martedì 19 marzo 2019

Un tempo i critici musicali si sporcavano le mani. Se le sporcava anche Angelo Foletto che ora, muto, osserva a distanza il brutto mondo della musica italiana ( da Repubblica, 22 luglio 2003)

QUANDO Riccardo Muti approdò ufficialmente alla Scala, presentandosi con l' oramai storico Nabucco (7 dicembre 1986: trionfo e bis del "Va pensiero"), Carlo Fontana era (lodato) sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna. Ma non era un mistero: il rampante allievo e compagno di partito di Paolo Grassi stava aspettando occasione e situazione legislativa propizie per entrare trionfalmente in via Filodrammatici. Un ritorno annunciato. 

Alla Scala, dove tra l' altro conobbe Roberta Cavallini (poi sua moglie), il giovane critico teatrale e organizzatore socialista era stato uno degli assistente di Grassi (l' altro era Sergio Escobar). Nel 1986 la Scala era solo "ente lirico" e alla sovrintendenza sedeva da quasi dieci anni Carlo Maria Badini mentre Cesare Mazzonis, allievo di Francesco Siciliani (il miglior direttore artistico dell' Italia del dopoguerra), era direttore artistico dal 1983. Badini fu il sovrintendente della mediazione, capace di rafforzare la storia della Scala ma anche di assecondare la vocazione propositiva, e di gestire con garbo serafico e astuto il passaggio tra gli anni di Abbado e quelli di Muti, accesi dalla "riscoperta" di Mozart e dal ritorno di Traviata. 

Quando Fontana fu nominato sovrintendente (3 ottobre 1990), comunque non ci furono dubbi: la cinquina formata con Muti, Mazzonis, Federico Rispoli (segretario generale fino al 1996) e il sopraggiungente Roberto Gabbiani (direttore del coro) era la migliore. Il più grande teatro lirico del mondo poteva far dimenticare l' era Grassi-Abbado. Preparandosi a diventare Fondazione: un' idea (e una normativa) fortemente appoggiate dal neo sovrintendente, ma non persuasiva per tutti. 

Sul piano personale e dei progetti, all' inizio Muti e Fontana parvero tuttavia complementari. Tant' è che il direttore musicale difese il sovrintendente: sostenendo l' immagine del teatro con frequenti interventi (lezioni aperte, preziose e spettacolari pubbliche relazioni), accendendo al momento giusto (cioè negli attimi di maggior tensione sindacale) l' amor proprio delle masse artistiche oppure firmando gesti clamorosi di solidarietà istituzionale, come quando salvò, suonandola al pianoforte, Traviata. Dal canto suo Fontana, ricambiò facendo poco per evitare l' abbandono scaligero di Mazzonis (una perdita artistica secca: da allora tutto ciò che, tranne Muti, avremmo voluto ascoltare e vedere alla Scala, si fece a Firenze dove Mazzonis fu accolto a braccia aperte), e rassegnandosi al prevedibile stallo artistico seguito alle nomine di Alberto Zedda (virtuale: pochi mesi), Roman Vlad (amico di Muti fin dagli anni fiorentini) e Paolo Arcà (creatura di Vlad). 

A loro è imputabile lo slittamento sull' attuale linea di galleggiamento: cauta nei titoli e troppo prudente - quasi irritante per un uomo di teatro come Fontana - nella scelta dei registi e dei direttori d' orchestra di scarsa competitività e peso internazionale. In cambio, il politico Fontana incassò alcuni successi interni: il chiarimento di rapporti con la Filarmonica della Scala, i contratti integrativi con gli artisti, la distensione progressiva su alcune piccole questioni (i sopratitoli, ad esempio) e la formale solidarietà sulla questione trasferimento agli Arcimboldi. 

Su altri temi - ad esempio la questione-loggione, accortamente ammorbidita dall' emergenza Arcimboldi - la solidarietà con Muti è parsa gradualmente meno salda. Gli effetti sul piano individuale e delle cortesie si sono notati nella minore assiduità con cui Fontana ha seguito l' attività e le tournée (e, per rimanere in tema, le conferenze-stampa) della Filarmonica, nella vistosa dissociazione di Muti dalla politica "popolare" di pubblico inaugurata con le stagioni verdiane autunnali e dal distacco della Fondazione dal lavoro delle varie Scuole scaligere. 

Il colpo di grazia alle buone maniere e ai tatticismi l' hanno dato i fatti recenti, forse avvenuti senza comunicazioni reciproche: la svelta, e anticipata, liquidazione di Arcà e l' incarico alla coppia Fortunato Ortombina e Sergio Sablich (rispettivamente "coordinatore e consulente") che ha aggirato lo spinoso problema direttore artistico, il distacco fisico di sovrintendente (da qualche mese trasferitosi d' ufficio a Palazzo Busca) e direttore musicale (camerino-ufficio agli Arcimboldi). Questa surreale conferenza stampa del teatro "di" Muti senza Muti stupisce: solo fino a un certo punto.
ANGELO FOLETTO

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