"DURANTE
il conflitto mondiale ci fu un esodo di persone residenti in Europa
ed appartenenti a diverse classi sociali verso l' America, e
specialmente verso la California; da lì, finita la guerra, molti
raggiunsero New York, e tra i molti anche alcuni genii. Ero da poco
arrivato in quell' inebriante città quando conobbi un ebreo polacco,
il cui nome mi sembra di ricordare fosse Koceninski, che parlava una
decina di lingue e aveva un hobby particolare: entrare in confidenza
con i genii e le personalità del momento. Un giorno mi disse: Albert
Einstein è per pochi giorni a New York e ti vuole conoscere. Quando
puoi incontrarlo? Risposi che venisse il giorno seguente al piccolo
albergo nel cuore di Manhattan dove soggiornavo in un comodo
appartamentino. Quando arrivò, Albert Einstein mi fece l'
impressione di un meraviglioso cucciolo dal pelo arruffato e potei
dialogare con lui senza problemi perché conosceva bene l' italiano:
per punirlo dei suoi cattivi voti a scuola era stato iscritto dal
padre al Politecnico di Milano, città in cui rimase per due anni
trascorrendo spesso le sue serate nel loggione del Teatro alla Scala
per assistere agli spettacoli d' opera. Mi confidò infatti che il
grande amore della sua vita era la musica e che suonava il violino;
capii allora perché il grande Einstein avesse voluto incontrare un
musicista ventiduenne particolarmente dedito al piano: voleva che l'
accompagnassi mentre suonava il suo strumento. Devo smentire il
dottor Albert Schweitzer quando sostiene che Einstein suonasse bene
il violino: lo suonava in modo straziante, ma era tale la sua gioia
che non si poteva fare a meno di prendervi parte. Un giorno arrivò,
puntuale come un allievo diligente, portando la V Sonata di
Beethoven, La Primavera. Dopo poche battute mi interruppi: Albert, ho
avuto un' intuizione: la tua teoria sulla relatività è esatta...
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