In questi giorni si legge della Sala sui giornali più che in qualunque altra occasione, comprese quelle dichiaratamente musicali ed artistiche.
E la ragione è, come a tutti noto, la richiesta di ingresso dei Sauditi nel CdA della Scala, a suon di milioni (una quindicina in cinque anni, tre per ogni anno), alla quale si è opposto più di tutti il governatore lombardo, solo perchè non gli è stato chiesto l'assenso preventivo ( ma il suo rappresentante in Scala, Daverio, sapeva tutto e se non l'ha informato in tempo, male ha fatto). Di questo abbiamo scritto già infinite volte, ed anche nel post immediatamente precedente.
Nuovamente la Scala in primo piano, perchè - lo abbiamo scritto qualche minuto fa - sempre Fontana mette il bastone fra le ruote dell'Accademia della Scala, invitata a fondare, dietro pagamento, un analogo istituto a Riad.
L'occasione ha fatto scrivere anche della futura dirigenza della Scala, con Pereira che, l'anno prossimo, a febbraio, è in scadenza.
Si sono fatti dei nomi, e accanto a quello del sovrintendente, anche del possibile successore di Chailly, come direttore musicale, il cui contratto a Milano scade invece due anni dopo, che è poi quanto ancora vorrebbe restare a Milano Pereira, anche dopo la fine del suo mandato.
In tutto questo parlare e straparlare, con Pereria sempre loquace, perfino a suo danno, ha colpito il silenzio di Chailly, quasi che tutto questo discorso non lo riguardi. Anzi, è certo che non lo riguardi, come ha dichiarato l'altro ieri: "non è il mio mondo". Quale di grazia, maestro, sarebbe il suo mondo? Lui vivrebbe sulla luna, dove si dedica all'amata archeologia musicale. Cioè?
Chailly, da quando è arrivato alla Scala, dopo aver girato mezza Europa, s'è prefisso di sanare il vuoto che Lissner e Barenboim avevano creato con l'ostracismo musicale nei riguardi di Puccini e, in parte, anche di Verdi. E bene ha fatto e fa bene a continuare.
Però non è possibile che ogni volta che presenta un titolo degli amati compositori italiani, debba preferire o cercare non la versione ufficiale, ma la prima o la seconda rese pubbliche e poi abiurate, o modificate.
Per Chailly insomma, qualunque titolo si ascolti in Scala, non è interessante proporlo nella versione a tutti nota: troppo 'banale' (?), lui preferisce sempre una diversa versione. C'è sempre qualche ragione: potrebbe darsi che l'ordito sinfonico sia, secondo Chailly, più fitto di quella comunemente accettata ecc...
E, difatti, la ragione della recentissima intervista del Corriere ( a firma Giuseppina Manin) riguardava Manon di Puccini, in cartellone da domenica 31, ma nella versione del 1893, dove 'più forti sono i tormenti della protagonista' - asserisce il direttore che per questo la preferisce - più tardi ammorbiditi da Puccini. Perchè?
L'interrogativo si impone per ogni nuova produzione verdiana o pucciniana diretta da Chailly che, evidentemente, non si domanda mai le ragioni dei cambiamenti di grande o poco conto, che nel tempo, il compositore, ha introdotto nelle varie versioni sino all'ultima conosciuta ed avallata, dopo infiniti ripensamenti.
Si sa che ogni titolo del melodramma vive e muta attraverso le rappresentazioni, per ragioni nobili o di opportunità, e che quindi sempre all'interprete si chiede di scegliere. Però non è che un'opera, soprattutto nota, diventa più appetibile per l'aggiunta od il taglio di qualche battuta, per lo snellimento o l'intensificazione strumentale o armonica di qualche passaggio. E non serve dire che si scoprirà una nuova diversa Manon; la versione scelta da Chailly è quella che l'autore nel corso della sua vita ha modificato e, di conseguenza, è stata poi abbandonata nella pratica esecutiva; e perciò quella versione oggi interessa più gli studiosi o gli 'archeologi' di cose musicali, quale Chailly mena vanto di essere, nella totale indifferenza generale.
Nessun commento:
Posta un commento