sabato 9 marzo 2019

L'Organo e la Nuova Musica in Italia. Relazione per un convegno (1983)


                
PREMESSA

Nel 1983 veniva inaugurato il nuovo organo dell'Auditorium, altrettanto nuovo, del Conservatorio Piccinni di Bari. L'Auditorium venne intitolato a Nino Rota che di quel Conservatorio fu il fondatore ed il direttore per molti anni. Per l'occasione Luigi Celeghin che  a Bari aveva iniziato la sua carriera di 'professore d'organo' organizzò, oltre il concerto inaugurale, una serie di concerti ed un convegno. A noi chiese di occuparci di un tema che ci piacque molto:l'interesse dei musicisti d'avanguardia nei confronti dell'antichissimo strumento. Accettammo con entusiasmo l'incarico, formulammo un questionario in proposito e lo inviammo ai maggiori compositori italiani, ricevendone risposte che  costituirono poi l'ossatura della nostra relazione. Giacomo Manzoni ci fece scoprire un testo di Schoenberg allora sconosciuto proprio sull'organo. Alla relazione accludemmo anche un catalogo delle composizioni per organo  di compositori italiani.
 Ora tutto quel materiale,  rimasto manoscrittto e che ora abbiamo ritrovato, lo ripubblichiamo. sperando di fare cosa utile( P.A.)


                   L'Organo e la nuova musica in Italia
     Appunti &Considerazioni (1983) e un'Appendice ( 2015)

Non deve apparire fuori luogo se, parlando dell'organo e della 'nuova' musica italiana, prendiamo le mosse da un caso simile e altrettanto clamoroso: quello dell'opera. 
Le dichiarazioni infuocate di molti esponenti dell'avanguardia di non molti anni addietro, confrontate direttamente con la produzione 'operistica' recente, anche di quegli stessi esponenti, dimostra come ci si possa ravvedere anche su postulati, affermazioni di principio, quando non vere e proprie dichiarazioni di guerra o addirittura condanne a morte nel giro di qualche anno. E non tanto perché siano venuti meno i presupposti di quelle posizioni, quanto forse,  e più semplicemente, perché le porte dei teatri ed i loro palcoscenici, non importa se tra fischi e contestazioni, si sono aperti anche ai nuovi compositori.

Che sarebbe a dire: quando la Scala chiede a Boulez di scrivere un'opera – e tutti sappiamo che ne sta scrivendo una per il teatro milanese – egli è disposto a sbianchettare ciò che un tempo scriveva nella sua estetica: “i teatri andrebbero fatti saltare!”.
Perciò l'accostamento fra le recente storia dell'opera e quella dell'organo non deve apparire fuori luogo e neppure forzato. A voler prestare incondizionata fede ad alcune dichiarazioni che come mosche bianche - a causa della scarsa incidenza del nostro strumento, l'orgnao a canne, nella vita musicale odierna rispetto al teatro - troviamo disseminate qua e là nel pensiero di molti autorevoli musicisti d'oggi, si dovrebbe dedurre che essi non nutrano particolare interesse per l'organo. Mentre così non  sembra.

E' nota l'affermazione di Stravinskji che definì l'organo: “il mostro che non respira mai” ; o di Dallapiccola che dichiarava la sua totale ignoranza dello strumento a Rudy Shackelford, quando gli sottopose una trascrizione per organo del suo Quaderno musicale di Annalibera pianistico, già oggetto di una trascrizione dell'autore medesimo, per orchestra, dal titolo:Variazioni per orchestra.

Dallapiccola, in particolare, in una lettera inviata al musicista che aveva preso la singolare iniziativa della trascrizione, scriveva: “E' molto interessante apprendere che Ella ha intravista qualche possibilità di una trascrizione per organo del mio Quaderno musicale di Annalibera , ma poiché io non suono l'organo, sarebbe per me assai difficile giudicare le reali qualità e importanza della sua trascrizione. Sarò all'estero per alcuni mesi ancora, e spero perciò che Ella avrà tempo sufficiente per spedirmi un nastro con la sua esecuzione e con la musica...”
La trattativa si concluse con la pubblicazione, approvata dall'autore, della trascrizione.



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Sulla discussione teorica intorno all'organo, siamo in grado di produrre un documento di eccezionale importanza, una primizia per l'Italia,. Una lettera di Schoenberg, datata 10 maggio 1949, indirizzata al musicologo David Werner, non inclusa nella raccolta di lettere del musicista viennese pubblicata in Italia, fornitaci gentilmente da Giacomo Manzoni, che l'ha anche tradotta e che ringraziamo doppiamente.

Scriveva Schoenberg: ”Considero l'organo come uno strumento innanzitutto a tastiera, e scrivo per le due mani come le si possono far agire su una tastiera. Sono poco interessato ai timbri dell'organo: per me i timbri hanno solo ed esclusivamente il senso di rendere distinta l'idea, l'idea motivica e tematica ed eventualmente la sua espressione e il suo carattere. Ho scritto questa composizione su richiesta della Gray Company che ha pubblicato una serie di pezzi moderni per organo ( Schoenberg si riferisce a Variations on a recitative del 1941, op.40).
In verità avrei dovuto scrivere un pezzo breve, ma le variazioni mi hanno interessato molto e ne è venuto fuori un lavoro lungo.
A dire il vero il mio punto di vista sull'organo l'ho già stabilito più di 40 anni fa in un saggio che non ho mai portato a termine e quindi non ho pubblicato. In quel saggio esprimevo l'esigenza che uno strumento così gigantesco dovesse offrire la possibilità di operare simultaneamente ad almeno due e fino a quattro suonatori, e che eventualmente vi si potesse aggregare una seconda, una terza o una quarta consolle. Davo particolare importanza alla dinamica, poiché è solo questa che determina la chiarezza, cosa che la maggior parte degli organi non riesce a raggiungere.

Se non si pensasse alla grandiosità della letteratura per organo e allo stupendo effetto che essa produce nelle chiese, ci sarebbe da dire che l'organo oggi è uno strumento invecchiato. Nessuno, musicista o amatore, ha bisogno di tutti i timbri che ha l'organo, insomma di tutti questi timbri. Sarebbe, invece, molto importante che questo strumento potesse modificare dinamicamente ogni singolo suono preso a sé stante e non l'intera successione di ottave, e ciò dal pianissimo più impercettibile al forte più poderoso.
Penso pertanto che l'organo del futuro dovrebbe avere questa costituziome: non ci saranno 60 o 70 timbri diversi, ma un numero assai limitato ( penso che sicuramente potrebbero bastarne da 2 a 6). Questi dovrebbero però estendersi su tutte le sette od otto ottave esistenti, ed ognuno di essi dovrebbe avere la massima completezza delle possibilità dinamiche, dal massimo pianissimo al massimo forte.
L'organo del futuro non dovrebbe essere più grande all'incirca di una volta e mezzo una macchina da scrivere portatile, dato che anche sui tasti di una macchina da scrivere è bene non sbagliarsi troppo spesso. Perché mai un esecutore non dovrebbe riuscire a scrivere a macchina senza fare nessun errore?
Immagino che disponendo di uno strumento portatile di questo tipo i musicisti e gli appassionati di musica potrebbero trovarsi la sera in casa di qualcuno e suonare duo, trii e quartetti: avrebbero così la possibilità reale di riprodurre il contenuto di pensiero di qualsiasi sinfonia.

Naturalmente questa è una fantasia avveniristica, ma chissà se ne siamo poi tanto lontani. Se un giorno potrà accadere, come già avviene oggi con la radio, e cioè che il suono possa essere prodotto in casa liberamente, tutto questo sarà sicuramente possibile”.

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Giacomo Manzoni, commentando la lettera di Schoenberg, ci ha scritto:” La lettera interessa non tanto per il riferimento alle Variations, quanto per le considerazioni generali sull'organo, meritevoli di qualche riflessione ancora oggi. Dunque, Schoenberg non amava l'organo. La sua esigenza di massimo nitore nella scrittura polifonica non ha bisogno di essere suffragata altro che dalla sua tipica strumentazione per 'linee di forza', con in più - nel caso nascessero dei dubbi - le note indicazioni per la voce principale e per quella secondaria, già ben presenti nelle partiture più infocate del periodo dell'emancipazione della dissonanza, ivi comprese Erwartung e Gluckliche Hand. E, del resto, l'organo non era l'unico strumento di cui Schoenberg fosse insoddisfatto: basta rileggersi la nota 'L'avvenire degli strumenti dell'orchestra', del 1924, per rendersi conto di quali e quante fossero le esigenze che il musicista poneva a tutti gli strumenti dell'orchestra. Ben poco si salva qui per l'orchestra dell'avvenire: il clarinetto, il corno, gli archi, e quasi nient'altro. La scarsa propensione per l'organo va dunque collegata a questo generale bisogno di palingenesi di tutto lo strumentario attuale, e solo in questo ambito varrebbe la pena di fare un discorso di merito sulle osservazioni schoenberghiane.

Ma vi è un altro aspetto più singolare, che preferiamo sottolineare qui, e che una volta ancora denota la disposizione di Schoenberg a spingere lo sguardo nell'avvenire e a disegnare sviluppi non troppo lontani dalla realtà: ed è quello che occupa la parte centrale della lettera, con la previsione del possibile futuro dell'organo.

Non so quanto fosse noto a Schoenberg delle Ondes Martenot (1928), del Trautonium (1930), dell'Organo Hammond (1934) e di strumenti analoghi; ma non è tanto l'aspetto che ci può essere di somiglianza con questi strumenti - anche se egli non parla di strumenti elettrici - che richiama l'attenzione, ma piuttosto un altro, di ordine sociale e persino di mercato.

Formatosi ancora nella brande tradizione della borghesia centroeuropea appassionata di musica e praticante essa stessa fra le mura domestiche, in questo scritto egli si muove ancora totalmente in quell'ambito. E tuttavia ha probabilmente intuito che il pianoforte, strumento principe i quella tradizione, è in qualche modo al tramonto: troppo ingombrante nei ristretti ménages della società di massa, troppo costoso, il suo declino era già iniziato da tempo, il 'consumo' individuale e famigliare di musica venendo man mano delegato sempre più a strumenti di riproduzione ( dal giradischi alla radio). In altri termini, la musica fatta in casa, fra buoni 'dilettanti' di strumento, sembrava probabilmente allo Schoenberg degli anni Quaranta destinato ad un declino irrimediabile. Ed ecco che la prospettiva di uno strumento di tipo affatto nuovo, portatile, presumibilmente acquistabile a prezzo non esorbitante, gli indicava in prospettiva la possibilità di recuperare alla musica una quantità di persone che ne erano state gradualmente allontanate.

L'idea di Schoenberg, espressa nelle lettera in termini utopici e presumibilmente impraticabili, si è tuttavia andata realizzano nei decenni successivi - anche se in termini concretamente differenti – attraverso l'invenzione della miriade di strumenti elettronici veramente portatili, di prezzo accessibili e quindi di grande diffusione, che dilagano presso le famiglie quanto e anzi in misura ben maggiore rispetto al pianoforte borghese nel passato.

La tecnica costruttiva oggi possiede tutte le possibilità per fare di questi strumenti qualcosa di timbricamente dignitoso, sufficientemente fornito di sfumature dinamiche per realizzare, come vuole Schoenberg, 'qualsiasi sinfonia' a più mani, nella dimen sione domestica, durante il tempo libero. Naturalmente l'industria si guarda bene dal produrre strumenti di questo tipo, e una volta di più il mercato di massa al livello più basso minaccia di far degenerare in approssimazione e banalità della peggior specie ciò che potrebbe essere indirizzato in un senso autenticamente culturale, di conoscenza reale della musica nella sua teoria e prassi.

Rimane, di valido dunque ancora adesso l'intuizione formidabile di questo strumento, allora avveniristico, oggi pienamente realizzabile; resta l'indicazione del possibile recupero concreto di un fare musicale che sia attivo e cosciente, in contrapposizione con la passività dilagante e la consegna delle coscienze allo squallido conformismo consumistico; e rimane, perché no, l'attesa che un'iniziativa illuminata di industrie, di consorzi, di editori, ponga mano a realizzare uno strumento che vada nella direzione indicata da Schoenberg. Ancora una volta, in lui, la scissione fra la coscienza dell'eletto e quella della moltitudine si risolve in visione concreta, razionale, in fiducia nella possibilità di un arricchimento culturale dell'uomo; e poco importa che ciò sia nascosto fra le pieghe di una lettera destinata a restare per lungo tempo pressochè ignorata”

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La lettera-saggio di Schoenberg mentre da un lato mostra alcune importanti intuizioni, come quella di vedere l'organo tornare ai suoi colori archetipi - la riduzione dei timbri da due a un massimo di sei è accenno interessante - che ridiano allo strumento quanto meno una fisionomia netta e precisa,, come anche l'altra relativa alla necessità di trovare per detti colori “la massima completezza delle possibilità dinamiche”, d'altro canto alle nostre orecchie suona come un divertissement avveniristico intorno allo strumento, benché sappiamo del suo sforzo teorico sulla futura fisionomia di tutta l'orchestra e dei suoi componenti, quasi a voler portare la rivoluzione dei 'dodici suoni' anche in ambito strumentale.

L'accenno poi a più suonatori che operano magari su diverse consolle onde sfruttare al massimo le risorse di questo enorme strumento, suggerito forse al musicista da alcuni strumenti di tal foggia costruiti negli Stati Uniti, mal si adatta all'organo del futuro così come lo prefigura, e cioè “ non più grande una volta e mezza una macchina da scrivere portatile”, sulla quale ' battere' tutto il repertorio musicale; e c'è, infine, il dichiarato disinteresse per il timbro.
Sinceramente si fatica a seguirlo in un tale percorso, lontano dalla logica e dalla consequenzialità che, invece, leggiamo nella sua teoria musicale. E, comunque desta curiosità!

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Più di recente è intervenuto sull'argomento Gyorgy Ligeti, autore di Volumina (1961-2)
L'organo destò il mio interesse a causa della sua ricchezza di possibilità timbriche ancora inesplorate, ma anche, e soprattutto, a causa delle sue deficienze: la sua goffaggine, la sua rigidità e spigolosità. Questo strumento somiglia d una gigantesca protesi. Ero curioso di scoprire come si sarebbe potuto imparare a camminare di nuovo con questa protesi. Nello schizzo della mia composizione per organo Volumina presi quindi le mosse soltanto dai presupposti del meccanismo dell'organo, ivi comprese le sue imperfezioni. Con l'organista Karl-Erik Welin - con il quale sono in debito non solo per i suoi preziosi consigli, ma anche per aver eseguito per la prima volta il pezzo - e stimolato dalle Konstellationer I di Bengt Hambraeus, le quali aprivano alla creazione di un nuovo stile organistico strade fino a quel momento sconosciute, approdai ad una nuova tecnica per l'esecuzione organistica....”

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In occasione della presentazione delle nuove musiche scritte per i restaurati organi della Basilica di San Petronio a Bologna, sono riemersi alcuni antichi pregiudizi e manifestata la stessa indifferenza - presunta? - nei riguardi dello strumento.

Se si eccettuano rari scampoli dettati da una devozione un po' retrò e da qualche prurito sprimentalistico, i musicisti del nostro tempo ostentano nei confronti dell'organo una fondamentale indifferenza. Rigido, ingombrante, timbricamente poco duttile, a meno di ricorrere ai giochetti dell'apertura parziale dei registri, o dello spegnimento momentaneo del motore per cavarne lugubri singhiozzi e Clusters che lo trasformano in un generatore spietato di blocchi sonori compattissimi, l'orgno ha finito per diventare lo strumento del Capitan Nemo, di Frankenstein e di altri deliranti personaggi fantascientifici.
Le Variations on a recitative di Schoenberg, le pietrose Sonate di Hindemith, le sgangherate Variations on America di Ives, Volumina o Etudes di Ligeti sono, pur fra grandi diversità, sentieri che non conducono in nessun posto. Alla base sta, infatti, più o meno esplicita, l'intenzione di laicizzare lo strumento mutandone bruscamente le caratteristiche sonore. Sollecitato in tal senso, l'organo somiglia a un gigante intrappolato che emette sussulti sgraziati.
Il vero problema, però, non è quello di fargli cambiar voce, semmai di inserirlo in contesti ove si spengano gli echi storici che la sua voce fa di solito lievitare, con l'inesorabilità tipica dei riflessi condizionati” ( Enzo Restagno. Per gli organi antichi
di San Petronio anche un trittico moderno. Programma di sala, Bologna 1982).

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Anche qui si ripropone il tema dell'indifferenza dei compositori d'oggi verso l'organo, come quello dello strettissimo legame dell'organo con l'ambiente nel quale è solitamente collocato e, conseguentemente, degli echi che inevitabilmente esso risveglia, in ragione della sua funzione.

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Non pienamente convinti di alcune di queste tesi, ed anche del futuro dell'organo abbiamo avviato, in occasione di questa nostra relazione sull'argomento, nelle manifestazioni per l'inaugurazione dell'Organo Tamburini dell'Auditorium 'Nino Rota' del Conservatorio di Bari ( 1983) un sondaggio, tramite questionario, fra i più autorevoli compositori italiani per conoscerne il pensiero.

Francesco Pennisi, ad esempio, ci ha risposto: ” Si dirà che per ogni strumento la sua grande stagione storica (quasi tutti ne hanno), pesa sull'idea che dello strumento stesso si ha. Ma quanto all'organo, l'evocazione dell'epoca d'oro si associa a quanto la sua tradizionale installazione, la cantoria della chiesa, conferisce al timbro che comunemente è già ritenuto 'liturgico'. Inoltre, se si escludono gli antichi organi portativi, si tratta di strumenti inamovibili, spesso appositamente progettati per determinati ambienti che si direbbero diventarne parte integrante, e la differenza timbrica o di resa che da ciò deriva è ben maggiore di quella che, per esempio, corre fra due pianoforti.
Tutte queste ovvie considerazioni danno la misura del limite ma anche del fascino dello strumento e indicano anche una possibile risposta ad alcune domande poste nel questionario.
Lo sappiamo: l'organo è assente dalle stagioni concertistiche ufficiali perchè le stagioni sono quasi sempre costruite secondo un 'Artusi' d'abitudine ( molto pianoforte, un po' di violino, un pizzico di quartetto, un sospetto di Lied, niente organo...), ma anche perché lo strumento è spesso altrove e le stagioni tendono ad identificarsi con una sala. Se poi mancano gli interpreti per garantire esecuzioni frequenti, non sarà proprio perché mancano le esecuzioni frequenti per garantire gli interpreti?
Infine, quanto all'efficacia espressiva del nostro strumento, non vedo perché oggi il compositore che lo voglia e che ne abbia interesse non possa scrivere per l'organo. La presenza, la 'pressione' della grande stagione dell'organo è assimilabile a quella più generale del 'Passato' che il compositore a suo modo e a sua misura avverte, evidenzia, ignora, contrasta nel suo quotidiano lavoro e in tutto lo spettro dei parametri della composizione”.

E Aldo Clementi, autore di due brani organistici, uno dei quali, Manualiter del 1973, abbastanza complesso: “in questo lavoro si rivela l'interesse contrappuntistico come negli altri miei lavori. L'organo è strumento efficace quanto tutto il restante materiale timbrico”.


Paolo Castaldi, alla domanda se l'organo sia ancora oggi un efficace mezzo di epressione, risponde: “ Come ogni volta, le previsioni contano meno delle opere. Se ci saranno grandi opere, ci sarà chi le suona. Ho scritto per il grande strumento, per ora, solo due cose: Concerto d'organo ( 1967) e Litania (1982), quest'ultimo recentissimo, ed inedito, ha una forma un po' curiosa e va stabilito un ordine di sequenza dei componenti secondo certe norme (titoli latini di senso compiuto) a schema fisso. Non è un mobile e tanto meno un' avanguardiata, spero bene: questa caratteristica nasce dalle caratteristicamente organistiche combinazioni aggiustabili cioè, insomma, dal tipo di possibilità di questo strumento di richiamare istantaneamente a distanza di tempo timbri melangés anche elaborati e complessi, che si legheranno alla data pertinenza formale dell'elemento. Si tratta però, me ne rendo conto, di un discorso insensato se non se ne vede l'oggetto”.



Appendice

Cantantibus organis di Franceco Filidei. 
(Milano Progetto Expo 2015 sollecitato da Music@)

La mia doppia formazione di compositore ed organista indirizza la mia proposta verso il mondo dell'organo. L'Expo 2015 potrebbe rappresentare in effetti un'ottima occasione per evidenziare lo straordinario patrimonio artistico costituito dai numerosi organi delle Chiese di Milano: accanto ed attraverso di essi passa una tradizione certo sottovalutata, che dai Gabrieli e Frescobaldi ha continuato, sebbene in sordina, fino a Marco Enrico Bossi, autore che non ha niente da invidiare ai compositori/organisti europei della sua epoca. Berio, Donatoni, Bussotti, Sciarrino, Fedele ed ancora Mauro Lanza, fra i più giovani, hanno contribuito ad arricchire il repertorio; ma, ancora, manca una attenzione più generale in Italia per uno strumento imprescindibile nella storia della musica. Presentando un percorso musicale attraverso le Chiese milanesi scelte secondo la loro ubicazione, le loro caratteristiche e la qualità degli strumenti, si potrebbe avvicinare un pubblico numeroso e non necessariamente abituato alla musica di ricerca. Ad ogni concerto sarebbe quindi da associare una commissione proposta ad un compositore contemporaneo e legata oltre che al tema proposto per l'Expo, alla specifica disposizione fonica dello strumento, dai Tamburini, a quattro e cinque tastiere, della Chiesa di Sant’ Angelo o della Cattedrale ai Mascioni della Basilica di Santa Maria della Passione, ad una tastiera, con temperamento ‘inequabile’. Ogni nazione coinvolta potrebbe presentare un organista ed una prima assoluta di un compositore possibilmente della stessa origine. In ogni programma dovrebbe inoltre essere presente un pezzo di compositore italiano di un qualsiasi periodo storico che bene si associ con le caratteristiche dello strumento a disposizione. Essendo l'organo a canne l'antenato naturale dei sintetizzatori moderni, potrebbe essere interessante presentare concerti con pezzi per organo e sintetizzatori alternando anche pezzi elettroacustici predisposti per lo spazio in questione. Il lato visivo, fino ad oggi trascurato nei concerti d'organo per evidenti ragioni, deve essere valorizzato, presentando una curiosa ed interessante esperienza per il pubblico non abituato la visione di un interprete impegnato fisicamente in modo totale, mani e piedi, su registi, pedali, tastiere, staffe. Una o meglio più telecamere, con attenta regia, dovrebbero riprendere da diversi punti di vista gli esecutori e gli organi o altri dettagli della Chiesa interessanti, proiettandone le immagini su uno o diversi schermi giganti. Ad alcuni concerti si potrebbe associare inoltre la creazione di video realizzati su pezzi in programma da videoartisti di differente nazionalità. (Francesco Filidei )

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