Perchè abbiamo da sempre sostenuto che gli incarichi di grande responsabilità devono essere 'a tempo' - regola da non applicare ai lavori comuni, quelli che tutti vogliamo durino una vita o per lo meno fin quando si ha la forza di lavorare, insomma il cosiddetto 'posto fisso' che oggi, anche nei lavori più umili sembra in bilico?
Perchè quando si occupa un posto di rilevanza strategica, che comporta l'amministrazione di grandi numeri di dipendenti e di grandi somme di spesa, la permanenza a lungo nel medesimo incarico genera molti più problemi di quanti apparentemente sembra risolverne l'esperienza maturata con gli anni. Già.
Prendiamo ad esempio i casi di alcuni dirigenti al massimo livello delle fondazioni liriche - che forse conosciamo meglio di altri - come i sovrintendenti o i direttori artistici, peggio ancora il caso - unico in Italia - dell'Accademia di Santa Cecilia, dove il sovrintendente è anche direttore artistico (conta poco il fatto che poi vi sia una 'direzione artistica' molto nutrita, di segretari, coordinatori, consulenti, direttore musicale ecc... e naturalmente di 'agenti' che hanno anch'essi il loro peso).
Se si dà una situazione simile - come si è data per anni a Santa Cecilia, nel caso di Bruno Cagli che è rimasto al vertice per quasi vent'anni, salvo una breve interruzione - è evidente che i musicisti invitati siano sempre gli stessi - diciamo quelli ai quali 'artisticamente' (respingiamo perfino il semplice sospetto che vi siano interessi anche di altro genere) il direttore artistico è legato da stima ed affinità. Sempre quelli, e chi rimane fuori lo è per sempre.
Il medesimo discorso si potrebbe fare anche per i programmi e per tutto il resto. E restiamo volutamente sempre nel campo del lecito, ma non ci nascondiamo che qualche striatura di 'illecito' potrebbe infiltrarsi in tanta purezza artistica.
Se invece si cambia, mettendo nero su bianco che non si può restare nel medesimo incarico di vertice per più di due mandati- come accade in molti campi, perfino nella presidenza degli Stati Uniti- alle cose dal vertice si guarderà diversamente. Un capo azienda sa che più di due mandati non potrà ottenere, ed allora darà libero sfogo alle sue convinzioni, inviterà chi gli pare - fottendosene delle critiche degli esclusi - ma sa anche che alla fine del secondo mandato, nella migliore delle gestioni, dovrà lasciare. Ed allora forse nella sua testolina potrebbe fare capolino l'idea di lasciare un buon ricordo. Nel caso contrario, egli cercherà in ogni modo di farsi amici coloro che poi dovranno sostenere la sua ricandidatura e votarlo. Gli esempi sono tantissimi.
Tutto quel che diciamo vale naturalmente per quegli incarichi che hanno a che fare con il settore pubblico, quelli cioè che senza il sostegno economico pubblico dovrebbero chiudere i battenti. Ecco perché abbiamo fatto l'esempio delle fondazioni lirico-sinfoniche. Nelle aziende private il padrone dei suoi soldi e del destino della sua impresa può fare quello che vuole, ben sapendo che se le cose vanno male lui è finito. E lui i vertici, quando le cose non vanno per il loro verso, li cambia anche dall'oggi al domani. Mentre nel pubblico quando le cose vanno male, chi ne è responsabile viene - non sempre - dimesso e basta; ci penserà 'pantalone' a rimediare ai disastri, ma con i soldi di tutti. Sta qui la differenza enorme che corre tra il pubblico ed il privato.
Il discorso si può applicare anche alla Rai, sebbene proprio in queste settimane molti giuristi abbiano messo in luce la sua duplice identità: pubblica/privata.
Insomma, tanto per restare in tema: i direttori dei telegiornali Rai devono rimanere nel loro incarico per sempre o dopo un certo numero di anni, due mandati al massimo , devono sloggiare? Se così si facesse , terminato l'incarico i direttori tornerebbero nel ruolo di 'dirigenti', da dove erano stati prelevati, perdendo solo l'indennità di direzione, e nessuno dovrebbe affannarsi a cercare un altro incarico degno di quello lasciato.
Ora, però, abbiamo cambiato idea. Radicalmente.
Dopo il recente cambio dei direttori dei Tg Rai, richiamandosi al principio che occorra ogni tanto cambiare - in due mentre in un altro non si è proceduto allo stesso modo - ci siamo convinti che i direttori dei telegiornali come anche i vertici delle grandi istituzioni pubbliche devono restare 'a vita' nei loro incarichi'. Semplicemente per evitare che ogni tanto arrivi il capo di turno e decida di cambiarne alcuni- chissà perchè solo alcuni - e lasciarne altri, senza nessuna, o poca, valutazione dei rispettivi meriti professionali e di risultato.
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