Nel terzo trimestre del 2018 il Pil corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e aumentato dello 0,7% rispetto allo stesso trimestre del 2017. Lo rileva l’Istat spiegando che è il primo dato negativo dopo 14 trimestri di crescita. Il dato è stato rivisto al ribasso rispetto ai dati provvisori (variazione nulla sul trimestre precedente e +0,8% la variazione tendenziale). La variazione acquisita per il 2018 è pari a +0,9% (+1% nei dati provvisori).
L’Istat segnala che nel terzo trimestre del 2018 ci sono state due giornate lavorative in più rispetto al trimestre precedente e lo stesso numero di giornate lavorative rispetto al terzo trimestre 2017. Rispetto al trimestre precedente tutti i principali aggregati della domanda interna registrano diminuzioni con un calo dello 0,1% dei consumi finali nazionali e dell’1,1% per gli investimenti fissi lordi. Sono crescite invece le importazioni dello 0,8% e le importazioni dell’1,1%. La domanda nazionale al netto delle scorte ha sottratto 0,3 punti percentuali alla crescita del Pil. Dal lato dell’offerta per beni e servizi si registra un andamento congiunturale positivo soltanto per il valore aggiunto dell’agricoltura (+1,6%) mentre quello dell’industria e dei servizi è diminuito rispettivamente dello 0,1% e dello 0,2%.
Conte: «Lo faremo crescere»
A chi gli chiedeva un commento sulla revisione al ribasso da parte dell’Istat, primo calo congiunturale dal 201, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a Buenos Aires per il G20, si è limitato a rispondere: «Lo faremo crescere».
Intanto il tasso di disoccupazione a ottobre sale ancora toccando il 10,6% con una crescita di 0,2 punti su settembre, a seguito di un arrotondamento, e un calo di 0,5 punti su ottobre 2017. Il mese di settembre è stato rivisto al rialzo al 10,3%. Lo rileva l’Istat spiegando che i disoccupati nel mese erano 2.746.000, in crescita di 64.000 unità su settembre e in calo di 118.000 unità su ottobre 2017. Se si guarda al trimestre agosto-ottobre il tasso di disoccupazione è diminuito di 0,2 punti sul trimestre precedente. Il tasso di disoccupazione dei giovani sale rispetto a settembre arrivando al 32,5% (+0,1 punti ma il mese precedente è stato rivisto dal 31,6% al 32,4%)) ma resta in calo rispetto a ottobre 2017 (-1,6 punti).
Il tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni è al 17,6%, in lieve crescita sia sul mese (+0,1 punti) e sull’anno (+0,3 punti). Mentre il tasso di disoccupazione a ottobre sale ancora toccando il 10,6% con una crescita di 0,2 punti su settembre, a seguito di un arrotondamento, e un calo di 0,2 punti su ottobre 2017. Il mese di settembre è stato rivisto al rialzo al 10,3%. L’Istat spiega che i disoccupati nel mese erano 2.746.000, in crescita di 64.000 unità su settembre e in calo di 118.000 unità su ottobre 2017. Se si guarda al trimestre agosto-ottobre il tasso di disoccupazione è diminuito di 0,2 punti sul trimestre precedente.
venerdì 30 novembre 2018
I giovani cronisti musicali - come Andrea Penna che scrive per 'Repubblica' - non si documentano perciò risultano ignoranti e scrivono c...
Inutile cercare sui giornali di oggi, nei normali necrologi, che tali non sono, bensì panegirici post morte, scritti in memoria di Bruno Cagli che ieri è comparso all'età di 81 anni, 21 dei quali - una eternità per la cui durata non bastano solo capacità e meriti, c'entra molto altro ! - passati a Santa Cecilia, assiso sulla poltrona più prestigiosa dell'Accademia: la sovrintendenza; inutile dicevamo cercare una qualche riga in cui si mettono in discussione alcune sue scelte. Neanche una. Tutti raccontano la sua storia professionale, riprendendo il curriculum vitae diffuso da chi ha il dovere di farlo e via. Tutto sommato meglio così, almeno tutti scrivono le stesse cose, alcune inesatte, ma tanto or che è morto che importa ?
Perchè chi, invece, forse per mostrare di essersi accasato bellamente nella professione, ha voluto aggiungere qualche notizia, come ha fatto Andrea Penna nel suo panegirico su Repubblica, tre notizie ha dato, nel corso del consueto panegirico, ma nessuna delle tre è esatta.
1. Cagli non c'entra neppure minimamente con il trasferimento dell'Accademia dall'Auditorium di Via della Conciliazione al Parco della Musica. Capito Penna? Ecco le prove. Il trasferimento ufficiale era avvenuto con il concerto inaugurale della Sala Santa Cecilia, Natale 2002, che fu alla base della lite furibonda fra Berio e Chung. La stagione si svolse tutta all'Auditorium di Renzo Piano, a patire dal febbraio del 2003. E perciò il trasferimento lo aveva già attuato Berio che, a dire il vero, essendo già abbastanza malato, anche lui poco ebbe ad occuparsene. Lo fecero i suoi dirigenti. E comunque Cagli doveva ancora da venire, perchè il suo ritorno a Santa Cecilia data alla fine del 2003, dopo la morte di Berio, avvenuta nel maggio di quell'anno, e dopo alcune votazioni, quando finalmente il quorum si era notevolmente abbassato, ed ebbe la meglio su Sergio Perticaroli, reggente dell'Accademia dopo Berio.
2. Anche con Pappano Cagli non c'entra affatto. E questa è la seconda c... di Andre Penna. Lui se lo è trovato a Santa Cecilia. L'annuncio della sua nomina a direttore musicale avvenne,nel marzo 2003, proprio poco tempo prima della morte di Berio, maggio 2003. E la decisione che Berio avallò fu il risultato di una proposta fatta al compositore da Gaston Fournier e dall'avv. Ripa di Meana. Berio forse non sapeva neppure che esistesse Pappano, non era così informato, come lo era Fournier ( sposato a Leonetta Bentivoglio che già aveva scritto su Repubblica del maestro italiano stabile a Bruxelles; o che forse lo aveva ascoltato a Firenze dove aveva fatto un rapida, non gloriosissima apparizione) ed anche Ripa Di Meana che con Pappano ebbe il primo inconro a Bruxelles assieme a Fournier.
Quando Cagli arrivò nuovamente a Santa Cecilia fece piazza pulita dei collaboratori di Berio, a cominciare da Ripa Di Meana e, successivamente, anche di Fournier (benchè lo avesse chiamato lui a lavorare in Accademia, negli anni del suo primo mandato), e l'avvocato, soprattutto, se ne ebbe - come tutti sanno; meno Fournier , che quando se ne andò alla Scala, non si meritò neanche il saluto ufficiale di Cagli - al suo posto lo salutò e ringraziò pubblicamente solo Pappano. Non dimentichiamoci perciò di quella inelegante e incivilissima persona che fu Cagli. Noi non possiamo mettere la mano sul fuoco, se qualcuno vuole costringerci ad affermare che i rapporti fra Pappano e Cagli siano stati sempre ottimi. Noi abbiamo avuto lì'impressione che Pappano e Cagli abbiano ognuno coltivato i propri interessi, senza darsi fastidio, almeno pubblicamente. E' una nostra sensazione, niente più.
3. Cagli diresse il 'Reate festival di Viterbo': due stupidaggini in una sola frase, frutto della enorme ignoranza del giovane cronista di Repubblica.
Il Festival di Viterbo al quale erroneamente Penna accenna, era il Festival Barocco, al cui vertice i provinciali viterbesi, vollero un nome altisonante, e quale più altisonate di quello di Cagli, sovrintendente dell'Accademia? Ma siamo certi che la responsabilità del Festival di Viterbo, tolta la necessaria tassa annuale pagata all'Accademia con il suo inserimento in cartellone, l'ebbe altri ( il nome ora non lo ricordiamo, anche perchè in quel festival c'è stata una vera e propria girandola di direttori artistici, cosiddetti.
L'altro festival, che per effetto di una sublime crasi di analfabetismo, è diventato il 'Reate festival di Viterbo' è il Festival di Rieti ('Reate', nel latinorum), dove la presenza di Cagli ha tutt'altra storia, che passa attraverso Gianni Letta, in Accademia e a Musica per Roma presente in prima persona o per interposti famigliari, e a Rieti chiamato a presiedere la fondazione del Teatro Vespasiano.
Il Reate Festival ( 'reate' da 'reato' nel senso che si è trattato di un festival che negli anni si è rivelato una spesa inutile, perciò più precisamente un ' reatino' , ovvero un piccolo 'reato', parola italiana; o da 'Rieti', nel latinorum?) nasce per dare altri soldi, su indicazione di Letta, attraverso Salvo Nastasi, all'Accademia di Santa Cecilia, che in quel festival ebbe un porto di sbocco fuori città. E infatti i primi anni il programma era praticamente appaltato a Santa Cecilia. Non finisce qui. A Rieti, Letta mise una sua protetta, Lucia Bonifaci, come sovrintendente, quando Cagli - fuori dalla finzione - restò presidente onorario, visto che fin dall'inizio non fece nulla, occupandosene la direzione artistica dell'Accademia , e Cagli fece altrettanto, con un suo fedelissimo, affidando la direzione artistica a Cesare Scarton, che aveva anche impegnato all'Opera studio dell'Accademia. I fedeli servitori vanno sempre compensati altrimenti si licenziato dal 'mezzo' o 'tutto' servizio.
Ora Andrea Penna si convincerà che le uniche notizie che ha dato, fidandosi della sua ignorante memoria e preso dalla foga celebrativa dei potenti, anche da morti, sono autentiche cazzate...ci si perdoni il termine.
Perchè chi, invece, forse per mostrare di essersi accasato bellamente nella professione, ha voluto aggiungere qualche notizia, come ha fatto Andrea Penna nel suo panegirico su Repubblica, tre notizie ha dato, nel corso del consueto panegirico, ma nessuna delle tre è esatta.
1. Cagli non c'entra neppure minimamente con il trasferimento dell'Accademia dall'Auditorium di Via della Conciliazione al Parco della Musica. Capito Penna? Ecco le prove. Il trasferimento ufficiale era avvenuto con il concerto inaugurale della Sala Santa Cecilia, Natale 2002, che fu alla base della lite furibonda fra Berio e Chung. La stagione si svolse tutta all'Auditorium di Renzo Piano, a patire dal febbraio del 2003. E perciò il trasferimento lo aveva già attuato Berio che, a dire il vero, essendo già abbastanza malato, anche lui poco ebbe ad occuparsene. Lo fecero i suoi dirigenti. E comunque Cagli doveva ancora da venire, perchè il suo ritorno a Santa Cecilia data alla fine del 2003, dopo la morte di Berio, avvenuta nel maggio di quell'anno, e dopo alcune votazioni, quando finalmente il quorum si era notevolmente abbassato, ed ebbe la meglio su Sergio Perticaroli, reggente dell'Accademia dopo Berio.
2. Anche con Pappano Cagli non c'entra affatto. E questa è la seconda c... di Andre Penna. Lui se lo è trovato a Santa Cecilia. L'annuncio della sua nomina a direttore musicale avvenne,nel marzo 2003, proprio poco tempo prima della morte di Berio, maggio 2003. E la decisione che Berio avallò fu il risultato di una proposta fatta al compositore da Gaston Fournier e dall'avv. Ripa di Meana. Berio forse non sapeva neppure che esistesse Pappano, non era così informato, come lo era Fournier ( sposato a Leonetta Bentivoglio che già aveva scritto su Repubblica del maestro italiano stabile a Bruxelles; o che forse lo aveva ascoltato a Firenze dove aveva fatto un rapida, non gloriosissima apparizione) ed anche Ripa Di Meana che con Pappano ebbe il primo inconro a Bruxelles assieme a Fournier.
Quando Cagli arrivò nuovamente a Santa Cecilia fece piazza pulita dei collaboratori di Berio, a cominciare da Ripa Di Meana e, successivamente, anche di Fournier (benchè lo avesse chiamato lui a lavorare in Accademia, negli anni del suo primo mandato), e l'avvocato, soprattutto, se ne ebbe - come tutti sanno; meno Fournier , che quando se ne andò alla Scala, non si meritò neanche il saluto ufficiale di Cagli - al suo posto lo salutò e ringraziò pubblicamente solo Pappano. Non dimentichiamoci perciò di quella inelegante e incivilissima persona che fu Cagli. Noi non possiamo mettere la mano sul fuoco, se qualcuno vuole costringerci ad affermare che i rapporti fra Pappano e Cagli siano stati sempre ottimi. Noi abbiamo avuto lì'impressione che Pappano e Cagli abbiano ognuno coltivato i propri interessi, senza darsi fastidio, almeno pubblicamente. E' una nostra sensazione, niente più.
3. Cagli diresse il 'Reate festival di Viterbo': due stupidaggini in una sola frase, frutto della enorme ignoranza del giovane cronista di Repubblica.
Il Festival di Viterbo al quale erroneamente Penna accenna, era il Festival Barocco, al cui vertice i provinciali viterbesi, vollero un nome altisonante, e quale più altisonate di quello di Cagli, sovrintendente dell'Accademia? Ma siamo certi che la responsabilità del Festival di Viterbo, tolta la necessaria tassa annuale pagata all'Accademia con il suo inserimento in cartellone, l'ebbe altri ( il nome ora non lo ricordiamo, anche perchè in quel festival c'è stata una vera e propria girandola di direttori artistici, cosiddetti.
L'altro festival, che per effetto di una sublime crasi di analfabetismo, è diventato il 'Reate festival di Viterbo' è il Festival di Rieti ('Reate', nel latinorum), dove la presenza di Cagli ha tutt'altra storia, che passa attraverso Gianni Letta, in Accademia e a Musica per Roma presente in prima persona o per interposti famigliari, e a Rieti chiamato a presiedere la fondazione del Teatro Vespasiano.
Il Reate Festival ( 'reate' da 'reato' nel senso che si è trattato di un festival che negli anni si è rivelato una spesa inutile, perciò più precisamente un ' reatino' , ovvero un piccolo 'reato', parola italiana; o da 'Rieti', nel latinorum?) nasce per dare altri soldi, su indicazione di Letta, attraverso Salvo Nastasi, all'Accademia di Santa Cecilia, che in quel festival ebbe un porto di sbocco fuori città. E infatti i primi anni il programma era praticamente appaltato a Santa Cecilia. Non finisce qui. A Rieti, Letta mise una sua protetta, Lucia Bonifaci, come sovrintendente, quando Cagli - fuori dalla finzione - restò presidente onorario, visto che fin dall'inizio non fece nulla, occupandosene la direzione artistica dell'Accademia , e Cagli fece altrettanto, con un suo fedelissimo, affidando la direzione artistica a Cesare Scarton, che aveva anche impegnato all'Opera studio dell'Accademia. I fedeli servitori vanno sempre compensati altrimenti si licenziato dal 'mezzo' o 'tutto' servizio.
Ora Andrea Penna si convincerà che le uniche notizie che ha dato, fidandosi della sua ignorante memoria e preso dalla foga celebrativa dei potenti, anche da morti, sono autentiche cazzate...ci si perdoni il termine.
Della storia di Bruno Cagli a Santa Cecilia ( post del 7 agosto 2014 e del 17 dicembre 2014)
Bruno Cagli a Santa Cecilia: lascia o non lascia?
(post del 7 agosto 2014)
Lunedì, Bruno Cagli ha dichiarato di non farcela più, troppa fatica lavorare ad una programmazione musicale per l'Accademia di santa Cecilia, della quale è presidente, sovrintendente e direttore artistico, nell'incertezza e con i tagli continui dei finanziamenti, ed ha espresso la sua volontà di dimettersi anzitempo( comunque a dicembre per effetto della Legge Bray, decadono tutti i consigli di amministrazione delle fondazioni lirico-sinfoniche e si deve procedere a nuove elezioni, anche se l'Accademia ha un regime speciale) segnalando a tutti il nome del successore 'in pectore' - non del tutto - e cioè di Michele Dall'Ongaro al quale egli ha già dato agio, definito 'eccessivo', in Accademia.
Martedì, in una seconda intervista, faceva marcia indietro sulle dichiarazioni del giorno prima, affermando che non credeva di poter condurre a termine un eventuale prossimo incarico di cinque anni, troppo oneroso per la fatica già espressa nella prima intervista. L'intervistatore, Fabio Isman ( Messaggero) ipotizzava il nome, anzi i nomi dei possibili contendenti per la successione. Naturalmente Dall'Ongaro, suggeritogli dallo stesso Cagli, come aveva già fatto nell'intervista a Cappelli (Corriere); e - scrive Isman - Giorgio Battistelli, che già era stato avversario di Cagli nella precedente tornata elettorale e che ora tornerebbe a candidarsi al posto di Cagli e contro Dall'Ongaro.
Isman, certamente non di sua iniziativa, ma opportunamente indirizzato, aggiunge una annotazione: Battistelli è un compositore - come se Dall'Ongaro non lo sia, anche se un fondo di verità quell'affermazione l'ha. Perchè Battistelli è un vero compositore - Dall'Ongaro lo è meno nel senso pieno del termine e a giudicare dai risultati - come lo era Berio, che è stato sovrintendente dell'Accademia dopo Cagli, che lo era stato fino al 2000, e prima di Cagli che vi tornerà nel 2003 alla morte del celebre compositore, la cui gestione - sottolinea forse a ragione, ma in questo caso certamente imbeccato, Isman - non è stata certo la più memorabile, come dire che i compositori non fanno bene all'Accademia; mentre bene farebbero i musicologi, come Cagli, ed anche gli organizzatori come Dall'Ongaro, e prima di lui, mutatis mutandis, il grande Francesco Siciliani, di fronte al quale Dall'Ongaro fa la figura di una pulce.
A questo punto sorge il dubbio che Cagli, settantaduenne e non ottantaduenne - come ha scritto Isman - voglia restare ancora, e che farebbe, per l'ennesima volta, offerta finta di dimissioni, per farsi pregare a restare, fregando sia il suo delfino che l'eventuale contendente Battistelli. E Cagli ne sarebbe capace.
Tuttavia nel piano 'C', Cagli dimissionario, si fronteggerebbero Dall'Ongaro e Battistelli, un tempo amici, poi a lungo nemici, sempre per via del ruolo di Dall'Ongaro in Rai, poi rappacificati in nome dei comuni interessi non esclusivamente musicali, semmai anche di carriera e gestione del potere, che ora tornerebbero a farsi reciprocamente la 'faccia feroce'.
In questa ipotesi coloro che voterebbero Dall'Ongaro - oltre la corte di Cagli - sarebbero gli stessi che voterebbero Battistelli che deve far leva anche sui nemici, dichiarati e non, di Cagli.
Ma agli amici di Dall'Ongaro, serve più Michele sovrintendente, o Michele factotum in Rai? Certamente la seconda, per via degli spazi enormi che le trasmissioni Rai consentono a Dall'Ongaro di riempire con le musiche di amici - come ha sempre fatto, non è un mistero! - mentre in Accademia non può infilarci in ogni concerto o quasi pezzi di amici, sostenitori ed elettori. Salvo che non intenda seguire anche su questo terreno le orme di Cagli che aveva promesso mare e monti agli Accademici per averne il voto - come denunciato apertamente dal cardinal Bartolucci in una sua durissima missiva - e poi quelle promesse non le ha mantenute.
Comunque ciò che sarebbe un bene, sempre relativo,ma solo per gli amici e sostenitori di Dall' Ongaro e cioè che egli restasse in Rai, non lo sarebbe per chi è interessato alle sorti della musica, perché la sua elezione, malaugurata comunque, a santa Cecilia, potrebbe finalmente far entrare un pò di aria nuova in Rai, dove si potrebbero ascoltare anche musiche di compositori che non devono essere necessariamente amici di Michele.
A proposito delle novità introdotte nella programmazione dell'Orchestra della Rai a Torino, con la gestione DallOngaro, specie quelle relative alla musica contemporanea, negli anni Ottanta - come ci ha rinfrescato la memoria, la lettura di alcune pagine della nostra gloriosa 'Piano Time' dell' epoca - esistevano le 'Giornate della nuova musica' nel corso delle quali, ad esempio, si incontravano Berio e Cage. Le attuali, quanto diverse da quelle, e quanto più vicine a quelle organizzate a Firenze da Battistelli, nella programmazione dell'Orchestra della Toscana, con il medesimo intento di quelle di Dall'Ongaro a Torino: fare la conta di amici e nemici e segnare il proprio territorio.
Bruno Cagli, ammiraglio di lungo corso che non ha più memoria di elefante
(post del 17.12.2014)
Ancora non si sa se lascerà definitivamente il timone dell'Accademia di Santa Cecilia in altre mani, o se tenterà l'ennesimo colpo, affondando i due contendenti-pretendenti e restando ancora al timone. Se dobbiamo dar credito ai risultati della seconda tornata di votazioni, lui dovrebbe essere fuori gioco; ma non c'è da fidarsi totalmente. Anche quando andò via da Santa Cecilia, a mandato non concluso, nel 1999, dopo nove anni ininterrotti di gestione ceciliana, per via del nuovo statuto sgradito ai più, ci fu chi disse, conoscendolo bene: vedrete che tornerà. E infatti, dopo la trasferta a Parma, dove arrivò con il treno dei suoi fedelissimi, tutti ancora in auge ed in pieno servizio, per il 'Festival Verdi' ( superfinanziato, altrimenti Cagli non si sarebbe trasferito!) nel centenario della morte del grande musicista, è tornato a Roma, ha scalato nuovamente l'Accademia - secondo le accuse rivoltegli dal card Bartolucci, facendo promesse agli elettori, quasi sempre non mantenute; oppure più tardi punendo gli avversari con l'esclusione, dopo anni ed anni, dal cartellone dell'Accademia, come scrisse altrove il m. Michele Campanella - che regge da dieci anni ancora. In totale 19 anni, e forse, se dipendesse da lui, non avrebbe nulla in contrario a protrarre la presidenza.
Alla fine di un mandato si usa fare bilanci, quelli economici innanzitutto. E, a proposito della sua permanenza a Santa Cecilia, negli ultimi dieci anni, Cagli avrebbe percepito complessivamente quasi 3.000.000 di Euro, senza contare i benefit che si è dato, con l'avallo del CDA, nel quale siedono persone a lui vicine, quando non fedeli e fedelissime, estratte sorte nei salotti che contano. E negli anni dal 1990 al 1999, quando non c'era ancora l'Euro, se non proprio una cifra equivalente in Lire, non molto meno. Sappiamo che Berio aveva ritenuto il suo stipendio da presidente/sovrintendente, non adeguato alla sua fama ( ed anche fame) di grande compositore e perciò se l'era (fatto) aumentare ( se l'era aumentato e gli accademici avevano avallato. Guai a contrariarlo!)). Arrivato Cagli, non ritenne decoroso ribassarselo e riportarlo a quello del passato e perciò se lo tenne, quello di Berio, intorno ai 300.000 Euro, fino a pochi mesi fa , quando esplose lo scandalo di molti compensi in Istituzioni finanziate dallo Stato superiori a quello del Presidente della repubblica ( 240.000 Euro). Cagli l'ha portato, 'sua sponte' ? , a quella cifra. Nel frattempo ha premiato anche i suoi più stretti collaboratori, presenti nella direzione artistica, che a Santa cecilia è superaffollata: Lui, anche direttore artistico, per la quale carica percepiva 100.000 Euro ( che andavano ad aggiungersi ai 200.000 come Sovrintendente; ma forse la somma era più alta di 300.000); Tony Pappano, direttore musicale 150.000 ( ma il suo nome di recente è scomparso dalla pagina ceciliana 'amministrazione trasparente', oppure noi non riusciamo più a trovarla), c'è poi il Vice presidente, candidato 'cagliano' alla sovrintendenza, Michele dall'Ongaro che percepiva 30-40.000 Euro per la sua 'consulenza' alla direzione artistica (anche il suo nome di recente non compare più nella pagina del sito relativa agli incarichi di vertice e relativi compensi): Mauro Bucarelli, segretario artistico con 134.000 Euro; m. Cupolillo, direttore programmazione esecutiva e direzione operativa con 166.000 Euro, fissi, poi ci potrebbe essere anche il 'mobile' come la 'donna' verdiana ( a proposito, c'è anche sua moglie, incaricata del settore 'didattica' dell'Accademia, ben stipendiata, meritatamente ma anche lautamente); Nicoletti Altimari, consulente direzione artistica 69,000 Euro.
Un invito a maggiore decoro nei compensi, evidentemente un pò indecorosi, veniva rivolto all'Accademia già l'ottobre 2013 da 'Il fatto Quotidiano', proprio quando ci si lamentava dei finanziamenti sempre insufficienti: abbassatevi i compensi, consigliava il giornale.
E queste cifre rappresentano la quota fissa, perchè nelle tabelle c'è anche la colonna destinata, eventualmente, se non bastano, ad una quota aggiuntiva sulla base dei risultati. Tutti questi dati erano anche questi presenti nella denuncia de 'Il fatto Quotidiano' dello scorso ( 2013) ottobre.
Insomma se sommiamo tutte le cifre risulta che la direzione artistica di santa Cecilia viene a costare intorno ai 650.000 Euro.
Perchè ci siamo messi a fare i conti in tasca ai vertici artistici dell'Accademia, oltre che per non infondata invidia 'economica'?
Perchè ancora oggi, dalla pagine del Messaggero, il sovrintendente in scadenza lancia l'appello ennesimo di aiuto per la Juni Orchestra, sua benemerita iniziativa, a far data dal 2006, composta più o meno da alcune centinaia di giovani che pagano annualmente una retta di 8-900 Euro che evidentemente non basta a reggere la baracca.
Sommessamente. Vogliamo ricordare che il 'sistema' delle orchestre e cori giovanili, modello Abreu, da poco impiantato in Italia si regge solo con le proprie forze, ed il Ministero, ciò constatato, gli ha negato qualunque finanziamento: perché dobbiamo finanziarvi se finora siete andati avanti con le vostre sole forze? ha testualmente risposto 'grande e grosso'( Nastasi) a Roberto Grossi,presidente Federculture, che dell'esperienza italiana è l'anima e l'organizzatore.
A gran voce, invece, vogliamo ribadirlo. Non era il caso di tenere i compensi, della corte fedelissima, un pò più bassi, anche per sostenere le attività culturali dell'Accademia, alle quali c'è anche un'altra fedelissima che sovrintende, dott. Annalisa Bini, eletta anche accademica ( fra qualche polemica) e che viene compensata con 105.000 Euro annui, di fisso?
Nelle dichiarazioni relative ai suoi meriti e demeriti, Cagli sbaglia alcune date, quando parla della 'Orchestra giovanile di Santa Cecilia'- neanche noi ricordiamo se fatta nascere anche quella da lui, o forse addirittura da Siciliani, o forse no.
Comunque il suo scioglimento avvenne negli anni in cui Cagli era fuori dell'Accademia, ad opera del grande Berio, perché il ministro (o sindaco?) Rutelli - come si vede uno dopo l'altro vanno citati più per le infinite malefatte - non aveva più i 400.000.000 di lire necessarie per il suo mantenimento. Dunque almeno la chiusura della Orchestra giovanile non va addebitata a Cagli, al quale semmai va addebitata la tiepida volontà di riaprirla, quando fu sollecitato, dietro nostra spinta, da Ludovica Rossini Purini, alla quale avevamo consigliato di indirizzare le risorse che riusciva a trovare in quella direzione. Dopo la tournée dei Berliner con Abbado, la Purini ha preferito fare 'l'americana'( con il concerto dell'11 settembre ed altre cosucce) e Cagli s'è scrollato di dosso un impegno che gli avrebbe fatto onore.
In tutto questo bailamme, è possibile che Cagli trovi anche il tempo per ordinare alla sua addetta stampa di non concederci nessun biglietto omaggio per i concerti, a noi che facciamo il critico musicale, anche quando scriviamo queste cosucce che a Cagli non piacciono, e che perciò ne avremmo diritto, in una Istituzione pubblica che non è proprietà del sovrintendente.
A proposito di Bruno Cagli. Questo scrivemmo il 27 ottobre 2014, alla vigilia delle elezioni per la sua uccessione
Solo Santa Cecilia, l'Accademia intendiamo, sembra avanzare gloriosa, mietendo un successo dietro l'altro, compresa l'autonomia di recente ottenuta dal Ministero assieme alla Scala, le uniche due fondazioni che se la siano assicurata e che, si spera, non restino le uniche, secondo il disegno dello 'smantellamento dell'inutile musica' che il Ministero sembra voler perseguire.
Archiviata già l'inaugurazione, con Pappano a condurre le danze, e l'Orchestra in partenza per la lunga tournée in Estremo Oriente, sembra che in Accademia ci sia aria di 'elezioni'. Per il nuovo Consiglio di amministrazione che si chiamerà Consiglio di indirizzo, da attivare entro la fine dell'anno, dal cui seno dovrebbe spuntare il nome del nuovo sovrintendete. Nuovo?
Così sembrava solo qualche mese fa quando Cagli annunciava per l'ennesima volta la sua volontà di lasciare in altre mani il timone dell'Accademia, nell'esultanza generale della ciurma che finalmente vedeva chiudersi l'era Cagli, non tutta da cancellare ma durata anche troppo.
Nel caso si fosse dimesso definitivamente, come purtroppo oggi tutti dubitano, le due mani alle quali passare il timone, lui le aveva già individuate da tempo, e nel frattempo 'incremate' ogni giorno per mostrale a tutti senza macchie ed imperfezioni, al momento in cui avrebbero preso il timone della nave accademica.
Le due mani, come tutti sanno, sarebbero quelle di Michele dall'Ongaro che, nel caso fosse eletto presidente, sempre che Cagli decida di abdicare, dovrebbe lasciare tutti i suoi numerosi incarichi, dai quali - e massimamente da essi - ha acquistato in questi anni notorietà e soprattutto potere (Orchestra RAI, RAI5, Radio 3, per citarne solo quelli di più evidente potere!).
Ma forse Cagli non ha intenzione di dimettersi; fa finta, per essere a gran voce chiamato a restare per la salvezza di Santa Cecilia- poveretta! - accordandosi con dall'Ongaro, con i rispettivi elettori, e restare sul trono, tenendo sempre al suo fianco il principe ereditario, alla cui educazione provvede di persona.
A meno che Battistelli, sconfitto nella passata tornata elettorale da Cagli, con un divario di voti enorme da colmare, non si decida a tornare nuovamente in campo, per sfidare Cagli, mettendosi d'accordo con dall'Ongaro, un tempo suo nemico ora non più, e spartirsi il potere: dall'Ongaro presidente e Battistelli vice, per poi scambiarsi i ruoli, se possibile, alla successiva elezione. Ma anche Battistelli, che, a differenza di dall'Ongaro, ha come prevalente occupazione quella del compositore, dovrebbe lasciare i suoi già numerosi incarichi: direttore dell'Orchestra della Toscana, presidenza della Barattelli-L'Aquila, consiglio di amministrazione dell'Opera di Roma ecc... con i quali esercita anch'egli il potere.
Tutto questo potrebbe accadere qualora riuscissero i dioscuri ad allearsi ai danni di Cagli. Potrebbe dall'Ongaro pugnalare alle spalle il suo padre-protettore? S'è visto di peggio, e perciò non ci sarebbe da meravigliarsi. Comunque meglio non fare, fino allo scrutinio delle elezioni, i conti senza l'oste: Cagli.
E nella stesa data un secondo post:
Le ultime elezioni per la presidenza sovrintendenza dell'Accademia di Santa Cecilia si sono svolte il 13 ottobre, senza vincitore. In particolare hanno ricevuto voti: dall'Ongaro - che ovviamente è stato alla finestra a contare tutti i suoi affezionati elettori, che sono ancroa pochi, ha preso 18 voti. Cagli che non si era presentato come candidato, ma non si è neanche dimesso, come aveva minacciato , dalla presidenza, ha preso comunque 10 voti, e Battistelli che non ha rinunciato definitivamente a candidarsi alla presidenza dell'Accademia, nonostante la precedente sonora sconfitta, ha preso una decina di voti, come Cagli.
Ora, è evidente alla luce dei fatti, che se mettessero insieme i voti, Cagli e dall'Ongaro, Battistelli verrebbe nuovamente sconfitto.
I voti di Cagli e dall'Ongaro messi insieme, ma a favore di chi? Di Cagli, che finge di non volersi candidare ma che sicuramente vuole restare, o di dall'Ongaro che si è preparato in quest'anno alla scuola serale di Cagli?
Comunque una terza possibilità non è da scartare e che cioè anche Battistelli metta a disposizione di dall'Ongaro i propri voti, o almeno quelli di cui ha necessità per l'elezione, e poi una volta eletto dall'Ongaro, Battistelli si faccia nominare vice presidente dell'Accademia. Ammesso che lo voglia. perché egli deve considerare che l'amministrazione del potere in Accademia, abbastanza impegnativo gli imporrà qualche rinuncia. Battistelli è disposto a farla?
Ciò che ci consola, a seguito dei possibili disastrosi esiti delle elezioni, è che dall'Ongaro, se eletto, liberi i numerosi posti che occupa da tempo, molti dei quali già oggi incompatibili fra loro, e forse per questo, specie nei posti lasciati liberi alla RAI, cominci finalmente a circolare aria e gente nuova.
Archiviata già l'inaugurazione, con Pappano a condurre le danze, e l'Orchestra in partenza per la lunga tournée in Estremo Oriente, sembra che in Accademia ci sia aria di 'elezioni'. Per il nuovo Consiglio di amministrazione che si chiamerà Consiglio di indirizzo, da attivare entro la fine dell'anno, dal cui seno dovrebbe spuntare il nome del nuovo sovrintendete. Nuovo?
Così sembrava solo qualche mese fa quando Cagli annunciava per l'ennesima volta la sua volontà di lasciare in altre mani il timone dell'Accademia, nell'esultanza generale della ciurma che finalmente vedeva chiudersi l'era Cagli, non tutta da cancellare ma durata anche troppo.
Nel caso si fosse dimesso definitivamente, come purtroppo oggi tutti dubitano, le due mani alle quali passare il timone, lui le aveva già individuate da tempo, e nel frattempo 'incremate' ogni giorno per mostrale a tutti senza macchie ed imperfezioni, al momento in cui avrebbero preso il timone della nave accademica.
Le due mani, come tutti sanno, sarebbero quelle di Michele dall'Ongaro che, nel caso fosse eletto presidente, sempre che Cagli decida di abdicare, dovrebbe lasciare tutti i suoi numerosi incarichi, dai quali - e massimamente da essi - ha acquistato in questi anni notorietà e soprattutto potere (Orchestra RAI, RAI5, Radio 3, per citarne solo quelli di più evidente potere!).
Ma forse Cagli non ha intenzione di dimettersi; fa finta, per essere a gran voce chiamato a restare per la salvezza di Santa Cecilia- poveretta! - accordandosi con dall'Ongaro, con i rispettivi elettori, e restare sul trono, tenendo sempre al suo fianco il principe ereditario, alla cui educazione provvede di persona.
A meno che Battistelli, sconfitto nella passata tornata elettorale da Cagli, con un divario di voti enorme da colmare, non si decida a tornare nuovamente in campo, per sfidare Cagli, mettendosi d'accordo con dall'Ongaro, un tempo suo nemico ora non più, e spartirsi il potere: dall'Ongaro presidente e Battistelli vice, per poi scambiarsi i ruoli, se possibile, alla successiva elezione. Ma anche Battistelli, che, a differenza di dall'Ongaro, ha come prevalente occupazione quella del compositore, dovrebbe lasciare i suoi già numerosi incarichi: direttore dell'Orchestra della Toscana, presidenza della Barattelli-L'Aquila, consiglio di amministrazione dell'Opera di Roma ecc... con i quali esercita anch'egli il potere.
Tutto questo potrebbe accadere qualora riuscissero i dioscuri ad allearsi ai danni di Cagli. Potrebbe dall'Ongaro pugnalare alle spalle il suo padre-protettore? S'è visto di peggio, e perciò non ci sarebbe da meravigliarsi. Comunque meglio non fare, fino allo scrutinio delle elezioni, i conti senza l'oste: Cagli.
E nella stesa data un secondo post:
Le ultime elezioni per la presidenza sovrintendenza dell'Accademia di Santa Cecilia si sono svolte il 13 ottobre, senza vincitore. In particolare hanno ricevuto voti: dall'Ongaro - che ovviamente è stato alla finestra a contare tutti i suoi affezionati elettori, che sono ancroa pochi, ha preso 18 voti. Cagli che non si era presentato come candidato, ma non si è neanche dimesso, come aveva minacciato , dalla presidenza, ha preso comunque 10 voti, e Battistelli che non ha rinunciato definitivamente a candidarsi alla presidenza dell'Accademia, nonostante la precedente sonora sconfitta, ha preso una decina di voti, come Cagli.
Ora, è evidente alla luce dei fatti, che se mettessero insieme i voti, Cagli e dall'Ongaro, Battistelli verrebbe nuovamente sconfitto.
I voti di Cagli e dall'Ongaro messi insieme, ma a favore di chi? Di Cagli, che finge di non volersi candidare ma che sicuramente vuole restare, o di dall'Ongaro che si è preparato in quest'anno alla scuola serale di Cagli?
Comunque una terza possibilità non è da scartare e che cioè anche Battistelli metta a disposizione di dall'Ongaro i propri voti, o almeno quelli di cui ha necessità per l'elezione, e poi una volta eletto dall'Ongaro, Battistelli si faccia nominare vice presidente dell'Accademia. Ammesso che lo voglia. perché egli deve considerare che l'amministrazione del potere in Accademia, abbastanza impegnativo gli imporrà qualche rinuncia. Battistelli è disposto a farla?
Ciò che ci consola, a seguito dei possibili disastrosi esiti delle elezioni, è che dall'Ongaro, se eletto, liberi i numerosi posti che occupa da tempo, molti dei quali già oggi incompatibili fra loro, e forse per questo, specie nei posti lasciati liberi alla RAI, cominci finalmente a circolare aria e gente nuova.
giovedì 29 novembre 2018
Di Bruno Cagli un ricordo: promosso lo studioso e letterato; l'operatore culturale e l'uomo di potere, espressione anche di lobby ben note no!
La redazione della nostra biografia di Antonio Pappano, appena nominato direttore musicale dell'Accademia di Santa Cecilia fu all'origine dei dissapori con il neo sovrintendente dell'Accademia Bruno Cagli, eletto a fine 2003, dopo la morte di Luciano Berio.
La VERSIONE CHE RIPRODUCIAMO QUI SOTTO è LEGGERMENTE DIFFERENTE DA QUELLA POI PUBBLICATA. E' differente in alcuni particolari che riguardano gli ultimi mesi di sovrintendenza Berio, la lite con Chung e la nomina di Pappano. Il racconto della lite furibonda, come le modalità della sua successiva nomina (non certo amatissimo dagli Accademici:qualche anno prima s'era dovuto dimettere, i quali, per punire Perticaroli, reggente nei mesi di passaggio, che aveva chiamato come consulente Hans Landesmann - decisione non gradita agli accademici e rielessero Cagli - non piacque a Cagli ( come risulta dalla lettera che segue, di risposta ad una nostra richiesta di ok - "di cortesia"! - al testo, e fece tentennare anche Pappano, messo sull'avviso da Cagli (si capisce dalla nostra lettera un pò risentita al direttore - anche lui tardava a dare l'0k - il quale, interpellato, anche telefonicamente, sulle ragioni del ritardo, ci disse: 'Pietro parla con Bruno'.
Cagli si rimangiò la sua promessa di pubblicare la biografia (da lui incoraggiata ed avallata, al momento in cui gli presentammo il progetto, come era naturale, per far conoscere il nuovo direttore musicale) ritardò inspiegabilmente, di molti mesi, la presentazione della biografia medesima, che poi fece fare, svogliato, nello spazio 'Risonanze' ( chi non crede alle nostre parole, provi a sfogliare l'annuario dell'Accademia relativo al 2007, di quella presentazione, presenti Cagli e Pappano naturalmente - non troverà neanche un accenno, mentre tutto il resto dell'attività editoriale è riportato meticolosamente) e da quel momento i nostri rapporti divennero freddi nella sostanza, sebbene all'apparenza continuarono ad essere cordiali,meglio: civili.
La nostra biografia era uscita a maggio del 2007; alla fine della stagione concertistica, pochi mesi dopo, era atteso a Roma Barenboim, e la sua presenza rendeva ancora più importante la presentazione della biografia del suo pupillo. Anche Pappano era d'accordo per una presentazione in quei giorni. Cagli no. 'Barenboim aveva troppo da fare' - fu la risposta, senza che glielo avesse chiesto.
La nostra biografia era uscita a maggio del 2007; alla fine della stagione concertistica, pochi mesi dopo, era atteso a Roma Barenboim, e la sua presenza rendeva ancora più importante la presentazione della biografia del suo pupillo. Anche Pappano era d'accordo per una presentazione in quei giorni. Cagli no. 'Barenboim aveva troppo da fare' - fu la risposta, senza che glielo avesse chiesto.
Ci furono altre discussioni, una delle quali sulla ricostituzione del'Orchestra giovanile di Santa Cecilia affossata da Berio, per la quale era d'accordo, a sostenerla, anche la Compagnia della Musica in Roma - capitanata da Ludovica Rossi Purini, poi smarritasi sotto i riflettori accecanti dei salotti romani - ma lui non fu d'accordo, giustificandosi che 'quell'orchestra non la volevano i professori dell'orchestra', ed una seconda sull' Opera Studio, destinata ai giovani cantanti, un suo pallino pagato dall'Accademia. Su di essa noi scrivemmo che l'avremmo vista più opportunamente in un teatro d'opera, piuttosto che in una istituzione sinfonica.
Quelle nostre osservazioni non piacquero a Cagli, c'era da immaginarselo, perchè il potere si esercita anche mettendo a tacere o interrompendo i rapporti con i contestatori. E così fece.
E la cosa risultò ancora più strana se, ricordiamo bene, nel periodo in cui alla nostra principale attività giornalistica ( Il Giornale, Suono ecc...) si unì anche la direzione artistica del Festival delle Nazioni di Città di Castello, e la consulenza artistica al Concerto di Capodanno della Fenice, in diretta su Rai 1. Cagli ci prospettò addirittura la possibilità di entrare nella Fondazione Rossini di Pesaro, che lui avrebbe caldeggiato, senza che noi mai gli avessimo chiesto nulla. E per il Concerto di Capodanno sia lui che lo stesso Pappano lo vedevano come una occasione preziosa per far conosocere Pappano in Italia. Naturalmente niente di questo andò in porto.
Poi vennero gli anni, lunghi, della sua sovrintendenza, durata fino al 2015, quando venne eletto, con la sua benedizione, Dall'Ongaro, criticatissima per una serie di fatti, fra cui anche il potere via via attribuito a Dall'Ongaro in Accademia. Vi furono lettere di protesta feroce inviate agli accademici, da notissimi membri del consesso ceciliano, e noi unici, pubblicammo tutte quelle lettere su Music@ .
Insomma il nostro rapporto, irrimediabilmente, si chiuse - come chiuso lo è oggi con il suo delfino Dall'Ongaro che, come il suo maestro appena scomparso, gestisce l'Accademia come fosse una proprietà personale e non pubblica. Il quale, avendo perso una causa per calunnia che lui ci fece, ritiene di doverci condannare lui, a differenza della sentenza del tribunale che ci ha assolti completamente, negandoci di partecipare ai concerti dell'Accademia: 'perchè c'è un contenzioso'. Quale contenzioso? Ha perso la causa e dovrebbe anche risarcire i danni provocati, non danneggiarci ulteriormente.
Come definire un simile comportamento? Una mascalzonata!
Insomma il nostro rapporto, irrimediabilmente, si chiuse - come chiuso lo è oggi con il suo delfino Dall'Ongaro che, come il suo maestro appena scomparso, gestisce l'Accademia come fosse una proprietà personale e non pubblica. Il quale, avendo perso una causa per calunnia che lui ci fece, ritiene di doverci condannare lui, a differenza della sentenza del tribunale che ci ha assolti completamente, negandoci di partecipare ai concerti dell'Accademia: 'perchè c'è un contenzioso'. Quale contenzioso? Ha perso la causa e dovrebbe anche risarcire i danni provocati, non danneggiarci ulteriormente.
Come definire un simile comportamento? Una mascalzonata!
Di Bruno Cagli studioso rossiniano e letterato non c'è bisogno che diciamo di più di quello che, noi compresi, abbiamo sempre pensato, e di quello che oggi sui giornali certamente rileggeremo.
Infine. Nella nostra attività di giornalista che svolgiamo giusto da 40 anni, noi abbiamo sempre tenuto sotto stretta sorveglianza il potere, in generale chi comanda, ed anche a Cagli non abbiamo ritenuto di dover fare sconti, quando la sua attività si prestava, a nostro parere, a critiche fondate. O avremmo dovuto tacere?( P.A.)
Requiem aeternam dona ei, Domine
DOCUMENTI
Pappano a Santa Cecilia (versione scorretta)
Benedetto
il ‘ Va’ pensiero’ di Giuseppe Verdi. Per il ritorno a ‘casa’
di Tony Pappano, italiano d’origine, inglese di nascita ed
americano di formazione, direttore musicale della Royal Opera House
Covent Garden di Londra, deve ringraziare il destino e quel bis
verdiano popolarissimo. Tutto può essere fatto risalire a quel bis,
programmato da Chung e vietato da Berio, il 22 dicembre 2002, in
occasione del concerto d’inaugurazione della sala grande (poi Sala
Santa Cecilia) del grande Auditorium di Roma costruito da Renzo Piano
e comunemente chiamato ‘Parco della Musica’.
Myung-Whun
Chung era, all’epoca dei fatti, direttore principale dell’Orchestra
dell’Accademia di santa Cecilia, al
suo secondo incarico, e Luciano Berio,
Presidente-Sovrintendente. Quel bis della discordia che segnò
l’ufficializzazione del dissidio fra Luciano Berio e Myung-Whun
Chung, avrebbe fatto stringere i tempi della trattativa già avviata
con Antonio Pappano, come futuro sostituto del direttore coreano.
Bene informati giurano,
infatti, che Berio, prima ancora del fattaccio, avesse messo gli
occhi addosso a Pappano, come futuro sostituto di Chung. A suggerire
il nome del noto direttore di origine italiana in grande ascesa
sarebbero stati Gaston Fournier-Facio , coordinatore artistico
dell’Accademia e Vittorio Ripa di Meana, avvocato e membro del
consiglio di amministrazione ( in rappresentanza dei soci privati)
della Fondazione ‘Accademia di santa Cecilia’. Il dissidio fra
Berio e Chung, acuito da quello scontro, era di molto anteriore e
fondato su ben altre ragioni. Innanzitutto il carattere dei due:
dittatoriale il primo, chiuso il secondo. E forse un certo peso
l’ebbero anche i contratti ‘speciali’ fatti ad alcune prime
parti dell’orchestra, chiamati direttamente da Berio, mentre Chung,
responsabile dell’orchestra, aveva sempre seguito la strada dei
concorsi, impegnandosi contemporaneamente in un lavoro continuo con
le ‘prime’ parti. Quell’iniziativa di Berio, non condivisa da
Chung, portò a Roma ottimi solisti, a condizioni molto favorevoli
anche economicamente, alle quali dovevano seguire prestazioni
‘solistiche’, come previste nel contratto ‘speciale’. La
decisione di Berio procurò non pochi malumori fra i professori
dell’orchestra e, di conseguenza, anche fra la direzione e la
sovrintendenza. Dunque ragioni di dissidio fra Chung e Berio ce
n’erano a non finire, prescindendo da Pappano.
Anche della ricerca
subito orientata verso quel giovane direttore, quarantaduenne, ma già
molto lanciato, la cui famiglia è di origini italiane, Berio non
informò né Chung, neppure dopo che questi aveva comunicato
ufficialmente all’orchestra che alla fine del suo secondo mandato
romano avrebbe lasciato ( il che fece con una lettera, in occasione
del definitivo trasferimento dei concerti da via della Conciliazione
al nuovo Auditorium), né i rappresentanti dell’orchestra - l’uno
e gli altri appresero la notizia, come tutti, dai giornali. Ad un
sovrintendente che non fosse Berio, l’orchestra ceciliana e
naturalmente anche Chung, questa non gliel’avrebbero fatta passare
liscia. A Berio sì, anche per la complessa situazione creata dalla
sua grave malattia.
Dunque da quel momento
non si parlò più di rinnovo, ma di fine della collaborazione, con
la scusa di quel dannato bis.
Dispotico e duro nei modi
con chi non lo assecondava, sovrintendente dal 21 settembre del 2000,
Berio era divenuto più intrattabile a causa della grave malattia
che lo condusse nel giro di pochi mesi alla morte. Ma da principio
s’era circondato di persone di fiducia, ‘strettissima’ fiducia,
che gli professavano dedizione totale ed ubbidienza assoluta ,
‘perinde ac cadaver’, secondo l’antica regola gesuitica; e
dunque chi gli si opponeva non era gradito e neppure tollerato,
specie poi quando, come nel caso di Chung, quella sporca storia era
finita sui giornali. Ma come andarono effettivamente le cose?
Chung e Berio avevano
concordato il programma del concerto inaugurale. Tre nuovi brani
commissionati per l’occasione a tre compositori italiani ( Vacchi,
Colla,) poi la Fantasia beethoveniana,
per pianoforte coro e orchestra op.80 ( Maurizio Pollini solista) e
La sagra della primavera
di Stravinskij a conclusione. In quei giorni, sempre a causa della
malattia, Berio era spesso lontano dall’Accademia. Durante le
prove, dai rappresentanti del Coro era venuto a Chung il suggerimento
di impegnarlo almeno in un bis, oltre che nella Fantasia
di Beethoven. E Chung, accogliendo quella giusta richiesta, aveva
provato il celebre coro verdiano dal Nabucco,‘Va
pensiero’. La mattina stessa del concerto, anzi pochi minuti prima
del concerto, Berio bussa al camerino di Chung e gli intima, con fare
poco rispettoso, che non si fa nessun bis. A nulla servono le
ragioni del direttore; Berio ribadisce il suo no, con una durezza
che il direttore principale dell’orchestra e responsabile del
concerto inaugurale non gli perdonò. E fra i due iniziò una vera e
propria guerra. Poco più di un mese dopo il fattaccio, in
coincidenza del primo concerto dopo il trasferimento definitivo
dell’Accademia nel nuovo Auditorium, che avvenne l’8 febbraio del
2003 ( Chung diresse la Sinfonia n. 8, ‘dei
Mille’ di Gustav Mahler), il Corriere
della Sera rese nota la lettera, indirizzata
alla direzione dell’Accademia ed all’Orchestra, con la quale
Chung diceva chiaramente che alla fine del suo secondo mandato, che
coincideva con l’avvio della stagione 2005-2006, non intendeva
prolungare la sua permanenza a Roma. Il direttore coreano, in verità,
andava ripetendo con convinzione, già prima di quell’occasione,
che dopo otto anni di permanenza in un posto era meglio cambiare
aria, e qualche volta aggiungeva- ed aggiunge ancora ora - che non
continuerà per molto tempo ancora a girare come una trottola per il
mondo.
Berio proseguì nel suo
durissimo atteggiamento con Chung, al punto che la successiva
inaugurazione della stagione 2003-2004
( 8 ottobre 2003, con
Wozzeck di Alban Berg,
in versione semiscenica, nel nuovo auditorium) gliela tolse; al suo
posto chiamò Daniele Gatti. Chung tornerà sul podio
dell’Accademia, dopo la morte di Berio avvenuta il 29 maggio del
2003, a dirigere una serata inaugurale, soltanto nella stagione
2004-2005. Il 16 ottobre 2004, l’ultima sua stagione da ‘direttore
principale’ dell’Orchestra dell’Accademia, diresse l’Idomeneo
di Mozart, con un cast straordinario, nel
quale compariva, debuttante a Roma, anche Magdalena Kozena, compagna
ufficiale di Simon Rattle, in un abito che rendeva di pubblico
dominio anche la sua avanzata maternità.
Resa pubblica da Chung
la sua volontà di lasciare Roma allo scadere del suo mandato,
cominciò il gioco delle possibili candidature alla successione. Si
fecero i nomi di alcuni italiani emergenti, subito scartati perchè
troppo deboli per essere catapultati all’improvviso su un podio
direttoriale di un certo prestigio ed ora reso più appetibile dal
nuovo Auditorium che molte capitali d’Europa invidiano a Roma e che
finalmente restituiva all’orchestra dell’Accademia una sede
stabile e degna di questo nome; e scartati anche perchè questi
giovani direttori non sembravano mostrare segni di precoce
genialità, quelli stessi che, prima di Chung, avevano fatto puntare
su Christian Thielemann e poi optare per Daniele Gatti.
Alcune vecchie ed
antiche glorie, inoltre, non erano più disponibili, a causa
dell’età. Wolfgang Sawallisch dichiarò che forse un tempo
avrebbe preso in considerazione la proposta, ma ora, passati gli
ottant’anni, era da rispedire al mittente con tante grazie. Ed a
sua volta fece qualche nome, come Fabio Luisi, del quale ‘si dice
un gran bene a Monaco di Baviera’, aggiunse. Gli si domandò un
giudizio sul nome di Pappano che cominciava a circolare. Dichiarò
che non lo conosceva, ma che aveva ascoltato alcuni suoi dischi e ne
era rimasto ben impressionato (Pappano ricorderà che anni prima
aveva partecipato ad un concorso come ‘accompagnatore’ a Monaco,
durante l’era Sawallisch, alcuni anni prima del suo incarico a
Bruxelles, al Teatro de la Monnaie, che data al 1992. Passò
l’audizione, ma Pappano preferì Francoforte a Monaco. Venne fuori
anche il nome di Yuri Temirkanov, indisponibile, ed anche del nostro
Riccardo Chailly, ancora legato al Concertgebouw di Amsterdam e, a
Milano, all’Orchestra Verdi. Nel caso di Chailly, quasi sicuramente
non era interessato a venire a Roma, con un incarico stabile. Non
immaginava come sarebbero andate successivamente le cose della sua
carriera. Chailly venne effettivamente interpellato, i rapporti fra
Berio e Chailly erano ottimi: il direttore aveva tenuto a battesimo
il nuovo finale di Turandot scritto da Berio. Ma Chailly non aveva
nessuna intenzione di lavorare a Roma e perciò non accettò.
(Successivamente il direttore milanese ha lasciato Amsterdam per
insediarsi a Lipsia, al Gewandhaus, istituzione storica e gloriosa,
la cui immagine è oggi un po’ appannata; ed ha lasciato anche
Milano, per protestare contro le inadempienze delle Istituzioni che
non hanno ancora dotato la bella orchestra milanese delle risorse
sufficienti per la sopravvivenza, mentre orchestre ‘fantasma’
vengono ampiamente foraggiate dal medesimo ministero - ma anche per
dissidi insanabili, a causa delle infinite difficoltà economiche
dell’orchestra, con il direttore generale, Luigi Corbani:
canovaccio di una storia già vista a Milano, alla Scala).
Cominciò dunque a
circolare con insistenza il nome di Antonio Pappano. Quarantatre
anni, stanco di girare il mondo, autonomamente accarezzava l’idea
di una seconda sistemazione fissa, questa volta ‘sinfonica’, da
affiancare a quella ‘lirica’ londinese. E Roma rappresentava la
sede ideale, aveva il sapore di un ritorno a casa.
Nelle settimane che
seguirono, in coincidenza con i concerti di Wolfgang Sawallisch a
Roma, il 29 marzo 2003 ( mentre divampavano le polemiche per alcune
dichiarazioni di Sawallisch non proprio entusiastiche sull’acustica
della sala grande, progettata da Renzo Piano – “si sa che anche
grandi architetti - aveva detto il direttore - non sempre prestano
attenzione all’acustica di una sala, quando costruiscono un
auditorium” ) Berio comunicò ufficialmente che il Consiglio di
amministrazione dell’Accademia di santa Cecilia aveva nominato
direttore musicale dell’Orchestra dell’Accademia, per cinque
anni, dall’ ottobre 2005 al settembre del 2010, Antonio Pappano, di
origini italiane, fra le bacchette più quotate del momento. Chung e
l’Orchestra seppero dell’avvenuta nomina dai giornali. Nei giorni
dei concerti di Sawallisch, quando l’Accademia stava per
ufficializzare la firma del contratto, Pappano era venuto a Roma,
s’era affacciato nell’Auditorium, in incognito, aveva ascoltato
uno dei concerti di Sawallisch. Ma non era la prima volta che veniva
a Roma. Aveva già debuttato all’Accademia, nell’Auditorium di
via della Conciliazione, la stagione precedente (il 28 marzo 2002).
Dirà in seguito, che già allora s’era creato un bel rapporto con
l’orchestra. Per quel suo debutto romano ‘tardivo’ e in certo
modo ’riparatore’ – lui italo-anglo-americano, conosciuto ed
apprezzato nel mondo - era arrivato in compagnia di un giovanissimo
pianista argentino, Horacio Lavandera, vincitore del secondo premio
(primo non assegnato) al Concorso Micheli di Milano, il 22 ottobre
2001, all’età di diciassette anni. Da poco legato al Covent Garden
per un lungo periodo (cinque anni a partire dal 2002 e fino al 2007)
, dopo che era stato per 10 anni a La Monnaie di Bruxelles, dal 1992
al 2002.
Già da Bruxelles non
poche volte aveva fatto parlare di sé; in Italia lo si era ascoltato
rare volte: al Maggio Fiorentino aveva diretto, nel 1998, un bel
Falstaff; a Bologna
due concerti al Teatro Comunale, il 2 e 3 marzo del 2002.
Le presenze a Roma,
quelle ufficiali sul podio, si faranno più fitte, nel biennio
2004-2005. E Per Pappano comincia la marcia di avvicinamento a Roma
ed alla sua orchestra. Nel frattempo Berio muore, il 27 maggio 2003.
Fino al dicembre del
medesimo anno regge le sorti dell’Accademia Sergio Perticaroli,
vice presidente della medesima Accademia. Perticaroli fa subito una
mossa che per il futuro dell’Accademia avrebbe potuto rivelarsi
davvero molto utile. Nomina consulente alla direzione artistica Hans
Landesmann, personalità notissima negli ambienti musicali, con
conoscenze altolocate, a capo di istituzioni musicali internazionali
di altissimo prestigio. Quella nomina ‘esterna’ fu interpretata
dagli Accademici ceciliani come uno ‘sgarbo’ alla loro competenza
musicale - alcuni di essi, già molto avanti negli anni, senza farne
mistero, miravano al vertice di santa Cecilia - e quello sgarbo non
fu estraneo al tramonto definitivo della candidatura di Perticaroli
alla Presidenza-Sovrintendenza dell’Accademia. Landesmann, che per
incarico del Sovrintendente pro tempore, incontra Pappano, nuovo
direttore musicale dell’orchestra per fissare con lui alcune linee
programmatiche della futura programmazione concertistica
dell’Accademia, ricorda:
ll 2 dicembre 2003, al
terzo turno di ballottaggio, quando non occorreva più un quorum
alto, Bruno Cagli viene eletto per la terza volta alla carica di
Sovrintendente dell’Accademia, donde s’era dimesso prima della
fine del mandato per un insanabile dissidio con l’orchestra
scontenta delle norme contrattuali inserite nello statuto della
fondazione.
Anche Cagli appena
insediato incontra Pappano a Londra. A Cagli gli fa un’ottima
impressione, nella stagione 2004-5 gli riserva due concerti, uno
invernale e l’altro estivo – in ambedue suscita ammirazione il
feeling con l’orchestra, la sapiente architettura dei singoli
programmi per il suggestivo ed intelligente gioco degli accostamenti
tra i brani ecc...ecc...
Alla cortese attenzione
del m. Antonio Pappano
Roma, 22
marzo 2006.
Caro Antonio, quando
leggerai questa mia sarai a Londra, di ritorno da Budapest e forse
senza passare per Roma. Mi dispiace dirti quello che sto per dirti,
ma devo farlo. Ho atteso tanto tempo, come tu ben sai, per riavere il
dattiloscritto delle nostre chiacchierate ( te lo avevo inviato nei
primi giorni di febbraio); volevo che tu lo riguardassi se non altro
per evitare qualche inesattezza, avendo in generale trascritto
fedelmente quello che tu mi hai detto.
Ora devo constatare che
anche l’ultima promessa di restituzione , per ragioni che
naturalmente non sto a giudicare, non è stata mantenuta.
E devo anche
comunicarti che, appena una settimana fa, incontrando Cagli, vengo a
sapere che alla pubblicazione e all’editore devo pensarci io, dopo
che fin dal momento in cui demmo vita al progetto, lui mi aveva
sempre assicurato che alla pubblicazione ci avrebbe pensato
l’Accademia. Anche qui non sto a giudicare nessuno né a dare
interpretazioni al cambio di decisione.
Nell’un caso come
nell’altro, senza mia responsabilità e dopo aver lavorato in
tutti questi mesi, mi trovo a non aver ancora il testo approvato
anche da te, e a non avere più (o ancora, se preferisci) un editore,
mentre la data di pubblicazione del 13 maggio, quando sarai a Roma e
quando si potrebbe fare una pubblica presentazione, resta quella più
logica.
Non chiedo a te,
ovviamente, di occuparti dell’editore; non ti riguarda. Ci
mancherebbe. Quello è un problema mio, anzi doveva esser di Cagli,
per sua stessa ammissione!
Però mi domando anche
come mai in due mesi tu non abbia trovato il tempo per leggere una
quarantina di cartelle, quelle ti riguardano ( la ricostruzione della
vita e l’intervista)? Si tratta davvero di qualche ora. Mi permetti
di essere franco? Credo di potermi prendere questa libertà per la
stima e la lealtà - ed anche l’affetto - che ti ho sempre
dimostrato? Mi sento come offeso, come se non venisse rispettato il
mio lavoro; e questa è forse la cosa che più mi rattrista e che mi
riesce difficile tollerare.
Pietro Acquafredda
Caro
Pietro,
forse
bisogna veramente sempre scrivere e non parlare. Certamente se esce
un libro su Pappano e questo libro è accettato da tutti, una
presentazione qui è il minimo che ci si possa impegnare a fare.
Altra cosa è la pubblicazione con costi a carico dell’Accademia,
tenendo conto della situazione attuale, nella quale siamo costretti a
spostare l’uscita dei volumi delle nostre collane, anche già
pronti.
Ciò
detto, nel nostro incontro forse ti ho fatto un accenno franco ma non
sufficientemente esplicito sui contenuti del capitolo introduttivo.
Questo perché, giustamente credo, non potevo che aspettare la
reazione di Pappano, ma anche delle persone che a Santa Cecilia hanno
vissuto quegli eventi.
Io,
per principio, se mi allontano da un’istituzione non ci metto più
piede, o quasi. Nel caso specifico, nei 4 anni che sono stato fuori
da Santa Cecilia, ho assistito al concerto inaugurale delle due Sale,
a un recital di Barhemboim e a un concerto estivo nella Cavea, per il
quale avevo un invito specifico a cui non potevo rinunciare (anche
se, nel corso dell’intervallo, essendo andato a salutare il
solista, mi sono perso poiché mi sfuggiva completamente la
logistica!). Per il resto ho soltanto partecipato a Via Vittoria alle
Assemblee degli Accademici.
Dunque
la ricostruzione di quella parte della storia dell’Accademia mi
vede del tutto estraneo. Devo dirti che quella che tu hai fatto ha
suscitato notevoli perplessità. Si tratta di un problema non
semplice da risolvere in quanto tu, giustamente, hai il tuo
giudizio, la tua sensibilità e anche la tua autonomia. Noi abbiamo
la nostra.
Dunque:
ritengo che, così com’è scritto, questo primo capitolo non giovi
all’Accademia e crei dei problemi a molte persone che sono qui. Il
resto è una tua decisione indipendente, così come sarà la nostra
per un eventuale coinvolgimento in un testo che dovrebbe, se questo
coinvolgimento dovesse realizzarsi in qualsiasi forma, essere
ridiscusso. Per quanto riguarda, poi, le mie cose personali, un paio
di frasi che ti avevo evidenziato non costituiscono certo un
problema.
Ci
vediamo comunque sabato al concerto e fissiamo un appuntamento.
BC ( Bruno Cagli)
( 25 marzo 2006)
Gioacchino Rossini. Gli anni dopo la sua morte ( da 'Vita di Rossini' di Pietro Acquafredda. Manoscritto)
1878.
La
vedova Rossini sopravvisse dieci anni al marito, morta anch'ella
nella villa di Passy, dopo sei mesi di sofferenze, il 22 marzo 1878,
tutti i legati del testatore poterono mettersi in esecuzione. Il
primo e più importante fu l'apertura del Liceo musicale di Pesaro.
(Giuseppe
Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927)
***
1881-1892. Il Consiglio comunale nella seduta del 28 marzo 1881 ne deliberò l'istituzione. Il 16 febbraio 1882 veniva nominato direttore il maestro Carlo Pedrotti. Vennero adattati ad uso di scuola i locali del già Convento dei Filippini in via Petrucci. Il 5 novembre 1882 il Liceo Musicale di Pesaro venne inaugurato. Il 31 luglio 1892 venne inaugurata la nuova sede nel magnifico Palazzo Macchirelli, situato nel centro della città, ricco di pitture, stucchi, marmi e mobili preziosi.(Documenti Comune e Liceo musicale di Pesaro)
***
1883-1889.
Un
altro istituto di beneficenza fu fondato col patrimonio Rossini.
Prima di morire, il Maestro aveva espresso alla moglie il desiderio
che ella avesse per testamento disposto di una parte della loro
fortuna per fondare e mantenere a Parigi un asilo per cantanti dei
due sessi, francesi e italiani (vissuti in Francia) inabili al
lavoro. Il suo voto fu adempiuto. La signora Olimpia, unendo gli
interessi della proprietà del marito con la sua personale
possidenza, potè lasciare all'Assistenza pubblica di Parigi un
capitale di circa 200.000 franchi di rendita, che, aumentato coi
frutti di altri cinque anni, permise di metter mano alla fondazione
del desiderato asilo. Sorse così la Maison
de retraite Rossini, che
il popolo parigino suole chiamare
Villa Rossini. Si
scelse un terreno nelle vicinanze di Passy e del Bois de Boulogne, in
memoria della particolare affezione che il Maestro portava a quei
luoghi. I lavori di costruzione iniziarono nel 1883, e nel gennaio
1889 il ricovero era pronto per l'apertura.
(Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927)
***
Rossini,
per testamento, aveva lasciato facoltà alla moglie di dargli
sepoltura dove a lei piacesse. E Lei avrebbe voluto che non fosse
tolto dal Père-Lachaise. Ma due città italiane le rivolgevano viva
preghiera di cedere loro la custodia delle preziosa spoglia: Pesaro e
Firenze. Pesaro sua città natale; Firenze, che desiderava collocarla
accanto a quelle di Michelangelo, Machiavelli, Alfieri nel Pantheon
del genio italiano. La sig.ra Olimpia acconsentì alla traslazione
della salma in Italia, ma a condizione di poter riposare anch'ella,
quando sarebbe giunta l'ultima sua ora, vicino al marito....Senonchè,
il governo italiano non credette dignitoso, e per la gloria di
Rossini, e per il decoro d'Italia, di accettare una tale proposta e
per qualche tempo le trattative furono sospese.(Giuseppe
Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)
***
1878.
Alla
morte della sig.ra Rossini, tre mesi dopo, per iniziativa del prof.
Riccardo Gandolfi, si costituì in Firenze un comitato allo scopo di
tributare solenni onoranze al sommo Pesarese in occasione dell'arrivo
della sua salma. Giuseppe Verdi venne nominato presidente onorario
del comitato. Ma Giuseppe Verdi avutane notizia, rifiutò.
***
1878,
16 giugno. Egregio
sig. Casamorata, Ammiro Rossini anch'io al par d'ogni altro, ed alla
sua morte intesi dimostrarlo, proponendo a diversi maestri di
comporre una Messa
da Requiem
da eseguirsi al primo anniversario della sua morte. Quel progetto non
si è potuto disgraziatamente realizzare, non per colpa dei maestri
destinati a comporre, ma per incuria o malvolere di altri. Ora
domando io, a che gioverebbe che io fossi Presidente, o vice, od
Onorario ecc? Oltre ad essere in questo momento ingolfato in una
farragine di affari, completamente estranei alla musica, trovo che il
posto di Presidente effettivo ed Onorario è da lei egregiamente
rappresentato, né fa mestieri di pensare ad altri. Gli è perciò
che sarei ben lieto, ch'Ella volesse, dirò così, di buona voglia
accettare le mie scuse ed esonerarmi da questo onore. Con Lei so che
è inutile pregare perché questa lettera non sia resa di pubblica
ragione, ma valgano di scusa il fatto che altre volte per consimili
occasioni, e proprio in Firenze, fu pubblicata un'altra mia,
alterandola e facendovi commenti che non erano né seri né
convenienti. Rinnovandole le mie scuse, mi dico colla più profonda
stima. Dev.mo G. Verdi. (Lettera
di Giuseppe Verdi a Casamorata, Presidente del Comitato per le
solenni onoranze a Rossini, in occasione della traslazione della sua
salma da Parigi a Firenze)
***
1886.
Il
4 dicembre, il deputato marchigiano Filippo Mariotti, salito alla
direzione generale del Ministero della P. Istruzione, presentò al
Parlamento una proposta di legge relativa alla traslazione della
salma di Rossini da Parigi a Firenze ed alla sua sepoltura in Santa
Croce. Nella lettera di presentazione della proposta di legge si
leggeva: “ Gioacchino Rossini che è il Dante nella poesia dei
suoni, giacerà nello stesso tempio con Machiavelli, con
Michelangelo, con Galileo e con Vittorio Alfieri; e così saranno
cinque a rappresentare la perfezione nella sapienza, nell'amore della
patria e nell'arte italiana”. La camera dei Deputati ed il Senato
accolsero all'unanimità la proposta dell'on. Mariotti. che divenne
legge il 26 dicembre dell'anno medesimo. (Atti
parlamentari)
***
1887,
30 aprile. Alle
dieci antimeridiane ebbe inizio l'esumazione, ricognizione in
previsione della consegna della salma di Rossini alle autorità
italiane. Tratto il feretro dal sepolcro, se ne incise il coperchio e
si alzò con precauzione. In quel momento tutti furono presi da una
indicibile emozione. Sopra il funebre lenzuolo si trovava una
coroncina di lauri ancora verdeggianti; alzato il velo che copriva il
viso del Maestro, tutti esclamarono ad una voce: “ E' lui, tale e
quale. Pare che dorma!” Dopo diciotto anni l'imbalsamazione fatta
dall'italiano Falcioni, era riuscita a meraviglia. E intanto il
feretro venne collocato nella tomba provvisoria, dove rimase fino al
mattino del giorno seguente, quando venne trasportato alla stazione,
dove lo attendeva il vagone, riccamente addobbato, che doveva potarlo
in Italia. Partito da Parigi il 1 maggio, alle 11 antimeridiane, la
salma giunse a Torino la mattina del giorno seguente, ricevuta con
commoventi accoglienze. Gli stessi onori si rinnovarono alle stazioni
di Genova e di Pisa. Finalmente alle nove pomeridiane del medesimo 2
maggio il convoglio entrava nel recinto della stazione di Firenze.
Il feretro fu deposto in una sala della stazione, trasformata in
camera ardente e vegliata dai maestri fiorentini e dai componenti il
Comitato per le onoranze, fino alle due pomeridiane del giorno
successivo (3 maggio), ora del trasporto in santa Croce. (Giuseppe
Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927)
***
1887,
3 maggio. Dopo
i discorsi commemorativi, il feretro fu trasportato dai pompieri e
collocato in uno splendido carro, tirato da sei cavalli e decorato
con molto buon gusto sotto la direzione dei pittori Barabino e
Morini. Si mosse allora il corteo, aperto da un plotone di
carabinieri a cavallo, un corteo imponente, composto di 6000 persone
circa e nel quale erano rappresentate più di cento associazioni..
Quando giunse
in piazza Santa Maria Novella, mentre il corteo sfilava, quattro
bande militari suonavano la sinfonia dell'Assedio
di Corinto; in
via Cavour fu scoperta una lapide commemorativa posta sulla facciata
della casa da lui acquistata nel 1853. Quando il convoglio giunse in
piazza Santa Croce, erano poco più delle cinque. Tutte le finestre
delle case e dei palazzi circostanti erano ornate di tappeti e di
arazi dai colori smaglianti e popolate di teste; grappoli umani
pendevano da tutte le inferriate, da uttti i lampioni, da tutte le
sporgenze.
La
folla, inebriata, non volle abbandonare la piazza e la chiesa, se non
quando i resti del divino Maestro furono tumulati nel tempio sacro
al genio ed alla grandezza d'Italia. (Giuseppe
Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)
***
1902,
13 giugno. Quindici
anni dopo veniva inaugurato in Santa Croce il monumento sepolcrale,
opera dello scultore G. Cassioli. La cerimonia incominciò nello
stupendo refettorio del chiostro con una commemorazione... Al
momento di togliere il velo che celava il monumento, l'Orchestra del
Liceo musicale di Pesaro, diretta da Pietro Mascagni, eseguì, con
trenta violini, la Preghiera
del Mosè,
trascritta sulla quarta corda da Paganini.
CURIOSITA'
Dal
casato dei Mercandetti/ di Masserano/ nacque Pietro detto il
Generali/ fondatore/ della moderna scuola musicale/ inventore del
crescendo/precursore di Rossini/ morto in Novara nel 1832/ in età di
anni 59 (Iscrizione
sulla facciata del Comune di Masserano, in ricordo del musicista
Pietro Mercandetti detto il Generali, ritenuto l'inventore del
'crescendo rossiniano')
***
Le
note musicali:
L'Austria
piena di debiti abborrisce il DO/ La Prussia sempre indecisa non
dice mai SI/ Il Papa fa gli ultimi sforzi per essere RE/
L'Inghilterra in qualunque questione risponde MI/ L'Italia guarda
Roma e Venezia e dice LA/ Il temporale per non cadere, vorrebbe
fermare il SOL/ E in mezzo a tante ciarle, la sola Francia FA (
Autografo di Rossini. Collezione Gallini. In
Luigi Rognoni, Gioacchino Rossini, 1977)
Così fan tutti. Anche il padre di Di Maio. Ecco per cosa scandalizzarsi
Antonio Di Maio compilava buste paga per i suoi dipendenti con cifre diverse da quelle reali. Metteva un compenso inferiore a quello elargito e il resto lo pagava «in nero». Lo hanno raccontato gli operai che lavoravano per la Ardima Costruzioni al giudice civile cui si era rivolto l'operaio specializzato Domenico Sposito. E lui stesso non ha negato di aver effettuato «versamenti in contanti». I verbali dei testimoni e i documenti contabili acquisiti nel corso della vertenza ricostruiscono la gestione dell'azienda di famiglia di Luigi Di Maio, ministro del Lavoro e vicepremier. La società era intestata alla madre Paolina Esposito, ma era il padre il vero proprietario. E nel 2014 i genitori decidono di donarne le quote ai figli: il 50 per cento ciascuno a Luigi e Rosalba facendole confluire nella Ardima srl di cui è amministratore il terzo fratello, Giuseppe. E questa mattina sarà proprio Antonio a dover effettuare un sopralluogo con i vigili urbani sul terreno di Marignanella dove aveva sede legale l'azienda per la verifica di alcuni edifici abusivi. Su quei terreni ci sono alcuni ruderi, ma anche un campo di calcio.
Salvini, 'il nero', l'unico di cui fidarsi
L'ultimo colpo di scena da parte di Matteo Salvini arriva durante il voto finale in Parlamento per il decreto sicurezza. Il vicepremier annuncia che il governo italiano non firmerà il Global compact for Migration, documento intergovernativo per la gestione dei flussi migratori che tra due settimane dovrebbe essere firmato a Marrakech dagli Stati ONU.
L'italia dunque diserterà la conferenza in Marocco: una scelta che porta i giallo-verdi su un terreno scivoloso, dal momento che - oltre a non trattarsi di un'iniziativa legalmente vincolante per gli Stati membri - il testo dell'intesa sembrerebbe in larga misura affine al programma formalmente adottato dal Governo Conte.
Tra i 23 punti del Global Compat infatti, oltre ad alcune linee guida per ridurre i rischi individuali legati ai percorsi di migrazione, ampio spazio è dedicato al miglioramento delle condizioni di vita negli stati d'origine, in modo da disincentivare le partenze: si tratta, in altre parole, della messa in opera di quell'"aiutiamoli a casa loro" che per Salvini è divenuto un cavallo di battaglia.
È lo stesso Premier - che lo scorso settembre aveva promesso il sostegno al patto all'Assemblea generale ONU - a ribadire poco dopo in un comunicato come l'iniziativa sia "compatibile all'azione di governo", ma "ponendo temi e questioni diffusamente sentiti anche dai cittadini, riteniamo opportuno parlamentarizzare il dibattito e rimettere le scelte definitive all'esito di tale discussione".
La palla dunque torna al Parlamento, dove la polemica è istantanea: Pd e Leu accusano Salvini di essere ormai il vero capo dell'esecutivo gialloverde, ma il vicepremier restituisce al mittente, tacciando il centro-sinistra di incoerenza. "State lamentando da ore il fatto che il governo tolga spazio d'espressione, di giudizio, di discussione, di dialogo e di partecipazione al parlamento" sottolinea il vicepremier. "Ora, il governo cosa fa? Su una scelta così importante, stiamo facendo esattamente come la Svizzera, che il Global Compact lo ha promosso fino a ieri, dopodiché ha fatto una scelta di democrazia totale, assoluta e trasparente, dicendo 'non andremo a Marrakech'".
"Bene - ha chiosato Salvini - anche il governo italiano non ci andrà, e non firmerà nulla perché il dibattito è così importante che non può essere una scelta esclusiva del Governo, ma deve essere discussa in Parlamento".
L'italia dunque diserterà la conferenza in Marocco: una scelta che porta i giallo-verdi su un terreno scivoloso, dal momento che - oltre a non trattarsi di un'iniziativa legalmente vincolante per gli Stati membri - il testo dell'intesa sembrerebbe in larga misura affine al programma formalmente adottato dal Governo Conte.
Tra i 23 punti del Global Compat infatti, oltre ad alcune linee guida per ridurre i rischi individuali legati ai percorsi di migrazione, ampio spazio è dedicato al miglioramento delle condizioni di vita negli stati d'origine, in modo da disincentivare le partenze: si tratta, in altre parole, della messa in opera di quell'"aiutiamoli a casa loro" che per Salvini è divenuto un cavallo di battaglia.
È lo stesso Premier - che lo scorso settembre aveva promesso il sostegno al patto all'Assemblea generale ONU - a ribadire poco dopo in un comunicato come l'iniziativa sia "compatibile all'azione di governo", ma "ponendo temi e questioni diffusamente sentiti anche dai cittadini, riteniamo opportuno parlamentarizzare il dibattito e rimettere le scelte definitive all'esito di tale discussione".
La palla dunque torna al Parlamento, dove la polemica è istantanea: Pd e Leu accusano Salvini di essere ormai il vero capo dell'esecutivo gialloverde, ma il vicepremier restituisce al mittente, tacciando il centro-sinistra di incoerenza. "State lamentando da ore il fatto che il governo tolga spazio d'espressione, di giudizio, di discussione, di dialogo e di partecipazione al parlamento" sottolinea il vicepremier. "Ora, il governo cosa fa? Su una scelta così importante, stiamo facendo esattamente come la Svizzera, che il Global Compact lo ha promosso fino a ieri, dopodiché ha fatto una scelta di democrazia totale, assoluta e trasparente, dicendo 'non andremo a Marrakech'".
"Bene - ha chiosato Salvini - anche il governo italiano non ci andrà, e non firmerà nulla perché il dibattito è così importante che non può essere una scelta esclusiva del Governo, ma deve essere discussa in Parlamento".
Attenti a quei due. Cialtroni
Ormai sul treno del governo, Spaccone -Di Maio (detto anche 'Giggino') e Bullo - Salvini ( più noto come 'il nero') viaggiano su carrozze differenti, ciascuno con la sua corte di servitori scemi. E Conte, che non ne ha nè può averla una propria carrozza, è costretto a viaggiare ora con l'una ora con l'altra, a seconda del momento, delle decisioni da prendere e da chi vince al 'tira e molla' gioornaliero; una terza carrozza è per Tria ( il nome lo lasciava supporre) che non sembra voler viaggiare nelle prime due, perchè ormai lui con i due vice premier non è d'accordo praticamente su nulla. E con Conte, non si sa, perchè non lo sa neppure Conte.
L'ultima grana riguarda l'accordo Onu sull'emigrazione, che verrà firmato a dicembre in Marocco. Conte, presentandosi la prima volta alle Nazioni Unite in settembre, aveva annunciato l'adesione dell'Italia a quell'accordo, cui hanno annunciato condivisione e sottoscrizione oltre cento paesi; ieri Salvini, il 'nero', ha dichiarato che lui dell'ONU se ne fotte; che Conte, burattino in mano dei due, e questa volta in quelle di Salvini, in Marocco a rappresentare l'Italia non ci andrà e che quel trattato il Governo italiano non lo firmerà. Se ne discuterà in Parlamento.
Va bene ma di che parere sono le due forze politiche al governo? Interrogati alcuni attendenti dei due cialtroni hanno dichiarato in tv che loro affidano la decisione al Parlamento, 'sovrano' - quando gli pare! Romeo per il 'nero' e la Castelli, economista di grido, per Giggino, non si sono voluti pronunciare per non sparare altre sciocchezze.
Ma si dà il caso che la medesima questione del trattato da firmare in Marocco sull'emigrazione, ieri è stato oggetto di discussione e votazione al Parlamento europeo. Come è andata? Cinquestelle e Lega sono arrivati, come fanno ormai da tempo, su due vagoni differenti: hanno votato i Cinquestelle a favore della firma, e la Lega contro.
Può un paese essere alla mercè di due cialtroni i quali hanno come unico scopo quello di salvare la faccia - riguardo alle mirabolanti promesse elettorali rivelatesi irrealizzabili - fottendosene bellamente delle sorti dei cittadini, per le quali sembra preoccupato ormai solo Mattarella che invita a tenere in ordine i conti, perchè la tenuta dei conti rappresenta una sicurezza la difesa dei cittadini, e Tria che è convinto che la correzione alla manovra va fatta e deve essere anche sostanziosa. A dispetto di ciò che vanno dicendo i due che più cialtroni di così non si può.
L'ultima grana riguarda l'accordo Onu sull'emigrazione, che verrà firmato a dicembre in Marocco. Conte, presentandosi la prima volta alle Nazioni Unite in settembre, aveva annunciato l'adesione dell'Italia a quell'accordo, cui hanno annunciato condivisione e sottoscrizione oltre cento paesi; ieri Salvini, il 'nero', ha dichiarato che lui dell'ONU se ne fotte; che Conte, burattino in mano dei due, e questa volta in quelle di Salvini, in Marocco a rappresentare l'Italia non ci andrà e che quel trattato il Governo italiano non lo firmerà. Se ne discuterà in Parlamento.
Va bene ma di che parere sono le due forze politiche al governo? Interrogati alcuni attendenti dei due cialtroni hanno dichiarato in tv che loro affidano la decisione al Parlamento, 'sovrano' - quando gli pare! Romeo per il 'nero' e la Castelli, economista di grido, per Giggino, non si sono voluti pronunciare per non sparare altre sciocchezze.
Ma si dà il caso che la medesima questione del trattato da firmare in Marocco sull'emigrazione, ieri è stato oggetto di discussione e votazione al Parlamento europeo. Come è andata? Cinquestelle e Lega sono arrivati, come fanno ormai da tempo, su due vagoni differenti: hanno votato i Cinquestelle a favore della firma, e la Lega contro.
Può un paese essere alla mercè di due cialtroni i quali hanno come unico scopo quello di salvare la faccia - riguardo alle mirabolanti promesse elettorali rivelatesi irrealizzabili - fottendosene bellamente delle sorti dei cittadini, per le quali sembra preoccupato ormai solo Mattarella che invita a tenere in ordine i conti, perchè la tenuta dei conti rappresenta una sicurezza la difesa dei cittadini, e Tria che è convinto che la correzione alla manovra va fatta e deve essere anche sostanziosa. A dispetto di ciò che vanno dicendo i due che più cialtroni di così non si può.
Vito Crimi da una parte abbatte (i giornali) e da un'altra ricostruisce (le zone terremotate). Cinquestelle a corto di uomini e di competenze
'AQUILA - Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Vito Crimi, avrà la delega alla Ricostruzione post-terremoto di tutti i crateri sismici, compreso quello abruzzese del 2009.
Lo ha annunciato il vice premier e ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, leader del Movimento cinque stelle, in visita stamattina nel capoluogo abruzzese per presenziare alla consegna di quattro autoambulanze acquistate grazie al taglio, di circa la metà, delle indennità dei cinque consiglieri regionali pentastellati.
Autoambulanze costate 200 mila euro, e che sono state consegnate alle quattro Asl da Sara Marcozzi, candidata presidente della Regione Abruzzo, Pietro Smagiassi e Domenico Pettinari, che saranno candidati, Gianluca Ranieri e Riccardo Mercante, consiglieri uscenti e che non saranno ricandidati.
I pentastellati hanno consegnato le chiavi ai rappresentanti delle Asl, ai massimi livelli per quella aquilana e chietina, con i direttori generali Rinaldo Tordera e Pasquale Flacco.
La giornata ha però riservato anche un'altra importante notizia. Di Maio arrivato in Piazza Duomo è stato intercettato dal sindaco dell'Aquila Pierluigi Biondi, che gli ha consegnato un dossier vertenze Intecs e ECar, entrando anche nel merito dello stato dell'arte e delle problematiche relative al post-terremoto aquilano. Di Maio gli così ha assicurato che oggi in Consiglio dei ministri Crimi sarà nominato referente governativo di tutte le ricostruzioni post-sismiche. Per il cratere 2009 questa figura mancava da tempo, dopo il cambio di governo dopo il voto del 4 marzo, che ha determinato la perdita delle deleghe del sottosegretario del Partito democratico Paola De Micheli.
mercoledì 28 novembre 2018
In Italia, dove la natalità è pari a zero, la madre dei cretini figlia quasi ogni giorno
Due episodi delle ultime ore ci convincono della superfertilità della madre che figlia cretini, e della condizione in cui questi figli sono costretti. Perchè, qualora se ne rendano conto, e tentino di nascondere con ogni mezzo questa loro discendenza, cosa certo ardua, mai e poi mai riuscirebbero nell'intento. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti e alcuni recenti episodi non fanno che confermarle.
Se il sovrintendente di un teatro importante, come quello di Firenze, invocato addirittura come salvatore della patria a trasferirsi dalla lagunare Venezia, assecondato da un regista nato nella famiglia accanto alla sua, osa cambiare il finale della Carmen, bollandola come omicida, invece che vittima, come il povero Bizet ha raccontato, allora tutti gli altri pargoli, anche se cresciuti, della nostra madre che figlia come una coniglia, si sentono autorizzati ad alzare la voce dal pulpito che la nostra povera società offre anche a loro, e farsi riconoscere. Senza pudore e senza vergogna.
E, infatti, alcuni insegnanti - sui quali ci assale il dubbio che possano riuscire ad insegnare alcunchè ai loro studenti - in quel di Ascoli Piceno, hanno interdetto alle proprie scolaresche la visione, e l'ascolto, di un capolavoro operistico, celebre come Carmen, il Cosi fan tutte di Mozart, su libretto di Da Ponte, perché rappresenta la 'scuola degli amanti'- come recita il sottotitolo. I ragazzi - hanno accusato - non è sano che vedano in teatro la storia di due giovani fanciulle innamorate, le quali quando i loro fidanzati partono, fintamente, per la guerra, subiscono il fascino di nuovi arrivati, e tradiscono i fidanzati, ai quali però alla fine della storia, chiedono perdono e sposano. Alle loro scolaresche non può esser fatta vedere - hanno protestato - una storia che racconta quanto volubile sia l'animo umano, anche di coloro - mschi o femmine non conta - che si ritengono di essere protetti contro la tentazione da una 'torre d'avorio' nella quale si sono rinchiusi per evitare di soccombere alla tentazione.
Non serve a questo punto neanche spiegare a quei poveri insegnanti la profondità del concetto espresso in quell'opera da Mozart, non potrebbero capire.
Ma la nostra madre che figlia ogni giorno, abita a diverse latitudini, come quelle nordiche del nostro paese, dove un sindaco ha preteso denunciare la Scala, per oscenità ed anche sacrilegio, in ragione della prossima apertura, a Sant'Ambrogio, con l'Attila di Giuseppe Verdi.
Accade, infatti, nell'opera, che il regista scritturato David Livermore - italianissimo, amministratore a Valencia, licenziato dopo troppo poco tempo - mostri un bordello, con tutto quello che ne consegue: era proprio necessario, o il regista non prevedeva che avrebbe puntato il dito accusatore contro la sua regia un sindaco lombardo della più alta genia di cui sopra. Agitando una seconda volta quel suo dito minaccioso, quando ha saputo - perchè ancora ufficialmente lo spettacolo non l'ha visto nessuno e perciò neanche lui, che forse mai e poi mai lo vedrà, perchè della Scala non gli fotte assolutamente - che rotola a terra una statua della Vergine Maria. Sacrilegio!
Ora non serve entrare nel merito, fatica sprecata, diciamo solo che se ai giovani od ai cittadini, insegnanti e sindaci evitassero gli spettacoli indecenti che tutti sono costretti a vedere, assolutamente diseducativi, potrebbero forse tentare di riscattare quelle loro origini non certo gloriose.
Se il sovrintendente di un teatro importante, come quello di Firenze, invocato addirittura come salvatore della patria a trasferirsi dalla lagunare Venezia, assecondato da un regista nato nella famiglia accanto alla sua, osa cambiare il finale della Carmen, bollandola come omicida, invece che vittima, come il povero Bizet ha raccontato, allora tutti gli altri pargoli, anche se cresciuti, della nostra madre che figlia come una coniglia, si sentono autorizzati ad alzare la voce dal pulpito che la nostra povera società offre anche a loro, e farsi riconoscere. Senza pudore e senza vergogna.
E, infatti, alcuni insegnanti - sui quali ci assale il dubbio che possano riuscire ad insegnare alcunchè ai loro studenti - in quel di Ascoli Piceno, hanno interdetto alle proprie scolaresche la visione, e l'ascolto, di un capolavoro operistico, celebre come Carmen, il Cosi fan tutte di Mozart, su libretto di Da Ponte, perché rappresenta la 'scuola degli amanti'- come recita il sottotitolo. I ragazzi - hanno accusato - non è sano che vedano in teatro la storia di due giovani fanciulle innamorate, le quali quando i loro fidanzati partono, fintamente, per la guerra, subiscono il fascino di nuovi arrivati, e tradiscono i fidanzati, ai quali però alla fine della storia, chiedono perdono e sposano. Alle loro scolaresche non può esser fatta vedere - hanno protestato - una storia che racconta quanto volubile sia l'animo umano, anche di coloro - mschi o femmine non conta - che si ritengono di essere protetti contro la tentazione da una 'torre d'avorio' nella quale si sono rinchiusi per evitare di soccombere alla tentazione.
Non serve a questo punto neanche spiegare a quei poveri insegnanti la profondità del concetto espresso in quell'opera da Mozart, non potrebbero capire.
Ma la nostra madre che figlia ogni giorno, abita a diverse latitudini, come quelle nordiche del nostro paese, dove un sindaco ha preteso denunciare la Scala, per oscenità ed anche sacrilegio, in ragione della prossima apertura, a Sant'Ambrogio, con l'Attila di Giuseppe Verdi.
Accade, infatti, nell'opera, che il regista scritturato David Livermore - italianissimo, amministratore a Valencia, licenziato dopo troppo poco tempo - mostri un bordello, con tutto quello che ne consegue: era proprio necessario, o il regista non prevedeva che avrebbe puntato il dito accusatore contro la sua regia un sindaco lombardo della più alta genia di cui sopra. Agitando una seconda volta quel suo dito minaccioso, quando ha saputo - perchè ancora ufficialmente lo spettacolo non l'ha visto nessuno e perciò neanche lui, che forse mai e poi mai lo vedrà, perchè della Scala non gli fotte assolutamente - che rotola a terra una statua della Vergine Maria. Sacrilegio!
Ora non serve entrare nel merito, fatica sprecata, diciamo solo che se ai giovani od ai cittadini, insegnanti e sindaci evitassero gli spettacoli indecenti che tutti sono costretti a vedere, assolutamente diseducativi, potrebbero forse tentare di riscattare quelle loro origini non certo gloriose.
martedì 27 novembre 2018
Forse nel caso di Gatti, Fuortes, 'cuor di leone', potrebbe aver consigliato bene la sindaca Raggi cui demandò, al momento del licenziamento - troppo precipitoso per non essere sospetto - del direttore dal Concertgebouw, la decisione della sua conferma a direttore dell'opera inaugurale a Roma
Negli ultimi tempi sembra esserci stata una moria anche di direttori d'orchestra, per via dello scandalo delle molestie sessuali che ha preso il via in Usa con il caso del produttore Weinstein , molestatore, a quanto sembra, seriale.
Prima Dutoit, poi Levine - per fermarci ai casi di direttori noti - ed ora Daniele Gatti, il nostro direttore che sta (stava) facendo una brillante carriera internazionale.
Pochi giorni fa - come abbiamo riportato in un post precedente - il Washington Post riportava le accuse rivoltegli da due cantanti con le quali, molti anni fa - quando sia le cantanti che il direttore erano abbastanza giovani e le une e l'altro non così famosi da non consentire la denuncia - Gatti avrebbe allungato le mani, abbracciate, toccato il sedere (solo ad una), e baciate o tentato di baciarle.
Si tratta di fatti accaduti a Chicago e Bologna 22 e 18 anni fa. Anche se il tempo non conta, una ventina d'anni rappresentano una attesa troppo lunga e sospetta. Gatti avrebbe fatto insomma delle avances , ma solo avances e in un caso anche interrotte immediatamente, e basta. Non è un pò poco, sebbene sarebbe stato meglio che non le avesse fatte - ma chi è senza peccato, anche veniale, come sembra Gatti? - per rovinare la vita professionale di una persona una ventina d'anni dopo l'accaduto?
C'è anche un fatto che dovrebbe far riflettere. Una delle due cantanti ha dichiarato di aver scritto una lettera al direttore per scusarsi delle avances- come fosse stata lei a farle - per restare a lavorare con lui. E se quella lettera fosse invece veritiera e temendo che il direttore l'abbia conservata per tutti questi anni, s'è buttata avanti - come si dice - per non cadere indietro?
La decisione subitanea dell'Orchestra di Amsterdam del licenziamento immediato di Gatti ha fatto scalpore. E si è subito pensato alla prossima tournée che l'orchestra avrebbe dovuto compiere in Usa, dove non poteva arrivare con un direttore accusato - ma solo accusato, ancora senza prove - di aver molestato due cantanti. E siccome non bastava, la direzione dell'orchestra vi ha aggiunto, senza prove nè nomi, che il maestro aveva tenuto - come ha dichiarato genericamente - un comportamento 'non appropriato' anche con alcune musiciste dell'Orchestra olandese. Mentre al maestro sono giunti attestati di stima da molti musicista della sua 'ex' orchestra.
Che succederà a Gatti? E' facile immaginare che quand'anche in futuro lo scandalo si sgonfiasse, la sua carriera è interrotta se non addirittura finita. Perfino a Roma, Carlo Fuortes, 'cuor di leone', attende che sia la Raggi a prendere una decisione sulla prossima inaugurazione di stagione all'Opera per la quale Gatti, per il terzo anno consecutivo, è stato scritturato.
Certo Gatti ha dato mandato al suo avvocato di difendere la sua reputazione da accuse che ritiene immotivate. E se dopo tanto chiasso il caso Gatti si chiudesse come il caso Brizzi , ma senza che Gatti trovi un direttore artistico ( come ha trovato Brizzi) che creda, fino a prova contraria della sua innocenza , e lo scritturi?
(da un nostro precedente post di agosto 2018)
Prima Dutoit, poi Levine - per fermarci ai casi di direttori noti - ed ora Daniele Gatti, il nostro direttore che sta (stava) facendo una brillante carriera internazionale.
Pochi giorni fa - come abbiamo riportato in un post precedente - il Washington Post riportava le accuse rivoltegli da due cantanti con le quali, molti anni fa - quando sia le cantanti che il direttore erano abbastanza giovani e le une e l'altro non così famosi da non consentire la denuncia - Gatti avrebbe allungato le mani, abbracciate, toccato il sedere (solo ad una), e baciate o tentato di baciarle.
Si tratta di fatti accaduti a Chicago e Bologna 22 e 18 anni fa. Anche se il tempo non conta, una ventina d'anni rappresentano una attesa troppo lunga e sospetta. Gatti avrebbe fatto insomma delle avances , ma solo avances e in un caso anche interrotte immediatamente, e basta. Non è un pò poco, sebbene sarebbe stato meglio che non le avesse fatte - ma chi è senza peccato, anche veniale, come sembra Gatti? - per rovinare la vita professionale di una persona una ventina d'anni dopo l'accaduto?
C'è anche un fatto che dovrebbe far riflettere. Una delle due cantanti ha dichiarato di aver scritto una lettera al direttore per scusarsi delle avances- come fosse stata lei a farle - per restare a lavorare con lui. E se quella lettera fosse invece veritiera e temendo che il direttore l'abbia conservata per tutti questi anni, s'è buttata avanti - come si dice - per non cadere indietro?
La decisione subitanea dell'Orchestra di Amsterdam del licenziamento immediato di Gatti ha fatto scalpore. E si è subito pensato alla prossima tournée che l'orchestra avrebbe dovuto compiere in Usa, dove non poteva arrivare con un direttore accusato - ma solo accusato, ancora senza prove - di aver molestato due cantanti. E siccome non bastava, la direzione dell'orchestra vi ha aggiunto, senza prove nè nomi, che il maestro aveva tenuto - come ha dichiarato genericamente - un comportamento 'non appropriato' anche con alcune musiciste dell'Orchestra olandese. Mentre al maestro sono giunti attestati di stima da molti musicista della sua 'ex' orchestra.
Che succederà a Gatti? E' facile immaginare che quand'anche in futuro lo scandalo si sgonfiasse, la sua carriera è interrotta se non addirittura finita. Perfino a Roma, Carlo Fuortes, 'cuor di leone', attende che sia la Raggi a prendere una decisione sulla prossima inaugurazione di stagione all'Opera per la quale Gatti, per il terzo anno consecutivo, è stato scritturato.
Certo Gatti ha dato mandato al suo avvocato di difendere la sua reputazione da accuse che ritiene immotivate. E se dopo tanto chiasso il caso Gatti si chiudesse come il caso Brizzi , ma senza che Gatti trovi un direttore artistico ( come ha trovato Brizzi) che creda, fino a prova contraria della sua innocenza , e lo scritturi?
(da un nostro precedente post di agosto 2018)
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