venerdì 29 marzo 2019

Le versioni di Chailly che vive nel mondo della luna

In questi giorni si legge della Sala sui giornali più che in qualunque altra occasione, comprese quelle dichiaratamente musicali ed artistiche.
 E la ragione è, come a tutti noto, la richiesta di ingresso dei Sauditi nel CdA della Scala, a suon di milioni (una quindicina in cinque anni, tre per ogni anno), alla quale si è opposto più di tutti il governatore lombardo, solo perchè non gli è stato chiesto l'assenso preventivo ( ma il suo rappresentante in Scala, Daverio, sapeva tutto e se non l'ha informato in tempo, male ha fatto). Di questo abbiamo scritto già infinite volte, ed anche nel post immediatamente precedente.

Nuovamente la Scala in primo piano, perchè - lo abbiamo scritto qualche minuto fa - sempre Fontana mette il bastone fra le ruote dell'Accademia della Scala, invitata a fondare, dietro pagamento, un analogo istituto a Riad.

L'occasione ha fatto scrivere anche della futura dirigenza della Scala, con Pereira che, l'anno prossimo, a febbraio, è in scadenza.
 Si sono fatti dei nomi, e accanto a quello del sovrintendente, anche del possibile successore di Chailly, come direttore musicale, il cui contratto a Milano scade invece due anni dopo, che è poi quanto ancora vorrebbe restare a Milano Pereira, anche dopo la fine del suo mandato. 

 In tutto questo parlare e straparlare, con Pereria sempre loquace, perfino a suo danno, ha colpito il silenzio di Chailly, quasi che tutto questo discorso non lo riguardi. Anzi, è certo che non lo riguardi, come ha dichiarato l'altro ieri: "non è il mio mondo". Quale di grazia, maestro, sarebbe il suo mondo? Lui vivrebbe sulla luna, dove si dedica all'amata archeologia musicale. Cioè?

Chailly, da quando è arrivato alla Scala, dopo aver girato mezza Europa, s'è prefisso di sanare il vuoto che Lissner e Barenboim  avevano creato con l'ostracismo musicale nei riguardi di Puccini e, in parte, anche di Verdi. E bene ha fatto e  fa bene a continuare.
 Però non è possibile che ogni volta che presenta un titolo degli amati compositori italiani,  debba preferire o cercare non la versione ufficiale, ma  la prima o la seconda rese pubbliche e poi abiurate, o modificate.
 Per Chailly insomma, qualunque titolo si ascolti in Scala, non è interessante proporlo nella versione a tutti nota: troppo 'banale' (?), lui preferisce sempre una diversa versione. C'è sempre qualche ragione: potrebbe darsi che l'ordito sinfonico sia, secondo Chailly, più fitto di quella comunemente accettata ecc...

 E, difatti, la ragione della recentissima intervista del Corriere ( a firma Giuseppina Manin) riguardava Manon di Puccini, in cartellone da domenica 31, ma nella versione del 1893, dove 'più forti sono i tormenti della protagonista' - asserisce il direttore che per questo la preferisce - più tardi ammorbiditi da Puccini. Perchè?
 L'interrogativo si impone per ogni  nuova produzione verdiana o pucciniana diretta da Chailly che, evidentemente, non si domanda mai le ragioni dei cambiamenti  di grande o poco conto, che nel tempo, il compositore, ha introdotto  nelle varie versioni sino all'ultima conosciuta ed avallata, dopo infiniti ripensamenti.

 Si sa che ogni titolo del melodramma vive e muta attraverso le rappresentazioni, per ragioni nobili o di opportunità, e che quindi sempre all'interprete si chiede di scegliere. Però non è che un'opera, soprattutto nota, diventa più appetibile per l'aggiunta od il taglio di qualche battuta, per lo snellimento o l'intensificazione strumentale o armonica di qualche passaggio. E non serve dire che  si scoprirà una nuova diversa  Manon; la versione scelta da Chailly è quella che l'autore nel corso della sua vita ha modificato e, di conseguenza,  è stata poi abbandonata nella pratica esecutiva;  e perciò quella versione oggi interessa più gli studiosi o gli 'archeologi' di cose musicali, quale Chailly  mena vanto di essere, nella totale indifferenza generale.  

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