Terremoto a L'Aquila. 10 settembre 1349
Quando credevamo stare in
lo loco più tuto, subitamente venne sì gran terremuto, dalla morte
de Cristo non fo mayore veduto; appena homo trovonseci che non gesse
storduto. De persone ottocento d’Aquila fo stimate che per lo
terremuto foro morte et sotterrate, chi si vedeva strillare et fare
pietate, chi plangea lo filio, chi mollie et chi lo frate. Chi
plangea la matre, chi patre et chi sorella, chi se grattava lo petto,
et chi la mascella; et geano scommorando omne strada et ruella, per
retrovare li corpi, con amara favella. Quando le case cadero, tanta
era polverina, non vedea l’uno l’altro in quella matina; multi ne
abe ad occidere senza male de ruina ben se lli dè ad conoscere la
potentia divina! Or che vedesse edefitia et case derupate!
tuctequante le ecclesie erano atterrate che fo lo maiure danno che
avesse la citate, salvo la morte delli homini ad dire la veritate. Le
strade erano incomodate de prete et de legname; forria forte ad
Abruzzo scommorare lo marrame! assay fo granne affanno; vinneroce
tuctotame li nostri contadini ad scomborare le strade. Non jaceamo in
casa, ma le logie facemmo; più che nove semane pur de fore jacquembo
più frido assai che calla in quillo tempo ambembo; et de nostri
peccati poco ne penetembo. Correa li anni Domini mille et trecento et
plu quaranta nove, credate ca non mento, quando fu lo terremuto et
quisto desertamento; et quilli che moreronci, dio ly agia ad
salvamento! Però che era l’Aquila così male adrivata, de ecclesie
ed edifitia cotanto desertata, et anchi delle mura non era
circondata, multi homini credevano non foxe abitata. Et anchi
comensaro parichi ad scommorare, chè nne voleano gire de fore ad
abitare; credeano che Aquila non se degia refare, lo conte sappe
questo, abese ad conselliare. Vedendo poi lo conte la terra desolata
per granni terremuti così male adobata, le mura erano ad terra, non
era reparata, pensò subitamente de fare la sticconata. Como illo
comandò, foro facti li sticcati de bono lename grosso, multo ben
chiovati; sticcavano la terra per multi vicinati, et forone grandi
utili, ca stevamo inserrati.
(Buccio di Ranallo. Cronaca
aquilana. 1363)
Terremoto a L'Aquila. 14 gennaio - 8 febbraio 1703
Il giorno delli
quattordici del suddetto Mese ad un’ora e mezza di notte si fece
sentire un sì grande, e spaventoso Terremoto, che recò non piccolo
timore a tutti, e fece cade il Campanile di San Pietro di Sassa, con
tutta la Tribuna, et moltissimi Cammini, con aver fatto fiaccare
molti Edifici, e Case, senza offendere però persona veruna. Il
Martedì poi circa le ore vent’una tornò a replicare un altro non
tanto grande, ma con più danno, mentre caderono due altri Campanili,
cioè quello di San Pietro di Coppito, e quello di Santa Maria di
Rojo, è patito grandemente quello della Cattedrale, che sta quasi
cadente; & in altre Chiese vi à fatte varie aperture; in somma
si sta tremando, ed ogn’uno sta con baracche in Campagna, ne si
attende ad altro che à Processioni, Esercizj Spirituali,
Confessioni, Communioni, ed altre opere di pietà: li danni maggiori
causati da’ detti Terremoti seguiti fino al predetto giorno, si
sentono in Montereale, che l’abbi tutto gettato à terra, con
mortalità di ottanta persone in circa; Civita Reale tutta spianata,
con essersi salvate solo dieci persone. Borbona andata tutta, ed è
restato il Borgo con poco danno. A Cummoli caduto tutto, ove sono
restate quindici persone morte. La Matrice quasi tutta disfatta, con
mortalità di venticinque persone, senza poi quelle delle Ville. La
Posta, e Leonessa hanno al maggior segno patito. Il giorno due
Febraro, Festa della Purificazione di Maria sempre Vergine Nostra
Signora, su l’re diciotto, e mezza, celebrandosi l’ultima Messa
per la Funzione della distribuzzione delle Candele, si fece di nuovo
sentire nella medesima Città dell’Aquila con treplicate scosse il
Terremoto, e dannegiò a segno in un Miserere, che sono quasi a terra
le Chiese di San Bernardino, San Filippo, la Cattedrale, San Massimo,
San Francesco, Sant’Agostino, con il resto di tutte le Chiese, e
Monasteri di detta Città. Tutti i Palazzi o rasi o cadenti. Nel
Tempio di San Domenico, ove si faceva la Communione Generale in
quella mattina morirono da ottocento persone ed all’ingrosso si fa
il conto, che perissero in quella Città più di tre milla abitanti,
& è impossibile, che quel luogo possa risorgere. Ne’ luoghi
circonvicini, non vi è ancora il numero de’ Morti, ma bensì è
certo, che oltre li sopranominati, cioè Pizzoli, La Barete,
Arrischia, Scoppita, con tutte le adjacenti Terre sopra l’Aquila,
sono spiantate; e sotto l’Aquila, Paganica, Tempera, Onda, S.
Gregorio, S. Eusanio, Campaba, e tutte le altre fino a Castel Nuovo,
ch’è un’esterminio, & una rovina deplorabilissima. In
Paganica diroccate quasi tutte le Case. In tempera i Molini, una
Valchiera, ed altri Edifici da Carta. In S. Gregorio il Molino colle
Macine interamente sepolte. In Onda qualche Casuccia, ch’è
restata, sta per precipitare: in somma è una desolazione, e si prova
in tutti quei luoghi l’estremo giorno del Giudizio. Li viventi
restati a tanto sterminio, tutti in Campagna aperta sotto Cappanne, e
Tavole, ignudi, miserabili, e mendichi, con calamità e miserie
inesplicabili. Dall’Aquila si manda a comperare il Pane nero nelle
Terre, che anno meno patito, e beato, chi ne puole avere un giulio.
La Fortezza verso Tramontana è caduta, il resto molto intronata à
segno tale, ch’è stata abbandonata dal Castellano, e dalla
Guarnigione, che dimora tuttavia in Campagna.
(Relazione de’ danni
fatti dall’inondazioni, et terremoto nella città dell’Aquila, et
in altri luoghi circonvicini, dalli 14 del mese di gennaro fino alli
8 del mese di febraro 1703. Roma 1703)
( Music@, bimestrale di musica. 2010)
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