E' scritto chiaramente nel secondo punto. "Si tratta di soddisfare una richiesta pressante che mi avete rivolto in tanti", prosegue il testo. "Il rinvio delle elezioni presidenziali che è stato reclamato arriva per placare i timori che si sono manifestati", prosegue il messaggio, insistendo sulla necessità di spianare la strada alla "serenità, alla tranquillità e alla sicurezza pubblica, con l'obiettivo di intraprendere insieme azioni di importanza storica che consentiranno di preparare al più presto l'avvento di una nuova era in Algeria". "Ho deciso di procedere con alcuni importanti cambiamenti all'interno del governo nel prossimo futuro", si legge ancora. "Questi cambiamenti saranno una risposta adeguata alle aspettative", prosegue il testo. Bouteflika ha poi nominato Noureddine Bedoui come nuovo premier algerino, accogliendo così le dimissioni di Ahmed Ouyahia, ricoverato in ospedale secondo quanto sostengono i media locali. Nel ruolo di vicepremier ci sarà Ramtane Lamamra.
Il presidente ha anche annunciato lo svolgimento dell'elezione dopo una "conferenza nazionale" e "la formazione di un governo" di personalità competenti. Ed emerge anche che un progetto di Costituzione che sarà sottoposto a un referendum popolare nel Paese.. Fonti di stampa indicano in Lakhdar Brahimi, in passato Segretario generale aggiunto della Lega araba e delle Nazioni Unite, la figura che potrà guidare una fase di transizione, per uscire dalla crisi politica. Una transizione che si preannuncia complessa, irta di insidie, per il "vecchio" che non intende farsi da parte, e il nuovo che ha grandi aspettative di cambiamento.
I ragazzi della "revolution jasmine" tunisina avevano coniato uno slogan che, otto anni dopo, i ragazzi della "primavera algerina" hanno fatto proprio: "Ci siamo liberati dalla paura". Ieri a Tunisi, oggi ad Algeri a manifestare e a manifestarsi è un mondo non più sommerso o silente, che s'impadronisce della scena per rivendicare un'altra globalizzazione: la "globalizzazione dei diritti". Una rivendicazione che ridefinisce il senso stesso di appartenenza, non più fondata sull'elemento religioso o sull'individuazione del "nemico" da abbattere, ma calibrata su valori e principi che si percepiscono, e si vivono, come valori universali. Vanno ascoltati i giovani algerini.
Perché da un ascolto non viziato da atteggiamenti pregiudiziali, emerge come a segnare la "primavera algerina" è un paradigma politico-identitario che non ha nulla a che vedere con il paradigma politico integralista. Vogliono "globalizzare" i diritti, non la jihad. Diritti civili, certamente, ma anche diritti sociali. Gli algerini risentono di una grave crisi economica: il 30% dei giovani algerini non ha lavoro, la disoccupazione per chi ha meno di 30 anni tocca punte del 54%. Il forte calo delle entrate in questo Paese dipendente dal petrolio - le riserve di valuta estera sono meno di 80 miliardi di dollari - ha peggiorato la situazione: mancano i fondi per "comprare la pace civile", come ha fatto Bouteflika da quando è salito al potere 20 anni fa.
L'Algeria ha ricevuto più di mille miliardi di dollari dai proventi del petrolio nel periodo 2000-2013, ma la corruzione e la cattiva gestione economica ne hanno ostacolato la crescita e la competitività sul mercato globale. Dieci milioni di persone vivono al di sotto del livello di povertà. il crollo del prezzo del petrolio e la crisi finanziaria globale degli anni recenti hanno ridotto di non poco gli introiti nelle casse pubbliche (gli idrocarburi formano il 95% dell'export e il 60% delle entrate fiscali dell'Algeria): i tagli alla spesa pubblica hanno ridotto i sussidi sociali e gli investimenti per l'edilizia sociale, tasse e bollette si sono alzate a fronte di consumi crescenti della popolazione. "Il progetto di Stato-nazione – annota l'analista Mohamed-Ali Anouar - è in continuo fallimento, la memoria collettiva è spezzata e non c'è coesione sociale. In misura maggiore rispetto a molti altri paesi arabi, in Algeria il regime è isolato dalle critiche della comunità internazionale. Questo perché non dipende dal turismo come la Tunisia o dall'aiuto degli Stati Uniti come nel caso dell'Egitto. Per di più, la "minaccia islamica post 11 settembre" è stata una manna dal cielo per i generali che l'hanno saputa trasformare in una rendita straordinaria, garantendosi il sostegno incondizionato degli Stati occidentali, soprattutto dal punto di vista degli armamenti. Lo stato d'emergenza – durato 19 anni – ha impedito il cammino verso una qualsiasi forma di sviluppo e Stato di diritto.
I generali – co-responsabili dell'annullamento delle elezioni del 1992 – continuano a detenere il potere. Molti, tra i giovani scesi in strada, non hanno conosciuto altro presidente fuori di Bouteflika: nel 2018, secondo l'Ufficio nazionale di statistica, il 45% della popolazione ha meno di 25 anni. "Ho 30 anni: 10 di terrorismo, 20 di Bouteflika", "No al quinto mandato", "Non vogliamo più essere governati da un ritratto". Gli algerini che hanno riempito le strade e le piazze manifestando pacificamente dal 22 febbraio ad oggi, sono stati chiarissimi: vogliono girare pagina. La prima delle quali è stata scritta con l'uscita di scena di Bouteflika. Ma il sistema che voleva perpetuarlo è ancora in piedi. Ai vertici della "cupola" Gaïd Salah, capo di stato maggiore della Forze armate e viceministro della sicurezza, e Athmane Tarthag, capo dei servizi di sicurezza DSS (Dipartimento di Sorveglianza e Sicurezza) e uomo vicino a Said Bouteflika, fratello minore del presidente. Infine, il generale Mohammed Mediène che per 25 anni è stato il capo del servizio di informazione nazionale algerino, organo fondato negli anni '50 durante la lotta per l'indipendenza dalla Francia. Ora la "cupola" deve trovare un altro candidato. Non sarà facile. Il regime è in grande difficoltà.
Come notano gli analisti, il fatto che non si sia riuscito a trovare un candidato alternativo a Bouteflika testimonia quanto il sistema sia irriformabile e a quanto poco servano, se non a guadagnare tempo, le promesse di rinvio (Bouteflika ha garantito un ricambio nel giro di un anno). Le proteste, che sono iniziate in modo spontaneo, hanno raccolto via via anche il sostegno di aree grigie vicine al regime. Sabato otto esponenti del Fln, il partito di governo, si sono dimessi per protesta, tra loro ci sono il presidente della Commissione finanze e il presidente dell'organizzazione giovanile del Fln. È difficile dire quanto e come queste crepe si allargheranno ma ieri, oltre alle notizie di nuovi arresti e feriti (195 sono state fermate solo venerdì e 112 poliziotti sono rimasti feriti), circolavano le immagini dei manifestanti che stringevano, ricambiati, le mani dei rappresentanti delle forze dell'ordine e dell'esercito. La "primavera algerina" è esigente. E non si accontenterà di una controfigura del vecchio presidente che ha dovuto mollare.
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