mentre invece, parlando come ha fatto, ad indagini appena avviate a seguito di sospetti, sembra voglia mettere in guardia i responsabili delle ong ed avvertirli che si sta indagando su di loro. Un soffiata a favore di amici? Il solo sospetto sarebbe gravissimo ed infamante.
E' accaduto invece, al Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, di prendere la parola e sostituirsi nel loro ruolo ai politici, quando ha segnalato possibili irregolarità, ipotesi di traffici che accomunerebbero le ong e gli scafisti, senza averne ancora le prove, anzi ad inizio indagini, causa sospetti. Mentre i politici, a ruoli invertiti, hanno emesso le sentenze, al posto del procuratore di Catania che forse non si è reso ancora conto del suo 'fuorigioco' e neppure dei guai che ha combinato.
Politici a frotte, dai pentastellati ( Di Maio sempre più in frenetica attività divinatoria), ai leghisti ( Salvini ci è andato a nozze, ma non alle sue!), cui si sono uniti i giornali, alcuni dei quali prima hanno detto di andarci cauti poi invece che i sospetti su alcune ong sarebbero fondati e dunque il procuratore indaghi; ed anche alcuni membri del governo: Alfano difende il procuratore, siciliano come lui, mentre Orlando gli avrebbe consigliato di essere più cauto e di provvedere, prima di parlare, a fare e concludere le necessarie indagini.
Tutti contro tutti. Ad oggi il problema esiste, o c'è solo il sospetto, seppure fondato, che possa esistere? Questo il Procuratore non lo sa ancora.
Ecco perchè, quale che sarà la conclusione, il procuratore di Catania avrebbe fatto bene a tacere, a condurre le indagini nella segretezza richiesta, e, solo ad indagini concluse, a parlare. Mentre invece, parlando come ha fatto, ad indagini appena avviate a seguito di sospetti, sembra voglia mettere in guardia i responsabili delle ong ed avvertirli che si sta indagando su di loro. Un soffiata a favore di amici? Il solo sospetto sarebbe gravissimo ed infamante.
sabato 29 aprile 2017
Tutte belle (o quasi) le giovani musiciste, secondo alcuni anche tutte (o quasi) sexy. Ma non tutte altrettanto brave. Diciamolo chiaramente
Ogni giorno (o quasi) dobbiamo leggere della giovane, anni 30, pianista cinese, Yuja Wang, uscita dallo stesso vivaio di Lang Lang, che fa scandalo (figuriamoci!) con le sue mise provocatorie - gonne e mini vestiti altezza inguine, spacchi vertiginosi, scollature, avanti e dietro, belle generose, tacchi a spillo (altro che '12') - che più che provocatorie, sono mise da ragazza, manco tanto chic, che ha scoperto la trasgressione. Se si gira a Piazza di Spagna nel fine settimana se ne vedono a frotte di Yuja Wang. Ce l'hanno scritto in fronte che scendono in centro dalla periferia o arrivano dalla provincia. Chi si meraviglia più? Giusto così. I giornali non si interessano a loro; perchè non serve e comunque sarebbe minestra riscaldata, se una di quelle ragazze non fosse di una formidabile pianista, come tutti dicono.
E allora perché ogni giorno dobbiamo leggere, prima ancora di sapere quanto sia brava, che sarebbe l'unica ragione per far scrivere i giornali, che la tale o talaltra musicista, strumentista, cantante, ed ora si sono messe anche le direttrici d'orchestra, per le quali il bluff è sempre in agguato, sono sexy? Sul fatto che siano belle possiamo convenire, ma con cautela, sul sexy o provocanti meno. Ma non ci va giù il fatto che essendo giovani belle e sexy, debbano essere necessariamente anche brave.
A proposito delle sexy o provocanti, anche senza essere belle secondo i canoni stile 'barby', ed anche brave, a chi va cantando la femminilità sbattuta in faccia in tutti i modi dal palcoscenico, vorremmo proporre un modello inimitabile: Martha Argerich, che, guarda caso, lei sì, era sexy, oltremodo sexy, niente della pupattola, ma anche brava, bravissima, anzi geniale.
Sta qui il problema. Non è detto - come si vuole dare ad intendere - che madre natura ogni volta che fa nascere una bella figliuola la doti anche di bravura nel proprio campo professionale. Un tempo si diceva di tutte le belle che erano sceme. Oggi di tutte le belle ( e sexy e provocanti) musiciste si tende ad affermare che sono anche brave. Quando mai? E chi decreta della loro bravura? Quasi sempre un cronista qualsiasi a digiuno di musica. Perchè di musica pare che tutti siano autorizzati a parlare, anche senza capirci un tubo.
Lo ha fatto, ieri, su 'D LUI' di Repubblica - una busta della spesa piena zeppa di pubblicità - Guido Andruetto, con un pezzo intitolato: 'Opera sexy': nei teatri, sulle copertine dei dischi, nei social: le star della classica sono sempre più sensuali', con l'avallo, quello sì meditato, del regista Michieletto sul mondo del melodramma che conosce bene: ' nella lirica le donne sono superlative: femmine violentissime o fragilissime'. E non potrebbe essere altrimenti.
Ci siamo presi la briga, dopo aver letto quell'inutile pezzo stantio, perchè visto e rivisto, letto e riletto, ormai decine e decine di volte su ogni giornale ( e non parliamo di tv, dove la bellezza è d'obbligo, altrimenti anche se sei brava nessuno ti si fila!) di andare a vedere le foto di tutte le musiciste elencate; fra le quali, le sexy sono una minima parte, sono più quelle belle, belle ragazze anche perché giovani ma niente di più, ma dove le brave sono ancora meno.
Ci è bastato leggere due o tre nomi di bellezze italiche, che conosciamo bene, per convincerci che sebbene 'bella' - il cronista non si ferma alla bellezza e punta al sexy - non faccia sempre rima con 'scema' (come si pensava un tempo, volendosi vendicare con la natura generosa verso alcune e avara con la maggioranza!), non è detto che debba farla, la rima, con 'brava', sempre.
Come dimostrano alcuni esempi da lui citati che brave non sono affatto, magari belle e giovani sì, forse anche un pò sexy, per le quali ci viene il dubbio che la carriera, piccola e circoscritta (a dispetto di quello che pensa, senza capirci nulla, il nostro cronista) se la facciano mettendo sul piatto altre carte, neppure tanto segrete.
E allora perché ogni giorno dobbiamo leggere, prima ancora di sapere quanto sia brava, che sarebbe l'unica ragione per far scrivere i giornali, che la tale o talaltra musicista, strumentista, cantante, ed ora si sono messe anche le direttrici d'orchestra, per le quali il bluff è sempre in agguato, sono sexy? Sul fatto che siano belle possiamo convenire, ma con cautela, sul sexy o provocanti meno. Ma non ci va giù il fatto che essendo giovani belle e sexy, debbano essere necessariamente anche brave.
A proposito delle sexy o provocanti, anche senza essere belle secondo i canoni stile 'barby', ed anche brave, a chi va cantando la femminilità sbattuta in faccia in tutti i modi dal palcoscenico, vorremmo proporre un modello inimitabile: Martha Argerich, che, guarda caso, lei sì, era sexy, oltremodo sexy, niente della pupattola, ma anche brava, bravissima, anzi geniale.
Sta qui il problema. Non è detto - come si vuole dare ad intendere - che madre natura ogni volta che fa nascere una bella figliuola la doti anche di bravura nel proprio campo professionale. Un tempo si diceva di tutte le belle che erano sceme. Oggi di tutte le belle ( e sexy e provocanti) musiciste si tende ad affermare che sono anche brave. Quando mai? E chi decreta della loro bravura? Quasi sempre un cronista qualsiasi a digiuno di musica. Perchè di musica pare che tutti siano autorizzati a parlare, anche senza capirci un tubo.
Lo ha fatto, ieri, su 'D LUI' di Repubblica - una busta della spesa piena zeppa di pubblicità - Guido Andruetto, con un pezzo intitolato: 'Opera sexy': nei teatri, sulle copertine dei dischi, nei social: le star della classica sono sempre più sensuali', con l'avallo, quello sì meditato, del regista Michieletto sul mondo del melodramma che conosce bene: ' nella lirica le donne sono superlative: femmine violentissime o fragilissime'. E non potrebbe essere altrimenti.
Ci siamo presi la briga, dopo aver letto quell'inutile pezzo stantio, perchè visto e rivisto, letto e riletto, ormai decine e decine di volte su ogni giornale ( e non parliamo di tv, dove la bellezza è d'obbligo, altrimenti anche se sei brava nessuno ti si fila!) di andare a vedere le foto di tutte le musiciste elencate; fra le quali, le sexy sono una minima parte, sono più quelle belle, belle ragazze anche perché giovani ma niente di più, ma dove le brave sono ancora meno.
Ci è bastato leggere due o tre nomi di bellezze italiche, che conosciamo bene, per convincerci che sebbene 'bella' - il cronista non si ferma alla bellezza e punta al sexy - non faccia sempre rima con 'scema' (come si pensava un tempo, volendosi vendicare con la natura generosa verso alcune e avara con la maggioranza!), non è detto che debba farla, la rima, con 'brava', sempre.
Come dimostrano alcuni esempi da lui citati che brave non sono affatto, magari belle e giovani sì, forse anche un pò sexy, per le quali ci viene il dubbio che la carriera, piccola e circoscritta (a dispetto di quello che pensa, senza capirci nulla, il nostro cronista) se la facciano mettendo sul piatto altre carte, neppure tanto segrete.
Einstein incontra Franco Mannino, secondo il racconto del musicista a Repubblica
"DURANTE
il conflitto mondiale ci fu un esodo di persone residenti in Europa
ed appartenenti a diverse classi sociali verso l' America, e
specialmente verso la California; da lì, finita la guerra, molti
raggiunsero New York, e tra i molti anche alcuni genii. Ero da poco
arrivato in quell' inebriante città quando conobbi un ebreo polacco,
il cui nome mi sembra di ricordare fosse Koceninski, che parlava una
decina di lingue e aveva un hobby particolare: entrare in confidenza
con i genii e le personalità del momento. Un giorno mi disse: Albert
Einstein è per pochi giorni a New York e ti vuole conoscere. Quando
puoi incontrarlo? Risposi che venisse il giorno seguente al piccolo
albergo nel cuore di Manhattan dove soggiornavo in un comodo
appartamentino. Quando arrivò, Albert Einstein mi fece l'
impressione di un meraviglioso cucciolo dal pelo arruffato e potei
dialogare con lui senza problemi perché conosceva bene l' italiano:
per punirlo dei suoi cattivi voti a scuola era stato iscritto dal
padre al Politecnico di Milano, città in cui rimase per due anni
trascorrendo spesso le sue serate nel loggione del Teatro alla Scala
per assistere agli spettacoli d' opera. Mi confidò infatti che il
grande amore della sua vita era la musica e che suonava il violino;
capii allora perché il grande Einstein avesse voluto incontrare un
musicista ventiduenne particolarmente dedito al piano: voleva che l'
accompagnassi mentre suonava il suo strumento. Devo smentire il
dottor Albert Schweitzer quando sostiene che Einstein suonasse bene
il violino: lo suonava in modo straziante, ma era tale la sua gioia
che non si poteva fare a meno di prendervi parte. Un giorno arrivò,
puntuale come un allievo diligente, portando la V Sonata di
Beethoven, La Primavera. Dopo poche battute mi interruppi: Albert, ho
avuto un' intuizione: la tua teoria sulla relatività è esatta...
Albert Einstein il violino lo suonava bene o male?
Un dubbio ci ha assaliti alla lettura di una dichiarazione del protagonista di una serie televisiva che va forte in America: Genius, dedicata allo scienziato più grande del secolo scorso, forse uno dei più grandi di tutti i tempi: Albert Einstein. Lo interpreta Geoffrey Rush, premiato con l'Oscar per una sua precedente interpretazione, nel film Shine, quella del pianista pazzo (disturbato, meglio, finito in manicomio) David Helfgot - che disgraziatamente avemmo l'opportunità di conoscere ed ascoltare in carne ed ossa, nel corso dei Concerti Italcable, organizzati da Stefano Mazzonis, del quale in questi ultimi giorni abbiamo scritto ormai troppe volte.
Geoffrey Rush, intervistato dal Corriere, ha ricordato che Einstein "sapeva suonare benissimo il violino". E, più avanti, che proprio con un concerto di violino festeggiò con amici l'assegnazione del Nobel nel 1921, quando aveva poco più di cinquant'anni.
Il dubbio riguardava proprio l'Einstein violinista. Perchè dubitare della sua bravura? Una ragione c'era e ci è affiorata subito nella memoria. Ve la raccontiamo anche perché ancora non ci siamo decisi sulla bravura o meno del grande scienziato nel suonare il violino. La testimonianza contraria a quella di Rush ci viene da un libro discutibilissimo, dal titolo Genii - dunque lo stesso della serie televisiva americana - scritto molti anni fa da Franco Mannino.
Mannino racconta in quel libro dei genii che ha avuto l'opportunità di conoscere nel corso della sua vita di musicista; meglio : dei genii che, nel corso della sua lunga carriera di musicista, lo hanno voluto conoscere. Perché fu questa l'impressione che avemmo leggendo quel libro. che avrebbe dovuto accreditarlo genio fra genii. E, del resto, chi conosceva Mannino sapeva bene quanto egli soleva porsi sempre al centro dell'attenzione.
Per farla breve, rimandando un succulento capitolo su Mannino ad altra occasione, in quel libro egli racconta che incontrò a New York, durante la seconda guerra mondiale, il celebre scienziato che aveva più di sessant'anni, mentre il giovane pianista poco più di venti. Mannino precisa che Einstein volle incontrarlo; intermediario un comune conoscente, altro genio che si muoveva fra genii.
Poi capi la ragione di tale interesse. Einstein sapeva del giovane talentuoso pianista italiano e volle incontrarlo per suonare con lui ( il racconto dettagliato lo si potrà leggere nel post successivo che abbiamo ricavato da una dichiarazione di molti anni fa di Mannino al quotidiano La repubblica; nella nostra biblioteca personale non siamo riusciti in queste ore a trovare il volume di Mannino )
Lo scienziato si presentò con le parti ( violino, pianoforte) della celebre Primavera, op.24, una delle più note sonate di Beethoven per violino e pianoforte. Cominciano a suonare; quasi subito Mannino s'interrompe e con l'ardire e la sfrontatezza del giovane musicista dice allo scienziato: "ora ho trovato la ragione della sua scoperta della teoria della relatività". Il resto ve lo lasciamo intendere. Einstein non suonava bene e Mannino lo richiamava all'ordine, facendogli notare che suonando e per giunta insieme non esisteva relatività, ma precisione e fedeltà al dettato musicale ecc... ecc...
A ben riflettere potrebbe anche darsi che da giovane Einstein il violino lo suonasse meglio e forse anche bene, mentre con la vecchiaia non più; ma non può essere che andasse per conto suo, come se ciò che Beethoven aveva scritto non era esatto ma 'relativo' - secondo l'ironico Mannino.
Ora il dubbio resta. Ma, siccome Mannino non ci sente anche se potrebbe da dove sta ora, nell'aldilà, noi siamo più propensi a non credergli sulle capacità violinistiche di Einstein, anche se, dobbiamo d'altra parte ammettere che chi non sa cosa sia uno strumento, facilmente possa dire come uno lo suona: bene o benissimo. Ma quel concerto dato nel 1921, in occasione del suo Nobel ci fa pensare che egli non amasse esporsi al ridicolo seppure dei suoi amici e conoscenti, suonando uno strumento che non sapeva suonare. Dunque ha forse ragione Rush.
Geoffrey Rush, intervistato dal Corriere, ha ricordato che Einstein "sapeva suonare benissimo il violino". E, più avanti, che proprio con un concerto di violino festeggiò con amici l'assegnazione del Nobel nel 1921, quando aveva poco più di cinquant'anni.
Il dubbio riguardava proprio l'Einstein violinista. Perchè dubitare della sua bravura? Una ragione c'era e ci è affiorata subito nella memoria. Ve la raccontiamo anche perché ancora non ci siamo decisi sulla bravura o meno del grande scienziato nel suonare il violino. La testimonianza contraria a quella di Rush ci viene da un libro discutibilissimo, dal titolo Genii - dunque lo stesso della serie televisiva americana - scritto molti anni fa da Franco Mannino.
Mannino racconta in quel libro dei genii che ha avuto l'opportunità di conoscere nel corso della sua vita di musicista; meglio : dei genii che, nel corso della sua lunga carriera di musicista, lo hanno voluto conoscere. Perché fu questa l'impressione che avemmo leggendo quel libro. che avrebbe dovuto accreditarlo genio fra genii. E, del resto, chi conosceva Mannino sapeva bene quanto egli soleva porsi sempre al centro dell'attenzione.
Per farla breve, rimandando un succulento capitolo su Mannino ad altra occasione, in quel libro egli racconta che incontrò a New York, durante la seconda guerra mondiale, il celebre scienziato che aveva più di sessant'anni, mentre il giovane pianista poco più di venti. Mannino precisa che Einstein volle incontrarlo; intermediario un comune conoscente, altro genio che si muoveva fra genii.
Poi capi la ragione di tale interesse. Einstein sapeva del giovane talentuoso pianista italiano e volle incontrarlo per suonare con lui ( il racconto dettagliato lo si potrà leggere nel post successivo che abbiamo ricavato da una dichiarazione di molti anni fa di Mannino al quotidiano La repubblica; nella nostra biblioteca personale non siamo riusciti in queste ore a trovare il volume di Mannino )
Lo scienziato si presentò con le parti ( violino, pianoforte) della celebre Primavera, op.24, una delle più note sonate di Beethoven per violino e pianoforte. Cominciano a suonare; quasi subito Mannino s'interrompe e con l'ardire e la sfrontatezza del giovane musicista dice allo scienziato: "ora ho trovato la ragione della sua scoperta della teoria della relatività". Il resto ve lo lasciamo intendere. Einstein non suonava bene e Mannino lo richiamava all'ordine, facendogli notare che suonando e per giunta insieme non esisteva relatività, ma precisione e fedeltà al dettato musicale ecc... ecc...
A ben riflettere potrebbe anche darsi che da giovane Einstein il violino lo suonasse meglio e forse anche bene, mentre con la vecchiaia non più; ma non può essere che andasse per conto suo, come se ciò che Beethoven aveva scritto non era esatto ma 'relativo' - secondo l'ironico Mannino.
Ora il dubbio resta. Ma, siccome Mannino non ci sente anche se potrebbe da dove sta ora, nell'aldilà, noi siamo più propensi a non credergli sulle capacità violinistiche di Einstein, anche se, dobbiamo d'altra parte ammettere che chi non sa cosa sia uno strumento, facilmente possa dire come uno lo suona: bene o benissimo. Ma quel concerto dato nel 1921, in occasione del suo Nobel ci fa pensare che egli non amasse esporsi al ridicolo seppure dei suoi amici e conoscenti, suonando uno strumento che non sapeva suonare. Dunque ha forse ragione Rush.
venerdì 28 aprile 2017
Contro la feroce dittatura di Maduro in Venezuela Abreu e Dudamel tacciono ancora
L'abbiamo denunciato nei giorni scorsi . Il silenzio di due notissime personalità di quel paese ormai in guerra civile con decine e decine di morti e disordini giornalieri; mentre milioni di venezuelani scendono in piazza e per strada mettendo a repentaglio la loro vita, per denunciare la dittatura chavista di Maduro che non esita ad usare, dopo la fame e la mancanza di medicinali, anche l'esercito per reprimere la protesta popolare.
Ora tutto il mondo è al fianco dei venezuelani. In questo drammatico fragore, non s'è udita ancora la voce di due eminenti personalità venezuelane note in tutto il mondo:
-Josè Abreu, padre del 'Sistema'- importante progetto di alfabetizzazione e pratica musicale che coinvolge centinaia di migliaia di ragazzi di ogni età e di ogni estrazione sociale - finanziato da oltre trent'anni da tutti i governi che si sono succeduti in quel paese:
- Gustavo Dudamel, figlio di quel 'Sistema', genio della direzione d'orchestra, stabile a Los Angeles, che la situazione del suo paese e conosce bene, e, nonostante ciò, insieme al suo 'padre artistico, Abreu, continua a tacere.
Ormai il tempo sembra essere scaduto. Abreu e Dudamel non possono, continuare a tacere, fingendo di non vedere in quale catastrofe anche umanitaria il folle Maduro sta sprofondando il loro paese.
Ora tutto il mondo è al fianco dei venezuelani. In questo drammatico fragore, non s'è udita ancora la voce di due eminenti personalità venezuelane note in tutto il mondo:
-Josè Abreu, padre del 'Sistema'- importante progetto di alfabetizzazione e pratica musicale che coinvolge centinaia di migliaia di ragazzi di ogni età e di ogni estrazione sociale - finanziato da oltre trent'anni da tutti i governi che si sono succeduti in quel paese:
- Gustavo Dudamel, figlio di quel 'Sistema', genio della direzione d'orchestra, stabile a Los Angeles, che la situazione del suo paese e conosce bene, e, nonostante ciò, insieme al suo 'padre artistico, Abreu, continua a tacere.
Ormai il tempo sembra essere scaduto. Abreu e Dudamel non possono, continuare a tacere, fingendo di non vedere in quale catastrofe anche umanitaria il folle Maduro sta sprofondando il loro paese.
giovedì 27 aprile 2017
In Tv Pooh e figlio di Pooh in viaggio in Lapponia
Le anticipazioni dello spettacolino trasmesso in tv, martedì sera, s'era avuto, domenica sera, nel salottino di Fazio, il quale ora che il suo compenso pare sia salvo avrebbe deciso di restare in Rai, pensando al vecchio detto che 'lasciare il certo per l'incerto...' o 'la strada vecchia per una nuova...' non conviene, perchè 'sai quello che lasci ma non sai quello che trovi'.
In quel salottino erano stati invitati un Pooh ed un figlio di Pooh, della ditta Facchinetti, dove si faceva fatica a distinguere il Pooh dal figlio del Pooh, perché il Pooh ce la metteva tutta per mostrarsi più giovane dell'esagitato e sopravvalutato figlio di Pooh. Pooh, il vecchio - sia detto senza nessuna intenzione denigratori, si presentava infatti tutto dipinto nella coccia, giacchettella giovanilistica 'stile Fazio' - al quale pure sta strana; ma lui almeno non si tinge i capelli - braccia interamente ricoperte da braccialetti e catenina d'oro per collarino. Già solo così risultava inguardabile, ma l'abbiamo comunque voluto guardare, per vedere l'effetto di lui, ormai tramontato, con tutto il trucco, e con il figlio di Pooh che ce la metteva tutta per mostrasi degno erede del passato del Pooh.
Che sono andati a fare o a dire da Fazio? Che in settimana sarebbe andato in onda in tv un loro viaggio in una delle zone più fredde del pianeta, per la serie 'cento ragioni per ammazzare mio padre', con il padre che non viene ammazzato, perchè non serve, in quanto il Pooh e il figlio di Pooh fanno vite separate, e per mostrare come finalmente il Pohh ed il figlio di Pooh, fuori tempo massimo, fanno un viaggio insieme per riappacificarsi.
Come ha spiegato il figlio di Pooh, il Pooh non è mai stato presente ai suoi compleanni, e neppure alla sua nascita. Perchè glielo hanno raccontato? Se non l'avessero fatto gli avrebbero procurato un trauma in meno, e forse gli avrebbero evitato ( a loro, ma soprattutto a noi) quell'impervio, ma inutile viaggio in Lapponia, fra renne ed aurore boreali, che nel corso della permanenza non sono riusciti a vedere e filmare ( potevano prendere qualche immagine di repertorio e infilarla nel loro album di viaggio? chi ci avrebbe fatto caso e a chi sarebbe importato di sbugiardarli? Almeno l'aurora boreale, che è una delle ragioni per cui in tanti fanno viaggio in quelle regioni, l'avrebbero portata a casa), sventando l'intento segreto di uccidere il padre Pooh, che nessuno sarebbe corso a salvare in quel freddo, anche se avesse cantato una delle sue conosciutissime canzonette.
Per dimenticanza non abbiamo accesso martedì sera la tv per vedere il loro viaggio in Lapponia; e di questa dimenticanza dobbiamo essere per una volta grati all'età che ci rende sempre più smemorati. Ma da quello che abbiamo letto sui giornali che in coro hanno stroncato sia l'idea che la stanca ed inutile ripresa di quel viaggio, possiamo dire che ci è bastata l'anticipazione che ci eravamo sorbiti domenica sera nel salottino di Fazio.
In quel salottino erano stati invitati un Pooh ed un figlio di Pooh, della ditta Facchinetti, dove si faceva fatica a distinguere il Pooh dal figlio del Pooh, perché il Pooh ce la metteva tutta per mostrarsi più giovane dell'esagitato e sopravvalutato figlio di Pooh. Pooh, il vecchio - sia detto senza nessuna intenzione denigratori, si presentava infatti tutto dipinto nella coccia, giacchettella giovanilistica 'stile Fazio' - al quale pure sta strana; ma lui almeno non si tinge i capelli - braccia interamente ricoperte da braccialetti e catenina d'oro per collarino. Già solo così risultava inguardabile, ma l'abbiamo comunque voluto guardare, per vedere l'effetto di lui, ormai tramontato, con tutto il trucco, e con il figlio di Pooh che ce la metteva tutta per mostrasi degno erede del passato del Pooh.
Che sono andati a fare o a dire da Fazio? Che in settimana sarebbe andato in onda in tv un loro viaggio in una delle zone più fredde del pianeta, per la serie 'cento ragioni per ammazzare mio padre', con il padre che non viene ammazzato, perchè non serve, in quanto il Pooh e il figlio di Pooh fanno vite separate, e per mostrare come finalmente il Pohh ed il figlio di Pooh, fuori tempo massimo, fanno un viaggio insieme per riappacificarsi.
Come ha spiegato il figlio di Pooh, il Pooh non è mai stato presente ai suoi compleanni, e neppure alla sua nascita. Perchè glielo hanno raccontato? Se non l'avessero fatto gli avrebbero procurato un trauma in meno, e forse gli avrebbero evitato ( a loro, ma soprattutto a noi) quell'impervio, ma inutile viaggio in Lapponia, fra renne ed aurore boreali, che nel corso della permanenza non sono riusciti a vedere e filmare ( potevano prendere qualche immagine di repertorio e infilarla nel loro album di viaggio? chi ci avrebbe fatto caso e a chi sarebbe importato di sbugiardarli? Almeno l'aurora boreale, che è una delle ragioni per cui in tanti fanno viaggio in quelle regioni, l'avrebbero portata a casa), sventando l'intento segreto di uccidere il padre Pooh, che nessuno sarebbe corso a salvare in quel freddo, anche se avesse cantato una delle sue conosciutissime canzonette.
Per dimenticanza non abbiamo accesso martedì sera la tv per vedere il loro viaggio in Lapponia; e di questa dimenticanza dobbiamo essere per una volta grati all'età che ci rende sempre più smemorati. Ma da quello che abbiamo letto sui giornali che in coro hanno stroncato sia l'idea che la stanca ed inutile ripresa di quel viaggio, possiamo dire che ci è bastata l'anticipazione che ci eravamo sorbiti domenica sera nel salottino di Fazio.
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mercoledì 26 aprile 2017
Festival Puccini a Torre del Lago. Una bella fanciulla stregata dal grande musicista sensibile al fascino femminile
Se per caso vi capita di navigare in rete non perdetevi la visita al sito, con relativo blog, del Festival Puccini di Torre del Lago, guidato da Alberto Veronesi. Per due motivi, ambedue molto meritevoli, di fresca attualità.
Il primo è l'istituzione di una specie di enciclopedia popolare pucciniana, PUCCINIPEDIA, dove trovare tutto quello che volete sapere sul grande musicista, nume del Lago di Massacciucoli ed anche del festival dedicatogli.
Per inaugurare tale enciclopedia elettronica non hanno badato a spese. Si sono rivolti al più grande studioso pucciniano, di caratura internazionale. Michele Girardi? Ma che, più importante. A Dieter Schickling, il più accreditato suo biografo al quale anche noi ci siamo rivolti, di recente, per confezionare il nostro libricino, assai apprezzato, edito dalle Edizioni Clichy, dal titolo 'Giacomo Puccini, sonatore del Regno'? Più su, ancora più importante. Chi sarà mai? Nientemeno che Enrico Stinchelli, il più grande studioso di melodramma, di caratura e rinomanza internazionali, che ha regalato ai frequentatori della enciclopedia pucciniana una dotta quanto approfondita introduzione generale sul carattere 'femminile' della musica di Puccini, al quale ,come si sa, le donne non erano indifferenti affatto, le donne in carne ed ossa al cui fascino egli più d'una volta cedette in vita.
Uno allora si chiede: forse è per rendergli omaggio, anche da morto, che Alberto Veronesi ha chiamato la giovane ed avvenente direttrice d'orchestra, ventisettenne, lucchesina come Puccini, Beatrice Venezi, a dirigere nel prossimo festival, La Rondine? Non diciamo sciocchezze. Forse questo vale per la sua partecipazione come testimonial alla pubblicità di una nota casa automobilistica tedesca, ma non per la musica.
La ragione vera del suo invito al 'Festival pucciniano' va cercata altrove, e non nella sua avvenenza e giovane età. Troppo banale e scontato. Fra breve vi diremo.
Permetteteci prima di dirvi che, navigando in rete, si scopre che le donne che dirigono orchestre anche in Italia sono già abbastanza numerose. Non stiamo a fare i sofisticati dividendo le orchestre in buone o cattive, importanti o mediocri (nel caso di quelle dirette dalla Venezi che differenza ci sarebbe fra l'Orchestra Scarlatti, la Filarmonica di Lucca e l'Orchestra dell'Accademia di santa Cecilia che Lei non ha ancora diretto, ma che potrebbe a breve, vista la speditezza della sua folgorante carriera)? Hanno più elementi comuni di quanti non ne abbiano. La qualità? quella cambia anche a seconda dei giorni. perciò, tutte le orchestre sono uguali. Le orchestre sono orchestre e basta. Navigando navigando abbiamo scoperto ed annotato non solo i nomi delle signore del podio, ma anche le loro fattezze, perché - sono donne!- ad ognuna di esse corrisponde un ricco corredo fotografico, dal quale risulta che sono tutte belle. E lì non c'è trucco; ed sarebbe inutile ed anche banale e scontato dire che fanno carriera perché sono belle. Perché ormai la gioventù in Italia è tutta bella e di gran lunga più bella che in passato.
Allora quale ragione ha deciso Alberto Veronesi non solo ad invitarla per la direzione de La rondine, quest'estate, ma anche a nominarla direttore ospite principale del festival 2018? In rete circola anche qualche video della giovanissima direttrice. Uno in particolare colpisce, su You tube, che ci fa vedere ed ascoltare la Venezi dirigere l'Egmont ( ouverture) di Beethoven. Se uno la osserva attentamente e tiene le orecchie bene aperte per carpire ogni minimo particolare del celebre brano beethoveniano, oltre che naturalmente del suo gesto direttoriale - si vede che è nata direttrice! - non può che condividere al cento per cento la scelta di Veronesi, presidente del festival, che, inutile ricordarlo, di direzione d'orchestra se ne intende.
Il primo è l'istituzione di una specie di enciclopedia popolare pucciniana, PUCCINIPEDIA, dove trovare tutto quello che volete sapere sul grande musicista, nume del Lago di Massacciucoli ed anche del festival dedicatogli.
Per inaugurare tale enciclopedia elettronica non hanno badato a spese. Si sono rivolti al più grande studioso pucciniano, di caratura internazionale. Michele Girardi? Ma che, più importante. A Dieter Schickling, il più accreditato suo biografo al quale anche noi ci siamo rivolti, di recente, per confezionare il nostro libricino, assai apprezzato, edito dalle Edizioni Clichy, dal titolo 'Giacomo Puccini, sonatore del Regno'? Più su, ancora più importante. Chi sarà mai? Nientemeno che Enrico Stinchelli, il più grande studioso di melodramma, di caratura e rinomanza internazionali, che ha regalato ai frequentatori della enciclopedia pucciniana una dotta quanto approfondita introduzione generale sul carattere 'femminile' della musica di Puccini, al quale ,come si sa, le donne non erano indifferenti affatto, le donne in carne ed ossa al cui fascino egli più d'una volta cedette in vita.
Uno allora si chiede: forse è per rendergli omaggio, anche da morto, che Alberto Veronesi ha chiamato la giovane ed avvenente direttrice d'orchestra, ventisettenne, lucchesina come Puccini, Beatrice Venezi, a dirigere nel prossimo festival, La Rondine? Non diciamo sciocchezze. Forse questo vale per la sua partecipazione come testimonial alla pubblicità di una nota casa automobilistica tedesca, ma non per la musica.
La ragione vera del suo invito al 'Festival pucciniano' va cercata altrove, e non nella sua avvenenza e giovane età. Troppo banale e scontato. Fra breve vi diremo.
Permetteteci prima di dirvi che, navigando in rete, si scopre che le donne che dirigono orchestre anche in Italia sono già abbastanza numerose. Non stiamo a fare i sofisticati dividendo le orchestre in buone o cattive, importanti o mediocri (nel caso di quelle dirette dalla Venezi che differenza ci sarebbe fra l'Orchestra Scarlatti, la Filarmonica di Lucca e l'Orchestra dell'Accademia di santa Cecilia che Lei non ha ancora diretto, ma che potrebbe a breve, vista la speditezza della sua folgorante carriera)? Hanno più elementi comuni di quanti non ne abbiano. La qualità? quella cambia anche a seconda dei giorni. perciò, tutte le orchestre sono uguali. Le orchestre sono orchestre e basta. Navigando navigando abbiamo scoperto ed annotato non solo i nomi delle signore del podio, ma anche le loro fattezze, perché - sono donne!- ad ognuna di esse corrisponde un ricco corredo fotografico, dal quale risulta che sono tutte belle. E lì non c'è trucco; ed sarebbe inutile ed anche banale e scontato dire che fanno carriera perché sono belle. Perché ormai la gioventù in Italia è tutta bella e di gran lunga più bella che in passato.
Allora quale ragione ha deciso Alberto Veronesi non solo ad invitarla per la direzione de La rondine, quest'estate, ma anche a nominarla direttore ospite principale del festival 2018? In rete circola anche qualche video della giovanissima direttrice. Uno in particolare colpisce, su You tube, che ci fa vedere ed ascoltare la Venezi dirigere l'Egmont ( ouverture) di Beethoven. Se uno la osserva attentamente e tiene le orecchie bene aperte per carpire ogni minimo particolare del celebre brano beethoveniano, oltre che naturalmente del suo gesto direttoriale - si vede che è nata direttrice! - non può che condividere al cento per cento la scelta di Veronesi, presidente del festival, che, inutile ricordarlo, di direzione d'orchestra se ne intende.
E' morto Guazzaloca, ex sindaco di Bologna. Da Liegi lo piange Stefano Mazzonis
L'altro ieri ci siamo occupati del Teatro di Liegi amministrato - sembra bene - da una decina d'anni da Stefano Mazzonis. Ce ne siamo occupati sia perché aveva presentato la nuova stagione sia per la nomina di Speranza Scappucci a direttore principale del teatro.
Ora ce ne occupiamo - in coincidenza con un fatto doloroso: la morte, a 73 anni, dell'ex sindaco di Bologna, Guazzaloca, detto anche il 'macellaio' al quale, ai tempi, tutti riconobbero una buona amministrazione - per raccontare la storia per cui Stefano Mazzonis, senza Guazzaloca (e Pierferdinando Casini, suo sostenitore politico) non sarebbe mai arrivato a Liegi.
Come si sa il sindaco presiede il Consiglio di amministrazione della Fondazione lirica della sua città, e i suoi poteri non sono ininfluenti. Ci scuserete se non saremo precisi con gli anni.
Accadeva che la carica di sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna fosse vacante - non ricordiamo se per conclusione di mandato o per fuoruscita degli amministratori, causa buchi di bilancio ( la storia del Comunale bolognese è regolarmente segnata da tali buchi, compreso l'attuale, con Sani al vertice).
In quegli anni, come abbiamo accennato, Casini contava qualcosa, certamente molto più di quanto non conti ora. Nella sua segreteria lavorava, con un incarico di prestigio, da quel che ricordiamo, Maria Delogu, vedova di Casini, Claudio, musicologo, morto prematuramente, imparentato con Pierferdi. La quale intercede presso il suo capo per la nomina a Bologna del suo compagno di allora Stefano Mazzonis, il nobile di Pralafera che, al suo attivo, all'epoca, di un qualche rilievo aveva solo l'organizzazione/direzione dei Concerti Italcable, con i soldi della importante compagnia telefonica (oltre una o due regie fatta in casa per operine lì rappresentate. Nulla di speciale)
Pierferdi ci mette un attimo e risolve, giusta l'indicazione della sua collaboratrice indirettamente imparentata con lui, il problema all'amico. Suggerisce con una certa forza a Guazzaloca il nome di Mazzonis. Guazzaloca non è in grado - ma neanche Pierferdi - di valutare l'idoneità professionale del candidato suggerito, e nomina Mazzonis propostogli dal suo sponsor politico.
Ora ce ne occupiamo - in coincidenza con un fatto doloroso: la morte, a 73 anni, dell'ex sindaco di Bologna, Guazzaloca, detto anche il 'macellaio' al quale, ai tempi, tutti riconobbero una buona amministrazione - per raccontare la storia per cui Stefano Mazzonis, senza Guazzaloca (e Pierferdinando Casini, suo sostenitore politico) non sarebbe mai arrivato a Liegi.
Come si sa il sindaco presiede il Consiglio di amministrazione della Fondazione lirica della sua città, e i suoi poteri non sono ininfluenti. Ci scuserete se non saremo precisi con gli anni.
Accadeva che la carica di sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna fosse vacante - non ricordiamo se per conclusione di mandato o per fuoruscita degli amministratori, causa buchi di bilancio ( la storia del Comunale bolognese è regolarmente segnata da tali buchi, compreso l'attuale, con Sani al vertice).
In quegli anni, come abbiamo accennato, Casini contava qualcosa, certamente molto più di quanto non conti ora. Nella sua segreteria lavorava, con un incarico di prestigio, da quel che ricordiamo, Maria Delogu, vedova di Casini, Claudio, musicologo, morto prematuramente, imparentato con Pierferdi. La quale intercede presso il suo capo per la nomina a Bologna del suo compagno di allora Stefano Mazzonis, il nobile di Pralafera che, al suo attivo, all'epoca, di un qualche rilievo aveva solo l'organizzazione/direzione dei Concerti Italcable, con i soldi della importante compagnia telefonica (oltre una o due regie fatta in casa per operine lì rappresentate. Nulla di speciale)
Pierferdi ci mette un attimo e risolve, giusta l'indicazione della sua collaboratrice indirettamente imparentata con lui, il problema all'amico. Suggerisce con una certa forza a Guazzaloca il nome di Mazzonis. Guazzaloca non è in grado - ma neanche Pierferdi - di valutare l'idoneità professionale del candidato suggerito, e nomina Mazzonis propostogli dal suo sponsor politico.
Mazzonis sbarca a Bologna, chiama a lavorare con sè, un direttore artistico di nome molto più forte di lui, e in coppia affiatatisima si mettono al timone della nave bolognese. Dalla cui navigazione è venuta la nomina successiva a Liegi, vantando nel suo curriculum, Mazzonis, che aveva partecipato al bando del teatro belga, la 'sovrintendenza' a Bologna'. Il resto è storia nota. Lui è lì da parecchi anni e, ripetiamo, sembra faccia bene.
Questa storia, che crediamo già nota, l' abbiamo voluto comunque nuovamente raccontare, per confermarci nell'idea che senza l'intervento della mala ( qui come in altri casi di buono non c'è proprio nulla!) politica, in Italia è quasi impossibile far carriera. Ciò non toglie che qualche rarissima volta, come nel caso di Mazzonis Stefano ( attenzione a non confonderlo con suo cugino, Cesare Mazzonis, anche lui di Pralafera, che ha fatto carrierissima in Italia nel medesimo settore, ma che aveva cominciato facendo il 'portaborse', nel senso più nobile del termine, di Francesco Siciliani, allora in Rai) che la scelta si sia rivelata giusta, a guardare i risultati di questi anni.
Condoglianze alla famiglia Guazzaloca. E auguri di mille altre sovrintendenze a Stefano Mazzonis di Pralafera, dopo Liegi
Questa storia, che crediamo già nota, l' abbiamo voluto comunque nuovamente raccontare, per confermarci nell'idea che senza l'intervento della mala ( qui come in altri casi di buono non c'è proprio nulla!) politica, in Italia è quasi impossibile far carriera. Ciò non toglie che qualche rarissima volta, come nel caso di Mazzonis Stefano ( attenzione a non confonderlo con suo cugino, Cesare Mazzonis, anche lui di Pralafera, che ha fatto carrierissima in Italia nel medesimo settore, ma che aveva cominciato facendo il 'portaborse', nel senso più nobile del termine, di Francesco Siciliani, allora in Rai) che la scelta si sia rivelata giusta, a guardare i risultati di questi anni.
Condoglianze alla famiglia Guazzaloca. E auguri di mille altre sovrintendenze a Stefano Mazzonis di Pralafera, dopo Liegi
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martedì 25 aprile 2017
Montalbano faccia un'indagine anche sulla regolarità della casa nella quale vive, quasi sull'acqua. Non sarà mica abusiva, anche se condonata?
Per il vero proprietario, un avvocato, quella casa, quasi sull'acqua, set della fiction del celebre commissario uscito dalla penna di Camilleri, è una manna inesauribile. Finite le riprese, per il resto dell'anno, quella casa viene regolarmente affittata a famiglie e singoli, italiani e stranieri, che vogliono vivere qualche ora nella stessa casa del celebre commissario Montalbano-Zingaretti, mangiare su quel terrazzino coperto a pelo d'acua; oppure visitata dai partecipanti ai 'Vigata tour' o 'Montalbano tour' che, con ben altri intenti, hanno preso il posto in Sicilia dei 'Mafia tour' degli anni più neri dell'Isola.
Ora quella casa, che è quasi sull'acqua, in una piccola spiaggia, poco manca che il mare, quando è in tempesta, la inondi. Ma come fa ad essere proprio sull'acqua? Forse che è 'finita' quasi sull'acqua a causa dell'erosione delle spiagge? Oppure - come è più facile immaginare - quella casa è nata abusiva e solo dopo condonata?
E' più facile propendere per la seconda delle ipotesi. Perchè allora nessuno mai si è posto il problema della opportunità dell'utilizzo come set per la fiction del celebre commissario, di una casa 'abusiva', seppure condonata?
N.B.
Vedi che succede a non guardare da mattina a sera la tv? Il problema lo avevano sollevato già le IENE, ed il proprietario, l'avvocato, aveva prontamente risposto che quella casa era là da molto tempo, addirittura dall'800, ed anche il terrazzino/loggetta non è abusivo. Dunue il Commissario può dormire sonni tranquilli e pensare alle sue indagini.
Noi il problema ce lo siamo posti a seguito di una sceneggiata, una delle tante, una sceneggiata idiota della Eleonora Daniele che, proprio ieri, dopo il successo della fiction, anche nella puntata di lunedì, l'ha voluta mostrare quella casa senza il commissario. La Daniele ha trattato i telespettatori - ma non è la prima volta nè sarà l'ultima. - come fossero una massa di idioti imbecilli da trattare come si trattano i bambini quando ancora non capiscono, perchè quando capiscono rispondono subito, 'a' Daniè, nun fa' la scema!
Il suo comportamento da maestrina le impedisce di rendersi conto che l'idiota è proprio lei e che i telespettatori non sopportano quel suo atteggiamento.
Sempre ieri, in clima di sorprese, abbiamo colto la Antonellona Clerici che ha testualmente detto: ' se fossi stata furba, con il mestiere che faccio - la chef, ma solo in televisione, perchè lei è brava a mangiare, non sappiamo se anche a cucinare - chissà quanti soldi avrei potuto fare! Ancora? Quindi 'tanti soldi' non li ha ancora fatti, nonostante che Lei sia fra le pacioccone televisive la più pagata! Ma non si vergogna? Dovrebbe tacere per quello che in questi anni ha guadagnato e, nei prossimi, continuerà a guadagnare. Evidentemente non le basta. Potrebbe spiegarci con quali soldi ha regalato, ad esempio, al suo ex una macchinona del costo di qualche centinaio di migliaia di euro? Che glieli ha dati quei soldi se non la Rai? E chi altri avrebbe potuto pagarla altrettanto? Vergogna, vispa Antonella!
Ora quella casa, che è quasi sull'acqua, in una piccola spiaggia, poco manca che il mare, quando è in tempesta, la inondi. Ma come fa ad essere proprio sull'acqua? Forse che è 'finita' quasi sull'acqua a causa dell'erosione delle spiagge? Oppure - come è più facile immaginare - quella casa è nata abusiva e solo dopo condonata?
E' più facile propendere per la seconda delle ipotesi. Perchè allora nessuno mai si è posto il problema della opportunità dell'utilizzo come set per la fiction del celebre commissario, di una casa 'abusiva', seppure condonata?
N.B.
Vedi che succede a non guardare da mattina a sera la tv? Il problema lo avevano sollevato già le IENE, ed il proprietario, l'avvocato, aveva prontamente risposto che quella casa era là da molto tempo, addirittura dall'800, ed anche il terrazzino/loggetta non è abusivo. Dunue il Commissario può dormire sonni tranquilli e pensare alle sue indagini.
Noi il problema ce lo siamo posti a seguito di una sceneggiata, una delle tante, una sceneggiata idiota della Eleonora Daniele che, proprio ieri, dopo il successo della fiction, anche nella puntata di lunedì, l'ha voluta mostrare quella casa senza il commissario. La Daniele ha trattato i telespettatori - ma non è la prima volta nè sarà l'ultima. - come fossero una massa di idioti imbecilli da trattare come si trattano i bambini quando ancora non capiscono, perchè quando capiscono rispondono subito, 'a' Daniè, nun fa' la scema!
Il suo comportamento da maestrina le impedisce di rendersi conto che l'idiota è proprio lei e che i telespettatori non sopportano quel suo atteggiamento.
Sempre ieri, in clima di sorprese, abbiamo colto la Antonellona Clerici che ha testualmente detto: ' se fossi stata furba, con il mestiere che faccio - la chef, ma solo in televisione, perchè lei è brava a mangiare, non sappiamo se anche a cucinare - chissà quanti soldi avrei potuto fare! Ancora? Quindi 'tanti soldi' non li ha ancora fatti, nonostante che Lei sia fra le pacioccone televisive la più pagata! Ma non si vergogna? Dovrebbe tacere per quello che in questi anni ha guadagnato e, nei prossimi, continuerà a guadagnare. Evidentemente non le basta. Potrebbe spiegarci con quali soldi ha regalato, ad esempio, al suo ex una macchinona del costo di qualche centinaio di migliaia di euro? Che glieli ha dati quei soldi se non la Rai? E chi altri avrebbe potuto pagarla altrettanto? Vergogna, vispa Antonella!
Fratelli d'Italia ( Canto degli Italiani) inno nazionale PROVVISORIO da 70 anni. E poi ci lamentiamo se non lo cantano tutti
Nella rubrica della posta, sbrigata da Paolo Conti, sulle pagine dell'inserto romano del Corriere, un lettore si lamenta per lo spettacolo, che definisce indecente, al quale ha assistito involontariamente nei giorni scorsi a Piazza san Silvestro, in pieno centro a Roma. Ricordiamo solo che quella Piazza un tempo deturpata dai capolinea di numerose linee tramviarie, è stata trasformata negli anni scorsi da Paolo Portoghesi, al tempo di Alemanno sindaco, in una vera piazza ( confessiamo che non l'abbiamo ancora vista, pur abitando a Roma), con alberi e panchine (mantenendo forse, del vecchio arredo, solo i cessi sotto il piano stradale).
Il turista italiano in visita a Roma ha raccontato che c'era un concerto della Banda dell'Aeronautica, che in apertura ha suonato, come di prammatica, l'Inno nazionale, cioè a dire Fratelli d'Italia. Delle oltre cento persone presenti nella piazza, che sedevano o bivaccavano, solo quattro o cinque si sono alzate in piedi, le altre hanno proseguito nelle loro attività e chiacchiere come se nulla fosse. E forse poco più delle quattro o cinque persone hanno accompagnato col canto il suono della banda. Ma questo il turista non lo annota.
Scandalo: ma come si ascolta l'Inno nazionale, al quale il presidente Ciampi ha dedicato tanta attenzione, come se si ascoltasse un motivetto di Pupo o dei Pooh, anzi con minore partecipazione e nessun rispetto?
Il turista sa che la polemica su come ascoltare, e se cantarlo o meno, l'Inno nazionale divampa da qualche anno, da quando ci si accorse che i calciatori non lo cantavano (perchè non lo conoscevano, mentre ora devono aver seguito un corso accelerato per impararlo) e come loro anche molti politici, i quali di seguire un corso accelerato per impararlo se ne fottono letteralmente.
Perchè scandalizzarsi se da oltre settant'anni Fratelli d'Italia, assunto dal primo governo italiano nel 1946, PROVVISORIAMENTE come inno nazionale è ancora nella stessa condizione? E cioè nella condizione di 'inno nazionale provvisorio' ( a differenza del tricolore che è la 'bandiera italiana per legge'), perchè le 17 legislature che si sono da allora succedute non sono mai riuscite a fare un decreto per renderlo definitivo? Non si venga a dire che si è ancora nell'imbarazzo della scelta tra Fratelli d'Italia e Va pensiero, anche se il celebre coro verdiano disegnerebbe assai meglio la condizione miserevole e di schiavitù nella quale il popolo italiano vive da tempo, disamorato sfiduciato e, a differenza degli ebrei che lo cantano nel Nabucco, senza speranza di cambiamento reale.
Il turista italiano in visita a Roma ha raccontato che c'era un concerto della Banda dell'Aeronautica, che in apertura ha suonato, come di prammatica, l'Inno nazionale, cioè a dire Fratelli d'Italia. Delle oltre cento persone presenti nella piazza, che sedevano o bivaccavano, solo quattro o cinque si sono alzate in piedi, le altre hanno proseguito nelle loro attività e chiacchiere come se nulla fosse. E forse poco più delle quattro o cinque persone hanno accompagnato col canto il suono della banda. Ma questo il turista non lo annota.
Scandalo: ma come si ascolta l'Inno nazionale, al quale il presidente Ciampi ha dedicato tanta attenzione, come se si ascoltasse un motivetto di Pupo o dei Pooh, anzi con minore partecipazione e nessun rispetto?
Il turista sa che la polemica su come ascoltare, e se cantarlo o meno, l'Inno nazionale divampa da qualche anno, da quando ci si accorse che i calciatori non lo cantavano (perchè non lo conoscevano, mentre ora devono aver seguito un corso accelerato per impararlo) e come loro anche molti politici, i quali di seguire un corso accelerato per impararlo se ne fottono letteralmente.
Perchè scandalizzarsi se da oltre settant'anni Fratelli d'Italia, assunto dal primo governo italiano nel 1946, PROVVISORIAMENTE come inno nazionale è ancora nella stessa condizione? E cioè nella condizione di 'inno nazionale provvisorio' ( a differenza del tricolore che è la 'bandiera italiana per legge'), perchè le 17 legislature che si sono da allora succedute non sono mai riuscite a fare un decreto per renderlo definitivo? Non si venga a dire che si è ancora nell'imbarazzo della scelta tra Fratelli d'Italia e Va pensiero, anche se il celebre coro verdiano disegnerebbe assai meglio la condizione miserevole e di schiavitù nella quale il popolo italiano vive da tempo, disamorato sfiduciato e, a differenza degli ebrei che lo cantano nel Nabucco, senza speranza di cambiamento reale.
Gianna Fratta bocciata al 'Concours de Direction d'orchestre' di Becanson
Fra i lettori che seguono assiduamente il nostro blog e che hanno colto l'ironia generale del nostro precedente post dedicato alle direttrici d'orchestra, uno in particolare ci ha segnalato che la 'grande' direttrice Gianna Fratta - che ha diretto, BEN ADDOBBATA, il Concerto di Natale al Senato (con un'orchestrina) e i Berliner (SYMPHONIKER, A SCANSO DI EQUIVOCI) - presentatasi al 'Concours de direction d'orchestre' di Becanson non ha superato la prima prova, ed è stata rimandata donde era venuta.
Ma ci ha anche segnalato che un'altra direttrice italiana il 'Grand Prix' a quel famoso 'Concorso di direzione d'orchestra' francese di Becansonn, l'ha vinto, prima donna a conseguirlo, e si chiama Silvia Massarelli.
Queste notizie ci inducono ad una riflessione AMARA. Sì, è vero che per una donna imporsi in un mestiere prevalentemente maschile, come quello della direzione d'orchestra, è impresa ardua; ma per un altro verso è anche impresa facilissima, perchè la donna ha altri numeri da vantare, ben altre carte da giocare. Ipocrita chi lo nega.
Ce lo ha fatto pensare l'altro ieri la comparsa di un'altra direttrice, molto giovane e carina, Beatrice Venezi alla trasmissione di Caterina Balivo che l'unica cosa che riesce a dire, che sia credibile, è cherie! E detto da lei alla Venezi, vestita a festa, è quasi un lasciapassare per un futuro più che roseo.
Nella direzione d'orchestra? Ma chissenefrega della direzione d'orchestra
A proposito di Beatrice Venezi, classe 1990, in una intervista che si legge in rete c'è scritto che ha collaborato con orchestre nazionali ed internazionali, di cui si fornisce elenco: Orchestra da Camera Fiorentina, l’Orchestra Filarmonica di Lucca, l’Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra Filarmonica Campana, l’Orchestra della Fondazione Bulgaria Classic e l’Orchestra del Teatro Bolshoij di Minsk. Sarebbero queste le ORCHESTRE, dirigendo le quali la sua sarebbe una carriera già avviata?
Ma ci ha anche segnalato che un'altra direttrice italiana il 'Grand Prix' a quel famoso 'Concorso di direzione d'orchestra' francese di Becansonn, l'ha vinto, prima donna a conseguirlo, e si chiama Silvia Massarelli.
Queste notizie ci inducono ad una riflessione AMARA. Sì, è vero che per una donna imporsi in un mestiere prevalentemente maschile, come quello della direzione d'orchestra, è impresa ardua; ma per un altro verso è anche impresa facilissima, perchè la donna ha altri numeri da vantare, ben altre carte da giocare. Ipocrita chi lo nega.
Ce lo ha fatto pensare l'altro ieri la comparsa di un'altra direttrice, molto giovane e carina, Beatrice Venezi alla trasmissione di Caterina Balivo che l'unica cosa che riesce a dire, che sia credibile, è cherie! E detto da lei alla Venezi, vestita a festa, è quasi un lasciapassare per un futuro più che roseo.
Nella direzione d'orchestra? Ma chissenefrega della direzione d'orchestra
A proposito di Beatrice Venezi, classe 1990, in una intervista che si legge in rete c'è scritto che ha collaborato con orchestre nazionali ed internazionali, di cui si fornisce elenco: Orchestra da Camera Fiorentina, l’Orchestra Filarmonica di Lucca, l’Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra Filarmonica Campana, l’Orchestra della Fondazione Bulgaria Classic e l’Orchestra del Teatro Bolshoij di Minsk. Sarebbero queste le ORCHESTRE, dirigendo le quali la sua sarebbe una carriera già avviata?
lunedì 24 aprile 2017
Note musicali. Gianna Fratta e Speranza Scappucci. 'Gazza ladra' alla Scala dopo quasi due secoli dalla prima
Gianna Fratta , il direttore d'orchestra che ha diretto il Concerto di Natale in Senato - come Muti e Maazel - ed anche i Berliner (Symphoniker), nel cammino di avvicinamento ai Philharmoniker, al Corriere ha dichiarato che non è ancora giunta l'ora per chiamare i direttori donne come conviene, e cioè direttrice e maestra. E che tale ora giungerà quando una inaugurazione alla Scala sarà diretta da un direttore donna.
Se ancora non è scoccata l'ora scaligera, un'altra ora è appena scoccata, all'Opera di Liegi, dove la maestra Speranza Scappucci è stata nominata direttrice principale per due o tre stagioni. Dunque è fatta. La nomina della Scappucci segna anche un punto a favore di Stefano Mazzonis che, dall'Italcable, donde era partito, è arrivato a dirigere l'Opera di Liegi e ad essere uno dei registi più richiesti, anche dall'Opera di Liegi che perciò egli dirige come amministratore, direttore artistico e regista residente.
Tornando alle direttrici, Gianna Fratta è in parte accontentata, il regalo gliel'ha fatto Speranza Scappucci.
E veniamo al ritorno della Gazza ladra alla Scala, dopo quasi due secoli dal suo debutto proprio nel teatro milanese. Perchè ha dovuto attendere due secoli per il ritorno sulle scene scaligere? Il critico del Corriere, Girardi, la ragione l'ha individuata nella 'debolezza' del soggetto, che evidentemente per molti altri teatri, tralasciando l'eseguitissima sinfonia d'inizio, non ha costituito ostacolo alla sua frequente ripresa. Ma se il critico del Corriere, che comunque esalta la musica, ha incolpato la debolezza del soggetto, avrà le sue ragioni musicologiche e di costume.
Risolta definitivamente questa questione, lo stesso critico s'è applicato a risolverne altre, sempre riguardanti la Scala. La prima, in cima ai suoi approfonditi studi, è la ricerca delle ragioni profonde per cui, nei dieci anni di permanenza di Lissner e Barenboim alla Scala, Puccini non sia stato mai (o quasi) rappresentato. Anche in questo caso soggetti deboli? Ma allora Chailly e Pereira con i soggetti deboli ci vanno a nozze, se, dopo Rossini, fanno fare al loro pubblico una autentica abbuffata pucciniana?
Terza ed ultima questione cui trovare risposta adeguata. Dopo Puccini, si occuperà di Verdi. Perchè nel massimo teatro italiano, per l'anniversario Verdi-Wagner si inaugurò la stagione del bicentenario con Wagner e non con Verdi, che alla Scala era ed è sempre stato di casa? Forse a questa terza questione una mezza risposta l'aveva già fornita a suo tempo, affermando: che male c'è che si inaugura con Wagner, anche se sarebbe stato più logico e naturale farlo con Verdi? Forse perchè Barenboim non voleva dirigere Verdi alla Scala, tanto lo faceva regolarmente, lui sul podio, nel suo teatro berlinese? No, il critico aveva scritto all'epoca che ognuno è padrone di inaugurare con chi vuole nel 'suo' ( ?) teatro, lasciando da parte chi non vuole, tanto ci sarà sempre, dopo, qualcuno che capovolgerà le preferenze.
Se ancora non è scoccata l'ora scaligera, un'altra ora è appena scoccata, all'Opera di Liegi, dove la maestra Speranza Scappucci è stata nominata direttrice principale per due o tre stagioni. Dunque è fatta. La nomina della Scappucci segna anche un punto a favore di Stefano Mazzonis che, dall'Italcable, donde era partito, è arrivato a dirigere l'Opera di Liegi e ad essere uno dei registi più richiesti, anche dall'Opera di Liegi che perciò egli dirige come amministratore, direttore artistico e regista residente.
Tornando alle direttrici, Gianna Fratta è in parte accontentata, il regalo gliel'ha fatto Speranza Scappucci.
E veniamo al ritorno della Gazza ladra alla Scala, dopo quasi due secoli dal suo debutto proprio nel teatro milanese. Perchè ha dovuto attendere due secoli per il ritorno sulle scene scaligere? Il critico del Corriere, Girardi, la ragione l'ha individuata nella 'debolezza' del soggetto, che evidentemente per molti altri teatri, tralasciando l'eseguitissima sinfonia d'inizio, non ha costituito ostacolo alla sua frequente ripresa. Ma se il critico del Corriere, che comunque esalta la musica, ha incolpato la debolezza del soggetto, avrà le sue ragioni musicologiche e di costume.
Risolta definitivamente questa questione, lo stesso critico s'è applicato a risolverne altre, sempre riguardanti la Scala. La prima, in cima ai suoi approfonditi studi, è la ricerca delle ragioni profonde per cui, nei dieci anni di permanenza di Lissner e Barenboim alla Scala, Puccini non sia stato mai (o quasi) rappresentato. Anche in questo caso soggetti deboli? Ma allora Chailly e Pereira con i soggetti deboli ci vanno a nozze, se, dopo Rossini, fanno fare al loro pubblico una autentica abbuffata pucciniana?
Terza ed ultima questione cui trovare risposta adeguata. Dopo Puccini, si occuperà di Verdi. Perchè nel massimo teatro italiano, per l'anniversario Verdi-Wagner si inaugurò la stagione del bicentenario con Wagner e non con Verdi, che alla Scala era ed è sempre stato di casa? Forse a questa terza questione una mezza risposta l'aveva già fornita a suo tempo, affermando: che male c'è che si inaugura con Wagner, anche se sarebbe stato più logico e naturale farlo con Verdi? Forse perchè Barenboim non voleva dirigere Verdi alla Scala, tanto lo faceva regolarmente, lui sul podio, nel suo teatro berlinese? No, il critico aveva scritto all'epoca che ognuno è padrone di inaugurare con chi vuole nel 'suo' ( ?) teatro, lasciando da parte chi non vuole, tanto ci sarà sempre, dopo, qualcuno che capovolgerà le preferenze.
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sabato 22 aprile 2017
Rai. Nessuno tocchi le star
Fermi tutti, serrate le file. Non scappate, mamma Rai vi ama ancora e per dimostravi quanto, allarga ancora i cordoni della borsa.
L'allarme sulla fuga delle star dalla Rai è rientrato. Il CDA nei prossimi giorni sposerà il 'parere' espresso dal Ministero dell'Economia, per bocca del sottosegretario Giacomelli, e tutto resterà come prima.
Anche alle star che provengono dal giornalismo, non si applicano, ha spiegato Gicomelli, le stesse regole dei giornalisti in piena attività, perché da tempo anche quelli che provengono dal giornalismo hanno sottoscritto contratti della categoria dello 'spettacolo', in base ai quali pagano anche regolarmente l'Enpals, e non più l'Inpgi - che anche per questo è in crisi nera.
E la Antonellona Clerici? può dormire sonni tranquilli: Lei - come è evidente - dà spettacolo ogni giorno davanti a piatti fumanti e calici profumati, se poi scrive ricette per quasi tutti i giornali la colpa non è sua perché lei comunque non è una giornalista ma una mancata cuoca, e per questo la Rai la paga come le star del momento: i grandi chef. Se poi lei assaggia soltanto è irrilevante.
Fabio Fazio che aveva già minacciato di voler produrre in futuro i suoi spettacoli - era uno degli éscamotage per eludere il tetto dei compensi - e financo - lo ha scritto qualche giornale - che avrebbe potuto anche lasciare la Rai, e già stava trattando con La 7 - Cairo sarebbe così fesso da dargli quello che gli dà la Rai - ci ha ripensato, ma non forse alla sua volontà di autoprodursi. Non si sa mai, dovessero di nuovo attaccarlo in futuro.
Le star contano, lo sa bene anche Giletti che porge una sua ragione speciale. Ogni trasmissione più che per il format si identifica con il protagonista, come ad esempio, l'Arena con la sua faccia. Senza di quella anche una trasmissione di successo non avrebbe più lo stesso appeal per il pubblico, ma anche per la pubblicità - è la minaccia velata, ora neppure necessaria. Anzi, da ex giornalista di razza, avanza una proposta, non pro domo sua, e cioè che gli alti dirigenti della Rai, che amministrano un bilancio annuo di 2 miliardi di euro circa, non possono essere pagati secondo il tetto. Insomma in Rai mi dai una cosa a me (lo stesso compenso), ed io ti dò una cosa a te (l'aumento del tuo).
L'unica pietra dello scandalo è Lucia Annunziata, che ha fregato tutti sul tempo, riducendosi il compenso, per rientare nel tetto dei 240.000 Euro. e che forse ora si sarà pentita amaramente; salvo che la Rai non le imponga di tornare al compenso stabilito per contratto. Povera Lucia! Le toccherebbe la stessa sorte di tanti paperoni, gratificati da vitalizi principeschi, i quali, pur volendo come hanno spesso dichiarato i più falsi, non possono rinunciarvi. Sono costretti a percepirli, lo prescrive la legge.
Dunque le star restano in Rai, i compensi non si toccano, il palinsesto del prossimo autunno è salvo, e perfino Carlo Freccero, scontento sempre di tutto, questa volta può dichiararsi soddisfatto.
L'allarme sulla fuga delle star dalla Rai è rientrato. Il CDA nei prossimi giorni sposerà il 'parere' espresso dal Ministero dell'Economia, per bocca del sottosegretario Giacomelli, e tutto resterà come prima.
Anche alle star che provengono dal giornalismo, non si applicano, ha spiegato Gicomelli, le stesse regole dei giornalisti in piena attività, perché da tempo anche quelli che provengono dal giornalismo hanno sottoscritto contratti della categoria dello 'spettacolo', in base ai quali pagano anche regolarmente l'Enpals, e non più l'Inpgi - che anche per questo è in crisi nera.
E la Antonellona Clerici? può dormire sonni tranquilli: Lei - come è evidente - dà spettacolo ogni giorno davanti a piatti fumanti e calici profumati, se poi scrive ricette per quasi tutti i giornali la colpa non è sua perché lei comunque non è una giornalista ma una mancata cuoca, e per questo la Rai la paga come le star del momento: i grandi chef. Se poi lei assaggia soltanto è irrilevante.
Fabio Fazio che aveva già minacciato di voler produrre in futuro i suoi spettacoli - era uno degli éscamotage per eludere il tetto dei compensi - e financo - lo ha scritto qualche giornale - che avrebbe potuto anche lasciare la Rai, e già stava trattando con La 7 - Cairo sarebbe così fesso da dargli quello che gli dà la Rai - ci ha ripensato, ma non forse alla sua volontà di autoprodursi. Non si sa mai, dovessero di nuovo attaccarlo in futuro.
Le star contano, lo sa bene anche Giletti che porge una sua ragione speciale. Ogni trasmissione più che per il format si identifica con il protagonista, come ad esempio, l'Arena con la sua faccia. Senza di quella anche una trasmissione di successo non avrebbe più lo stesso appeal per il pubblico, ma anche per la pubblicità - è la minaccia velata, ora neppure necessaria. Anzi, da ex giornalista di razza, avanza una proposta, non pro domo sua, e cioè che gli alti dirigenti della Rai, che amministrano un bilancio annuo di 2 miliardi di euro circa, non possono essere pagati secondo il tetto. Insomma in Rai mi dai una cosa a me (lo stesso compenso), ed io ti dò una cosa a te (l'aumento del tuo).
L'unica pietra dello scandalo è Lucia Annunziata, che ha fregato tutti sul tempo, riducendosi il compenso, per rientare nel tetto dei 240.000 Euro. e che forse ora si sarà pentita amaramente; salvo che la Rai non le imponga di tornare al compenso stabilito per contratto. Povera Lucia! Le toccherebbe la stessa sorte di tanti paperoni, gratificati da vitalizi principeschi, i quali, pur volendo come hanno spesso dichiarato i più falsi, non possono rinunciarvi. Sono costretti a percepirli, lo prescrive la legge.
Dunque le star restano in Rai, i compensi non si toccano, il palinsesto del prossimo autunno è salvo, e perfino Carlo Freccero, scontento sempre di tutto, questa volta può dichiararsi soddisfatto.
I giornali sono inondati dalla musica. Ma ora è troppo. Perciò, basta lamentele.
E' bastato che ci distraessimo per qualche giorno per ritrovarci in un mondo come da sempre abbiamo sognato e mai fino ad oggi visto realizzarsi: un mondo pieno di musica, riflesso nello specchio fedele dei giornali. E per questo ce ne meravigliamo ma siamo felici, come stiamo per raccontarvi.
Nei giorni scorsi abbiamo scritto degli interventi di Maestro Augias dalla sua rubrica delle 'lettere' di Repubblica, in risposta a ripetute incalzanti domande sulla storia della musica e sul primato delle nazioni in tale settore. Fuoco di paglia, pensammo al momento, che presto si spegnerà. E invece non solo non si è spento ma ha preso vigore, infiammando tutto il giornale ed il paese con esso.
Appena una settimana dopo le lezioni popolari di Maestro Augias, Robinson - l'inserto di Repubblica - esce monografico sulla musica in Italia. Tralasciando le farneticazioni autoesaltanti di Franco Pulcini, giallista scaligero che piace tanto a Natalia Aspesi, Robinson ci mette sotto gli occhi dati inequivocabili: dappertutto si fa musica in Italia anche dove uno non se l'aspetta, come negli aeroporti; le sale da musica ed i teatri non sono più popolati solo o prevalentemente da teste calve - come accadeva da troppo tempo, al loro posto teste rasate sì, ma per moda, e chiome fluenti; i teatri si prodigano alla ricerca di un pubblico nuovo, con programmi appositamente pensati per i giovani e le scuole; quasi ogni istituzione musicale si provvede di un programma 'educational' (sorvoliamo sulla moda del bilinguismo) per far praticare la musica strumentale o vocale ad orde di bambini e ragazzi, attraverso orchestre e cori; ogni musica è buona - pontifica Stefano Massini che di mestiere fa il teatrante, ma s'è iscritto ad un corso per adulti assetati di musica; ed un drappello di giovani musicisti premia, più di altre nazioni, il nostro paese: Beatrice Rana, Daniele Rustioni (Battistioni ve lo siete dimenticati?); Francesca Dego, Federico Colli, Vittorio Montalti ecc...dove c'è di tutto: compositori ,strumentisti, direttori d'orchestra. E c'è anche la scuola che finalmente s'è svegliata, con il bacio del vecchio Berlinguer, Luigi, e mette sull'attenti a suon di musica. E già questo basterebbe a convincerci che l'Italia è cambiata.
Ma non basta. E' sceso in pista anche 'barbapapà', per gli amici (Scalfari), dalle pagine dell'Espresso a dar man forte a Maestro Augias, riprendendo l'annosa questione del primato musicale delle nazioni: Germania o Italia, e spingendosi perfino a sintetizzare in poche chiarissime righe come è cambiata la musica oltre che in Italia nel mondo, lui che suona 'ad orecchio', come si dice.
Il Corriere, per non essere da meno, avendo visto che a Robinson era mancato un focus della giusta dimensione sulle novità scolastiche in fatto di musica, finalmente introdotte a seguito delle indicazioni del Comitato ministeriale presieduto da Berlinguer, dedica all'argomento, appena pochi giorni dopo Repubblica, una densa pagina, intitolata: 'Note in classe. L'ora della svolta' .
Data finalmente la stura a raccontare il paese reale, inondato dalla musica, i giornali non passa giorno senza che ci informino di questo e quello, arrivando perfino a comunicarci quanti medium un regista, alle prese con la Lucia di Donizetti, ha contattato per avere ragguagli sull'aldilà.
Oggi, meraviglia su meraviglia, campeggia sul Corrierone la foto di una bella direttrice che ha perfino diretto il 'concerto di Natale in Senato - prima di lei solo Muti e Maazel - ed anche i Berliner ( Symphoniker: sempre di Berlino sono!) ed ha convertito alla 'sua' musica Piero Pelù - pure lui?
Il Giorno, sempre oggi, nell'inserto 'Il piacere della lettura', per la rubrica 'ritratto in piedi' ( intervistano solo quelli che non svolgono lavori sedentari, o intervistano tutti ma in piedi, per non perdere troppo tempo, stando seduti comodamente?) presenta 'Michele Mariotti, la bacchetta magica', un nostro direttore che, partito dalla rossiniana Pesaro, feudo di famiglia, si sta facendo onore ovunque tanto che l'attende, già quest'estate, anche il debutto a Salisburgo, dopo quello a New York.
E per convincerci che la musica non è roba per vecchi, secondo la tesi di alcuni giovani teorici nostrani, sempre i giornali ci hanno informati che Zubin Mehta, ottant'anni, ha detto 'ciaone' al Maggio Musicale fiorentino; e Santa Cecilia ha voluto un direttore ospite principale, più giovane di Pappano che si avvia alla sessantina, Mikko Franck di anni trentotto; e dal mercato dei dischi una grande rivoluzione: basta con il digitale si torna agli LP, che hanno le copertine più belle e luccicanti e forse anche un suono migliore.
E che l'Italia è cambiata, la conferma ci viene dal summit, alla Fiera del libro di Milano, dei direttori di quattro delle principali testate giornalistiche italiane: Repubblica, Corriere, Stampa, Sole 24 Ore: senza cultura, compresa la musica, non c'è futuro,: tutti d'accordo; anche se le vendite dei giornali cartacei continuano a calare. C'è uno zoccolo duro che non mollerà mai e premia i loro sforzi.
Nei giorni scorsi abbiamo scritto degli interventi di Maestro Augias dalla sua rubrica delle 'lettere' di Repubblica, in risposta a ripetute incalzanti domande sulla storia della musica e sul primato delle nazioni in tale settore. Fuoco di paglia, pensammo al momento, che presto si spegnerà. E invece non solo non si è spento ma ha preso vigore, infiammando tutto il giornale ed il paese con esso.
Appena una settimana dopo le lezioni popolari di Maestro Augias, Robinson - l'inserto di Repubblica - esce monografico sulla musica in Italia. Tralasciando le farneticazioni autoesaltanti di Franco Pulcini, giallista scaligero che piace tanto a Natalia Aspesi, Robinson ci mette sotto gli occhi dati inequivocabili: dappertutto si fa musica in Italia anche dove uno non se l'aspetta, come negli aeroporti; le sale da musica ed i teatri non sono più popolati solo o prevalentemente da teste calve - come accadeva da troppo tempo, al loro posto teste rasate sì, ma per moda, e chiome fluenti; i teatri si prodigano alla ricerca di un pubblico nuovo, con programmi appositamente pensati per i giovani e le scuole; quasi ogni istituzione musicale si provvede di un programma 'educational' (sorvoliamo sulla moda del bilinguismo) per far praticare la musica strumentale o vocale ad orde di bambini e ragazzi, attraverso orchestre e cori; ogni musica è buona - pontifica Stefano Massini che di mestiere fa il teatrante, ma s'è iscritto ad un corso per adulti assetati di musica; ed un drappello di giovani musicisti premia, più di altre nazioni, il nostro paese: Beatrice Rana, Daniele Rustioni (Battistioni ve lo siete dimenticati?); Francesca Dego, Federico Colli, Vittorio Montalti ecc...dove c'è di tutto: compositori ,strumentisti, direttori d'orchestra. E c'è anche la scuola che finalmente s'è svegliata, con il bacio del vecchio Berlinguer, Luigi, e mette sull'attenti a suon di musica. E già questo basterebbe a convincerci che l'Italia è cambiata.
Ma non basta. E' sceso in pista anche 'barbapapà', per gli amici (Scalfari), dalle pagine dell'Espresso a dar man forte a Maestro Augias, riprendendo l'annosa questione del primato musicale delle nazioni: Germania o Italia, e spingendosi perfino a sintetizzare in poche chiarissime righe come è cambiata la musica oltre che in Italia nel mondo, lui che suona 'ad orecchio', come si dice.
Il Corriere, per non essere da meno, avendo visto che a Robinson era mancato un focus della giusta dimensione sulle novità scolastiche in fatto di musica, finalmente introdotte a seguito delle indicazioni del Comitato ministeriale presieduto da Berlinguer, dedica all'argomento, appena pochi giorni dopo Repubblica, una densa pagina, intitolata: 'Note in classe. L'ora della svolta' .
Data finalmente la stura a raccontare il paese reale, inondato dalla musica, i giornali non passa giorno senza che ci informino di questo e quello, arrivando perfino a comunicarci quanti medium un regista, alle prese con la Lucia di Donizetti, ha contattato per avere ragguagli sull'aldilà.
Oggi, meraviglia su meraviglia, campeggia sul Corrierone la foto di una bella direttrice che ha perfino diretto il 'concerto di Natale in Senato - prima di lei solo Muti e Maazel - ed anche i Berliner ( Symphoniker: sempre di Berlino sono!) ed ha convertito alla 'sua' musica Piero Pelù - pure lui?
Il Giorno, sempre oggi, nell'inserto 'Il piacere della lettura', per la rubrica 'ritratto in piedi' ( intervistano solo quelli che non svolgono lavori sedentari, o intervistano tutti ma in piedi, per non perdere troppo tempo, stando seduti comodamente?) presenta 'Michele Mariotti, la bacchetta magica', un nostro direttore che, partito dalla rossiniana Pesaro, feudo di famiglia, si sta facendo onore ovunque tanto che l'attende, già quest'estate, anche il debutto a Salisburgo, dopo quello a New York.
E per convincerci che la musica non è roba per vecchi, secondo la tesi di alcuni giovani teorici nostrani, sempre i giornali ci hanno informati che Zubin Mehta, ottant'anni, ha detto 'ciaone' al Maggio Musicale fiorentino; e Santa Cecilia ha voluto un direttore ospite principale, più giovane di Pappano che si avvia alla sessantina, Mikko Franck di anni trentotto; e dal mercato dei dischi una grande rivoluzione: basta con il digitale si torna agli LP, che hanno le copertine più belle e luccicanti e forse anche un suono migliore.
E che l'Italia è cambiata, la conferma ci viene dal summit, alla Fiera del libro di Milano, dei direttori di quattro delle principali testate giornalistiche italiane: Repubblica, Corriere, Stampa, Sole 24 Ore: senza cultura, compresa la musica, non c'è futuro,: tutti d'accordo; anche se le vendite dei giornali cartacei continuano a calare. C'è uno zoccolo duro che non mollerà mai e premia i loro sforzi.
A Nerò, lo rifamo l'incendio de Roma? Prossimamente un musical sul Palatino
La celebre battuta di Petrolini che rappresentando l'incendio di Roma, mostra Tigellino che riferisce a Nerone che tutto quel frastuono sotto il suo palazzo - a morte l'incendiario, gridavano i romani! - era perché i romani 'litigheno' e non perchè Roma stava andando a fuoco, non la riascolteremo nel prossimo musical che si sta già allestendo sul Palatino, a firma Migliacci, cinto di un gruppetto di nobel dello spettacolo, che andrà in scena da giugno a settembre e che ha già ricevuto l'ok del Ministero, tanto che si sta montando palco e platea (500 posti) e presto anche le gradinate che porteranno la capienza complessiva a 3000 posti. Sul Palatino si giocherà su luci costumi e musiche; attendersi l'acume e l'ironia di Petrolini è speranza vana. Il ministero ha già ricevuto 250.000 Euro per l'uso del sito ma che potrebbe raddoppiare con il 3% sugli introiti dei biglietti venduti. Franceschini assicura che quei soldi serviranno alla manutenzione del Palatino, dove sorgeva la dimora dell'imperatore incendiario.
E proprio sulla questione 'Nerone sì Nerone no sul Palatino' s'è incendiato il dibattito, per ora solo quello, nella speranza che presto qualcuno getti acqua sul fuoco anche del semplice dibattito.
Mentre scriviamo ci viene in mente che già anni fa si parlò di un musical di analogo argomento; l'avrebbe dovuto produrre l'ex sovrintendente del Petruzzelli, Pinto - se la memoria non ci tradisce. Ma poi il progetto, viste le ben note sorti del Petruzzelli, fu scaramanticamente abbandonato.
C'è chi dice che un luogo conosciuto in tutto il mondo, all'ombra del Colosseo, sacro alla memoria della civiltà romana, non può essere profanato con un musical. E noi in linea di principio, potremmo sposare un simile parere, se facciamo leva sul ricordo di due estati fa quando sempre al Foro si ospitò un concerto OSCENO promosso e finanziato da un ricchissimo malese, il pirata, per fa sfilare, in passerella, sua moglie, di professione cantante. Con la complicità del Ministero, del Vaticano e dell'Opera di Roma.
E saremmo ancora di più in accordo con tale parere se pensiamo che Villa Adriana a Tivoli per anni è stata concesso ad un soggetto che vi ha fatto un festivalino VERGOGNOSO; o che il magnifico Cortile di sant'Ivo alla Sapienza, ogni estate da tempo immemorabile, viene concesso ad un'orchestrina che certamente non è il meglio che si possa immaginare in un luogo altrettanto unico al mondo.Per tutte queste ragioni diremmo: Nerone no, non deve tornare ad incendiare, anche se soltanto con la fantasia del pubblico, il Palatino.
Poi però, sposando in parte la tesi del Ministero, pensiamo che l'uso corretto, con spettacoli di qualità, non profani un sito storico archeologico di tale importanza; anzi potrebbe farlo conoscere meglio al mondo intero e procurare i fondi necessari per la sua tutela. S'è già fatto al Colosseo , in omaggio a Della Valle che l'ha restaurato, con una serata di gala. Che c'è di male? Magari ci fossero tanti Della Valle, poco importa se in cambio chiedessero di poter usufruire per qualche rara occasione dei siti che hanno restaurato, tirando fuori milioni di euro dalle proprie tasche.
Naturalmente occorre avere sicurezza che una volta smantellato palco platea e gradinate sul Palatino, nulla sia stato danneggiato e tutto torni come prima, anzi più bello e curato di prima. Già di questo, noi ci accontenteremmo.
E proprio sulla questione 'Nerone sì Nerone no sul Palatino' s'è incendiato il dibattito, per ora solo quello, nella speranza che presto qualcuno getti acqua sul fuoco anche del semplice dibattito.
Mentre scriviamo ci viene in mente che già anni fa si parlò di un musical di analogo argomento; l'avrebbe dovuto produrre l'ex sovrintendente del Petruzzelli, Pinto - se la memoria non ci tradisce. Ma poi il progetto, viste le ben note sorti del Petruzzelli, fu scaramanticamente abbandonato.
C'è chi dice che un luogo conosciuto in tutto il mondo, all'ombra del Colosseo, sacro alla memoria della civiltà romana, non può essere profanato con un musical. E noi in linea di principio, potremmo sposare un simile parere, se facciamo leva sul ricordo di due estati fa quando sempre al Foro si ospitò un concerto OSCENO promosso e finanziato da un ricchissimo malese, il pirata, per fa sfilare, in passerella, sua moglie, di professione cantante. Con la complicità del Ministero, del Vaticano e dell'Opera di Roma.
E saremmo ancora di più in accordo con tale parere se pensiamo che Villa Adriana a Tivoli per anni è stata concesso ad un soggetto che vi ha fatto un festivalino VERGOGNOSO; o che il magnifico Cortile di sant'Ivo alla Sapienza, ogni estate da tempo immemorabile, viene concesso ad un'orchestrina che certamente non è il meglio che si possa immaginare in un luogo altrettanto unico al mondo.Per tutte queste ragioni diremmo: Nerone no, non deve tornare ad incendiare, anche se soltanto con la fantasia del pubblico, il Palatino.
Poi però, sposando in parte la tesi del Ministero, pensiamo che l'uso corretto, con spettacoli di qualità, non profani un sito storico archeologico di tale importanza; anzi potrebbe farlo conoscere meglio al mondo intero e procurare i fondi necessari per la sua tutela. S'è già fatto al Colosseo , in omaggio a Della Valle che l'ha restaurato, con una serata di gala. Che c'è di male? Magari ci fossero tanti Della Valle, poco importa se in cambio chiedessero di poter usufruire per qualche rara occasione dei siti che hanno restaurato, tirando fuori milioni di euro dalle proprie tasche.
Naturalmente occorre avere sicurezza che una volta smantellato palco platea e gradinate sul Palatino, nulla sia stato danneggiato e tutto torni come prima, anzi più bello e curato di prima. Già di questo, noi ci accontenteremmo.
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venerdì 21 aprile 2017
Annettere o disconnettere? Questo è il problema per Roma e Milano
Fitch abbassa il rating sull'Italia a causa della 'timidezza' del governo nel proseguire sulla strada delle riforme e dell'instabilità politica, ma anche per la mancata riduzione del debito. Ma il vero problema italiano, a dispetto delle apparenti valutazioni 'a distanza' dell'agenzia di rating, è ANNETTERE o DISCONNETTERE. Solo a seguito delle decisioni su tale problema, Ficht - ha già fatto sapere - tornerà a riconoscere all'affidabilità italiana la tripla A.
A Roma il Comune è in guerra con il Governo sulla configurazione giuridica del cosiddetto 'Parco archeologico del Colosseo'. La Raggi lo vuole per sè, annesso al Comune, Franceschini invece no; a Milano si discute sull'autonomia della Lombardia, sulla disconnessione cioè dall'Italia, come vorrebbe Maroni che su tale questione ha già indetto un referendum, fissandone la data al prossimo 22 ottobre (costo una cinquantina di milioni di Euro: spiccioli per le casse della regione più ricca del paese).
Insomma c'è chi lo vuole connesso (Parco archeologico del Colosseo) e chi disconnessa (Regione Lombardia, alla quale potrebbe unirsi anche il Veneto, sotto l'unica bandiera della Lega. Perchè? Per rivendicare buona amministrazione, dimostrata già nei fatti o per mettere le mani su qualche tesoretto? Nel caso di Roma, il Comune reclama lo sbigliettamento del Colosseo che produce annualmente una cinquantina di milioni di Euro circa; e la Lombardia, l'amministrazione diretta delle entrate tributarie, senza che queste debbano fare un lungo giro, passando prima per Roma, che ci fa la cresta, prima di tornare in Lombardia?
A Bergamo, dove ieri è stata data notizia del referendum 'separatista' ( ma solo amministrativamente, perché comunque si vuole restare in Italia!!!!), Giorgio Gori ( che ebbe l'appoggio di Renzi quando si candidò a sindaco di bergamo, e che si candiderà a governatore della Lombardia) ha fatto sapere che voterà sì al referendum, preannunciando che sua moglie Cristina Parodi, passerà a lavorare a Telelombardia, che potrebbe assumere la denominazione transitoria di 'Telemarroni' in omaggio al tribuno separatista, lasciando la Rai . A Roma, al contrario, tace la combattiva Michela Di Biase, moglie di Franceschini e capogruppo PD in Campidoglio, combattuta se sposare la tesi del suo maritino oppure dare man forte alla Raggi che s'è già assicurata perfino l'appoggio di Fassina, antigovernativo ad oltranza.
Perchè tanta passione politica per la questione se annettersi o disconnettersi nel primo o nel secondo caso? Per rivendicare, annettendosi o disconnettendosi, una migliore amministrazione? La Raggi potrebbe vantare una amministrazione migliore di quella che garantirebbe il Governo? E disconnettendosi, la Lombardia altrettanto, di deturpazione e pèerfino di crollo magari organizzando un altro Expo, fra qualche anno, senza i soldi del governo centrale?
Se la Raggi adducesse questa ragione - ma non lo fa - vorrebbe dire che ha la faccia di bronzo. Una amministrazione che fa acqua da tutte le parti, che ha ridotto la città nello stato pietoso che è sotto gli occhi di tutti, può convincere che il Colosseo lasciato nelle sue mani eviterebbe ogni pericolo e sarebbe custodito come si custodisce il gioiello di famiglia?
E Maroni potrebbe assicurare i suoi cittadini che la Lombardia sarebbe meglio amministrata, finalmente libera dagli scandali che solo l'assoggettamento al governo centrale ha prodotto in questi anni- secondo il suo pensiero distorto?
La verità vera di questa lotta fra autonomie e governo centrale ha un diverso fine in ambedue i casi: mettere le mani sul malloppo, senza che nessuno garantisca preventivamente per un migliore suo uso.
E i cittadini dovrebbero fidarsi?
A Roma il Comune è in guerra con il Governo sulla configurazione giuridica del cosiddetto 'Parco archeologico del Colosseo'. La Raggi lo vuole per sè, annesso al Comune, Franceschini invece no; a Milano si discute sull'autonomia della Lombardia, sulla disconnessione cioè dall'Italia, come vorrebbe Maroni che su tale questione ha già indetto un referendum, fissandone la data al prossimo 22 ottobre (costo una cinquantina di milioni di Euro: spiccioli per le casse della regione più ricca del paese).
Insomma c'è chi lo vuole connesso (Parco archeologico del Colosseo) e chi disconnessa (Regione Lombardia, alla quale potrebbe unirsi anche il Veneto, sotto l'unica bandiera della Lega. Perchè? Per rivendicare buona amministrazione, dimostrata già nei fatti o per mettere le mani su qualche tesoretto? Nel caso di Roma, il Comune reclama lo sbigliettamento del Colosseo che produce annualmente una cinquantina di milioni di Euro circa; e la Lombardia, l'amministrazione diretta delle entrate tributarie, senza che queste debbano fare un lungo giro, passando prima per Roma, che ci fa la cresta, prima di tornare in Lombardia?
A Bergamo, dove ieri è stata data notizia del referendum 'separatista' ( ma solo amministrativamente, perché comunque si vuole restare in Italia!!!!), Giorgio Gori ( che ebbe l'appoggio di Renzi quando si candidò a sindaco di bergamo, e che si candiderà a governatore della Lombardia) ha fatto sapere che voterà sì al referendum, preannunciando che sua moglie Cristina Parodi, passerà a lavorare a Telelombardia, che potrebbe assumere la denominazione transitoria di 'Telemarroni' in omaggio al tribuno separatista, lasciando la Rai . A Roma, al contrario, tace la combattiva Michela Di Biase, moglie di Franceschini e capogruppo PD in Campidoglio, combattuta se sposare la tesi del suo maritino oppure dare man forte alla Raggi che s'è già assicurata perfino l'appoggio di Fassina, antigovernativo ad oltranza.
Perchè tanta passione politica per la questione se annettersi o disconnettersi nel primo o nel secondo caso? Per rivendicare, annettendosi o disconnettendosi, una migliore amministrazione? La Raggi potrebbe vantare una amministrazione migliore di quella che garantirebbe il Governo? E disconnettendosi, la Lombardia altrettanto, di deturpazione e pèerfino di crollo magari organizzando un altro Expo, fra qualche anno, senza i soldi del governo centrale?
Se la Raggi adducesse questa ragione - ma non lo fa - vorrebbe dire che ha la faccia di bronzo. Una amministrazione che fa acqua da tutte le parti, che ha ridotto la città nello stato pietoso che è sotto gli occhi di tutti, può convincere che il Colosseo lasciato nelle sue mani eviterebbe ogni pericolo e sarebbe custodito come si custodisce il gioiello di famiglia?
E Maroni potrebbe assicurare i suoi cittadini che la Lombardia sarebbe meglio amministrata, finalmente libera dagli scandali che solo l'assoggettamento al governo centrale ha prodotto in questi anni- secondo il suo pensiero distorto?
La verità vera di questa lotta fra autonomie e governo centrale ha un diverso fine in ambedue i casi: mettere le mani sul malloppo, senza che nessuno garantisca preventivamente per un migliore suo uso.
E i cittadini dovrebbero fidarsi?
giovedì 20 aprile 2017
Perchè noi dobbiamo essere costretti a difendere Tony Pappano interprete di Bach, proprio quando ne osserviamo il cammino non più da vicino?
Perchè noi , proprio noi, difensori, ma non d'ufficio, del direttore d'orchestra stabile di Santa Cecilia, nel momento in cui con la Passione secondo Giovanni di Bach, conclude il suo trittico bachiano , dopo la Passione secondo Matteo e la Messa in si minore delle passate stagioni? Perchè proprio noi che, dopo averlo biografato, esattamente dieci anni fa, ci siamo da lui allontanati, per necessità contingenti?
Perchè leggendo ciò che ci capita di leggere di lui, abbiamo fatto un salto 'di indignazione' dalla poltrona.
Il Corriere di oggi, a firma Enrico Girardi che, come tanti altri è stato in questi anni un cantore puntuale e indefesso delle sue gesta, ci propone la recensione appunto della Passione secondo Giovanni di Bach da lui diretta la passata settimana, con il titolo :" La rara bellezza della Passione secondo Giovanni". Dal quale titolo, anche il lettore più distratto dovrebbe essere messo sull'avviso che l'illustre recensore abbia ad esaltare nel suo compitino settimanale la lettura che ne ha dato Pappano. E invece no. Gira alla larga ma poi gli dà il colpo di grazia. Insomma quella 'bellezza' che il lettore sprovveduto avrebbe attribuito, stante il titolo, alla lettura di Pappano è stata proprio da Pappano 'sacrificata'.
A firma Enrico Girardi, del quale andrebbe letto in sinossi quel che scriveva, nelle passate stagioni, per i primi due pannelli bachiani del trittico a cura di Pappano, per capire se ha cambiato radicalmente idea o no ( a noi sembra di sì), non ricordiamo di aver letto qualcosa di simile a ciò che ha scritto ora sulla Passione secondo Giovanni. Pappano nulla ha cambiato, di recente, nel suo approccio stilistico a Bach; ha dovuto scegliere una via di mezzo fra le letture del passato (romantiche, anche per le orchestrone) e quelle presenti ( cosiddette filologiche, smilze, frettolose, con organici ridotti in nome di una recuperata agogica più aderente a i tempi, ma sempre con strumenti 'originali': il grande equivoco dei nostri tempi!). Nulla ha cambiato, nè poteva cambiare, una volta accettato che l'orchestra è la sua, e lo stile di canto è quello che è e non potrebbe essere altro, e del quale tutti danno atto a Pappano di conoscerlo e coltivarlo.
E allora perchè rimproverare ora a Pappano di non aver risolto il rebus della filologia?
Noi, tanto per far sapere (se interessa) come la pensiamo, confessiamo che, pur apprezzando le conquiste della moderna filologia esecutiva, e premesso che a noi, in qualunque modo lo si faccia Bach piace sempre, nel paragone fra uno qualunque degli interprete cosiddetti 'filologici' che oggi vanno per la maggiore, della Messa in si minore, e Carlo Maria Giulini, del quale abbiamo ancora nelle orecchie una delle sue ultime registrazioni, non esitiamo a preferire quella di Giulini. Rapinosa, profonda, meditativa pur con con una orchestrona e fottendosene della cosiddetta filologia esecutiva.
Perchè leggendo ciò che ci capita di leggere di lui, abbiamo fatto un salto 'di indignazione' dalla poltrona.
Il Corriere di oggi, a firma Enrico Girardi che, come tanti altri è stato in questi anni un cantore puntuale e indefesso delle sue gesta, ci propone la recensione appunto della Passione secondo Giovanni di Bach da lui diretta la passata settimana, con il titolo :" La rara bellezza della Passione secondo Giovanni". Dal quale titolo, anche il lettore più distratto dovrebbe essere messo sull'avviso che l'illustre recensore abbia ad esaltare nel suo compitino settimanale la lettura che ne ha dato Pappano. E invece no. Gira alla larga ma poi gli dà il colpo di grazia. Insomma quella 'bellezza' che il lettore sprovveduto avrebbe attribuito, stante il titolo, alla lettura di Pappano è stata proprio da Pappano 'sacrificata'.
A firma Enrico Girardi, del quale andrebbe letto in sinossi quel che scriveva, nelle passate stagioni, per i primi due pannelli bachiani del trittico a cura di Pappano, per capire se ha cambiato radicalmente idea o no ( a noi sembra di sì), non ricordiamo di aver letto qualcosa di simile a ciò che ha scritto ora sulla Passione secondo Giovanni. Pappano nulla ha cambiato, di recente, nel suo approccio stilistico a Bach; ha dovuto scegliere una via di mezzo fra le letture del passato (romantiche, anche per le orchestrone) e quelle presenti ( cosiddette filologiche, smilze, frettolose, con organici ridotti in nome di una recuperata agogica più aderente a i tempi, ma sempre con strumenti 'originali': il grande equivoco dei nostri tempi!). Nulla ha cambiato, nè poteva cambiare, una volta accettato che l'orchestra è la sua, e lo stile di canto è quello che è e non potrebbe essere altro, e del quale tutti danno atto a Pappano di conoscerlo e coltivarlo.
E allora perchè rimproverare ora a Pappano di non aver risolto il rebus della filologia?
Noi, tanto per far sapere (se interessa) come la pensiamo, confessiamo che, pur apprezzando le conquiste della moderna filologia esecutiva, e premesso che a noi, in qualunque modo lo si faccia Bach piace sempre, nel paragone fra uno qualunque degli interprete cosiddetti 'filologici' che oggi vanno per la maggiore, della Messa in si minore, e Carlo Maria Giulini, del quale abbiamo ancora nelle orecchie una delle sue ultime registrazioni, non esitiamo a preferire quella di Giulini. Rapinosa, profonda, meditativa pur con con una orchestrona e fottendosene della cosiddetta filologia esecutiva.
Se Repubblica e Corriere la trattano così male (la MUSICA), gli altri ( giornali) che faranno?
La cura, la diligenza ma anche l'intelligenza e la fantasia che i giornali non mettono mai nel titolare reportage, recensioni o presentazioni di contenuto musicale fanno letteralmente a pezzi ogni nostro proposito di speranza in un quotidiano migliore. Talvolta sembrano fare a gara a chi dice più castronerie.
Oggi ad esempio, sia Repubblica e Corriere sembrano fare a gara di inesattezze, nel presentare il concerto sinfonico settimanale dell'Accademia di santa Cecilia, con ha in programma Beethoven ( Concerto n.3 per pianoforte e orchestra) e Bartok (Concerto per orchestra), ed interpreti il direttore Valchua ed il pianista Borhanov.
Si poteva titolare in mille modi tutti aderenti e tutti meno scemi di quelli prescelti, e invece no. Repubblica ha titolato: " Valcuha-Bozhanov, sonate per Beethoven", sebbene sonate non ve ne siano in programma; e semmai 'sonati' sono i redattori del quotidiano; e il Corriere:" Bozjhanov e Valcuha, piano e bacchetta per Bartok e Ludwig", dando per scontato che in molti capiscano che bacchetta sta per direttore e Ludwig per Beethoven, perché qualcuno, più intelligente di altri e di altri più addentro alla storia della musica potrebbe anche pensare che dopo Bartok e Beethoven ci sia anche un certo Ludwig in programma.
Questi titoli veramente scemi ci fanno venire in mente quanto abbiamo letto, per anni, nei fantasiosi comunicati che ci venivano dall'Accademia di Santa Cecilia, dove capitava di leggere che il tale violinista avrebbe 'affondato' l'archetto nelle corde , o il tale pianista, che anche lui 'affondava' le mani/ dita fra i tasti (chissà se poi riusciva a tirarli fuori indenni) e molto altro che ora ci sfugge, mentre in verità chi andava 'affondato' era l'estensore di detti comunicati che venivano nientemeno che dall'Ufficio stampa della più antica istituzione musicale del mondo, come l'Accademia va sempre vantandosi, pur non essendo più all'altezza dei fasti passati.
Questo linguaggio approssimativo, inutilmente colorito ci ha fatto sempre senso; noi che amiamo il linguaggio chiaro diretto esplicativo.
E per questa stessa ragione abbiamo spesso ironizzato sulla titolistica giornaliera di 'Agorà' ( Rai Tre) dove ci deve per forza essere qualcuno addetto solo ed esclusivamente a inventarsi titoli idioti, puntndo su giochi di parole, assonanza e cose a bar, per indicare l'argomento del giorno.
Come pure riso a crepapelle quando abbiamo letto dell'ultima invenzione di Giovanni Floris per titolare l'appendice 'artistico-culturale' del suo 'di martedì':, e cioè: ARTEDI'
Oggi ad esempio, sia Repubblica e Corriere sembrano fare a gara di inesattezze, nel presentare il concerto sinfonico settimanale dell'Accademia di santa Cecilia, con ha in programma Beethoven ( Concerto n.3 per pianoforte e orchestra) e Bartok (Concerto per orchestra), ed interpreti il direttore Valchua ed il pianista Borhanov.
Si poteva titolare in mille modi tutti aderenti e tutti meno scemi di quelli prescelti, e invece no. Repubblica ha titolato: " Valcuha-Bozhanov, sonate per Beethoven", sebbene sonate non ve ne siano in programma; e semmai 'sonati' sono i redattori del quotidiano; e il Corriere:" Bozjhanov e Valcuha, piano e bacchetta per Bartok e Ludwig", dando per scontato che in molti capiscano che bacchetta sta per direttore e Ludwig per Beethoven, perché qualcuno, più intelligente di altri e di altri più addentro alla storia della musica potrebbe anche pensare che dopo Bartok e Beethoven ci sia anche un certo Ludwig in programma.
Questi titoli veramente scemi ci fanno venire in mente quanto abbiamo letto, per anni, nei fantasiosi comunicati che ci venivano dall'Accademia di Santa Cecilia, dove capitava di leggere che il tale violinista avrebbe 'affondato' l'archetto nelle corde , o il tale pianista, che anche lui 'affondava' le mani/ dita fra i tasti (chissà se poi riusciva a tirarli fuori indenni) e molto altro che ora ci sfugge, mentre in verità chi andava 'affondato' era l'estensore di detti comunicati che venivano nientemeno che dall'Ufficio stampa della più antica istituzione musicale del mondo, come l'Accademia va sempre vantandosi, pur non essendo più all'altezza dei fasti passati.
Questo linguaggio approssimativo, inutilmente colorito ci ha fatto sempre senso; noi che amiamo il linguaggio chiaro diretto esplicativo.
E per questa stessa ragione abbiamo spesso ironizzato sulla titolistica giornaliera di 'Agorà' ( Rai Tre) dove ci deve per forza essere qualcuno addetto solo ed esclusivamente a inventarsi titoli idioti, puntndo su giochi di parole, assonanza e cose a bar, per indicare l'argomento del giorno.
Come pure riso a crepapelle quando abbiamo letto dell'ultima invenzione di Giovanni Floris per titolare l'appendice 'artistico-culturale' del suo 'di martedì':, e cioè: ARTEDI'
mercoledì 19 aprile 2017
Lettera al direttore di Music@
Caro
direttore,
se
fossi un giornalista e dovessi dare un titolo a questa mia, la
intitolerei così:’ “A Ceci’, che te serve?”; sono, invece,
semplicemente un operatore musicale che però non intende rivelare
il suo nome per la delicatezza della materia, che in qualche modo mi
vede coinvolto. Perdoni il tono scherzoso del titolo, ma la sostanza
di questa ma lettera la accosta immancabilmente a quella frase
ormai storica indirizzata a Franco Evangelisti . Le voglio parlare
delle candidature alle recenti elezioni dei nuovi Accademici di Santa
Cecilia, la gloriosa storica istituzione musicale della capitale, la
cui orchestra ha da poco festeggiato i primi cento anni di attività
stabile.
Il
4 aprile scorso si sono tenute le prime votazioni; non ne conosco
l’esito e, sinceramente non mi importa quale che esso sia. Ciò che
mi sta a cuore è segnalarle il fatto che i candidati appartegono
tutti ( o quasi) a quella schiera di persone che possono beneficiare
in qualunque modo l’Accademia, oltre naturalmente che trarne
beneficio da tale elezione, specie in relazione alla sovrintendenza,
in qualità di aspiranti, giacchè se non si passa attraverso
l’accademia non si può essere eletti presidenti-sovrintendenti.
L’elenco
è così composto: Claudia Antonelli ( arpa), Alfonso Ghedin (
viola), Cerocchi (architetto), Fabio Biondi ( violino e direttore),
Flavio Emilio Scogna (compositore e direttore), Andrea Lucchesini (
pianoforte), Enzo Restagno (musicologo), Laura De Fusco (pianoforte),
Michele Dall’Ongaro( compositore).
Inutile
che sottolinei come tutti siano persone degne, anche se non tutti in
egual misura. Nel caso della Antonelli, De Fusco, Ghedin, trattasi
del meritato riconoscimento di una carriera ormai conclusa; nel
caso di Biondi, Lucchesini, invece, di una carriera in pieno fulgido
svolgimento –ma, come loro, ve ne sono parecchi altri meritevoli
di simile riconoscimento. Perché alcuni sì ed altri no?
Evidentemente le ragioni non sono del tutto chiare, e forse
attengono alle modalità della presentazione delle candidature che
vengono fatte da altri accademici, o quantomeno ad alcuni accademici
suggerite, in ragione - ecco il perché del titolo - di quanto
possono offrire in cambio all’Accademia. Tanto per essere chiari:
Flavio Emilio Scogna fa sì il compositore, ma tanti altri
compositori molti più importanti di lui sarebbero meritevoli di
entrare in Accademia. Perché allora lui? Forse perché è uno dei
membri della Commissione centrale musica, di quella commissione cioè
che esprime pareri al ministro sulle richieste di finanziamento e
sull’equità delle medesime?
Analogo
è il caso di Dall’Ongaro, la cui notorietà – mi permetta- senza
la sua responsabilità della musica a Radio Tre - sarebbe di molto
scemata. Lo si vuole compensare per le riprese che effettua dalle
stagioni ceciliane?
E
l’architetto Cerocchi – persona degnissima e meritevole di un
monumento per quello che ha fatto e continua a fare a Sermoneta. Lo
hanno presentato alcuni accademici che insegnano da decenni nei corsi
al castello. Ma cosa c’entra Cerocchi con gli Accademici ceciliani?
E
poi Restagno , i cui meriti di organizzatore musicale ( settembre
Musica ecc…) hanno consigliato a molti compositori presenti in
questa come in altre rassegne affidate a Restagno , a candidarlo - a
mò di ringraziamento!
Bastano
queste poche annotazioni per capire come le candidature dei nuovi
accademici ubbidiscano di fatto a criteri del tutto differenti da
quelli per cui tale consesso nacque, e cioè a dire : gratificare
coloro che si erano distinti in campo musicale, nei vari settori, i
quali con la loro presenza davano lustro a loro volta all’Accademia.
A
questo punto forse occorre convincersi che le cose sono cambiate. E
per sempre.
Lettera
firmata
Nulla
da aggiungere a quanto affermato dall’informatissimo mittente(
P.A.)
Di come Michele dall'Ongaro fu eletto accademico di santa Cecilia, secondo la rivelazione di Irma Ravinale
Edgar
Alandia, Paolo Arcà, Mauro Cardi, Matteo D'Amico, Marco Frisina, Ada
Gentile, Rosario Mirigliano sono i musicisti meglio riusciti, diciamo
così, della scuola, sempre affollata e apprezzatissima di
Irma Ravinale, (dove si imparava davvero il mestiere del comporre!).
Insieme, domenica prossima, Le rendono omaggio con un concerto di
pezzi a Lei dedicati, in occasione di una commemorazione della
musicista/insegnante, accademica di Santa Cecilia. L'organizza la
Fondazione 'Donne in musica' di Patricia Adkins Chiti, con il
patrocinio dell'Accademia di santa Cecilia che, nella persona di
Michele dall'Ongaro, suo attuale sovrintendente, aprirà la
commemorazione, ufficialmente tenuta poi da Agostino Ziino,
accademico ceciliano e amico di Irma Ravinale.
La
cosa più strana di tale commemorazione è dall'Ongaro che ricorda
Irma Ravinale. La ragione di tale stranezza intendiamo qui segnalare.
Irma
Ravinale che noi sentivamo per telefono più spesso di quanto non la
frequentassimo, ci raccontò per filo e per segno come andò la
votazione degli accademici, quando elessero dall'Ongaro accademico
di santa Cecilia, passaggio indispensabile per arrivare dove è
arrivato ora, e cioè al vertice dell'Accademia.
Questa
storia la rendiamo pubblica solo ora perché la commemorazione in
programma ce ne dà l'occasione e perché sicuramente la povera Irma non avrebbe gradito sentirsi elogiare da uno dei suoi
più acerrimi nemici, la cui disinvoltura nella scalata professionale
Lei non ha mai digerito, in aperto contrasto con Bruno Cagli che
invece l'ha favorita, aiutata e spinta fino alla successione.
Adesso
che Irma non c'è più, ci siamo decisi a raccontarla. La nostra rivelazione non potrebbe più danneggiarla in alcun modo, come sarebbe potuto accadere quand'era in vita. E non potrà danneggiare neanche altri, vivi e vegeti, dei quali non diremo i nomi, coinvolti nello spoglio delle schede, durante il quale ci
fu, testimone Irma Ravinale, una irregolarità, a norma di statuto.
Perchè
non l'abbiamo fatto prima? In realtà da tempo abbiamo rivelato ai principali protagonisti, e cioè a Michele dall' Ongaro e a Bruno
Cagli, allora sovrintendente, che eravamo a conoscenza della cosa; lo facemmo, la sera stessa in cui la Ravinale ci
narrò l'accaduto, attraverso due mail loro inviate nelle quali però
non rivelammo il nome della suggeritrice. Ad Irma l'avevamo promesso,
e Cagli e dall'Ongaro ci sembrarono averci creduto. Fino ad oggi.
Le
cose andarono così. Una sera a concerto, era il 2008, a poche ore di distanza dalla votazione incriminata -
Irma sapeva che dall'Ongaro ci aveva querelato per calunnia (dall'Ongaro perderà la causa; ma
questa è storia che i nostri lettori conoscono già, avendo letto
la sentenza del tribunale dell'Aquila che ci scagionò completamente) e per questo ci riferì la storia - in Sala Sinopoli, all'Auditorium, incontrammo Irma Ravinale, la
quale immediatamente ci raccontò l'accaduto. I due scrutatori che
avevano effettuato lo spoglio delle schede per la nomina dei nuovi
accademici - di cui la Ravinale ci fece nome e cognome e che noi
ricordiamo bene, ma non riferiremo, lo abbiamo premesso - avevano
conteggiato anche una scheda evidentemente nulla, perché rivelava il
nome del/della votante, che naturalmente non era Irma Ravinale, perchè
Lei non aveva certamente votato dall'Ongaro che non vedeva di buon occhio, non condividendo neppure la benevola politica di Cagli
nei suoi confronti. Quella scheda, conteggiata irregolarmnete, concesse
a dall'Ongaro il voto che gli mancava per entrare nel consesso degli
Accademici. Irma - così ci riferì e noi riferiamo parola per parola
- chiamò un noto Accademico raccontandogli dell'accaduto - ed
ambedue si accordarono per chiamare Cagli e metterlo a conoscenza
della cosa. Cosa accadde dopo è cosa nota. Lo spoglio delle schede
fu dato per buono, quella irregolarità non venne presa in
considerazione, e dall'Ongaro, per un voto, quel voto che avrebbe dovuto essere annullato, stando la testimonianza della Ravinale, divenne Accademico di Santa
Cecilia.
Torniamo
alla sera della rivelazione. Mentre la Ravinale ci riferiva
l'accaduto, dal retropalco si vide sbucare Cagli il quale osservò di lontano noi due, me ed Irma, parlare. Noi salutammo la Ravinale e prendemmo posto. Cagli
appena a tu per tu con la Ravinale, le chiese a brutto muso: non
avrai mica raccontato la storia dell'elezione di dall'Ongaro ad
Acquafredda? Lei naturalmente negò. Fra parentesi, la Ravinale
faceva il doppio gioco. Ce ne accorgemmo in seguito e glielo facemmo notare, con disappunto. Con Cagli ufficialmente andava d'amore e
d'accordo, (lui la candidò al Premio Presidente della Repubblica,
anni dopo) ma poi lo criticava per qualche verso, principalmente per l'ascesa di Michele dall'Ongaro che Lei non apprezzava come
musicista e del quale biasimava il farsi largo nelle istituzioni
vantando il suo incarico di prestigio a Radio Tre, e cioè
responsabile della musica.
Forse
serve aggiungere, a questo punto, che poco più di un anno prima
della fine del mandato di Cagli, giunsero agli Accademici di Santa Cecilia, lettere aperte zeppe di accuse molto pesanti nei suoi
confronti; gli si rimproverava la scarsa considerazione degli
Accademici per la gestione di Santa Cecilia, che egli gestiva con disinvoltura, ma anche lo spazio dato
a dall'Ongaro, fresco accademico, giustificandolo con questi precisi
termini: attraverso Radio Tre può dare un aiuto, anche economico, all'Accademia, e poi non dimentichiamo che è imparentato con Claudio
Abbado - così s'era giustificato Cagli con chi gli faceva notare la
troppo veloce ed immeritata ascesa di dall'Ongaro in Accademia, con
la sua (di Cagli) benedizione (quelle lettere, fra cui una anche del card.
Bartolucci, noi le abbiamo pubblicate tutte e integralmente
sull'ultimo numero di Music@ affidato alla nostra direzione, che
l'attuale direttore del Conservatorio dell'Aquila, vietò di
pubblicare, alla fine del 2013).
Durante tutto il concerto pensammo a quello che ci aveva detto Irma, anche perché nel frattempo era giunto, in Sala Sinopoli, anche Michele dall'Ongaro, in compagnia, e aveva preso posto proprio alle nostre spalle.
Alla
fine del concerto, appena a casa, nonostante l'ora tarda, ricevemmo
una telefonata della Ravinale la quale ci riferì del colloquio avuto
con Cagli e della sua risposta negativa. Ma prima di salutarci, ci
raccomandò - come era ovvio ma anche superfluo - di non fare mai il
suo nome. Promessa mantenuta fino ad ora.
Attaccammo
il telefono e ci mettemmo al computer. Scrivemmo due mail, una a
dall'Ongaro e l'altra a Cagli, al suo indirizzo in Accademia, l'unico che utilizzavamo per comunicare con lui (sicuramente ambedue l'avranno
conservata; per dall' Ongaro siamo certissimi perché, alcuni anni fa, ci rimandò senza una parola di commento, a mò di
avvertimento, una mail che gli avevamo inviato anni prima, e che noi non avevamo più, nella
quale gli avevamo detto di un suo sgarbo nei nostri confronti,
attraverso Radio Tre, e che terminava con queste parole: a buon
rendere!).
Non
è difficile immaginare cosa scrivemmo in quelle due mail. A
dall'Ongaro facevamo notare che solo una irregolarità lo aveva fatto
accogliere fra gli accademici; e a Cagli di non essere andato fino in
fondo alla denuncia della Ravinale.
Nessuno
dei due ci rispose, naturalmente. Sarebbe stata una ammissione della irregolarità, visto che la nostra mail era circostanzata, con nomi cognomi e particolari. Ma qualche giorno dopo,
incontrandolo in Sala Santa Cecilia, per un concerto, Cagli ci
disse: "le cose non sono andate come tu mi hai scritto". Pura, ma
imbarazzata difesa d'ufficio! Lui non poteva sapere che ce le aveva riferite persona presente allo spoglio incriminato e degna di fede, come Irma Ravinale.
Qualche
tempo dopo riprendemmo il discorso con un altro accademico che faceva
parte del Consiglio accademico che aveva ratificato, come da statuto,
il risultato delle elezioni, che non era stato presente allo spoglio,
ma che sicuramente era stato avvertito della faccenda dalla Ravinale
della quale egli era molto amico. La sua risposta fu che una volta
che il Consiglio accademico aveva approvato l'esito della votazione
la cosa era regolare. Il suo ponziopilatismo non è
necessario neppure sottolineare. Del resto senza un simile
atteggiamento, nonostante il valore, ma anche senza di quello, sarebbe difficile restare a galla per molto.
Perché
riveliamo ora, proprio ora, quella storia passata, intendiamo rispondere.
Perché
alla Ravinale non possiamo recare alcun danno; e non rivelando i nomi
degli scrutatori, complici, non rechiamo danno neanche a loro,
sebbene senza il loro aiuto colpevole dall' Ongaro non sarebbe stato
eletto accademico ed oggi forse non sarebbe
presidente-sovrintendente di Santa Cecilia. E perché la conoscenza di irregolarità va denunciata.
Perché
troviamo falso ed ipocrita da parte di dall' Ongaro aprire la
commemorazione della Ravinale, ben sapendo che lei non lo stimava
affatto. Per questo la povera si rivolterà nella tomba - ma noi
questo non posiamo impedirglielo e non ne abbiamo colpa.
Infine,
perché, abbiamo più dì un conto da regolare con dall' Ongaro, il
quale da quando ha perso la causa che lui stesso ci mosse accusandoci
di averlo calunniato, e dopo avergli fatto capire che noi sapevamo di quella irregolarità, anche tralasciando altri soprusi, ha cassato perfino
il nostro nome dall'Accademia; negandoci il diritto di accedervi e
di essere informato, nonostante la nostra professione di critico musicale.
Questo non possiamo consentirglielo impunemente, perché, al di là
dei nostri personali rapporti, l'Accademia non è di sua proprietà.
L'Accademia è di tutti, anche nostra. E noi non siamo più in età
per avere paura di lui, ed essere a lui sottomesso, al punto da non
denunciare il suo inaccettabile comportamento.
martedì 18 aprile 2017
Di cittadinanze onorarie, lauree honoris causa, incarichi universitari a gogo ecc... Nessuno si scandalizza, mentre ci si scandalizza per la Fedeli e la Madia .
Non sembri inutile tornare sugli ultimi due casi ( Fedeli e Madia) di mala 'formazione ed informazione' di cui si sono occupati, indistintamente, tutti i giornali, quasi con lo stesso fervore con cui ai tempi della laurea al Trota, figlio del leader leghista Bossi (conseguita in Albania, attraverso corsi per corrispondenza, pagati con soldi pubblici, o attinti dalle casse della Lega, o dagli emolumenti del Trota, consigliere regionale in Lombardia, in coppia con la Minetti, lei sì meritevole di laurea honoris causa, che però non ha ricevuto).
Nel caso della Fedeli, indipendentemente dalle sue capacità di guidare il Ministero dell'Istruzione ( dove potrebbe fare meglio perfino di professoroni e rettori di Università che l'hanno preceduta - sulla gestione Gelmini meglio calare un velo di silenzio!), la si è DOVEROSAMENTE accusata di aver scritto nel suo curriculum di una laurea in qualche cosa, mentre si trattava di un diploma, diplomino nelle stessa materia ; dunque bugiarda oltre che non laureata. In quello della Madia, sulla cui originalità della sua tesi di dottorato presentata a Pisa ( in un istituto di recente istituzione, dove forse, essendo all'inizio, erano di manica larga: accade dappertutto, non c'è da meravigliarsi) molti dubbi sono stati avanzati nonostante le rassicurazione dell'attuale rettore, il punctum dolens è la sua incapacità a reggere un ministero delicato, per via delle riforme che si sta dando da fare per condurre in porto. Comunque nell'uno come nell'altro caso, giusto quantomeno rilevare le anomalie. Poi il giudizio sul loro operato politico seguirà. Per la Madia sembra già con il segno meno, mentre per la Fedeli prevarrebbe il segno più.
Ora nello stesso paese in cui accade che ci si indigni , e giustamente, per i casi appena citati, nessuno dice nulla sulle eccessive cittadinanze onorarie concesse a personaggi che fa comodo tenersi buoni o stretti ad una città - naturalmente vi sono anche cittadinanza attribuite a personalità del mondo della cultura, dell'arte e delle professioni che le meritano davvero, come nel caso ad esempio di Bob Wilson o di Salvatore Accardo, due personalità del nostro mondo che hanno meritato la cittadinanza fiorentina (non si capisce perciò perché un giornale se la sia presa anche per loro, come fosse gente qualunque!) come anche del Principe Carlo d'Inghilterra.
Semmai bisognava indignarsi quando Dario Nardella aveva nominato assessore per le 'pubbliche relazioni internazionali, la vedova Pavarotti, Nicoletta Mantovani, la quale senza aver mai brillato, poche settimane fa s'è dimessa perché 'doveva occuparsi della ricorrenza della morte del celebre tenore'.
E poi le lauree honoris causa che in Italia non si negano a nessuno, perfino Valentino Rossi l'Università di Bologna ha laureato. Che bisogno c'era? per fare chiasso attorno all'Università. Ma era l'unico modo? Non sarebbe stato opportuno ed assai meglio puntare di più sulla qualità degli studi?
Evidentemente il rettore di quella storica università, come tanti altri suoi colleghi, la pensano diversamente. Tanto che, appena uno ha un incarico in un ente pubblico o in istituzioni di un certo tipo ( che ce l'ha messo, perchè, come amministra ai rettori non importa) subito lo si coopta fra i docenti. Come se, oltre che una laurea, un incarico universitario in Italia non si debba negare a nessuno.
Abbiamo presenti tanti casi, nel settore che conosciamo meglio, di gente di nessuno o pochissimo valore, messa in cattedra a far danni, avendo i rettori di varie università concesso di insegnare la buona amministrazione - stiamo pensando a tanti sovrintendenti di fondazioni liriche - che negli enti che amministrano non hanno saputo conseguire, al punto che sono stati commissariati.
Va bene perciò indignarsi per la Fedeli e la Madia, però non consentiamo a troppi incapaci di insegnare nelle università... perchè le conseguenze di quelle nefaste presenze che inquinano l'intera università, si vedono.
Nel caso della Fedeli, indipendentemente dalle sue capacità di guidare il Ministero dell'Istruzione ( dove potrebbe fare meglio perfino di professoroni e rettori di Università che l'hanno preceduta - sulla gestione Gelmini meglio calare un velo di silenzio!), la si è DOVEROSAMENTE accusata di aver scritto nel suo curriculum di una laurea in qualche cosa, mentre si trattava di un diploma, diplomino nelle stessa materia ; dunque bugiarda oltre che non laureata. In quello della Madia, sulla cui originalità della sua tesi di dottorato presentata a Pisa ( in un istituto di recente istituzione, dove forse, essendo all'inizio, erano di manica larga: accade dappertutto, non c'è da meravigliarsi) molti dubbi sono stati avanzati nonostante le rassicurazione dell'attuale rettore, il punctum dolens è la sua incapacità a reggere un ministero delicato, per via delle riforme che si sta dando da fare per condurre in porto. Comunque nell'uno come nell'altro caso, giusto quantomeno rilevare le anomalie. Poi il giudizio sul loro operato politico seguirà. Per la Madia sembra già con il segno meno, mentre per la Fedeli prevarrebbe il segno più.
Ora nello stesso paese in cui accade che ci si indigni , e giustamente, per i casi appena citati, nessuno dice nulla sulle eccessive cittadinanze onorarie concesse a personaggi che fa comodo tenersi buoni o stretti ad una città - naturalmente vi sono anche cittadinanza attribuite a personalità del mondo della cultura, dell'arte e delle professioni che le meritano davvero, come nel caso ad esempio di Bob Wilson o di Salvatore Accardo, due personalità del nostro mondo che hanno meritato la cittadinanza fiorentina (non si capisce perciò perché un giornale se la sia presa anche per loro, come fosse gente qualunque!) come anche del Principe Carlo d'Inghilterra.
Semmai bisognava indignarsi quando Dario Nardella aveva nominato assessore per le 'pubbliche relazioni internazionali, la vedova Pavarotti, Nicoletta Mantovani, la quale senza aver mai brillato, poche settimane fa s'è dimessa perché 'doveva occuparsi della ricorrenza della morte del celebre tenore'.
E poi le lauree honoris causa che in Italia non si negano a nessuno, perfino Valentino Rossi l'Università di Bologna ha laureato. Che bisogno c'era? per fare chiasso attorno all'Università. Ma era l'unico modo? Non sarebbe stato opportuno ed assai meglio puntare di più sulla qualità degli studi?
Evidentemente il rettore di quella storica università, come tanti altri suoi colleghi, la pensano diversamente. Tanto che, appena uno ha un incarico in un ente pubblico o in istituzioni di un certo tipo ( che ce l'ha messo, perchè, come amministra ai rettori non importa) subito lo si coopta fra i docenti. Come se, oltre che una laurea, un incarico universitario in Italia non si debba negare a nessuno.
Abbiamo presenti tanti casi, nel settore che conosciamo meglio, di gente di nessuno o pochissimo valore, messa in cattedra a far danni, avendo i rettori di varie università concesso di insegnare la buona amministrazione - stiamo pensando a tanti sovrintendenti di fondazioni liriche - che negli enti che amministrano non hanno saputo conseguire, al punto che sono stati commissariati.
Va bene perciò indignarsi per la Fedeli e la Madia, però non consentiamo a troppi incapaci di insegnare nelle università... perchè le conseguenze di quelle nefaste presenze che inquinano l'intera università, si vedono.
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lunedì 17 aprile 2017
Abreu, Dudamel tacciono. Che altro deve fare Maduro per costringerli a denunciare il dittatore?
Da tempo si discute della opportunità che le personalità più in vista del Venezuela denuncino la repressione e la gravissima crisi economica del loro paese, già avviata con Chavez - ma che nessuno denunciò con forza - ed ora condotta agli estremi da Maduro che ha ridotto il paese nella miseria più nera, dove mancano ormai, a da tempo, generi di prima necessità e medicinali.
E Abreu? E Dudamel? cosa stanno facendo? non vedono o fingono di non vedere? Non intervengono per opportunismo? Ora anche, e soprattutto per loro, è arrivato il momento di denunciare il dittatore che anche se continua a finanziare - ma lo fa ancora?- il famoso Sistema delle orchestre giovanili ed infantili.
Ora non possono più tacere. Lo avrebbero dovuto fare già anni fa con Chavez, e forse il paese non sarebbe ora ridotto nelle condizioni che sappiamo. Non lo fece neanche Abbado che per molti anni è andato a svernare in Venezuela raccontando al mondo di un paese dove 'vive e regna la musica', la 'terra promessa' degli anni a venire. Mai una parola: accanto agli accenni, solitamente generici alla povertà ed all'emarginazione alle quali il 'Sistema' cercava di rimediare, mai una parola di condanna del feroce dittatore.
Ora Abbado non c'è più, ma Abreu e soprattutto il baldanzoso Dudamel sono ancora vivi, hanno occhi per guardare e devono anche avere bocche per denunciare.
Coraggio Abreu e Dudamel!
E Abreu? E Dudamel? cosa stanno facendo? non vedono o fingono di non vedere? Non intervengono per opportunismo? Ora anche, e soprattutto per loro, è arrivato il momento di denunciare il dittatore che anche se continua a finanziare - ma lo fa ancora?- il famoso Sistema delle orchestre giovanili ed infantili.
Ora non possono più tacere. Lo avrebbero dovuto fare già anni fa con Chavez, e forse il paese non sarebbe ora ridotto nelle condizioni che sappiamo. Non lo fece neanche Abbado che per molti anni è andato a svernare in Venezuela raccontando al mondo di un paese dove 'vive e regna la musica', la 'terra promessa' degli anni a venire. Mai una parola: accanto agli accenni, solitamente generici alla povertà ed all'emarginazione alle quali il 'Sistema' cercava di rimediare, mai una parola di condanna del feroce dittatore.
Ora Abbado non c'è più, ma Abreu e soprattutto il baldanzoso Dudamel sono ancora vivi, hanno occhi per guardare e devono anche avere bocche per denunciare.
Coraggio Abreu e Dudamel!
domenica 16 aprile 2017
Su Gianluca Capuano, 'scoperto'(?) da Cecilia Bartoli e su Giacomo Carissimi nato(?), secondo Wikiradio, il 18 aprile 1605
Leggiamo della bella carriera che in questi anni sta facendo Gianluca Capuano. E leggiamo anche che a scoprirlo e lanciarlo sarebbe stata la celebre Bartoli, Cecilia per tutti. La quale Cecilia, sicuramente ha aperto a Capuano porte che solo Lei poteva aprirgli, a maggior ragione da quando, ormai famosa, comanda anche a Salisburgo ( Festival di Pentecoste) ed altrove (Opera di Zurigo).
Ma Gianluca Capuano è noto negli ambienti musicali, soprattutto in quelli dove si pratica il repertorio barocco e quello immediatamente successivo - Mozart incluso - da molto prima della Bartoli.
Noi almeno lo conosciamo da quasi una quindicina d'anni. Nel nostro mestiere di critici capita di imbattersi in artisti che agli inizi della carriera mostrano già evidenti i segni di quella futura. Come appunto ci capitò agli inizi degli anni 2000, quando Capuano che da allora lavorava alle opere di Giacomo Carissimi, in rapporto con il famoso archivio milanese 'Manusardi', dirigeva l'ensemble vocale strumentale 'I Madrigalisti ambrosiani' con i quali aveva inciso in quegli stessi anni alcuni oratori del celebre compositore, i quali furono poi pubblicati in CD ed allegati al mensile Amadeus.
Noi ascoltammo quegli oratori e, in occasione della nostra prima ed unica - ma anche gloriosa, lasciatecelo dire orgogliosamente - direzione artistica ( per l'edizione 2004 del Festival internazionale delle Nazioni di Città di Castello) lo invitammo a farci ascoltare Carissimi ( Jephte e Extremum Dei Judicium) con i suoi 'Madrigalisti Ambrosiani'.
Quell'anno, per chi ha la memoria corta, e, dalle parti di Città di Castello, sembra industriarsi fintamente a dedicare il festival ad una nazione 'ospite' ( senza avere la minima cognizione di cosa sia la nazione ospite dal punto di vista musicale, dove perciò i programmi si fanno attraverso le rappresentanze culturali dei vari paesi e le loro non disinteressate offerte/proposte) dedicammo il festival alla 'NUOVA ITALIA', a quei musicisti cioè che appartenevano alla generazione dei quarantenni e che che si stavano facendo onore nel mondo. Per usare una espressione abusata: 'la meglio gioventù musicale italiana'!( si guardi il programma del 2004, si leggano i nomi dei musicisti presenti, e ci si convincerà di quel che andiamo dicendo). E che gioventù, nella quale comprendemmo anche Gianluca Capuano il quale fece ascoltare due oratori del celebre Carissimi ed anche un Salmo ( Beatus vir) di Charpentier. Insomma a scoprire Capuano fummo anche noi, per quello che era nelle nostre possibilità, se poi la Bartoli con i suoi potenti mezzi, l'ha lanciato meglio per lui, ed anche per la Bartoli che ha favorito un musicista meritevole.
IL nome di Capuano ci è venuto in mente ascoltando oggi a Radio 3 ( a proposito, non è possibile sapere chi ha preso il posto di Michele dall'Ongaro, da quasi due anni al comando di Santa Cecilia, in qualità di responsabile della musica?), per la rubrica Wikiradio, la voce Giacomo Carissimi, curata da Alessandro Quarta, che altre voci ha già curato per la medesima rubrica.
Sul sito di Radio 3 si legge che Carissimi nacque a marino il 18 aprile 1605. E immaginiamo che questo abbia detto Quarta parlando del musicista. Senza avvedersi forse che non è corretto dire, senza tema di errori, che Carissimi sia nato a Marino il 18 aprile del 1605. Anche se è assai probabile. Ma non certo. Perchè l'unica cosa certa dei primi passi di carissimi, è che fu battezzato il 18 aprile, come risulta dai documenti parrocchiali marinesi.
Si sa che in passato il battesimo veniva celebrato molto vicino alla nascita, e dunque Carissimi potrebbe essere nato quella stessa mattina e battezzato in giornata. Ma potrebbe anche essere , non dandoci nessuna notizia l'atto di battesimo, che Giacomo Carissimi sia nato un giorno prima, almeno un giorno, se non due, o magari di notte, a cavallo fra un giorno e l'altro.
E dunque visto che si tratta di una voce di enciclopedia, seppure 'fatta in casa', a giudicare dai curatori che non sono sempre scelti in base alla loro competenza sulla singola materia, sarebbe stato meglio dire che Giacomo Carissimi fu battezzato a Marino, suo luogo di nascita, il 18 aprile del 1605. E che suo padre faceva di mestiere il 'cupellaro' ( il falegname che fa le botti) . Non esiste a Roma via delle Coppelle in centro, alle spalle del Senato, ed anche Piazza delle Coppelle, dove, fra l'altro, aveva casa Nino Rota?
Ma Gianluca Capuano è noto negli ambienti musicali, soprattutto in quelli dove si pratica il repertorio barocco e quello immediatamente successivo - Mozart incluso - da molto prima della Bartoli.
Noi almeno lo conosciamo da quasi una quindicina d'anni. Nel nostro mestiere di critici capita di imbattersi in artisti che agli inizi della carriera mostrano già evidenti i segni di quella futura. Come appunto ci capitò agli inizi degli anni 2000, quando Capuano che da allora lavorava alle opere di Giacomo Carissimi, in rapporto con il famoso archivio milanese 'Manusardi', dirigeva l'ensemble vocale strumentale 'I Madrigalisti ambrosiani' con i quali aveva inciso in quegli stessi anni alcuni oratori del celebre compositore, i quali furono poi pubblicati in CD ed allegati al mensile Amadeus.
Noi ascoltammo quegli oratori e, in occasione della nostra prima ed unica - ma anche gloriosa, lasciatecelo dire orgogliosamente - direzione artistica ( per l'edizione 2004 del Festival internazionale delle Nazioni di Città di Castello) lo invitammo a farci ascoltare Carissimi ( Jephte e Extremum Dei Judicium) con i suoi 'Madrigalisti Ambrosiani'.
Quell'anno, per chi ha la memoria corta, e, dalle parti di Città di Castello, sembra industriarsi fintamente a dedicare il festival ad una nazione 'ospite' ( senza avere la minima cognizione di cosa sia la nazione ospite dal punto di vista musicale, dove perciò i programmi si fanno attraverso le rappresentanze culturali dei vari paesi e le loro non disinteressate offerte/proposte) dedicammo il festival alla 'NUOVA ITALIA', a quei musicisti cioè che appartenevano alla generazione dei quarantenni e che che si stavano facendo onore nel mondo. Per usare una espressione abusata: 'la meglio gioventù musicale italiana'!( si guardi il programma del 2004, si leggano i nomi dei musicisti presenti, e ci si convincerà di quel che andiamo dicendo). E che gioventù, nella quale comprendemmo anche Gianluca Capuano il quale fece ascoltare due oratori del celebre Carissimi ed anche un Salmo ( Beatus vir) di Charpentier. Insomma a scoprire Capuano fummo anche noi, per quello che era nelle nostre possibilità, se poi la Bartoli con i suoi potenti mezzi, l'ha lanciato meglio per lui, ed anche per la Bartoli che ha favorito un musicista meritevole.
IL nome di Capuano ci è venuto in mente ascoltando oggi a Radio 3 ( a proposito, non è possibile sapere chi ha preso il posto di Michele dall'Ongaro, da quasi due anni al comando di Santa Cecilia, in qualità di responsabile della musica?), per la rubrica Wikiradio, la voce Giacomo Carissimi, curata da Alessandro Quarta, che altre voci ha già curato per la medesima rubrica.
Sul sito di Radio 3 si legge che Carissimi nacque a marino il 18 aprile 1605. E immaginiamo che questo abbia detto Quarta parlando del musicista. Senza avvedersi forse che non è corretto dire, senza tema di errori, che Carissimi sia nato a Marino il 18 aprile del 1605. Anche se è assai probabile. Ma non certo. Perchè l'unica cosa certa dei primi passi di carissimi, è che fu battezzato il 18 aprile, come risulta dai documenti parrocchiali marinesi.
Si sa che in passato il battesimo veniva celebrato molto vicino alla nascita, e dunque Carissimi potrebbe essere nato quella stessa mattina e battezzato in giornata. Ma potrebbe anche essere , non dandoci nessuna notizia l'atto di battesimo, che Giacomo Carissimi sia nato un giorno prima, almeno un giorno, se non due, o magari di notte, a cavallo fra un giorno e l'altro.
E dunque visto che si tratta di una voce di enciclopedia, seppure 'fatta in casa', a giudicare dai curatori che non sono sempre scelti in base alla loro competenza sulla singola materia, sarebbe stato meglio dire che Giacomo Carissimi fu battezzato a Marino, suo luogo di nascita, il 18 aprile del 1605. E che suo padre faceva di mestiere il 'cupellaro' ( il falegname che fa le botti) . Non esiste a Roma via delle Coppelle in centro, alle spalle del Senato, ed anche Piazza delle Coppelle, dove, fra l'altro, aveva casa Nino Rota?
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Dunque non siamo gli unici a porci domande sulla singolare carriera di Michele Dall'Ongaro. Se lo chiede anche RAI BENE COMUNE
MA CHE
MUSICA (STONATA) MAESTRO! (Giugno 2016)
Per chi non
lo conoscesse stiamo parlando dell'illustre maestro Michele
Dall'Ongaro che dal 2000 collabora con la RAI in qualità di
dirigente responsabile per la programmazione di RAI RADIO TRE. Il
maestro è compositore, musicologo, conduttore televisivo e
radiofonico, non ultimo per diversi anni sovrintendente
dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Insomma un
personaggio stimato e di rilievo nel panorama musicale italiano.
Proprio per questi motivi il 20 febbraio del 2015 è stato nominato
Presidente e Sovrintendente dell'accademia nazionale di Santa
Cecilia, ruolo ambito da molti. Tutta questa competenza e prestigio
però crediamo debba essere accompagnata da una sana trasparenza.
E' lecito infatti chiedere alla RAI e all'ufficio del personale le seguenti domande:
E' lecito infatti chiedere alla RAI e all'ufficio del personale le seguenti domande:
La RAI ha
concesso un' aspettativa al Maestro Dall'Ongaro per ricoprire la
carica di Presidente del Santa Cecilia? Se si, per quanti anni?
Se è in aspettativa allora perché e in quale veste collabora ancora con la RAI? Il programma Petruska in onda su RAI 5 vede il Maestro come conduttore, ci chiediamo se è tutto regolare e se eventuali eccezioni contrattuali prevedano il fatto di collaborare con la RAI pur essendo aspettativa.
Se è in aspettativa allora perché e in quale veste collabora ancora con la RAI? Il programma Petruska in onda su RAI 5 vede il Maestro come conduttore, ci chiediamo se è tutto regolare e se eventuali eccezioni contrattuali prevedano il fatto di collaborare con la RAI pur essendo aspettativa.
Al
contrario, se il maestro non fosse in regime di aspettativa, ci
chiediamo se sia corretto ricoprire più incarichi e presiedere
istituzioni esterne alla RAI, non si rischia di fare tutto e male ma
prendere comunque diversi stipendi?
La dirigenza RAI non ritiene dover rendere conto di questa ambigua situazione utilizzando i criteri di trasparenza raccomandati dall'ANAC?
La dirigenza RAI non ritiene dover rendere conto di questa ambigua situazione utilizzando i criteri di trasparenza raccomandati dall'ANAC?
Ci
chiediamo inoltre quali incarichi stia ricoprendo il maestro
Dall'Ongaro e se questi ruoli non si profilino come palese conflitto
di interesse.
In
conclusione ci pare difficile immaginare per un comune dipendente RAI
chiedere un'aspettativa per poi essere assunto dalla RAI come
collaboratore esterno e assumere diversi ruoli contemporaneamente, è
l'ennesima nota stonata per la nostra opaca RAI che prova ad essere
SERVIZIO PUBBLICO.
Attendiamo
fiduciosi delle sensate risposte, almeno per una volta...sono
cittadini e dipendenti che ve lo chiedono.
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